Cassazione Penale, Sez. 4, 23 gennaio 2025, n. 2768 - Omessa valutazione del rischio di movimentazione dei serbatoi. Responsabilità amministrativa dell'ente
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente
Dott. CAPPELLO Gabriella - Relatore
Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere
Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere
Dott. GIORDANO Bruno - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a P il (Omissis)
E.M. INOX Srl
avverso la sentenza del 28/02/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; svolta la relazione dal Consigliere GABRIELLA CAPPELLO;
lette le conclusioni del Procuratore generale SABRINA PASSAFIUME, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso di A.A. e l'annullamento con rinvio della sentenza, limitatamente all'illecito di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2001, con rigetto nel resto, quanto a E.M. INOX Srl;
lette le note scritte a firma dell'Avv. Pierluigi Varischi del foro di Milano per A.A. e quelle a firma dell'avv. Luigi Piati, del foro di Milano, per E.M. INOX Srl, con le quali entrambi i difensori hanno chiesto l'annullamento della sentenza, impugnata.
Fatto
1. La Corte d'Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cremona, con la quale A.A. e la E.M. INOX Srl erano stati condannati, rispettivamente, per il reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche ai danni del lavoratore B.B. e per l'illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a) e 6, in relazione all'art. 25 septies comma 3, D.Lgs. 231/2001 (fatti accaduti in S il (Omissis)), ha rideterminato favorevolmente la pena e confermato nel resto.
2. I fatti per cui è processo sono accaduti nel corso di una lavorazione consistita nello spostamento di un serbatoio dall'interno all'esterno di un capannone della società sopra indicata, della quale il A.A. era legale rappresentante. In tale veste e quale datore di lavoro della vittima, si è ascritto al predetto un addebito generico di colpa, consistito nel non aver adottato le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori e alcuni di colpa specifica, quello ritenuto in sentenza inerendo alla violazione dell'art. 28, comma 2, lett. a), in relazione all'obbligo datoriale di redazione del documento di cui all'art. 17, comma 1, lett. a), D.Lgs. citato e, quindi, specificamente gli si è addebitato di non aver valutato tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori durante l'attività lavorativa, mediante indicazione delle misure di prevenzione e protezione approntate e l'individuazione della procedura per attuarle, avuto riguardo alla specifica attività di movimentazione dei serbatoi. Nella specie, il B.B., intento a trasferire un serbatoio mediante utilizzo di un carrello elevatore condotto dal collega C.C., veniva colpito e fatto cadere a terra dal serbatoio che si ribaltava sul lato destro, cagionandogli le lesioni meglio descritte in imputazione.
La responsabilità amministrativa dell'ente, invece, è stata ritenuta attraverso l'elemento imputativo dell'interesse e vantaggio conseguito in assenza di un modello gestionale sulla sicurezza ai sensi dell'art. 30, D.Lgs. 81/2008.
La Corte d'Appello, investita del gravame da parte dell'imputato e dell'ente, ha ritenuto le doglianze sulla responsabilità infondate, muovendo in via preliminare dalla prospettata nullità dell'ordinanza, con la quale il Tribunale aveva revocato l'esame del consulente della difesa e di quella, con la quale era stata rigettata la relativa richiesta di rinnovazione istruttoria: l'unico addebito di colpa ritenuto dal Tribunale rilevante nel determinismo causale dell'evento ineriva alla omessa valutazione dei rischi della specifica attività di movimentazione dei serbatoi, lavorazione non procedimentalizzata, tema questo estraneo all'oggetto della consulenza di che trattasi, la funzionalità dei carriponte e la dinamica dell'infortunio essendo state ricostruite sulla scorta del compendio probatorio acquisito in primo grado; quanto, invece, al profilo attinente alla violazione delle regole del contraddittorio, i giudici territoriali hanno rilevato che la revoca era intervenuta all'udienza del 02/12/2020, dandosi conto, negli stessi atti di gravame, della richiesta di audizione da parte della difesa. Infine, con riferimento alle fotografie dello stabilimento, prodotte solo all'udienza del 26/05/2021, la Corte del merito ha evidenziato la non specificità della doglianza, dal momento che la difesa non aveva indicato quali prerogative difensive sarebbero state lese da tale tardiva acquisizione e dalla mancata audizione dell'esperto di parte sulla presenza di carriponte utilizzabili per lo spostamento della cisterna caduta, circostanza accertata in precedenza e solo confermata dalle fotografie.
