Cassazione Penale, Sez. 4, 27 gennaio 2025, n. 2980 - Amputazione di un dito durante la manutenzione di un impianto di condizionamento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere
Dott. CENCI Daniele - Relatore
Dott. MARI Attilio - Consigliere
Dott. LAURO Davide - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A. nato a C il (Omissis)
avverso la sentenza del 29/02/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI;
sulle conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dr. ALDO ESPOSITO
Fatto
1. La Corte di appello di Firenze il 29 febbraio 2024 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dall'imputato, con cui il Tribunale di Siena il 22 giugno 2021, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto A.A. responsabile del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, in conseguenza condannandolo, con le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti all'aggravante, alla pena di giustizia.
2. I fatti, in sintesi, come concordemente ricostruiti dai giudici di merito.
2.1. Il 23 ottobre 2017 si è verificato un infortunio sul lavoro all'interno di Ospedale: il dipendente della ditta ("Modus FM" Spa) incaricata della manutenzione degli impianti di condizionamento, ha subito l'amputazione di un dito della mano: l'operaio, essendo aperto lo sportello di protezione del motore di un condizionatore, al fine di controllare, nel corso di un intervento di manutenzione ordinaria, la tensione di una cinghia, ha inserito all'interno la mano, ma, essendosi azionata all'improvviso la puleggia, la mano è rimasta intrappolata tra la cinghia e la puleggia, riportando la lesione dei cui si è detto.
2.2. Il profilo di colpa a carico del datore di lavoro e riconosciuto sussistente (violazione dell'art. 71, comma 4, lett. a, punti nn. 2 e 3, del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) è quello di avere omesso di adottare le misure necessarie affinché il dispositivo di interblocco posto a protezione della porta di accesso alla zona pericolosa (motore, cinghie, pulegge) funzionasse correttamente, impedendo la messa in moto del macchinario e dei suoi organi nel caso di porta di accesso aperta e di contatto di parti del corpo dell'operatore con il motore.
I giudici di merito informano che la ditta di cui l'imputato era amministratore delegato, e, dunque, datore di lavoro, aveva contrattualmente assunto il 29 maggio 2015 l'impegno della conduzione degli impianti di condizionamento, benché gli stessi fossero di proprietà dell'ospedale; e che dal documento di valutazione dei rischi specifici del 20 giugno 2017 risulta che l'onere di conduzione degli impianti in capo alla ditta consisteva, per quanto rileva, nel monitoraggio degli impianti e dei loro componenti affinché fossero in condizione di sicurezza prima di eseguire qualsiasi intervento.
Nella sostanza - hanno ritenuto i giudici di merito - il datore di lavoro ha messo a disposizione del lavoratore un meccanismo insicuro poiché, come verificato dalla ASL dopo l'incidente, il meccanismo di interblocco ha mostrato un'anomalia di funzionamento, non impedendo, come invece avrebbe dovuto, il funzionamento del motore nonostante l'apertura dello sportello di accesso allo stesso. Il datore di lavoro non ha, dunque, verificato la persistenza nel tempo dei requisiti di sicurezza del macchinario.
Si è esclusa espressamente l'abnormità dell'agire del lavoratore, la cui eventuale imprudenza nel toccare parti del macchinario suscettibili di movimento rientra nell'area del rischio che il sistema di sicurezza dovrebbe governare.
E si è accertato da parte dei giudici di merito non avere nel caso di specie il datore di lavoro svolto o delegato ovvero non avere efficacemente delegato ad altri le proprie funzioni in materia di sicurezza sul lavoro.
3. Ciò posto, ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite Difensore di fiducia, affidandosi a due motivi, con i quali denunzia difetto di motivazione (il primo motivo) e violazione di legge (il secondo motivo).
3.1. Con il primo motivo lamenta manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla qualificazione del comportamento colposo dell'imputato, che - si dice - aveva il dovere di rilevare il malfunzionamento del dispositivo di interblocco posto a protezione delle parti di accesso alla macchina in movimento ma errando nell'analisi delle prove offerte a sostegno della estraneità dei fatti all'imputato.
Ad avviso della Difesa, i giudici di merito avrebbero ragionato ponendosi in una erronea prospettiva ex post anziché, come doveroso, ex ante.
Si assume che l'imputato, da quando ha assunto l'incarico di amministratore delegato, avrebbe subito fatto eseguire le verifiche, sulla sicurezza ed avrebbe provveduto alla adeguata formazione dei lavoratori.
Errerebbe la Corte territoriale nel ritenere i motivi di appello generici.
L'evento lesivo, ad avviso del ricorrente, deriverebbe dalla combinazione di un caso fortuito e della condotta improvvida del lavoratore, tanto che lo stesso Tribunale parla di imprudenza del lavoratore, mentre mancherebbe il nesso di causalità rispetto alla condotta dell'imputato.
Peraltro, lo stesso infortunato ha ammesso che le macchine venivano periodicamente verificate in ordine alla sicurezza. In ciò starebbe una contraddizione, avendo la Corte di appello trascurato elementi istruttori emersi a favore della difesa dell'imputato e adottato una decisione viziata circa la sussistenza di una colpa grave in capo all'imputato, travisando le prove emerse.
3.2. Con il secondo motivo si censura la violazione dell'art. 131 - bis cod. pen. in relazione al mancato proscioglimento sulla base della ritenuta genericità e mera assertività delle considerazioni esposte dalla Difesa (p. 7 della sentenza impugnata). La Corte di appello, sottolineando la gravità della colpa e la non esiguità della lesione riportata dalla vittima, non solo non risponderebbe ai motivi di doglianza svolti nell'impugnazione di merito ma non spiegherebbe che
cosa avrebbe dovuto fare l'imputato, oltre a tutto ciò che aveva già fatto, seguendo pedissequamente - si ritiene - le regole di condotta.
Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.
4. Il P.G. nella requisitoria scritta del 27 settembre 2024 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
5. Con memoria in data 2 ottobre 2024 il Difensore dell'imputato ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
Diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato e quindi va dichiarato inammissibile, per le seguenti ragioni.
2. Il primo motivo di ricorso, sull'an della responsabilità, è strutturato in modo assai generico ed è contenutisticamente reiterativo di doglianze già poste con l'appello e già disattese, con motivazione non illogica e non incongrua, nella sentenza impugnata; inoltre, l'impugnazione non si confronta puntualmente con la motivazione della doppia conforme di merito e risulta meramente assertiva nella parte in cui si limita ad affermare che i controlli sulla sicurezza fossero stati in realtà effettuati.
3. Quanto al secondo motivo di ricorso (in tema di mancato proscioglimento dell'imputato ai sensi dell'art. 131 - bis cod. pen.), la motivazione che si rinviene al riguardo all'ultima pagina della sentenza di appello, incentrata sull'entità dell'offesa arrecata al bene giuridico, sulla gravità della colpa e sulla serietà delle lesione riportata dalla vittima, non è adeguatamente aggredita nell'appello che sul punto (alla p. 7) fa - ma vagamente - riferimento a, peraltro non meglio precisati, postumi protratti nel tempo incidenti solo sulla capacità lavorativa ma non di attendere alle ordinarie occupazioni e sostiene che la eventuale imprudenza della vittima sia tale da ridurre la offensività della condotta dell'imputato.
4. Essendo, per le ragioni esposte, il ricorso inammissibile e non ravvisandosi ex art. 616 cod. proc. pen. assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 7 - 13 giugno 2000), alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria nella misura, che si ritiene congrua e conforme a diritto, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2025.