Cassazione Penale, Sez. 4, 27 gennaio 2025, n. 2983 - Caduta del giardiniere durante il taglio dell'albero e successivo decesso in ospedale. Nesso di causa
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere
Dott. BRANDA Francesco Luigi - Relatore
Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a S il (Omissis)
nel procedimento a carico di quest'ultima
E
dalla parte civile B.B. nato a F il (Omissis)
avverso la sentenza del 29/01/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
LETTI gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO LUIGI BRANDA;
udito il Procuratore Generale, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA COSTANTINI che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito l'avvocato PAPA VINCENZO del foro di CASSINO difensore della Parte Civile ricorrente B.B., il quale ha esposto le motivazioni del ricorso e si è riportato alle conclusioni ivi formulate;
Sentiti l'avvocato DI CAVIO FEDERICA del foro di VELLETRI e l'avvocato SCOGNAMIGLIO CLAUDIO del foro di ROMA, difensori di A.A., i quali hanno illustrato i motivi del ricorso e ne hanno chiesto l'accoglimento, chiedendo altresì la dichiarazione di inammissibilità del ricorso di B.B.;
Fatto
1. La Corte di appello di Roma, con la pronuncia in epigrafe indicata, ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Latina in data 16 gennaio 2023, con cui l'imputata A.A. veniva condannata alla pena di anni due di reclusione, essendo stata ritenuta responsabile della morte del dipendente C.C., deceduto nel corso dei lavori di taglio di un albero, eseguiti presso la proprietà dell'imputata, per colpa consistita nel non aver fornito i dispositivi di protezione individuale, nel non aver adeguatamente informato il lavoratore sui rischi connessi al taglio degli alberi, e nel non aver accertato l'idoneità sanitaria della persona offesa alla mansione di potatore. La riforma operata dalla Corte distrettuale ha riguardato le sole statuizioni civili, e in particolare si è concretizzata nella revoca della condanna dell'imputata al risarcimento del danno in favore della parte civile B.B.
Secondo la ricostruzione dell'accaduto operata dai giudici di merito, il 5 giugno 2013, C.C., dopo esser salito su una scala alta circa 6 metri, legata con una corda ad un albero posto accanto quello da tagliare, precipitava al suolo, subendo gravi lesioni per le quali si rendeva necessario l'intervento dell'ambulanza per il trasferimento in ospedale.
Dal referto di pronto soccorso dell'Ospedale di Formia risultava che il B.B. vi accedeva alle ore 9,47, che l'evento era avvenuto in Valle d'Itri, zona Terraccone e che le "cause e circostanze dell'evento" erano una "caduta dall'alto", con precisazione che tali modalità erano state riferite dall'accompagnatore.
In ragione della gravità dell'infortunio, la vittima era trasferita presso il più grande e specializzato Ospedale di Latina "Santa Maria Goretti", dove a causa del grave trauma cranico con emorragia subdurale, veniva posto in stato di coma, intubato e ricoverato presso il reparto di rianimazione con prognosi riservata.
Ivi, sopraggiungeva un'infezione settica dell'apparato respiratorio, dovuta al batterio "Acinetobacter Baumani", trattata adeguatamente con terapie antibiotiche.
Successivamente, il paziente raggiungeva una situazione di "stabilità", nella gravità della sua situazione clinica di estrema compromissione neurologica, in virtù della quale, in data 21.07.2013, veniva trasferito, ancora in stato comatoso e scarsamente collaborante, presso il reparto di medicina d'urgenza.
Tuttavia, data la situazione di grave compromissione delle difese immunitarie, dovuta al quadro clinico generale e all'intubazione, subentrava una nuova sepsi dovuta al batterio tipicamente nosocomiale della "Klebsiella", che aggrediva, particolarmente, l'apparato respiratorio fino a provocare una polmonite bilaterale che, infine, conduceva il B.B. alla morte, avvenuta alle ore 6:35 del (Omissis).