Quanto al merito, la Corte bresciana ha precisato che, a prescindere dalle ragioni di urgenza che avrebbero indotto i tre lavoratori addetti a quella movimentazione a procedere mediante impiego di un semplice carrello elevatore, piuttosto che di un carroponte, pur disponibile, e dato per provato che i tre non avevano ricevuto ordini circa l'impiego del mezzo non adeguato allo scopo specifico, ciononostante dalla istruttoria era emerso che la relativa procedura non era stata regolamentata, essendosi rimessa all'apprezzamento dei lavoratori la scelta di procedere con l'impiego dell'uno o dell'altro mezzo. I lavoratori, peraltro, avevano riferito di una prassi, in forza della quale il muletto veniva impiegato per i serbatoi di piccole dimensioni e il carroponte per quelli grandi, quello capovoltosi il giorno del sinistro rientrando in una categoria per così dire intermedia. In ciò è stato ravvisato l'addebito di colpa specifico, essendo emersa la mancanza di una procedura formale che indicasse la corretta modalità di movimentazione, tenendo conto del tipo e delle dimensioni del serbatoio da movimentare, omissione frutto di una sottovalutazione dei rischi correlati a tale segmento di attività da parte del datore di lavoro, nessuna traccia essendo stata rinvenuta nel relativo documento.
In conseguenza di tale lacuna valutativa e, quindi, anche formativa, il comportamento imprudente dei tre lavoratori non poteva considerarsi abnorme o imprevedibile, essendo inidoneo a interrompere il collegamento eziologico tra l'omissione e l'infortunio. Quanto al profilo controfattuale, poi, i giudici territoriali hanno ritenuto che la corretta valutazione dei rischi correlati a quello specifico segmento lavorativo, in uno con l'adozione di una procedura per disciplinarne l'esecuzione in sicurezza, oggetto di formazione e conseguente controllo da parte datoriale, avrebbe prevenuto l'evento lesivo che ha costituito proprio il concretizzarsi di quel rischio che la regola violata era intesa a scongiurare. Né poteva accordarsi rilievo all'esperienza dei lavoratori, come sostenuto a difesa: costoro, infatti, si erano espressi in termini molto approssimativi quanto ai parametri di scelta del mezzo per operare la movimentazione dei serbatoi. Peraltro, sotto il profilo della causalità della colpa, la Corte ha anche ritenuto che l'obbligo di valutare in maniera completa i rischi insiti nell'attività lavorativa e la conseguente imposizione di regole atte a scongiurarli hanno proprio lo scopo di ridurre e governare l'area di rischio dei singoli segmenti dell'attività produttiva, la formalizzazione e cogenza delle procedure, la cui conoscenza deve essere trasferita ai lavoratori mediante la formazione, servendo per l'appunto a sensibilizzare costoro sui rischi e a guidarli nello svolgimento dell'attività lavorativa, concorrendo a prevenirne imprudenze o disattenzioni.
Infine, quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte ha ritenuto l'imputato non meritevole del riconoscimento delle generiche, avuto riguardo al precedente specifico, alla sussistenza di altre violazioni, pur non correlate all'infortunio, e alla risalenza delle carenze prevenzionali, circostanze tutte ritenute impeditive anche della conversione della pena detentiva in quella pecuniaria; ha, comunque, rideterminato favorevolmente la pena con lieve discostamento dal minimo, negando i doppi benefici alla stregua del precedente citato che non ha neppure consentito la formulazione di una prognosi favorevole sul futuro comportamento dell'imputato.
Quanto, invece, alla responsabilità amministrativa dell'ente, i giudici territoriali hanno valorizzato la pluralità delle carenze prevenzionali, ritenendole indicative di una complessiva trascuratezza della società quanto alla materia antinfortunistica, tale da aver determinato una sottovalutazione dei rischi insiti nella movimentazione delle cisterne, oggetto precipuo dell'attività produttiva e all'origine dell'infortunio per cui è processo. Anche la non formalizzazione della nomina del preposto (il lavoratore C.C.) rispondeva alla medesima logica di sottovalutazione della sicurezza e di risparmio sui costi tradottasi nell'abbandono dei lavoratori nello svolgimento di un'attività pericolosa, la mera presenza dei carriponte non potendo sopperire in mancanza di regole circa il loro utilizzo. Peraltro, anche a voler circoscrivere la valutazione alla sola sottostima del rischio di movimentazione delle cisterne, la mancanza di una procedura lavorativa e della nomina di un preposto aveva determinato un risparmio, tradottosi in vantaggio per l'ente, che non poteva ritenersi esiguo, non essendo di ostacolo la mancata quantificazione di esso, tenuto conto della durata delle omissioni accertate.
3. La difesa dell'imputato ha proposto ricorso, formulando quattro motivi.
Con il primo, ha dedotto inosservanza di norma processuale e vizio della motivazione con riferimento a un duplice profilo, inerente, da un lato, alla disposta revoca dell'esame del consulente di parte (nonché alla omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale); dall'altro, all'assenza nel fascicolo delle indagini del pubblico ministero delle fotografie sullo stato dei luoghi scattate dall'ATS di Crema il giorno dell'infortunio. La difesa ha censurato la motivazione con la quale la Corte territoriale ha rigettato le eccezioni, nonostante fosse incontestata la mancata visione delle fotografie e fosse rimasto tutt'altro che dimostrato che il serbatoio trasportato al momento dell'infortunio fosse di dimensioni "intermedie", le dimensioni della stessa non consentendo detta catalogazione, elemento centrale nella ricostruzione dell'addebito, sul quale sarebbe stato interdetto alla difesa ogni approfondimento. Quanto, invece, alla ritenuta superfluità della prova, il Tribunale non aveva giustificato tale giudizio, laddove la Corte d'Appello, surrogandosi al primo giudice., avrebbe introdotto un dato nuovo (la categoria dei serbatoi di dimensioni "intermedie"), sul quale avrebbe potuto interloquire lo stesso consulente a difesa.
