Cassazione Civile, Sez. Lav., 27 dicembre 2024, n. 34583 - Caduta mortale dal tetto del capannone. Dovere di sicurezza nei lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria - Presidente

Dott. RIVERSO Roberto - Rel. Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella - Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo - Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA
 


sul ricorso 18282-2022 proposto da:

LATTONERIA A.A. Srl, (già LATTONERIA A.A. Snc DI GEOM. B.B. E C.), in persona del legale rappresentante pro tempore; C.C., B.B., tutti elettivamente domiciliati presso l'indirizzo PEC dell'avvocato SEBASTIANO GUERZONI, che li rappresenta e difende;

- ricorrenti -

contro

D.D. COSTRUZIONI Srl (già D.D. COSTRUZIONI Spa), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 42, presso lo studio PIACCI - PETRACCA, rappresentata e difesa dell'avvocato NICOLA DOMENICO PETRACCA;

- controricorrente -

nonché contro

ALLIANZ Spa, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 17/A, presso lo studio dell'avvocato MICHELE CLEMENTE, che la rappresenta e difende;

- controricorrente -

nonché contro

E.E., in proprio e quale tutrice del figlio minore F.F., elettivamente domiciliati presso l'indirizzo PEC dell'avvocato ALESSANDRO GRACIS, che li rappresenta e difende;

- controricorrenti -

nonché contro

G.G., H.H., quali eredi di I.I., in proprio e nella qualità di eredi di J.J., elettivamente domiciliati presso l'indirizzo PEC dell'avvocato PIETRO LOSI, che li rappresenta e difende;

- controricorrenti -

nonché contro

K.K., L.L., M.M., N.N., nella qualità di eredi di O.O.; UNIPOLSAI ASSICURAZIONI Spa, AXA ASSICURAZIONI Spa;

- intimati -

e sul RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G.

E.E., in proprio e quale tutrice del figlio minore F.F., elettivamente domiciliati presso l'indirizzo PEC dell'avvocato ALESSANDRO GRACIS, che li rappresenta e difende;

- ricorrenti successivi -

contro

D.D. COSTRUZIONI Srl (già D.D. COSTRUZIONI Spa) in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 42, presso lo studio PIACCI - PETRACCA, rappresentata e difesa dell'avvocato NICOLA DOMENICO PETRACCA;

- controricorrente al ricorso successivo -

nonché contro

ALLIANZ Spa, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 17/A, presso lo studio dell'avvocato MICHELE CLEMENTE, che la rappresenta e difende;

- controricorrente al ricorso successivo -

nonché contro

G.G., H.H., quali eredi di I.I., in proprio e nella qualità di eredi di J.J., elettivamente domiciliati presso l'indirizzo PEC dell'avvocato PIETRO LOSI, che li rappresenta e difende;

- controricorrenti al ricorso successivo -

nonché contro

LATTONERIA A.A. Srl, (già LATTONERIA A.A. Snc DI GEOM. B.B. E C.), in persona del legale rappresentante pro tempore; C.C., B.B., tutti elettivamente domiciliati presso l'indirizzo PEC dell'avvocato SEBASTIANO GUERZONI, che li rappresenta e difende;

- controricorrenti al ricorso successivo -

nonché contro

K.K., L.L., M.M., N.N., nella qualità di eredi di O.O.; UNIPOLSAI ASSICURAZIONI Spa, AXA ASSICURAZIONI Spa;

- intimati -

avverso la sentenza n. 364/2022 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 24/05/2022 R.G.N. 682/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/11/2024 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO.
 

Fatto


1.- La Corte d'Appello di Bologna, con la sentenza numero 364/ 2022, giudicando in sede di rinvio a seguito della sentenza n. 18137 del 31/08/2020 della Corte di cassazione, in riforma dell'appellata sentenza n.15/2014 del Tribunale di Parma, ha accertato la responsabilità del datore di lavoro e sub appaltatore, impresa individuale CLA di O.O. e della subappaltante società Lattoneria A.A. Snc di geom. B.B. E C. e dei suoi soci illimitatamente responsabili, nella causazione dell'infortunio mortale subito da P.P. in data 26/6/2009 a seguito di caduta dal tetto di un capannone, accertando altresì un concorso di colpa del lavoratore deceduto pari al 50%.

2.- Conseguentemente ha condannato i responsabili sopra individuati, fatto salvo l'obbligo della preventiva escussione, in solido tra loro, a risarcire gli appellanti dei danni non patrimoniali subiti, con esclusione del danno terminale morale, per come quantificati in parte motiva, oltre agli accessori e spese liquidate in sentenza.

3.- Ha rigettato per la restante parte il ricorso proposto nei confronti di D.D. Costruzioni Spa committente dei lavori e proprietaria dell'immobile dove avvenne l'infortunio mortale; ed inoltre ha escluso la responsabilità dell'ing. J.J. coordinatore in fase di progettazione ed esecuzione chiamato in giudizio da Lattoneria A.A. e soci, unitamente al datore di lavoro O.O. titolare dell'impresa individuale CLA ed al proprio assicuratore AXA assicurazioni Spa

4.- Ha rigettato la domanda di manleva svolta dalla Lattoneria A.A. e da B.B. e C.C. nei confronti di AXA Assicurazioni Spa e le ulteriori domande di parte ricorrente.

5.- A fondamento della decisione la Corte d'Appello ha sostenuto in primo luogo l'esistenza di un concorso di colpa del 50% del lavoratore nella causazione dell'evento in considerazione della sua condotta gravemente imprudente messa in atto al momento del fatto (atteso che risultava non aver allacciato la cintura di sicurezza in dotazione per il lavoro sul tetto).

6.- Inoltre ha ritenuto certamente sussistente nella misura residuale del 50% la responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. del datore di lavoro CLA di O.O. e per lui degli eredi; la CLA avrebbe dovuto rifiutarsi di eseguire qualunque lavorazione qualora avesse ritenuto che le disposizioni antinfortunistiche applicate e predisposte dall'appaltatrice Lattoneria A.A. fossero state inadeguate; la CLA piuttosto aveva messo a disposizione direttamente della Lattoneria A.A. l'imbragatura per i propri dipendenti ed i ganci che assicuravano il dispositivo antinfortunistico retrattile ai ponteggi e alla balaustra.

7.- In concorso con il datore di lavoro CLA, secondo la Corte territoriale, appariva responsabile dell'evento infortunistico anche il sub appaltante e dunque la Lattoneria A.A. ed i soci; il contratto d'appalto tra la committente D.D. e la Lattoneria mentre vietava il subappalto, attribuiva alla stessa l'onere di tutti gli adempimenti necessari per l'esecuzione dell'appalto, mentre riservava alla committente D.D. Costruzioni Spa i rapporti che sono proprio dei consulenti e degli ausiliari che lo stesso committente era tenuto ad approntare quali la nomina del responsabile per le singole attività di cantiere (nel caso di specie l'ingegner J.J. al quale erano state attribuite tutte le funzioni previste negli artt. 91 e 92 testo unico 81/2008 tra cui la redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento o P.S.C.).