C.C., all'epoca dei fatti, lavorava come giardiniere, silvicoltore e tuttofare, presso una vasta proprietà privata appartenente alla signora A.A., recintata e accessibile tramite un cancello, sita nel Comune di Itri.
A.A., quale proprietaria della tenuta ove si è verificato il sinistro, era colei che impartiva regolarmente le istruzioni sui lavori da eseguire presso la tenuta, con particolare riguardo a quelli di giardinaggio e silvicoltura - agricoltura affidati al B.B.
Il giorno prima dell'infortunio, ovvero lo 04.06.2013, A.A. e il marito, mentre erano presso la tenuta, notando un albero secco nella parte boschiva, decidevano che era necessario tagliarlo, affidando l'incarico, attraverso l'intermediazione di un altro collaboratore, a C.C.
Tanto premesso in fatto, i giudici di merito hanno ravvisato la riconducibilità dell'evento alla condotta gravemente colposa della imputata, la quale aveva incaricato il B.B. di eseguire il taglio, nonostante questi avesse rappresentato di non poter svolgere i lavori in quota, cui era regolarmente adibito, poiché erano ormai diventati troppo pericolosi, visto che soffriva di vertigini e avvertiva, comunque, disturbi in quota, a seguito di un incidente occorsogli prima del sinistro.
Ciò nonostante, la A.A. aveva affidato al B.B. compiti di lavoro, senza tenere conto delle sue capacità e delle sue condizioni in rapporto alla sua salute e sicurezza.
Inoltre, aveva omesso di fornire al lavoratore i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, atteso che nessuno di tali DPI veniva rinvenuto in loco, né veniva esibito agli agenti di PG un eventuale verbale di consegna degli stessi al B.B.
L'imputata inoltre aveva omesso di adottare misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che avevano ricevuto adeguate istruzioni e specifico addestramento (fra i quali non vi era il B.B.) accedessero alle zone che li avrebbero esposti ad un rischio grave e specifico, come quello connesso alla pendenza dell'area boschiva su cui erano collocato l'albero assegnato per il taglio, in una condizione di pericolo evidente di caduta dall'alto, su cui il lavoratore non era stato reso edotto rispetto alle modalità per eseguire il lavoro in sicurezza.
In ordine alla rilevanza della infezione nosocomiale, la Corte territoriale ha ritenuto che la stessa non avesse interrotto la catena causale originata dalle conseguenze del politraumatismo causato dalla precipitazione dall'altro, non essendo emersi elementi di censurabilità tecnica nell'operato dei sanitari che avevano avuto in cura il paziente.
2. A.A., a mezzo del suo difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione per i seguenti motivi.
2.1 Con il primo motivo, censura la suindicata sentenza, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., per contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente tra l'imputata e la persona offesa.
La ricorrente evidenzia che, nei motivi di appello, aveva già contestato la ricostruzione dei fatti, ed in particolare la sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente tra la signora A.A. e C.C., poiché il giudizio si era basato essenzialmente sulla testimonianza di D.D., moglie della vittima costituita parte civile, non sottoposta ad un rigoroso vaglio della sua attendibilità intrinseca.
La Corte distrettuale avrebbe ritenuto l'attendibilità della stessa, in quanto priva di intento persecutorio, avendo definito mediante transazione le questioni relative al risarcimento del danno; tale argomentazione, tuttavia, era smentita dalla prosecuzione dell'azione risarcitoria, non essendo stata revocata la costituzione di parte civile.
Viene altresì eccepita l'erroneità della valutazione del comportamento successivo posto in essere dalla A.A., la quale aveva regolarizzato l'assunzione della persona offesa, mediante presentazione della comunicazione UNILAV, lo stesso giorno dell'infortunio.
I giudici di merito ne hanno ricavato un riscontro alla natura del pregresso rapporto di lavoro, come descritto dalla testimone D.D., ma, ad avviso della ricorrente, si tratta di un comportamento successivo al sinistro, da cui non sarebbe deducibile la connotazione dei precedenti rapporti tra le parti e, soprattutto, espressivo di un atteggiamento tutt'altro che scaltro.