Con il secondo motivo, ha dedotto vizio della motivazione per travisamento probatorio quanto alla esistenza di cisterne di dimensioni "intermedie", sulle cui modalità di movimentazione i lavoratori non avrebbero ricevuto alcuna istruzione, vizio che la difesa ha introdotto trascrivendo parte delle dichiarazioni della persona offesa e del collega C.C., inferendo dalla lettura comparata di esse l'introduzione del dato asseritamente insussistente. Nessun dichiarante, inoltre, aveva indicato l'esistenza di tale categoria di cisterne, che avrebbe, a dire della difesa, giustificato un ordito argomentativo fondato su "un corto circuito volitivo-operativo nei lavoratori", tuttavia non dimostrato, posto che nulla poteva dirsi lasciato alla discrezionalità dei lavoratori, in quanto solo per i serbatoi piccoli erano impiegati i muletti.
Con il terzo motivo, ha dedotto violazione ed erronea applicazione della legge penale e vizio motivazionale quanto alla ritenuta correlazione causale tra la contestata omessa valutazione dei rischi e l'evento, con specifico riguardo alla movimentazione dei serbatoi e alla procedimentalizzazione del segmento di attività lavorativa. La difesa è partita dall'assunto dell'erroneità di quanto ha affermato la Corte territoriale in ordine all'esistenza di serbatoi di dimensioni diverse, laddove l'istruttoria aveva dimostrato che vi erano cisterne trasportabili a mano e altre spostabili solo con carroponte. I giudici d'appello non avrebbero dato congrua risposta al dubbio posto dalla difesa circa l'irragionevolezza e imprevedibilità dell'operazione approntata dai lavoratori, tale in virtù della disponibilità di carriponte funzionanti, avendo essi agito mossi da un'ingiustificata fretta che avrebbe determinato le medesime scelte anche in presenza di una procedura formalizzata. Né può la mera violazione dell'obbligo di effettuare la valutazione dei rischi assurgere a ruolo causale in virtù della sola formale assenza, essendo necessario dimostrare in parallelo che la misura omessa avrebbe modificato il decorso causale, ciò che nella specie non si era verificato, considerato che la cisterna rientrava tra i manufatti per i quali era impossibile l'impiego di un muletto, che erano disponibili e funzionanti dei carriponte ai quali quel serbatoio poteva essere agganciato, siccome dotato di "golfari". Inoltre, i lavoratori, compresa la vittima, erano stati formati e informati sull'uso del carroponte e, per quanto emerso in istruttoria, anche sulla modalità lavorativa da utilizzare nel caso specifico.
In conclusione, la difesa ha affermato che l'errore dei giudici di merito è giuridico, ma anche culturale, la lettura dell'art. 20 del D.Lgs. n. 81/2008 da costoro seguita finendo per deresponsabilizzare il lavoratore.
Infine, con il quarto motivo, ha dedotto analoghi vizi anche con riferimento al diniego delle generiche: la Corte avrebbe svolto un ragionamento contraddittorio perché, dopo aver ridotto la pena con conversione di quella pecuniaria, aveva però ragguagliato la stessa in maniera particolarmente afflittiva e, pur avendo sostanzialmente riconosciuto un concorso di colpa del preposto "di fatto" C.C., non ne ha tenuto conto in chiave sanzionatoria, valorizzando di contro un precedente del 2011.
4. Anche la difesa della E.M. INOX Srl ha proposto ricorso, formulando quattro motivi.
I primi tre sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli articolati con il ricorso proposto nell'interesse dell'imputato e ad essi si rinvia per comodità espositiva.
Con il quarto, questa difesa ha dedotto violazione ed erronea applicazione della legge penale, oltre a vizio della motivazione, quanto alla integrazione del requisito dell'interesse e/o vantaggio da correlarsi all'adeguamento prevenzionistico ritenuto incidente nel determinismo dell'evento di cui al reato presupposto. La difesa rileva che, al contrario, nell'editto accusatorio si rinverrebbe unicamente un richiamo alla mancanza del modello gestionale ex art. 30 D.Lgs. n. 81/2008, laddove, secondo la difesa, sarebbero stati i giudici del merito a riempire di contenuto il requisito, originariamente ancorato a violazioni non causalmente correlate al reato presupposto, senza neppure indicare gli elementi dai quali inferirne l'effettivo disvalore.