La Lattoneria A.A. invece - mesi prima rispetto al PSC (pag. 22, riga 10) - era stata invece redattrice e prima esecutrice del POS di cui all'articolo 92 lett. b) D.Lgs. 81/2008. Aveva subappaltato i lavori in violazione del divieto stabilito dal contratto di appalto e non aveva rispettato la data di inizio lavori programmata per il 30 giugno 2009; non aveva neppure rispettato le indicazioni del PSC che aveva ricevuto il 24.6.2009 non installando la misura antinfortunistica collettiva ivi prevista e non rispettando l'art.8 del contratto di appalto.

8.- Il PSC redatto dall'ingegner J.J. per conto della committente D.D. alla pagina 5 prevedeva in relazione alle misure di protezione per le cadute dall'alto: "idonee misure di prevenzione di norma parapetti, ripiani, passerelle, ponteggi, eccetera. Quando non sia possibile l'installazione di tali mezzi verranno utilizzate misure personali tali da ridurre al minimo il danno conseguente alle eventuali cadute (funi di trattenuta, ad es. per i lavori in copertura sul capannone esistente)".

Era pure previsto all'articolo 6 pagina 7 del PSC che "le imprese non entreranno in cantiere se non dopo aver preso visione del presente documento" e alla pagina 22 il medesimo PSC prevedeva che, in caso di caduta entro lucernari longitudinali non calpestabili privi di rete anticaduta, l'allestimento preventivo di linee vita parallele ai lucernari e l'utilizzo tassativo e continuativo, per tutti gli addetti, di imbragatura di sicurezza vincolata per mezzo di dispositivo retrattile anticaduta alla linea vita, oltre all'allestimento di passerelle di scavalcò dei lucernari, e poco oltre che il rifacimento dei lucernari a striscia continua in copertura fosse realizzato con reti anticaduta sottostanti".

9.- Secondo la Corte di appello nessuna responsabilità era ascrivibile alla committente dei lavori D.D. Costruzioni Spa. La Corte, premesso che in materia di appalti sussiste sia la responsabilità della committente sia quella del committente, ha però escluso la culpa in vigilando o in eligendo della committente ed inoltre la sua concreta ingerenza nell'esecuzione dei lavori; alla luce dei fatti concreti ha pure rilevato come essa avesse adempiuto ai propri obblighi di sicurezza avendo dato incarico all'ingegnere J.J. di predisporre idoneo Piano di Sicurezza e Coordinamento in atti (sopra richiamato), comunicato all'appaltatore in data 24.6.2009; aveva stabilito che la data di inizio lavori notificata all'organo pubblico ispettivo SPSAL fosse il 30 giugno 2009, vietato il subappalto di lavori; nessuna l'aveva avvertita dell'inizio dei lavori in data 26.6.2009 e "se la Lattoneria A.A. ed il suo irregolare sub appaltatore non avessero abusivamente iniziato l'attività di sostituzione dei lucernari l'infortunio non sarebbe accaduto e se la Lattoneria avesse rispettato le indicazioni del PSC che la stessa aveva ricevuto il 24.6.2009 istallando la misura antinfortunistica collettiva e rispettando l'art.8. del contratto di appalto l'infortunio non si sarebbe verificato".

10.- Inoltre, secondo la Corte, neppure l'ing. J.J. poteva essere ritenuto responsabile del fatto per le medesime ragioni; il subappalto non gli era neppure noto e tantomeno l'inizio dei lavori che era stato concordato per il 30 giugno; la stessa D.D. Spa aveva comunicato al servizio di prevenzione la data di inizio lavori per il 30/6/2009. Inoltre in base alla notifica preliminare inviata all'Usl di Reggio Emilia sede di M il 25/6/2009, si può notare che le imprese indicate dalla committente per l'esecuzione dei lavori relativi alla ristrutturazione di edificio industriale esistente e costruzione di nuova palazzina uffici di cui al permesso di costruire numero 82/2009 erano la TET Costruzioni e la Dabe-Gal. Quindi alla data del 25.06.2009 a cinque giorni dall'inizio dei lavori (programmati ndr) non risultava fatta menzione alcuna della ditta Lattoneria A.A. esecutrice dei lavori in copertura al capannone esistente, poiché tali lavori non erano stati ancora discussi e programmati".

La Lattoneria iniziò i lavori prima della data prestabilita e comunicata allo SPSAL dalla D.D. con la notifica preliminare e senza darne preventiva comunicazione alla committente ed all'ingegner J.J.: e ciò aveva impedito al professionista di organizzare la riunione preliminare con le imprese operanti nel cantiere in occasione della quale si sarebbe proceduto all'esame congiunto dei POS e del PSC in relazione alla specificità delle lavorazioni.

Secondo l'accertamento operato dal responsabile del Servizio di prevenzione sicurezza ambiente e luogo di lavoro di M "i lavori dovevano partire il lunedì successivo e invece sono partiti il giovedì prima, J.J. che era il coordinatore non era a conoscenza che partissero prima, ciò è emerso durante l'indagine; non c'erano elementi tali da dimostrare che lui sapesse che i lavori iniziavano prima, quindi la sua funzione di sorveglianza è venuta meno per forza perché i lavori erano stati anticipati".

11.- Avverso la sentenza è stato proposto un primo ricorso per cassazione con sei motivi da Lattoneria A.A. Srl (già Lattoneria A.A. Snc di Geom. B.B.), C.C. e B.B. nella qualità di soci amministratori illimitatamente responsabili della Snc cui hanno resistito con distinti controricorsi E.E. nella e F.F. (eredi del lavoratore deceduto), la D.D. Costruzioni Srl (già D.D. Costruzioni Spa); G.G. e H.H. (eredi di J.J., quale coordinatore della sicurezza); ALLIANZ Spa.

Gli eredi P.P. hanno proposto un successivo ricorso per cassazione con sei articolati motivi e sub-motivi al quale hanno resistito Lattoneria A.A. Srl (già Lattoneria A.A. Snc di Geom. B.B.), C.C. e B.B. nelle qualità di soci illimitatamente responsabili della s.n.c, la D.D. Costruzioni Srl (già D.D. Costruzioni Spa) ed ALLIANZ Spa.

12.- Sono rimasti intimati le compagnie UNIPOLSAI Assicurazioni, AXA Assicurazioni Spa nonché gli eredi di O.O.