Inoltre gli stessi giudici avrebbero travisato le dichiarazioni utilizzate come riscontro, rese dal teste E.E., il quale effettivamente riferiva che il B.B. aveva svolto attività occasionale presso la proprietà della A.A. e che l'incarico di effettuare il taglio dell'albero era stato conferito da F.F., coniuge dell'imputata, diversamente da quanto dichiarato dalla D.D., la quale invece rappresentava l'attività del proprio marito in termini di collaborazione continuativa e regolare con la A.A.
2.2 Con il secondo motivo, censura la decisione impugnata per violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., per erronea applicazione della disciplina di cui al decreto legislativo n. 81/2008.
La Corte di appello, a fronte del rilievo della difesa che sosteneva l'inapplicabilità della suddetta disciplina, trattandosi di un'occupazione di natura sporadica e occasionale, assimilabile al lavoro domestico, non avrebbe indicato le ragioni sottese all'accertamento della diversa natura del rapporto di subordinazione, senza approfondire le reali mansioni svolte dalla vittima, le modalità delle stesse, la continuità del rapporto, l'individuazione del soggetto preposto ad impartire ordini e direttive riguardo alle concrete prestazioni lavorative assegnate al lavoratore. Tutto ciò avrebbe impedito di ravvisare l'esistenza di un vincolo di subordinazione della persona offesa nei confronti dell'imputata e, ugualmente, di un potere di direzione e controllo da parte di quest'ultima.
La Corte distrettuale si sarebbe limitata ad allinearsi acriticamente agli argomenti esposti nella decisione del Tribunale.
2.3 Con il terzo motivo, censura la decisione impugnata ai sensi dell'articolo 606, comma uno, lettera b), cod. proc. pen., per erronea applicazione degli articoli 40 e 41 cod. pen., in relazione all'accertamento del nesso di causalità tra la condotta dell'imputata e la morte della persona offesa.
La ricorrente evidenzia che il decesso del B.B. è stato determinato da un'infezione contratta durante la degenza ospedaliera, non collegabile, come conseguenza prevedibile, all'infortunio subito presso la proprietà dell'imputata, dovendosi ritenere che l'evento mortale non possa essere considerato quale conseguenza della contestata violazione della disciplina in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
2.4 Con il quarto motivo, è contestato, sotto il profilo del vizio di motivazione, l'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, da ritenersi prevalenti, o quantomeno equivalenti all'aggravante contestata.
La ricorrente deduce che la Corte d'appello, limitandosi a riportare pedissequamente le argomentazioni espresse dal giudice di primo grado, ha ritenuto ostativa alla concessione delle attenuanti generiche la ricostruzione della vicenda, operata sulla base della testimonianza di D.D., in relazione alla quale sono stati già evidenziati, nelle esposizione del primo motivo, i profili di inattendibilità.
Inoltre, nella decisione impugnata non è stato in alcun modo spiegato perché gli elementi indicati dalla difesa, costituiti dalla incensuratezza e dalla età avanzata dell'imputata, non potessero in alcun modo essere apprezzati per il riconoscimento delle suddette attenuanti.
La decisione della Corte territoriale si sarebbe limitata a rinviare, per relationem, a quella del Tribunale, senza tuttavia operare alcuna autonoma valutazione.
2.5 Con il quinto motivo, censura per mancanza della motivazione, la condanna al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili diverse dalla moglie e dal figlio della vittima, basata sulla mera esistenza di un rapporto di parentela, ritenuto dai giudici di merito sufficiente alla dimostrazione di una sofferenza per la perdita del familiare, senza alcun riscontro circa l'effettiva esistenza di relazioni significative tra la vittima ed i prossimi congiunti costituiti parti civili, idonee a dimostrare che costoro abbiano effettivamente subito un danno, anche sotto il profilo morale.
3. B.B., a mezzo del suo difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione avverso la decisione impugnata, nella parte in cui è stata disposta la revoca della condanna al risarcimento del danno limitatamente alla sua posizione.
La Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere che, con l'atto di transazione autorizzato dal giudice tutelare, con cui era stata concordata l'attribuzione di una somma di danaro (peraltro erroneamente calcolata in Euro 90.000), la parte avrebbe rinunciato all'incasso di ulteriori somme a titolo risarcitorio.
Il ricorrente evidenzia che la transazione, su cui era intervenuta l'autorizzazione del giudice tutelare, riguardava esclusivamente la parte spettante al minore a titolo di liquidazione della polizza assicurativa stipulata dall'imputata, che peraltro era stata comunque quantificata nella maggior somma di Euro 100.000; aggiunge che nell'istanza di autorizzazione alla transazione, rivolta al giudice tutelare, era stata espressamente precisato che l'azione civile nel processo penale sarebbe proseguita e, conseguentemente, lo stesso giudice, dopo aver autorizzato la riscossione della polizza, per la quota di competenza del minore, aveva disposto che le spese legali di altri giudizi sarebbero state liquidate nelle sedi competenti.
4. In data 18 ottobre 2024, è pervenuta la revoca della costituzione di parte civile da parte di G.G., H.H., I.I., J.J. e K.K.
5. La difesa di B.B. ha depositato memoria con cui ha chiesto dichiararsi l'immammissibilità del ricorso presentato dall'imputata.
6. La difesa di A.A. ha depositato memoria.
7. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
8. I difensori dell'imputata hanno concluso chiedendo l'accoglimento del proprio ricorso e la dichiarazione di inammissibilità di quello proposto da B.B.
Diritto
1. Il ricorso di A.A. è infondato.
2. I primi quattro motivi poggiano su considerazioni di merito, non scrutinabili in sede di legittimità, a fronte della completezza e della tenuta logica dell'apparato argomentativo posto a supporto della sentenza impugnata.
Va premesso che compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. 1 - , Sentenza n. 45331 del 17/02/2023 Ud. (dep. 10/11/2023 ) Rv. 285504 ; Sez. U., n. 930 del 13/12/1995, dep, 29/01/1996, Clarke, Rv, 203428 - 01),
Esula quindi dai poteri della Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l'illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per Cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 - 01; cfr. altresì Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 - 01).
La Corte di legittimità ha altresì rilevato che anche dopo la modifica dell'art.606 lett. e) cod. proc. pen. per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 6 - , Sentenza n. 5465 del 04/11/2020 Ud. (dep. 11/02/2021 ) Rv. 280601; Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Baratta, Rv. 234109).
Nel caso di specie, la motivazione della Corte d'appello, sui ciascuno dei punti indicati, risulta immune da vizi logici.
2.1 In relazione ai primi due motivi, riguardanti l'esame delle testimonianze, si osserva che la giurisprudenza di legittimità tradizionalmente stabilisce che in tema di valutazione della prova testimoniale, l'attendibilità del dichiarante è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sul "id quod plerumque accidit", ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (ex multis, Sez. 6, n. 10153 del 11/2/2020, C., Rv. 278609; Sez. 2, n. 7667 del 29/1/2015, Rv. 262575).
Nel caso di specie, la Corte di merito ha ricostruito la vicenda, attribuendo attendibilità alla versione della L.L., sulla base di un percorso logico immune da censure.
In particolare, quanto alla natura del rapporto di lavoro subordinato, di carattere continuativo e non occasionale, intrattenuto dal B.B. con la A.A., con mansioni di giardiniere e tuttofare all'interno della tenuta di proprietà di quest'ultima, i giudici di merito hanno individuato come principale elemento di riscontro alla testimonianza della L.L., l'immediata regolarizzazione dell'assunzione del B.B. da parte dell'imputata, il giorno stesso dell'infortunio, in qualità di bracciante agricolo a tempo determinato.
La Corte d'appello ha rilevato che tale elemento è risultato idoneo a far emergere quale fosse la natura del rapporto anche nel periodo immediatamente precedente, essendo insostenibile che la datrice di lavoro avesse assunto il B.B., con le mansioni di bracciante agricolo, poche ore dopo la verificazione del grave infortunio, conferendogli un incarico che prima non aveva mai svolto.