Il deducente ha, dunque, posto due questioni di diritto, una inerente alla struttura dell'illecito nella sua relazione causale con il reato presupposto, ponendo l'interrogativo se, per identificare il vantaggio, debba tenersi conto dell'eventuale risparmio ottenuto dalla condotta omissiva causalmente correlata all'evento, oppure possa rilevare anche un vantaggio correlato a un complessivo atteggiamento colposo dell'ente; l'altra inerente, invece, all'entità del ritenuto risparmio di spesa, posto che la modifica dell'art. 18 del D.Lgs. n. 81/2008 (con la quale si è introdotta la possibilità di prevedere un emolumento per i compiti di sorveglianza da parte del preposto) risale al 2021, epoca successiva ai fatti per cui si procede.
Quanto alla prima questione, la difesa, nel rilevare che essa non è stata apertamente affrontata dai giudici del merito, ha affermato che la correlazione del vantaggio imputato all'ente debba essere effettuata rispetto alla violazione causalmente collegata all'evento, laddove i giudici di merito avrebbero fatto riferimento a risparmi di spesa conseguenti a carenze prevenzionali non causalmente collegate alla condotta di cui al reato presupposto. Con riferimento alla seconda questione, invece, ha rilevato che i giudici non avrebbero in alcun modo valutato la consistenza del vantaggio che deve comunque tradursi in un risparmio di spesa non irrisorio. Inoltre, il Tribunale avrebbe del tutto pretermesso il tema della colpa di organizzazione, mentre la Corte territoriale ne avrebbe fatto cenno argomentando,, tuttavia in termini contraddittori, avendo combinato la valutazione globale della condotta dell'agente con l'area di rischio su cui insiste, vale a dire la movimentazione delle cisterne, riferendosi subito dopo a carenze diverse, non causalmente collegate all'infortunio.
5. Il Procuratore generale, in persona della sostituta Sabrina PASSAFIUME, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso dell'imputato e, quanto alla ricorrente E.M. INOX Srl, l'annullamento con rinvio limitatamente all'illecito di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 231/2001 e il rigetto nel resto.
6. L'Avv. Pierluigi Varischi per A.A. ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l'annullamento della sentenza con ogni conseguente statuizione.
7. L'Avv. Luigi Piati per la E.M. INOX Srl ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l'annullamento della sentenza con ogni conseguente statuizione.
1. Il ricorso dell'imputato è inammissibile, quello dell'ente va rigettato.
2. Deve preliminarmente puntualizzarsi, a scanso di ogni equivoco, che l'unico addebito colposo riconosciuto in capo al A.A., a fronte della maggiore ampiezza dell'editto accusatorio, è l'accertata mancanza di un documento di valutazione dei rischi che contemplasse quello specifico inerente al segmento di attività produttiva considerato, la movimentazione cioè di cisterne, presenti nel luogo di lavoro in diversi tipo e dimensioni.
Diritto
3. Da tale precisazione discende la manifesta infondatezza del primo motivo formulato nell'interesse di entrambi i ricorrenti.
La risposta che la Corte d'Appello ha dato al motivo di gravame, con il quale si era eccepita la nullità delle ordinanze istruttorie è coerente con i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità. Del tutto correttamente la Corte territoriale ha rilevato che l'unico addebito di colpa rilevante nel determinismo causale dell'infortunio era quello della mancata valutazione dei rischi e che, rispetto a tale punto, non erano stati formulati quesiti da rivolgere al tecnico di parte, chiamato invece a dare il suo contributo su altri aspetti, debitamente esposti nella sentenza, del tutto estranei all'imputazione quale ritenuta dimostrata dai giudici di merito.
Ora, è vero che la revoca dell'ordinanza ammissiva dei testi della difesa necessita di motivazione in ordine al requisito della superfluità, altrimenti producendo una nullità di carattere generale a regime intermedio, traducendosi in una violazione del diritto della difesa di "difendersi provando", stabilito dall'art. 495, comma 2, cod. proc. pen., corrispondente al principio della "parità delle armi" sancito dall'art. 6, comma 3, lett. d), della CEDU, al quale si richiama l'art. Ili, comma 2, della Costituzione in tema di contraddittorio tra le parti (Sez. 5, n. 16976 del 12/02/2020, Polise, Rv. 279166 - 01), ma la difesa sembra del tutto obliterare ciò che la Corte territoriale ha precisato sul punto. Si legge alle pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata che il Tribunale aveva motivato il proprio provvedimento sotto il profilo della ritenuta superfluità, avuto riguardo al contenuto della prova e all'addebito mosso all'imputato, e che la relativa decisione era intervenuta nel contraddittorio, avendo le parti, nei loro atti d'appello, dato atto della circostanza che le difese avevano insistito per l'audizione del consulente.
