Cassazione Penale, Sez. 4, 31 gennaio 2025, n. 4165 - Ustioni al lavoratore che tenta di spegnere un incendio causato da scintille generate da una mola. Nessun comportamento abnorme se il datore di lavoro non rispetta gli obblighi di formazione


 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. CENCI Daniele - Relatore

Dott. MARI Attilio - Consigliere

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere

Dott. CIRESE Marina - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A. nato a P il Omissis

avverso la sentenza del 29/01/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CENCI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FERDINANDO LIGNOLA, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;

udito il Difensore: è presente l'Avv. Claudio TODESCO, del Foro di PADOVA, in difesa di A.A., che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento.

 

Fatto


1. La Corte di appello di Venezia 29 gennaio 2024, in parziale riforma della sentenza, appellata dall'imputato, con cui il Tribunale di Padova il 12 gennaio 2022, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto A.A. responsabile del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, e, con le attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa, ha revocato la sospensione condizionale, con conferma nel resto.

2. I fatti, in sintesi, come concordemente ricostruiti dai giudici di merito.

2.1. Il 6 giugno 2017 si è verificato un infortunio sul lavoro all'interno di un'azienda, "Il Doge Srl", ove si adoperavano solventi chimici. In particolare, mentre un operaio dipendente, E.G., era intento all'interno di un'officina a tagliare, con una mola angolare, un profilato metallico, lo sfregamento della mola sul metallo ha provocato alcune scintille che hanno colpito un contenitore di plastica contenente solvente posto su di uno scaffale immediatamente sopra il tavolo di lavoro, sicché il contenitore si è fuso ed ha preso fuoco; a questo punto l'operaio, al fine di evitare che le fiamme si propagassero agli altri solventi collocati nelle vicinanze, ha afferrato il contenitore in fiamme e ha tentato di portarlo all'esterno del magazzino ma è stato investito dal solvente che colava dal fusto ed è rimasto avvolto dalle fiamme. Prontamente soccorso dai colleghi e poi portato all'Ospedale, ha riportato lesioni al 44% della superficie corporea, comportanti più di quaranta giorni di malattia.

2.2. Si è ritenuto l'imputato A.A. responsabile dell'accaduto, per colpa, per non avere, quale legale rappresentante della Srl "Il Doge", evitato che le lavorazioni pericolose (agenti chimici infiammabili) avvenissero in luoghi separati rispetto a quelle ordinarie e per non avere adeguatamente formato ed informato i lavoratori in materia di prevenzione incendi sul luogo di lavoro.

3.Ciò premesso, ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite Difensore di fiducia, affidandosi ad un unico, complessivo motivo, con il quale denunzia promiscuamente violazione di legge (per mancanza del requisito fisico della parte giustificativa) e difetto di motivazione.

Il ricorrente lamenta vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del nesso di causalità, richiamando il principio della causalità della colpa, in quanto - si sottolinea - non è sufficiente accertare la violazione di una regola cautelare in materia di prevenzione degli incendi, atteso che tutti i lavoratori erano stati informati dei rischi e dei pericoli delle sostanze che maneggiava e delle modalità con le quali i rischi dovevano essere gestiti, pur in assenza di uno specifico corso formativo. La Corte di appello, ad avviso del ricorrente, avrebbe dovuto individuare la condotta, differente ed ulteriore rispetto a quella genericamente formativa, che avrebbe dovuto evitare l'evento lesivo alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, ciò che però non avrebbe fatto.

Sotto altro profilo, il comportamento sconsiderato di altro dipendente, diverso dall'infortunato, che ha lasciato materiali infiammabili accanto a macchine produttrici scintille, sarebbe da considerare comportamento imprevedibile, eccentrico ed imprudente, tale, dunque, da escludere il nesso di causalità tra la omissione contestata all'imputato e l'evento lesivo verificatosi.

Ed anche il comportamento della vittima, E.G., peraltro volontario della Croce Rossa, che senza alcun presidio ha tentato di liberarsi del fusto contenente solventi in fiamme, mettendo a rischio la propria incolumità, risulta essere parimenti eccentrico, imprudente, imprevedibile e, in ultima analisi, abnorme.

Si sottolinea che tutti dipendenti, come emerso dall'istruttoria testimoniale, erano in concreto adeguatamente informati, pur non avendo seguito un apposito corso, circa il rischio di incendio in caso di gestione poco oculata dei solventi, e si richiama il precedente di Sez. 4, n. 8883 del 10/0272016, Santini e altro, Rv. 266073, secondo cui "In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore. (In motivazione la Corte di cassazione ha precisato che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori)". È stata tempestivamente richiesta dalla Difesa la trattazione orale.

4. Il P.G. nella requisitoria scritta del 2 novembre 2024 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

 

Diritto


1. Il ricorso è manifestamente infondato, per le seguenti ragioni.

2. L'impugnazione non si confronta con il contenuto della decisione dei giudici di merito, che hanno concordemente accertato (p. 5 della sentenza impugnata e pp. 13-15 di quella di primo grado) non avere il datore di lavoro adeguatamente formato ed informato i lavoratori circa il rischio di incendi, secondo quanto unanimemente riferito dai dipendenti; e a tale emergenza istruttoria la Difesa si limita ad opporre una mera affermazione di segno opposto.

In conseguenza, l'eventuale imprudenza del dipendente rimasto vittima, essendo stata esclusa - con motivazione congrua e logica (p. 6 della sentenza impugnata) - l'abnormità del suo agire, non esclude il nesso di causalità tra condotta ed evento né la responsabilità del datore di lavoro, secondo il costante principio di diritto secondo il quale "Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, né l'adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore. (Nella specie, la Corte ha ritenuto immune da censure il riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro per la morte di un lavoratore, ascrivibile al non corretto uso di un macchinario dovuto all'omessa adeguata formazione sui rischi del suo funzionamento)" (così Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Lena, Rv. 278603; in precedenza, in senso conforme, cfr. Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018, T, Rv. 274042; Sez. 4, n. 39765 del 19/05/2015, Vallani, Rv. 265178; Sez. 4, n. 11112 del 29/11/2011, dep. 2012, P.C. in proc. Bortoli, Rv. 252729; Sez. 4, n. 41707 del 23/09/2004, Bonari, Rv. 230257).

3. Essendo il ricorso inammissibile e non ravvisandosi ex art. 616 cod. proc. pen. assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000), alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria nella misura, che si stima congrua e conforme a diritto, in dispositivo.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 21 novembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2025.