Inoltre, ha richiamato la sentenza del Tribunale, nella quale era stato evidenziato che, secondo le dichiarazioni del teste E.E. (fonotrascrizioni del 10/5/2021, pag. 9), la A.A. ed il marito, il giorno 4 giugno 2013, precedente a quello dell'infortunio, mentre si trovavano presso la tenuta, vedevano un albero secco della parte boschiva e gli riferivano che era necessario toglierlo; sicché egli ne aveva parlato con C.C. e gli aveva detto che la mattina del giorno seguente avrebbe dovuto tagliare l'albero in questione.
Lo stesso testimone - proseguiva il Tribunale - aveva spiegato chiaramente che la A.A. dava "gli ordini" su cosa doveva essere fatto e, in caso di sua assenza in loco, mandava il marito a controllare (trascrizioni udienza del 10 maggio 2021, pagina 8).
Sulla base di tali elementi, i giudici di merito pertanto hanno logicamente ritenuto sia l'effettiva natura del rapporto di lavoro subordinato che legava il B.B. alla A.A., e sia l'imputazione dell'ordine di eseguire il taglio dell'albero alla stessa datrice di lavoro.
Tali univoche argomentazioni non sono disarticolate dai relativi motivi di censura.
La ricorrente infatti non spiega come la logica ricostruzione dei fatti, condotta sulla base della forte concordanza tra le risultanze probatorie sopra indicate, possa essere superata dal fatto che il giudice di merito non abbia considerato che la D.D., pur avendo transatto alcune questioni civilistiche, non avesse revocato la costituzione di parte civile.
Nelle decisioni infatti, l'attendibilità della suddetta testimone non è stata limitata alla credibilità intrinseca, ma è stata ancorata anche all'emersione di decisivi riscontri estrinseci.
Così pure privo di fondamento è il dedotto travisamento della testimonianza del E.E., indicata dai giudici di merito a sostegno della tesi d'accusa, atteso che, nelle conformi decisioni di merito, tale riscontro è riferito all'incarico conferito al B.B. di effettuare il taglio, proveniente dalla A.A., e non anche ai connotati del rapporto di lavoro, diversamente rappresentato dal E.E. in termini di occasionalità.
Per tale ultimo profilo, i giudici di merito hanno dato logica motivazione, in ordine alla prevalenza delle prove concordanti sulla natura non occasionale e subordinata del rapporto di lavoro.
Si rammenta che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 6 -, Sentenza n. 34532 del 22/06/2021, Rv. 281935; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri, Rv.254107).
In altri termini, la motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua se il giudice d'appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'"ossatura" dello schema difensivo dell'imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell'iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte (cfr., Sez. 4 -, Sentenza n. 5396 del 15/11/2022 - Rv. 284096 - 01; sez. 6, n. 1307 del 26/9/2002, dep. Il 2003, Delvai, Rv. 223061).
E' stato anche sottolineato da questa Corte che in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen., la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione (cfr. Sez. 2, n. 9242 dell'8/2/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 1, Sentenza n. 46566 del 21/02/2017 - Rv. 271227 - 01).
Alla luce dei menzionati principi e considerate le rilevate forti concordanze provenienti da riscontri estrinseci, si deve ritenere che il percorso argomentativo osservato dalla Corte di merito per ritenere l'attendibilità della fonte probatoria, sia logico ed immune da censure, nonostante l'inesattezza, che non lo pregiudica affatto, inerente al ritenuto venir meno dell'interesse della D.D. rispetto alle questioni civilistiche.
Quanto alla doglianza secondo cui la Corte di Appello avrebbe recepito integralmente e acriticamente la motivazione dei giudici di prime cure, va ricordato che, in caso di doppia conforme affermazione di responsabilità, deve essere ritenuta pienamente ammissibile la lettura congiunta della sentenza d'appello e di quella di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi.
Il giudice di secondo grado, nell'effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (cfr. Sez. 2 - n. 37295 del 12/06/2019 - Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. il 2012, Valerio, Rv. 252615).