Quanto, invece, alle fotografie che la difesa assume acquisite tardivamente agli atti del procedimento, la Corte ha rilevato che le stesse non avevano introdotto alcun elemento di novità sullo stato dei luoghi già descritto dai testimoni, opponendo una non specificità della doglianza difensiva, per non esser stato chiarito in che modo tale tardiva acquisizione avesse compromesso facoltà difensive, rendendo necessaria l'audizione del predetto consulente su elementi (quali la presenza e la funzionalità dei carriponte) già emersi e solo confermati dai rilievi fotografici.
Il difetto argomentativo è stato perpetuato in sede di ricorsi. In essi, si è ritenuta sufficiente a sostenere il dedotto vulnus difensivo la mera rappresentazione della circostanza che la visione delle fotografie avrebbe potuto consentire l'approfondimento di questioni esemplificativamente indicate nell'esistenza dei serbatoi di dimensioni "intermedie" e altre, non indicate invece, che avrebbero potuto essere rassegnate al consulente della difesa.
Della irrilevanza del primo dato si andrà a parlare nel prosieguo, avuto riguardo all'addebito di colpa ritenuto in capo all'imputato, laddove la genericità dell'ulteriore indicazione offerta a difesa non consente di colmare il gap argomentativo denunciato nella sentenza impugnata, tenuto conto di quanto già chiarito in tema di prova contraria. La parte che ne fa richiesta, infatti, è tenuta a specificare i fatti oggetto della prova a carico che intende contrastare, nonché il nominativo dei testi addotti e le circostanze su cui deve vertere il loro esame, non essendo sufficiente un generico riferimento alle prove a discarico indicate nella lista depositata (Sez. 4, n. 35718 del 29/05/2024, Sotera, Rv. 286928 - 01, in cui, in motivazione, la Corte ha altresì precisato che la richiesta di ammissione di prova contraria avanzata dalla difesa deve avere per oggetto fatti rilevanti ai fini dell'imputazione, non potendo tradursi in un diritto incondizionato all'ammissione di una prova superflua o vertente su fatti estranei a quelli contestati).
4. Dalla precisazione operata in premessa al par. 2, discende anche la manifesta infondatezza del secondo e del terzo motivo di entrambi i ricorsi (come detto, tra loro sovrapponibili).
Sul punto, non pare ultroneo ribadire che l'art. 28 del D.Lgs. n. 81/2008, norma dal chiaro tenore letterale, pone al centro del sistema prevenzionistico lavorativo il momento della valutazione e, dunque, della previsione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, previsione che spetta al datore di lavoro e deve essere completa, dovendo riguardare, per l'appunto, "tutti i rischi". Trattasi di norma che riempie di contenuto quella che pone l'obbligo datoriale per eccellenza, neppure delegabile, delineato all'art. 17, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008, quello cioè di redigere il documento di cui all'art. 28 citato. Già da tempo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il datore di lavoro è tenuto a indicare, all'interno di tale documento, in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori e, trattandosi di un dovere fondamentale del sistema prevenzionistico, il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione di suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata (Sez. 4, n. 27295 del 02/12/2016, dep. 2017, Furlan, Rv. 270355 - 01). Il che giustifica, altresì, la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, secondo cui il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, anch'egli debitore, in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, di un obbligo di garanzia (art. 20 D.Lgs. n. 81/2008), può costituire concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, soltanto allorquando questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate a disciplinare e governare il rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242 - 01).
Nel caso all'esame, il nocciolo dell'addebito omissivo consiste nella mancata procedimentalizzazione dell'attività lavorativa di movimentazione delle cisterne, non avendo il datore di lavoro previsto le modalità di esecuzione di quello specifico segmento lavorativo, avuto riguardo al tipo e alle dimensioni dei serbatoi da movimentare e al tipo di macchinario disponibile in azienda (carroponte e muletto), tenuto conto che essa rappresentava peraltro oggetto precipuo dell'attività produttiva.
Orbene, anche sul punto specifico, pare utile un richiamo alla elaborazione giurisprudenziale: questa Sezione, infatti, ha più volte precisato che il datore di lavoro può assolvere all'obbligo di vigilare sull'osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 14915 del 19/02/2019, Arrigoni, Rv. 275577 - 01, in fattispecie in tema di responsabilità del datore di lavoro per il decesso di un lavoratore dovuto alla sopravvenuta inadeguatezza delle misure di prevenzione adottate in conseguenza del mutamento delle modalità esecutive delle lavorazioni rispetto a quelle previste nel POS, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro, nonostante la nomina di un preposto presente al momento dell'infortunio, riconducendo la mancata conoscenza della decisione di ricorrere a modalità esecutive diverse da quelle previste ad una violazione del suo obbligo di controllare personalmente l'andamento dei lavori in cantiere). E, sulla stessa linea, si pone il principio per il quale il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960 - 01).