13.- Le parti hanno depositato memoria prima dell'udienza ai sensi dell'art. 380bis1 c.p.c. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell'art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.

 

Diritto


A.- I motivi del ricorso della Lattoneria A.A. Srl (già Lattoneria A.A. Snc di geom. B.B.) e dei soci C.C. e B.B. - intesi ad ottenere l'assoluzione dalla responsabilità della Lattoneria o in subordine l'ampliamento della responsabilità al committente D.D. Costruzioni Spa ed all'ing. J.J. - possono essere sintetizzati nei seguenti termini.

1.- Con il primo motivo si denuncia ex art 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 cod. civ. in relazione alla sentenza della Corte di appello n.113/2016 per aver eluso il giudicato interno formatosi sulla circostanza che il PSC dell'ing. J.J. non prevedeva la misura di protezione collettiva della rete anticaduta

2.- Con il secondo motivo si denuncia error in procedendo per violazione del principio di cui all'art.24, comma 2 Cost. e 394 c.p.c. per avere la Corte da un lato dichiarato inammissibili le note conclusive del 20.4.2022 della difesa D.D. e, dall'altro, tratto rilevanti e decisivi argomenti per escludere la responsabilità dei convenuti D.D. e Ing. J.J. nella causazione dell'infortuno mortale (il tema della presenza della misura collettva nel PSC è stato introdotto solo in sede di rinvio).

3.- Con il terzo motivo si denuncia ex art 360 n. 4 c.p.c. la violazione e falsa applicazione della legge con riferimento all'art. 384 comma 2 c.p.c. per avere la Corte mancato di adempiere al mandato contenuto nella sentenza rescindente (punto 17 e 19 pag. 4 e sentenza rinvio Cassazione), error in procedendo per aver ampliato l'oggetto del giudizio di rinvio in violazione del mandato cassatorio.

4.- Con il quarto motivo si denuncia la violazione ex art 360 n. 3 c.p.c. dell'art. 90 e 15 del D.Lgs. 81/08 anche con riferimento agli artt.100 D.Lgs. 81/2008 ed allegato XV nonché ex art 360 n. 4 c.p.c. per avere la Corte in aperta violazione delle predette norme e con motivazione perplessa e/o apparente escluso qualsivoglia responsabilità della committente nella causazione dell'infortunio. La non rilevata nullità del contratto di appalto per violazione dell'art 26 coma 5 D.Lgs. 81/08.

5.- Con il quinto motivo si lamenta la violazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. dell'art. 91 e 92, 100 D.Lgs. 81/2008 ed allegato XV, dell'art. 2043 c.c. e 2055 c.c., nonché ex art 360 n. 4 c.p.c. per avere la Corte d'Appello con motivazione perplessa escluso qualsivoglia responsabilità dell'Ing. J.J. nella causazione dell'infortunio.

6.- Con il motivo 6 si deduce ex art 360 n. 4 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 e art. 41 c.p. per avere, in aperta violazione del principio di causalità, ascritto l'esclusiva responsabilità dell'infortunio all'appaltatore Lattoneria A.A. ed ai suoi soci illimitatamente responsabili B.B. ed C.C.

Omettendo di considerare che il contratto di appalto conteneva clausole che facevano regredire l'appaltatore ad un nudus minister del committente (artt. 2, 8, 12 e 20 del contratto di appalto).

B.- I motivi del ricorso successivo proposto dagli eredi del lavoratore P.P. possono essere così sintetizzati.

1.- Con il primo motivo viene denunciato un doppio errore processuale: A) errore per avere la Corte del rinvio preso in indebita considerazione, in violazione dell'art. 24 Cost. e delle regole del giusto processo, l'eccezione e deduzione formulata a sorpresa relativa ad un fatto nuovo consistito nella pretesa esistenza all'interno del piano di sicurezza e coordinamento (PSC) dell'ingegner J.J. di quel doveroso dispositivo di protezione attiva costituita dalla rete anticaduta richiesto dall'art.148 testo unico 81/2008 e sulla cui mancata previsione era stata invece congegnata la domanda di risarcimento proposta nei confronti della committente D.D. Costruzioni ; B) error in precedendo per violazione della peculiare struttura del giudizio di rinvio nel quale alle parti è precluso di presentare nuove domande, eccezioni nonché conclusioni diverse salvo quelle necessitate dalle statuizioni della sentenza della corte di cassazione.

2.- Col secondo motivo si deduce l'ulteriore error in procedendo per violazione del giudicato interno e quindi dall'articolo 2909 c.c. per aver considerato esistente all'interno del PSC dell'ingegner J.J. una specifica misura di sicurezza collettiva, la rete anticaduta permanente al di sotto dei nuovi translucidi, contrariamente a quanto definitivamente già accertato dalla sentenza di secondo grado del 2016.

3.- Con il terzo motivo viene dedotto error in procedendo per violazione dell'obbligo di conformarsi nella decisione in sede di rinvio non solo al principio di diritto enunciato nella sentenza rescindente, consistente nell'obbligatorietà delle misure di sicurezza collettive, ma anche di non mettere in discussione i fatti materiali che di quel principio avevano costituito il necessario humus, in violazione dell'articolo 384 comma 2 c.p.c. in relazione all'articolo 360 n. 4 (violazione del mandato cassatorio nella parte in cui i titolari della posizione di garanzia avrebbero potuto liberarsi della responsabilità solo provando l'impossibilità tecnica di usare un dispositivo di protezione collettiva).

4.- Con il quarto motivo subordinato al mancato accoglimento dei primi tre i ricorrenti formulano tre sub-motivi.

4.1.- Con un primo sub-motivo deduce error in procedendo per avere la Corte del rinvio dato per presente nella parte del PSC dell'ingegner J.J. una misura di protezione collettiva.

4.2.- Con il secondo sub-motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla pagina 17 del contratto di appalto contenente il secondo foglio dell'allegato 1 denominato elenco prezzi unitari.

4.3.- Con il terzo sub-motivo deduce error iuris per aver sostenuto che la committente D.D. Costruzioni, avendo commissionato al suo progettista ingegner J.J. anche la redazione del PSC risultato poi comprensivo della misura di sicurezza collettiva delle reti anticaduta per i lavori solidi, avesse così ottemperato pienamente a tutti i compiti di alta vigilanza per cui la legge (artt. 90 e 93 tu 81/08) l'aveva costituita garante della sicurezza degli operai.

5.- Con il quinto motivo il ricorso successivo deduce violazione e falsa applicazione del principio di diritto per il quale l'applicazione dell'articolo 1227 c.c. andava coordinata con la portata pervasiva degli obblighi protezionistici verso i lavoratori rinvenibili negli articoli 2, 32 e 41 comma 2 della Costituzione, nell'articolo 1 della convenzione di Nizza e con le speciali previsioni che attribuivano al datore di lavoro il potere di direzione e di controllo degli operai nonché il dovere di salvaguardare l'incolumità dei lavoratori.