Peraltro, nel caso in esame la Corte di Appello di Roma non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, ma ha elencato tutti i motivi di appello, rispondendo con motivazione logica e congrua a ciascuno di essi, condividendo consapevolmente il percorso argomentativo del primo giudice.
2.3 Generico è il terzo motivo di censura.
Il ricorrente, dopo aver richiamato alcune massime giurisprudenziali, si è limitato ad osservare che il decesso sarebbe stato determinato da un'infezione contratta durante la degenza ospedaliera, non collegabile, come conseguenza prevedibile, all'infortunio subito presso la proprietà dell'imputata.
In realtà, la Corte distrettuale ha evidenziato che nel caso di specie, il grave traumatismo subito dalla persona offesa e il suo ricovero in condizioni di grave compromissione fisica, ha consentito di ricondurre l'infezione nosocomiale ad uno dei rischi tipici collegati alla permanenza nei reparti di terapia intensiva, ove lo sviluppo di processi infettivi è tutt'altro che infrequente in ragione delle condizioni di grave debilitazione fisica dei pazienti; ha altresì richiamato le conclusioni del consulente M.M., il quale aveva ritenuto che la morte di C.C. fosse stata causata da un'acuta insufficienza cardiorespiratorio conseguente a una grave infezione respiratoria in sorte in un soggetto portatore di un politraumaeismo a localizzazione prevalentemente cranio-encefalica, dovendosi dunque ricondurre il quadro lesivo che aveva portato al decesso alle conseguenze di un grande politraumatismo, mentre nell'operato dei sanitari che avevano avuto in cura il paziente non erano emersi elementi di censura sotto il profilo tecnico.
Le conclusioni a cui è pervenuta la Corte di merito sono pienamente in linea con il consolidato orientamento interpretativo del disposto dell'art. 41, comma 2, cod. pen. più volte riaffermato dalla giurisprudenza di legittimità, (vedasi anche le recentissime Sez. 4, n. 7215 del 24/1/2024 , M. non mass. e Sez. 4 n. 7214 del 24/1/2024, Errerà, n. m.) secondo cui, fermo il principio della cd. equivalenza delle cause o della conditio sine qua non (sul quale è imperniata la disciplina normativa del nesso eziologico), la cause sopravvenute intanto possono giudicarsi atte ad interrompere il nesso di causa con la precedente azione od omissione poste in essere dall'imputato, in quanto diano luogo ad una sequenza causale completamente autonoma da quella determinata dall'agente ovvero ad una linea di sviluppo dell'azione precedente, del tutto autonoma ed imprevedibile, ovvero ancora nel caso in cui si prospetti un processo causale non totalmente avulso da quello antecedente, ma caratterizzato da un percorso completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale ovverosia integrato da un evento che non si verifica se non in fattispecie del tutto imprevedibili.
Con specifico riferimento alle infezioni nosocomiali contratte durante la degenza ospedaliera per la cura di lesioni personali colpose cagionate in occasione di sinistro derivato dalla violazione della normativa prevenzionistica in materia di lavoro, questa Corte ha già affermato condivisibilmente che "...l'infezione contratta dal paziente relativamente alle ferite chirurgiche prodotte dai delicatissimi e plurimi interventi chirurgici resisi necessari a seguito delle gravi lesioni craniche con emorragia meningea subite in conseguenza dell'infortunio. di origine verosimilmente nosocomiale integrano altrettante complicanze nient'affatto eccezionali od anomale né tantomeno di rarissima ed imprevedibile verificazione, trattandosi di eventualità troppo frequentemente verificabili in ambito ospedaliero tanto più in danno di organismi (quale quello dell'infortunato) significativamente indebolito dalla lunga spedalizzazione e quindi defedato. sicché deve concludersi che conditio sine qua non dell'evento (ovvero prima, ineludibile condizione dell'evento) non poteva che risultare le omissioni colpose ascritte all'imputato" (Sez. 4 n. 20654 del 28.05.2012, Poli, n.m.).