Trattasi di principi consolidati alla stregua dei quali, per quanto riguarda lo specifico addebito mosso al A.A., si ricava conferma della centralità del momento valutativo del rischio correlato alla specifica lavorazione o segmento di lavorazione e la necessità che lo stesso sia contemplato nel documento di cui al combinato disposto degli artt. 17, comma 1, lett. a) e 28 D.Lgs. n. 81/2008. Pertanto, gli ulteriori obblighi, quale quello conseguente della predisposizione delle procedure di controllo che rendano effettiva la previsione prevenzionistica e quelli formativo e informativo saranno misurati e calibrati in relazione alla valutazione e previsione cautelare contenuta nel documento citato.
5. Orbene, nel caso all'esame, le difese hanno omesso di considerare attentamente lo specifico rimprovero mosso all'imputato e tale deficit fonda il giudizio di manifesta infondatezza delle censure, ivi compresa, come sopra già evidenziato, quella inerente alle decisioni di natura istruttoria. I deducenti, infatti, hanno focalizzato l'attenzione su elementi fattuali (quali la tipologia di cisterna movimentata nel caso concreto) che, rispetto alla violazione dell'obbligo del quale si discute, risultano irrilevanti, dal momento che l'omissione contestata ha riguardato il segmento lavorativo della movimentazione delle cisterne e non delle cisterne di dimensioni "medie", categoria la cui esistenza la difesa si è impegnata a contestare con forza.
Il ragionamento dei giudici territoriali sul punto, peraltro, è molto chiaro, a prescindere dall'utilizzo dell'aggettivo "intermedio" per descrivere la cisterna capovoltasi nell'occorso: la mancata previsione di una procedura lavorativa correlata alla specifica lavorazione che tenesse conto dei diversi tipi di serbatoio e della tipologia dei mezzi di trasporto disponibili in azienda ha determinato lo spostamento della valutazione del rischio di quel segmento lavorativo in capo a soggetti ai quali, tuttavia, essa non competeva e ai quali si è sostanzialmente richiesto di optare per l'uno o l'altro mezzo di trasporto, in base a una stima empirica ed estemporanea, inerente alle dimensioni e alla tipologia di cisterna da spostare.
Peraltro, la censura è stata veicolata quale vizio motivazionale sub specie travisamento probatorio, la cui deducibilità si scontra però con precisi limiti direttamente correlati alla conformità delle decisioni di merito: tale tipologia di vizio motivazionale, infatti, può essere dedotta solo ove il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4 n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi, Rv. 258438 - 01; n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432 - 01) o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 2 n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499 - 01). Orbene, nella specie, le prove sono state esaminate dal primo giudice attraverso una lettura complessiva del compendio acquisito, laddove l'asserito travisamento si sostanzia in null'altro che nella inammissibile sollecitazione a rivalutare, in questa sede, il significato attribuito dai giudici di merito alle prove stesse attraverso un ragionamento scevro da contraddizioni o manifeste illogicità. Né può ritenersi che entrambi i giudici siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie, poiché in tal caso il travisamento deve apparire in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio, acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155 - 01).
Quanto alla decisività del dato che si assume travisato, poi, va ancora una volta evidenziata la irrilevanza delle dimensioni effettive del serbatoio spostato al momento dell'infortunio, alla luce dell'addebito colposo ritenuto in capo all'imputato, come già precisato.
6. In ordine, invece, alla correlazione causale tra l'omissione colposa attribuita al A.A. nella qualità datoriale e l'infortunio occorso al suo dipendente, oggetto della terza censura, è certamente vero che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del soggetto deputato a gestire il rischio, poiché il principio di colpevolezza impone la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte di costui - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire, sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso (ex multis, Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, Capobianco, Rv. 273568 - 01; n. 24462 del 06/05/2015, Ruocco, Rv. 264128 - 01; n. 5404 del 08/01/2015, Corso, Rv. 262033 - 01; n. 43645 del 11/10/2011, Putzu, Rv. 251930 - 01). Inoltre, va pure considerato, con specifico riferimento al reato colposo, omissivo, improprio, che il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma va verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Tale giudizio di alta probabilità logica, a sua volta, deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica anche su un giudizio di tipo induttivo, elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto.
Orbene, sul punto, deve convenirsi con la Corte bresciana quanto alla natura meramente speculativa e congetturale dell'argomentazione difensiva secondo la quale una procedimentalizzazione del segmento lavorativo, formalizzata nel documento di valutazione dei rischi, non avrebbe impedito ai lavoratori di procedere in maniera scorretta. Peraltro, l'argomentazione è fallace anche sotto altro profilo: cosi argomentando, infatti, le difese hanno finito con il vanificare sostanzialmente la centralità dell'obbligo datoriale compendiato nel combinato disposto di cui ai citati artt. 17 e 28 D.Lgs. n. 81/2008, viceversa imposto dal legislatore proprio al fine di costituire un preciso schema lavorativo al quale correlare la formazione/informazione dei lavoratori e la sensibilizzazione di costoro quanto ai pericoli insiti nelle singole lavorazioni. Infatti, la prescrizione di regole cogenti avrebbe consentito alla stessa persona offesa di apprezzare il pericolo del ricorso a uno strumento inadeguato quale il muletto impiegato per movimentare la cisterna ribaltatasi.