6.- Col sesto motivo si sostiene la violazione degli articoli 1223, 2056 e 2059 c.c. sull'integralità del risarcimento dei danni iuri successionis richiesti e non concessi con riferimento al danno morale da agonia subito dal lavoratore P.P. durante il periodo intercorso tra la caduta in cantiere e l'assunzione delle terapie antidolorifiche e anestesiologiche nell'ambulanza e poi in sala operatoria.

7.- Tanto premesso sul contenuto dei motivi dedotti nei due ricorsi per cassazione, devono ritenersi anzitutto infondati, per le ragioni di seguito analiticamente indicate, i motivi 1, 2, 3, 5 e 6, del primo ricorso, nonché i motivi 1, 2, 3, 4 sub1, 4 sub2 e 5 del ricorso successivo, che di seguito si esaminano unitariamente, in ragione della loro connessione logica e giuridica.

8.- Anzitutto va premesso che la Corte di appello ha accertato l'esistenza non di una ma di una serie di violazioni prevenzionali commesse dalla ricorrente (e sub appaltante) Lattoneria A.A., tutte causalmente rilevanti rispetto all'evento letale occorso al lavoratore P.P.; talché la stessa questione relativa alla presenza della misura di protezione collettiva nel PSC, lungamente e reiteratamente trattata in entrambi i ricorsi in oggetto, non assume alcuna valenza dirimente ai fini della decisione della causa.

Sul punto le censure svolte nei due ricorsi non si confrontano appunto neppure con le varie rationes decidendi contenute nella gravata sentenza.

9.- In primo luogo perché la Lattoneria A.A. non doveva subappaltare (in modo abusivo) i lavori di copertura alla ditta individuale CLA di O.O. omettendo autonomamente di promuovere (nel suo ruolo di appaltatore e sub appaltante) la programmazione, l'attuazione delle misure, la reciproca informazione, il coordinamento e la cooperazione necessarie ai fini di una adeguata organizzazione della tutela della salute e sicurezza nel cantiere di lavoro.

In secondo luogo perché essa non doveva consentire l'inizio dei lavori prima della data fissata e comunicata dalla committente alla SPASL (servizio di vigilanza AUSL).

In terzo luogo perché non avrebbe dovuto consegnare il POS prima di aver ricevuto il PSC.

In quarto luogo perché la Lattoneria A.A. avrebbe dovuto raccordare il POS al PSC quanto alla misura di protezione collettiva che era ivi prevista, secondo l'accertamento di fatto operato dalla Corte di merito.

In ogni caso, ed a prescindere dalla sua previsione nel PSC, perché avrebbe dovuto provvedere (prevedere ed attuare) autonomamente alla misura di protezione anticaduta collettiva in discorso in quanto relativa al rischio specifico del lavoro da realizzare (e che ha poi abusivamente sub appaltato).

10.- Sul punto - in merito alla mancata previsione di una misura di sicurezza collettiva - contrariamente a quanto affermato in entrambi i ricorsi, non c'era né poteva formarsi alcun giudicato interno nella prima sentenza della Corte di appello di Bologna n.113/2016.

La Corte di appello in tale pronuncia non aveva in alcun modo escluso in fatto l'esistenza della misura collettiva nel PSC; si era invece concentrata su quella di natura individuale ritenendo non obbligatoria a monte la predisposizione della prima e sufficiente la seconda, prevista ed attuata nell'occorso.

11.- In ogni caso, quand'anche se ne fosse occupata e avesse escluso la sua previsione nel PSC, il primo ricorso per cassazione sul punto della obbligatoria adozione della protezione antinfortunistica collettiva (v. in particolare i motivi 2 e 3) impediva che si formasse qualsiasi giudicato interno sulla mancanza della stessa, trattandosi appunto di un fatto sotteso alla questione giuridica devoluta all'esame della Corte di cassazione.

Come è noto secondo la consolidata giurisprudenza (cfr. ad es. ordinanza n. 30728 del 19/10/2022) il giudicato interno non si determina sul fatto; ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell'ambito della controversia, sicché l'impugnazione motivata con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull'intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame.

12.- L'unico vincolo che si è prodotto nella causa è invece quello che discendeva nel giudizio di rinvio dal principio di diritto stabilito dalla sentenza della Cassazione n. 18137 del 31/08/2020 la quale ha affermato che "ove si debbano svolgere lavori al di sopra di "lucernari, tetti, coperture e simili", sia obbligatoria la predisposizione di misure di protezione collettiva, con l'unico ed esclusivo limite che la realizzazione di tali misure risulti incompatibile con lo stato dei luoghi o impossibile per altre ragioni tecniche, la cui prova in giudizio grava sul datore di lavoro e, per quanto di rispettiva competenza, sui soggetti titolari di posizioni di garanzia." E , come correttamente affermato dalla Corte di appello, in sede di rinvio sui confini del relativo giudizio, "nell'ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di Cassazione vincola il giudice del rinvio al principio affermato ed ai relativi presupposti di fatto e ex art. 384 c.p.c. la Corte d'Appello in sede di rinvio deve uniformarsi sia alla regola di diritto enunciata, sia alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata, attenendosi agli accertamenti di fatto già compiuti nell'ambito della sua enunciazione".

13.- Considerato che ovviamente nessun accertamento sull'inesistenza in fatto della misura collettiva poteva essere contenuto nella sentenza rescindente della Corte di Cassazione, la Corte di appello in sede di rinvio ha dunque affermato non solo che tale protezione non risultasse incompatibile con lo stato dei luoghi né impossibile per altre ragioni tecniche, ma che essa fosse stata prevista all'interno del PSC.

14.- Nessuna prova è stata comunque introdotta in giudizio sul punto della irrealizzabilità della misura (per incompatibilità o impossibilità tecnica) dai datori di lavoro obbligati. Ed anzi, al contrario, nella causa è altresì pacifico che le stesse misure di protezione collettiva di cui si discute vennero bensì realizzate, ma dopo la morte del lavoratore (come sempre capita in tali circostanze).

15.- Deve essere qui ribadito che, in ogni caso, alla luce del fatto concreto e della disciplina protettiva di cui al TU (art. 148 TU), la stessa asserita mancata previsione della misura collettiva nel PSC predisposto dal committente, giammai avrebbe potuto mandare assolto l'appaltatore che, oltre a commettere le varie inosservanze prima indicate, aveva predisposto il POS in contrasto con le prescrizioni in materia di rischio di caduta dall'alto previste dalla legge; dato che, come già detto, è pacifico che tutte le doverose misure di protezione collettiva - su di essa autonomamente incombenti - fossero possibili e praticabili, tanto che vennero realizzate dopo la morte del lavoratore.