Con motivazione logica e congrua, oltre che corretta in punto di diritto - e che, pertanto, si sottrae alle proposte censure di legittimità - la Corte territoriale ha ritenuto, del tutto congruamente, che non possa rientrare nella nozione di sequenza causale completamente autonoma, un'infezione contratta in occasione del ricovero conseguente alle lesioni provocate dall'incidente patito.
La suddetta argomentazione, priva di vizi logici, non è stata in alcun modo attaccata dalla ricorrente, la cui censura risulta pertanto generica.
2.4 Infondato il quarto motivo.
In proposito, va premesso che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01; nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244 - 01).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163 - 01).
Nel caso di specie, i giudici di merito, con motivazione non illogica, hanno negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo decisivi l'indifferenza dell'imputata per le norme riguardanti non solo l'assunzione dei propri lavoratori ma anche la loro incolumità, la scarsa sensibilità mostrata nei confronti della moglie del B.B. alla quale l'imputata aveva fornito istruzioni su come comportarsi nel caso di indagini sul sinistro, al fine di attenuare la propria responsabilità.
2.5 Il quinto motivo è infondato.
La ricorrente lamenta che la condanna al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili, pronunciata in favore di altri familiari, diversi dalla moglie e dal figlio della vittima, non sarebbe stata sostenuta da prove idonee a dimostrare che costoro abbiano effettivamente subito un danno anche sotto il profilo morale.
Va premesso che in favore delle suddette parti civili è stata pronunciata condanna generica, con provvisionale di Euro 10.000 in favore di ciascuna.
Si osserva allora che, secondo quanto affermato da Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Rv. 270384, "ai fini della pronuncia di condanna generica non è necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore dell'illecito, essendo sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia infatti costituisce una mera declaratoria juris da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione " (sentenza citata, pagina 62, ultimo capoverso).
Non possono dunque accogliersi le doglianze del ricorso in ordine alla carenza di prova sul danno effettivamente subito dai suddetti familiari, perché tal tipo di accertamento sarà oggetto delle verifiche da compiersi eventualmente nella sede propria, che è quella del giudizio civile.
In riferimento poi alla condanna alla provvisionale, è sufficiente richiamare il consolidato orientamento di legittimità per il quale "non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento" (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Rv. 277773);
2.6 Alla declaratoria di rigetto consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen.
3. Il ricorso proposto da B.B.Dy. è fondato.
Il punto controverso è la revoca della condanna al risarcimento del danno, limitatamente alla posizione del suddetto ricorrente, figlio della vittima del sinistro C.C.
La Corte di appello ha ritenuto che, con l'atto di transazione autorizzato dal giudice tutelare, con cui era stata concordata l'attribuzione di una somma di Euro 90.000, la parte avrebbe rinunciato all'incasso di ulteriori somme a titolo risarcitorio.
Il documento, ad avviso del ricorrente, non proverebbe la rinuncia ad altre domande risarcitorie, differenti da quelle relative alla liquidazione di una polizza stipulata dall'imputata con la Compagnia Groupama Assicurazioni Spa
La censura coglie nel segno, atteso che, dal tenore letterale dell'atto in questione, emerge che la liquidazione oggetto di transazione non riguardava il danno che B.B.Dy., in quanto figlio della vittima C.C., ha subito iure proprio, di cui pure aveva chiesto il ristoro nella costituzione di parte civile.
Infatti, la suddetta liquidazione, come espressamente riportato nell'atto transattivo, riguardava "ogni e qualsiasi danno presente e futuro subito da C.C., in conseguenza del sinistro verificatosi in data (Omissis) e relativo alla polizza n. (Omissis)".
La Corte distrettuale, pertanto, ha errato nel ritenere che la suddetta liquidazione avesse coperto l'intero danno subito dal figlio della vittima.
La decisione, nella suddetta parte, va annullata, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione concernente B.B., con rinvio per nuovo giudizio sul punto al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Rigetta il ricorso di A.A. e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 31 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2025.