Ed è in relazione a tale dovere datoriale che va, dunque, valutata la portata dell'art. 20 del D.Lgs. 81 del 2008, richiamato dalle difese: il legislatore ha certamente incluso il lavoratore nel novero dei soggetti garanti della sicurezza sui luoghi di lavoro, ma il modello "collaborativo" così delineato - in virtù del quale gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori - non implica alcun esonero di responsabilità in capo al datore di lavoro all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca il suo obbligo di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (Sez. 4 n. 21587 del 23/03/2007, Pelosi, Rv. 236721 - 01). Ed è sempre in ragione di tale complessità del sistema prevenzionistico che la giurisprudenza ha cercato di delimitare con sufficiente chiarezza i presupposti in forza dei quali un comportamento non corretto del lavoratore può interrompere il nesso eziologico tra l'omissione attribuita al datore di lavoro e l'infortunio patito dal lavoratore stesso (vedi, per esempio, Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748 - 01, in cui si è affermato che, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (in fattispecie in cui la Corte ha riconosciuto l'abnormità della condotta del lavoratore, deceduto in conseguenza dell'utilizzazione di un macchinario pericoloso, diverso da quello fornito in dotazione e non presente in azienda, ma autonomamente acquisito dal lavoratore all'insaputa del datore di lavoro); analogamente, Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237 - 01, in cui la Corte ha annullato la decisione impugnata, demandando al giudice del rinvio l'accertamento dell'abnormità della condotta del lavoratore, che era deceduto in conseguenza di un infortunio occorso durante lo smontaggio di un parapetto, operazione dallo stesso compiuta sebbene avesse poco prima intimato a un collega di astenersi dal suo compimento, così mostrando di conoscere la procedura di sicurezza e di avere l'intenzione di rispettarla; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017 - 01, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all'interno della macchina stessa anziché utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato).
Nella specie, il comportamento imprudente della persona offesa non ha eliso il nesso causale tra la violazione dell'obbligo di valutazione e previsione del rischio specifico, proprio perché si è inserito all'interno dell'area di rischio che era compito specifico del datore di lavoro governare.
7. Anche il quarto motivo proposto nell'interesse dell'imputato è manifestamente infondato. La difesa non ha condiviso il ragionamento giustificativo del diniego delle generiche che i giudici territoriali non hanno, peraltro, ancorato solo al precedente specifico, come sembra affermare la difesa, ma anche alla pluralità delle violazioni rilevate dall'ente di controllo, ulteriori rispetto a quella che ha fondato l'addebito colposo oggetto del reato e alla risalenza nel tempo delle carenze prevenzionali. In effetti, la censura si risolve nella formulazione di una valutazione di puro merito proposta come più persuasiva al giudice di legittimità, senza considerare però che, ai fini del diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale rilevanza tenga conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall'interessato (Sez. 3, n. 2233 del 17/6/2021, Bianchi, Rv. 282693 - 01): ne consegue che esse possono essere legittimamente negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell'imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità (Sez. 2, n. 3896 del 20/1/2016, De Cotiis, Rv. 265826 - 01).
8. Il quarto motivo dedotto nell'interesse dell'ente è infondato.
In linea generale, deve ribadirsi, con riferimento alla responsabilità da reato degli enti, che trattasi di un modello di responsabilità che, coniugando i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, ha finito con il configurare un tertium genus, compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261112 - 01).
Quanto ai criteri d'imputazione oggettiva della responsabilità dell'ente (l'interesse o il vantaggio di cui all'art. 5 del D.Lgs. 231 del 2001), essi sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il primo esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo; il secondo ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito. Peraltro, proprio nel caso di responsabilità degli enti ritenuta in relazione a reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il S.C. ha precisato che la colpa di organizzazione deve intendersi in senso normativo ed è fondata sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli (Sez. U, n. 38343/2014, Espenhahn cit., Rv. 261113 - 01). Per non svuotare di contenuto la previsione normativa che ha inserito nel novero di quelli che fondano una responsabilità dell'ente anche i reati colposi, posti in essere in violazione della normativa antinfortunistica (art. 25 septies del D.Lgs. 231 del 2001) è stato poi chiarito, in via interpretativa, che i criteri di imputazione oggettiva di che trattasi vanno riferiti alla condotta del soggetto agente e non all'evento, in conformità alla diversa conformazione dell'illecito, essendo possibile che l'agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l'evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali a strategie dell'ente. A maggior ragione vi è perfetta compatibilità tra inosservanza della prescrizione cautelare ed esito vantaggioso per l'ente (cfr., in motivazione, Sez. U. n. 38343/2014, cit.).