L'art.148 del TU prevede infatti: " Prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, fermo restando l'obbligo di predisporre misure di protezione collettiva, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego. 2. Nel caso in cui sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati i necessari apprestamenti atti a garantire la incolumità delle persone addette, disponendo, a seconda dei casi, tavole sopra le orditure, sottopalchi e facendo uso di idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta".

16.- Pertanto, lo stesso coinvolgimento della committente D.D. Spa invocato dai ricorrenti come responsabile o corresponsabile del fatto (per asserita mancanza di previsione nel PSC di qualsiasi misura collettiva) giammai potrebbe mandare assolto l'appaltatore (ed il datore di lavoro) in relazione al mancato governo del rischio specifico del lavoro (rischio di caduta dall'alto) relativo alla propria attività ed a quella subappaltata.

17.- Devono essere inoltre disattesi tutti i motivi e le censure con cui si lamentano inesistenti vizi di motivazione della sentenza o violazioni al diritto alla difesa commesse nel giudizio di rinvio; sia per la violazione del principio di specificità di cui all'art.366 n.6 c.p.c. e sia perché la Corte di appello non ha operato alcuna lesione del principio del contraddittorio, né consentito l'introduzione di fatti nuovi a sorpresa in sede di rinvio; inoltre il PSC ed il POS erano documenti già contenuti in atti fin dal primo grado di giudizio, che la Corte si è limitata a leggere alla luce delle allegazioni delle parti e del principio di diritto formulato dalla Cassazione.

18.- La Corte territoriale non ha neppure confuso la rete anticaduta permanente facente parte dei lucernari con la rete anticaduta come dispositivo di protezione collettiva, su cui insistono i ricorrenti. Inoltre la stessa questione come si è detto non è in alcun modo decisiva ai fini della causa, sicché essa non è stata dedotta in modo rituale in conformità all'art. 360 n. 5 c.p.c., né comunque ai sensi dell'art 395, n. 4 c.p.c. che riguarda i vizi di natura revocatoria.

Ed invero secondo la recente sentenza delle Sez. Unite n. 5792 del 05/03/2024 "il travisamento del contenuto oggettivo della prova - che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell'informazione probatoria al fatto probatorio - trova il suo istituzionale rimedio nell'impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall'art. 395, n. 4, c.p.c., mentre - se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti - il vizio va fatto valere ai sensi dell'art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale".

19. Alcun rilievo possono poi avere neppure le censure di nullità del contratto di appalto per mancata indicazione dei costi o di violazione del principio di casualità perché l'appaltatore sarebbe stato nudus minister del committente pure esse dedotte in violazione del principio di specificità ex art. 366 n. 6 c.p.c., trattandosi pure di questioni di cui la sentenza gravata non si occupa e considerato che qui si discute di un rischio specifico che faceva carico sul datore di lavoro e sull'appaltatore che lo aveva abusivamente introdotto nel cantiere edile.

20.- Il quarto motivo del primo ricorso ed il quarto motivo del ricorso successivo (terzo sub motivo) articolati in relazione alla posizione e responsabilità della committente D.D. Costruzioni Spa per l'infortunio mortale occorso a P.P. devono ritenersi invece fondati, nei limiti che sono di seguito indicati.

21.- Anzitutto, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la Corte non ha affermato che gli obblighi di prevenzione in materia facessero capo al solo appaltatore riservandosi al committente solo la nomina dei responsabili delle singole attività.

La sentenza impugnata ha affermato invece, correttamente, che il dovere di sicurezza con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto gravi in capo tanto al datore di lavoro quanto al committente, ed ha precisato, altrettanto correttamente, che la responsabilità del committente non conosca una applicazione automatica e che occorre verificare in concreto il suo apporto eziologico.

Sul punto la Corte di appello ha testualmente richiamato il principio di diritto formulato in Cass. pen, Sez. 4, sentenza n. 3563 del 18/01/2012: In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente. Detto principio non può, però, applicarsi automaticamente, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. Ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo".

22.- Quelle operate dalla Corte sono affermazioni che non sono contrarie all'ordinamento, né all'orientamento della giurisprudenza di legittimità, in base alla stessa configurazione tradizionale della disciplina dell'appalto ex art. 1655 c.c. fondata sull'autonomia dell'appaltatore e che fino al D.Lgs. 626/1994 non prevedeva nessuna specifica misura di sicurezza a carico del committente di un appalto, datore di lavoro o meno, nemmeno nel D.P.R. n. 547/1955.

Rispetto all'assetto ordinamentale vigente esse vanno però completate con riferimento agli obblighi di natura comunitaria discendenti dalla Direttiva 89/197/CEE, da cui derivano una serie di obblighi autonomi in capo al committente ispirati al diverso criterio della sinergia ed al suo pieno coinvolgimento nell'apprestamento dell'apparato di prevenzione e dell'organizzazione della sicurezza, di cui il committente non si può più disinteressare (Cass. 24 giugno 2020, n. 12465).

In questi termini occorre dare quindi risposta alla istanza, contenuta nella memoria depositata prima dell'udienza dalla difesa degli eredi del lavoratore deceduto, con la quale è stata sollecitata la necessità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Sollecitazione che deve essere disattesa sulla scorta di quanto già detto e si andrà osservando ai fini dell'esito del giudizio, ma anche della recente sentenza n. 2517/2023 con cui questa Corte si è pure pronunciata direttamente della materia ribadendo la piena conformità della disciplina del tu n. 81/2008 alla direttiva 89/197/CEE (ndr. 89/391/CEE) ed in particolare al suo art. 6, par. 4, il quale prevede che " quando in uno stesso luogo di lavoro sono presenti i lavoratori di più imprese, i datori di lavoro devono cooperare all'attuazione delle disposizioni relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute, e, tenuto conto della natura delle attività, coordinare i metodi di protezione e di prevenzione dei rischi professionali, informarsi reciprocamente circa questi rischi e informarne i propri lavoratori e/o i loro rappresentanti ".

23.- Tanto premesso, va invero osservato che la Corte di appello nella gravata pronuncia ha escluso la culpa in vigilando o in eligendo della committente ed inoltre la sua concreta ingerenza nell'esecuzione dei lavori; senza però restringere in tali ambiti il perimetro degli obblighi gravanti sul medesimo committente il quale, invece, come già detto, proprio nel settore degli appalti e costruzioni edili, in base alla disciplina del tu n. 81/2008, risulta pienamente coinvolto nell'attuazione delle misure di sicurezza, mediante una serie di autonomi obblighi cristallizzati nel Titolo IV, Capo I (in relazione ai cantieri temporanei e mobili per lavori edili o di ingegneria civile) che fungono da parametri di valutazione della condotta del committente, titolare di una posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori dell'impresa appaltatrice in relazione agli infortuni occorsi durante l'esecuzione dell'opera.

24.- Per quanto attiene ai profili relativi alla corretta programmazione della sicurezza per i lavori di sovracopertura del tetto del capannone in cemento amianto con lastre in alluminio e di sostituzione dei translucidi dei lucernari, la Corte di appello ha richiamato in particolare gli artt. 91 e 92 del D.Lgs. 81/2008, ed ha rilevato che la committente aveva affidato la redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) al coordinatore ing. J.J. e lo aveva comunicato all'appaltatore Lattoneria A.A. Snc in data 24.6.2009, due giorni prima dall'inizio effettivo dei lavori e sei giorni prima dalla data (programmata) dei lavori, notificata pure all'organo di vigilanza dell'AUSL per il 30 giugno 2009.

25.- Inoltre la Corte ha rilevato che in base a tale notifica preliminare le imprese indicate dalla committente per l'esecuzione dei lavori relativi alla ristrutturazione di edificio industriale esistente e costruzione di nuova palazzina uffici di cui al permesso di costruire numero 82/2009 erano la TET Costruzioni e la Dabe-Gal.

"Quindi - ha concluso la stessa Corte di merito - alla data del 25.06.2009 a cinque giorni dall'inizio dei lavori non risultava fatta menzione alcuna della ditta Lattoneria A.A. esecutrice dei lavori in copertura al capannone esistente, poiché tali lavori non erano stati ancora discussi e programmati ".

26.- Si tratta di fatti che non possono essere più rimessi in discussione in questa sede di legittimità e rispetto ai quali non appaiono però coerenti le conclusioni giuridiche cui è pervenuta la sentenza impugnata in relazione alla responsabilità della committente, per come risulta dalle seguenti osservazioni.

27.- Resta incomprensibile in primo luogo come sia stato possibile comunicare da parte del committente all'AUSL la data di inizio lavori per il 30 giugno, consegnare il 24 giugno il PSC all'impresa Lattoneria A.A. e non menzionarla nemmeno il 25 giugno tra le imprese esecutrici dei lavori di ristrutturazione, posto che il 26 giugno sul tetto del capannone si trovava un suo subappaltatore.

28. Inoltre, in relazione agli adempimenti relativi alla programmazione e attuazione della sicurezza nel cantiere attraverso la predisposizione del Piano di Sicurezza e Coordinamento occorreva avere poi riguardo ai suoi contenuti minimi previsti dall'Allegato XV del D.Lgs. n. 81/2008 ed al corretto cronoprogramma della sicurezza nel cantiere.

29.- Come si rileva dall'art. 91, comma 1, lett. a) il PSC è redatto "durante la progettazione dell'opera e comunque prima della richiesta di presentazione delle offerte", e quel "durante" presuppone la scansione fisiologica in cui progettazione e redazione del piano precedono la concreta esecuzione dell'avvio dei lavori (Cass. pen., sez. IV, 3 ottobre 2018, n. 43840).

30.- Che la redazione del Piano sicurezza e coordinamento - regolato dall'art. 100, comma 1, ed i cui contenuti sono dettagliatamente specificati nell'allegato XV - debba essere il primo tra gli adempimenti messi in atto dal committente e dal coordinatore per la sicurezza si desume anche dall'art.90 del Tu.

La norma prevede al primo comma che nelle fasi di progettazione dell'opera, il committente ed il coordinatore della sicurezza si attengono ai principi e alle misure generali di tutela di cui all'articolo 15; ed inoltre al secondo comma stabilisce che il committente o il responsabile dei lavori, nella fase della progettazione dell'opera, prende in considerazione i documenti di cui all'articolo 91, comma 1, lettere a) e b) (ovvero appunto il PSC ed il fascicolo della sicurezza).

31.- Secondo l'art.100 poi i contenuti minimi del piano di sicurezza e di coordinamento e l'indicazione della stima dei costi della sicurezza sono definiti all'allegato XV, che al punto 2.2.3. lett. c) prevede che il PSC presti "particolare attenzione" alle misure relative "al rischio di caduta dall'alto".

L'art. 100 prevede inoltre nei commi successivi che: "2. Il piano di sicurezza e coordinamento è parte integrante del contratto di appalto. 3. I datori di lavoro delle imprese esecutrici e i lavoratori autonomi sono tenuti ad attuare quanto previsto nel piano di cui al comma 1 e nel piano operativo di sicurezza. 4. I datori di lavoro delle imprese esecutrici mettono a disposizione dei rappresentanti per la sicurezza copia del piano di sicurezza e di coordinamento e del piano operativo di sicurezza almeno dieci giorni prima dell'inizio dei lavori".

32.- Come già detto, tra i principi e le misure generali di tutela da rispettare l'art.100 rinvia all'articolo 15 del tu dove È stabilita la priorità delle misure collettive su quelle individuali; richiamate in specifico per i lavori sui tetti e lucernari dall'art.148 T.U. (Prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, fermo restando l'obbligo di predisporre misure di protezione collettiva, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego).

33.- Il piano operativo della sicurezza (POS) è invece previsto all'articolo 89, lettera h; si tratta del "documento che il datore di lavoro dell'impresa esecutrice redige, in riferimento al singolo cantiere interessato i cui contenuti sono riportati nell'allegato XV, ove si prevede tra l'altro che il POS è redatto a cura di ciascun datore di lavoro delle imprese esecutrici, ai sensi dell'articolo 17 del presente decreto e che esso deve contenere tra l'altro la descrizione dell'attività di cantiere, delle modalità organizzative e dei turni di lavoro e "lett. g) l'individuazione delle misure preventive e protettive, integrative rispetto a quelle contenute nel PSC quando previsto, adottate in relazione ai rischi connessi alle proprie lavorazioni in cantiere".

34.- Non vi è dubbio pertanto il Piano di Sicurezza e Coordinamento, specialmente necessario in ragione dell'effettuazione di lavori a notevole altezza (circa dieci metri), andasse redatto in fase di progettazione e che ad esso avrebbero dovuto poi fare riferimento i POS delle imprese esecutrici da considerare come piani complementari di dettaglio del PSC (cfr. art.92, comma 2).

35.- Il committente D.D. Spa è venuto quindi meno al compito prioritario che il titolo IV del TU n. 81/2008 gli assegna nella catena della sicurezza: quello di programmare la prevenzione in fase di progettazione, prima della stessa richiesta di presentare l'offerta, in una fase antecedente alla stipulazione del contratto d'appalto, per ovvi motivi, che attengono anche al computo dei costi della sicurezza che devono risultare congrui rispetto all'entità ed alle caratteristiche dei lavori, al fine di evitare che si determini un ribasso dei livelli di sicurezza.