9. La Corte d'Appello di Brescia, nell'esaminare il criterio di imputazione oggettiva ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. 231 del 2001, ha dato atto della pluralità delle carenze prevenzionali, in parte non eziologicamente collegate al sinistro, con ciò descrivendo in sostanza una condizione di trascuratezza dell'ente rispetto alle esigenze della sicurezza dei propri dipendenti e, a tale ambito, ha ricondotto anche l'imputazione colposa ascritta al A.A., vale a dire la sottovalutazione dei rischi insiti nella movimentazione delle cisterne. Le ulteriori violazioni, pertanto, sono state menzionate per descrivere e dare consistenza a quella che emerge come una vera e propria politica aziendale di incuria in materia antinfortunistica, alla quale sono state ricondotte anche altre violazioni, quale la mancata nomina formale del C.C. come preposto, violazioni che, nel loro complesso, sono state ritenute espressione di una logica di sottovalutazione della sicurezza, settore nel quale, dunque, la società non ha investito.
Pertanto, si conviene con la difesa, laddove ha rilevato che il criterio di imputazione oggettivo va valutato in relazione alla specifica violazione oggetto del reato, ciò ricavandosi dalla stessa lettera della legge ("L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio"), sebbene debba rilevarsi come, nel caso di specie, la precisazione sia del tutto ultronea, dal momento che anche l'addebito colposo è stato ricondotto dai giudici di merito alla complessiva politica di non investimento nel settore della sicurezza, politica peraltro portata avanti negli anni, stante la risalenza delle violazioni.
Infine, appare infondato anche il rilievo che imputa alla Corte di merito la mancata valutazione della consistenza del vantaggio e la non irrisorietà dello stesso.
Sul punto, giovi ricordare che il criterio di imputazione oggettiva del vantaggio di cui all'art. 5 D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231 è integrato anche da un esiguo, ma oggettivamente apprezzabile, risparmio di spesa, collegato all'inosservanza, pur non sistematica, delle cautele per la prevenzione degli infortuni riguardanti un'area rilevante di rischio aziendale (Sez. 4, n. 33976 del 30/06/2022, Cantina Sociale Bartolomeo da Breganze S.c. a r.l., Rv. 283556 - 01) e che l'esiguità del risparmio di spesa derivante dall'omissione delle cautele dovute assume rilevanza per escludere la sussistenza del requisito oggettivo del vantaggio di cui all'art. 5 D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, a condizione che la violazione si inscriva in un contesto di generale osservanza delle norme antinfortunistiche da parte dell'impresa (Sez., n. 31665 del 25/06/2024, Ghirelli, Rv. 286871 - 01, in fattispecie relativa ad omicidio colposo, in cui la Corte ha annullato senza rinvio la decisione di condanna dell'ente sul rilievo dell'insussistenza di un vantaggio in termini di risparmio di spesa rispetto alle dimensioni aziendali, anche alla luce dell'adozione di un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire la violazione contestata).
Orbene, nella specie, l'area di rischio non regolamentata era rilevante, come precisato a pag. 17 della sentenza impugnata, laddove la Corte territoriale ha affermato che la movimentazione delle cisterne era l'oggetto precipuo dell'attività produttiva. Inoltre, era mancata la formale investitura del C.C. quale preposto, soggetto al quale l'omissione dell'imputato ha sostanzialmente trasferito la valutazione della procedura lavorativa da adottarsi di volta in volta e anche tale omissione è stata ricondotta a un risparmio di spesa. La difesa ha espressamente contestato l'inclusione di tale voce nel vantaggio ottenuto dall'ente, alla stregua del fatto che solo con l'art. 13, comma 1, lett. d bis) del d. I. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modificazioni nella legge 17 dicembre 2021, n. 215, è stata introdotta, al comma 1 dell'art. 18 del D.Lgs. n. 81/2008 la lett. b-bis) che prevede l'individuazione del preposto e la possibilità di stabilirne l'emolumento per lo svolgimento dell'attività di vigilanza. Ma la doglianza non è idonea a minare il complessivo ragionamento svolto dai giudici del merito che hanno ricavato la non esiguità del vantaggio conseguito anche alla stregua del dato temporale (trattandosi di violazione risalente) e della natura della stessa, tale da aver comportato l'omessa valutazione di un'intera area di rischio. Inoltre, La Corte del merito ha specificamente dato conto della generale trascuratezza dell'azienda in ordine al tema della sicurezza, cosicché deve ritenersi che la giustificazione fornita in ordine alle rassegnate conclusioni, oltre ad essere osservante del dato normativo, è del tutto coerente con i principi sopra richiamati.
10. Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, quanto al A.A., anche quella al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero rispetto alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di A.A. e condanna il predetto ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Rigetta il ricorso di E.M. INOX Srl che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2025.