Da qui l'errore commesso nella sentenza per non aver rilevato come sia stato alterato il cronoprogramma della sicurezza nel cantiere previsto dalla legge con la redazione preventiva POS rispetto al PSC, intervenuto qui solo dopo il contratto di appalto e dopo il POS.

Da qui anche l'ulteriore errore della sentenza secondo cui invece sarebbe stato indifferente per il committente il costo delle misure di sicurezza, dal momento che l'unico contratto di appalto stipulato per tutti i lavori non teneva conto delle opere di protezione collettiva.

Ma il contratto di appalto non poteva tener conto di quei particolari costi perché all'epoca - contravvenendo alla chiara sequenza stabilita dalla logica prevenzionale imposta dalla normativa - non erano stati previsti e c'era solo un inidoneo POS, senza alcun PSC.

36.- È evidente comunque che il PSC sia stato predisposto in ritardo e che il committente non potesse stipulare alcun contratto di appalto relativamente a questa parte dei lavori. Si consideri che senza PSC si sospende ex lege anche il permesso di costruire.

Non è sufficiente che il PSC sia di fatto intervenuto prima dell'inizio dei lavori, ma comunque dopo la stipula del contratto di appalto e dopo la redazione del POS. Mentre secondo l'impianto della legge non può accadere che venga redatto un Piano di Sicurezza e Coordinamento (relativamente a lavori licenziati con un nuovo permesso di costruire), mentre il relativo POS rimanga quello precedente al PSC, e soprattutto sia difforme da esso nella sostanza.

37.- È evidente invece che, una volta incaricato di procedere all'esecuzione di questi lavori, l'appaltatore andava richiamato a conformarsi al PSC ed a redigere un nuovo POS, non essendo sufficiente la mera formalistica consegna del PSC a fronte di un POS che non era con esso conforme; il che lungi dal riflettersi sulla posizione del committente come motivo per esentarla dalla responsabilità - secondo la conclusione a cui è approdata la gravata sentenza - evidenzia pure l'omessa verifica del POS da parte del committente e si pone quindi a fondamento della sua stessa responsabilità nella vicenda.

Il committente D.D. Costruzioni, senza PSC e senza assicurare che venisse rispetta la conformità del POS, non poteva neppure conferire l'incarico su questi lavori.

38.- Chiaro quindi che il committente (insieme al sub appaltante che ha subappaltato i lavori) sia venuto meno, per parte sua, al dovere di programmazione e di coordinamento che non si realizza solo con l'eventuale riunione in fase preliminare all'esecuzione dei lavori, ma si assicura in via prioritaria evitando di assegnare lavori in appalto senza prima redigere il PSC e garantendo il raccordo costante dei piani di sicurezza PSC e POS previsti dalla legge (artt. 89, 90, 91 e 100 D.Lgs.81/2008) essendo necessario che ogni piano sia sempre e costantemente adeguato alle sopravvenienze ed alla situazione in atto.

39.- Il fatto che questa aderenza non sia stata realizzata non rappresenta nemmeno una questione nuova nella materia del contendere, essendo anzi un dato pacifico tra le parti ed all'interno della sentenza gravata (v. pag. 22, rigo 10, il POS "era stato redatto mesi prima del PSC".).

Lo stesso controricorso D.D. Costruzioni Spa a pag. 40 ammette: "quello che è certo è che il POS redatto dalla Lattoneria A.A. venne predisposto, sia per l'esecuzione delle opere di sovracopertura in lamiere delle lastre di cemento amianto sia per l'installazione e la sostituzione deli lucernari (nel corso delle quali avvenne l'infortunio ndr), mesi prima che le opere potessero essere licenziate con un regolare permesso di costruire e che venisse redatto il PSC per l'esecuzione delle stesse".

40.- Esiste quindi piena evidenza delle violazioni di legge commesse dalla D.D., posto che il PSC venne predisposto dopo e senza che il POS abbia potuto tenerne conto al momento della redazione; mentre la legge come già detto (art. 90, 91 e 92), richiede che il PSC venga effettuato prima del POS (in fase di progettazione) e sia con esso perfettamente armonizzato. Ed a tanto doveva attendere anzitutto il committente che ha assegnato i lavori e concluso il contratto di appalto.

41.- Se contrasto c'era tra PSC e POS (secondo quanto accertato oramai irrevocabilmente dal giudice di merito), anche alla luce dell'andamento dei lavori e del permesso di costruire che era stato necessario richiedere per la seconda parte dei lavori, esso dipendeva anche da questa sfasatura temporale; ed è certo che alla luce di essa non bastava fissare solo la data dei lavori in via postuma ad una riunione di raccordo (quest'ultima solo ipotetica e di cui non era stabilita neppure una data né il luogo), ma il contrasto andava eliminato alla radice chiedendo, all'atto della consegna del PSC, di rifare il POS o di aggiornare il precedente.

42.- Se c'è stata la necessità di una fase di lavorazione distinta da quella inizialmente programmata, la redazione del PSC andava comunque effettuata prima dell'affidamento di essa da parte del committente alla Lattoneria e comunque andava assicurato dallo stesso committente che l'appaltatore aggiornasse il POS e garantisse piena rispondenza tra i due documenti prima dell'affidamento dei lavori.

43.- L'anticipazione della data di inizio lavori o il subappalto abusivo dei lavori non valgono pertanto ad escludere l'incidenza della violazione in discorso sul mancato rispetto dei tempi di redazione del PSC e del POS e sul loro mancato raccordo, che erano fatti noti alla committente e che si pongono a monte di ogni altra violazione commessa, non solo sul piano cronologico ma anche dal punto di vista funzionale (in relazione alla mancata verifica della coerenza tra i piani di sicurezza).

44.- Deve essere invece disatteso il quinto motivo del primo ricorso col quale si censura la sentenza anche nella parte in cui ha assolto da ogni responsabilità l'ing. J.J., responsabile della sicurezza, affermando, contrariamente a quanto già accertato con efficacia di giudicato, che lo stesso avesse previsto la misura di sicurezza collettiva nel PSC e che Lattoneria A.A. non avesse recepito detta misura nel proprio POS.

45.- Il motivo così come formulato è tuttavia inammissibile posto che sotto l'apparente veste di censure in diritto e di violazioni di legge con esso la Lattoneria si limita in realtà a sollecitare un mero riesame dei fatti; deducendo l'inesistente violazione dell'asserito giudicato e di seguito, irritualmente, l'esistenza di una svista sostenendo che la Corte abbia scambiato la rete anticaduta permanente che andava istallata, con la rete da utilizzare come mezzo di protezione collettiva. Affermando perciò contrariamente a quanto previsto in sentenza che nel PSC non fosse prevista alcuna misura di sicurezza collettiva al contrario di quanto affermato dalla Corte.

Tutto ciò mira ad obliterare pertanto proprio la diversa valutazione operata dalla Corte di merito sulla scorta dell'istruttoria ed a superare i limiti del giudizio di legittimità in materia di accertamenti di fatto ex art 360 c.p.c. Con le stesse censure non si deduce perciò un "fatto storico" che non sia stato esaminato, quanto piuttosto si contesta una valutazione probatoria, insindacabile in sede di legittimità, tanto più nel vigore del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis, così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici).

46.- Deve essere poi disatteso il quinto motivo del ricorso degli eredi P.P. col quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1227 c.c. in relazione al concorso di colpa ed alla quantificazione delle quote di corresponsabilità.

Anzitutto va osservato che il concorso di colpa della vittima nella causazione del danno da essa sofferto va determinato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1227, comma 1, c.c., mediante la comparazione della colpa della vittima con quella dell'offensore e la valutazione, in via ipotetica e con giudizio controfattuale, di quale tra le due sia stata più grave in riferimento all'altra e di quale tra le due condotte colpose abbia apportato il contributo causale prevalente rispetto all'avverarsi del danno (Cass. n. 23804 del 04/09/2024).

Inoltre l'indagine sull'imprudenza e pericolosità della condotta del lavoratore infortunato che va apprezzata ai fini del concorso di colpa, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., integra un giudizio di fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da adeguata motivazione (Cass. n. 842 del 17/01/2020).

Nel caso in esame la determinazione paritaria delle quote di responsabilità ed il computo del risarcimento del danno sono stati operati nel rispetto dell'art.1227 c.c. in base all'entità delle colpe rispettivamente accertate in capo al danneggiato ed ai danneggianti sulla scorta dei fatti introdotti in giudizio relativamente ai comportamenti da essi tenuti. Non può essere pertanto predicata alcuna violazione delle norme indicate nel medesimo motivo.

47.-Il sesto motivo di ricorso del ricorso degli eredi P.P. concerne la spettanza del danno morale terminale o catastrofale subito dalla vittima durante il periodo intercorso tra la caduta in cantiere e l'assunzione delle terapie antidolorifiche e anestesiologiche nell'ambulanza e poi in sala operatoria.

48.- Il motivo è fondato.

La Corte di appello ha così ricostruito l'accaduto: la morte del de cuius è avvenuta dopo pochissimo tempo dalla caduta: l'infortunio è avvenuto all'incirca alle ore 15:00 risulta dalla cartella clinica in atti (documento 18 parte ricorrente) che il personale dell'auto medica ebbe ad intervenire alle ore 15:11 e ricoverato presso l'arcispedale (Omissis), alle ore 16:15 P.P. venne sottoposto ad intervento chirurgico in anestesia totale, durante il quale decedette causa arresto cardiaco. Dunque poco più di un'ora è trascorsa fra l'accadimento dell'infortunio e l'inizio dell'intervento chirurgico e per tale ragione da escludersi un danno risarcibile nei termini precisati dalla cassazione.

49.- La Corte di appello ha quindi negato il danno morale terminale perché il lavoratore era deceduto dopo poco più di un'ora, ponendosi però in contrasto con l'orientamento giurisprudenziale che esclude la rilevanza del tempo ai fini della liquidazione di tale componente del danno iure successionis e che attribuisce rilevanza soltanto alla consapevolezza dell'approssimarsi della fine.

È stato infatti osservato da questa Corte di legittimità che nel caso in cui tra la lesione e la morte si interponga un apprezzabile lasso di tempo, tale periodo giustifica il riconoscimento, in favore del danneggiato, del c.d. danno biologico terminale, cioè il danno biologico stricto sensu (ovvero danno al bene salute), al quale però, nell'unitarietà del genus del danno non patrimoniale, può aggiungersi un danno morale peculiare improntato alla fattispecie ("danno morale terminale"), ovvero il danno da percezione, concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni, sia nella sofferenza psicologica (agonia) derivante dall'avvertita imminenza dell'exitus, se nel tempo che si dispiega tra la lesione ed il decesso la persona si trovi in una condizione di "lucidità agonica", in quanto in grado di percepire la sua situazione e in particolare l'imminenza della morte, essendo quindi irrilevante, a fini risarcitori, il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale e il decesso nel caso in cui la persona sia rimasta "manifestamente lucida" (Sez. 3, sentenza n. 26727/2018, n. 28989/2018).

50.- Ciò risulta, tra le tante, anche dall'ordinanza n. 21837 del 30/08/2019, in cui si riafferma chiaramente che: "In tema di danno non patrimoniale risarcibile in caso di morte causata da un illecito, il danno morale terminale e quello biologico terminale si distinguono, in quanto il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subìto dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall'apprezzabilità dell'intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l'intensità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell'integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo".

51.- Pertanto il danno terminale nella sua componente morale prescinde dall'esistenza di un'apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni e la morte. Esso richiede però la lucida agonia. Anche una sopravvivenza di pochi minuti può quindi consentire alla vittima di percepire la propria fine imminente, mentre - al contrario - una lunga sopravvivenza in totale stato di incoscienza non consentirebbe di affermare che la vittima abbia avuto consapevolezza della propria morte (Sez. Unite sentenza n. 26972 del 11/11/2008). Non è il tempo perciò ad essere necessario ai fini della risarcibilità di tale voce di danno ma la consapevolezza dell'evento.

52.- L'orientamento è stato ribadito di recente con la sentenza n. 7923 del 23/03/2024 la quale così recita: "In tema di risarcimento del danno non patrimoniale in caso di morte causata da un illecito, il danno morale terminale e quello biologico terminale si distinguono perché il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata per la consapevolezza dell'approssimarsi della propria fine ed è risarcibile in base all'intensità della sofferenza medesima, indipendentemente dall'apprezzabilità dell'intervallo temporale intercorso tra le lesioni e il decesso, mentre il secondo è costituito dal pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, sussiste per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla cosciente percezione della gravissima offesa all'integrità personale della vittima, ed è risarcibile a condizione che tra le lesioni e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo".

53.- Sulla scorta di quanto fin qui osservato s'impone, pertanto, la cassazione dell'impugnata sentenza in relazione agli indicati motivi accolti, con rinvio alla Corte d'Appello di Bologna che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame, facendo applicazione di quanto in motivazione specificato.

54.- Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.


La Corte accoglie il quarto motivo del primo ricorso, il quarto motivo (terzo sub-motivo) ed il sesto motivo del ricorso successivo; rigetta tutti gli altri motivi. Cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'Appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale dell'8 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2024.