Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 febbraio 2025, n. 4092 - Risarcimento danni da esposizione ad amianto: nesso di causa nelle malattie asbesto-correlate


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana - Presidente

Dott. RIVERSO Roberto - Rel. Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella - Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere

Dott. CASO Francesco E.E. Luigi - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 26183-2020 proposto da:

A.A., B.B., C.C., D.D., in proprio e nella qualità di eredi di E.E., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI SANTA COSTANZA 13, presso lo studio dell'avvocato STEFANIA CAVALLARO, rappresentati e difesi dall'avvocato GIULIANA QUATTROMINI;

- ricorrenti -

contro

GENERALI ITALIA Spa, già INA ASSITALIA, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato ANIELLO DE RUBERTO;

- controricorrente -

nonché contro

AIG EUROPE S.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato GIOVANNI ROVEDA;

- controricorrente -

nonché contro

XL INSURANCE COMPANY SE (" XLICSE ") - RAPPRESENTANZA GENERALE PER L'ITALIA incorporante la AXA CORPORATE SOLUTIONS ASSURANCE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato MARIA CRISTINA ALEMANNO;

- controricorrente -

nonché contro

OTIS SERVIZI Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SARDEGNA 38, presso lo STUDIO RUCELLAI E RAFFAELLI, rappresentata e difesa dall'avvocato ANDREA VISCHI;

- controricorrente -

nonché contro

CIGNA INSURANCE COMPANY OF EUROPE S.A. - N.V.;

- intimata -

avverso la sentenza n. 5926/2019 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/12/2019 R.G.N. 11108/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/01/2025 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO.

 

Fatto


1.- La Corte d'Appello di Napoli, con la sentenza in atti, ha rigettato l'appello proposto da A.A. e dagli altri litisconsorti sopra indicati, in proprio e quali eredi di E.E., avverso la sentenza del Tribunale di Napoli che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno da essi proposta a seguito del decesso del loro congiunto avvenuto il 29.3.2006 per mesotelioma pleurico da esposizione all'amianto subita presso datore di lavoro OTIS SERVIZI Srl (prima presso F.F. Sair Spa, poi presso Stigler Otis Spa e quindi OTIS SERVIZI Spa) mantenendo sempre la stessa sede e le medesime mansioni in quando addetto alla manutenzione e riparazione degli impianti elevatori, per il periodo dal 1982 fino al periodo precedente la malattia ed il successivo decesso avvenuto per malattia professionale, riconosciuta dall'INAIL il 28.10.2004.

2.- La Corte d'Appello, premesso che, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, la domanda di risarcimento del danno era stata correttamente proposta ai sensi di legge in relazione alla responsabilità per danni differenziali e complementari, e che sussisteva la legittimazione passiva del datore di lavoro civilmente responsabile, ha tuttavia respinto la domanda, senza ammettere le prove dedotte, per mancata prova del nesso di causalità nonostante le due c.t.u. svolte nel giudizio di appello.

3.- La Corte a fondamento della decisione ha sostenuto che nel ricorso introduttivo risultava allegata l'elevata esposizione all'amianto ma essa non era stata documentata in alcun modo, perché; a.- non risultava alcuna certificazione di intervento dell'Ispettorato del lavoro o dell'Inail che potesse documentare la pretesa insalubrità degli ambienti di lavoro frequentati dal signor E.E.; b.- le indagini tecniche non contestate avevano rilevato una concentrazione di amianto espressa in fibre/cc che alla luce del D.Lgs. 277/1991 era tale da non costituire una significativa dispersione dannosa per la salute dei lavoratori; c.- l'analisi dei rifiuti speciali su campioni dei ferodi aveva dato esito di rifiuto speciale non tossico nocivo; d. E.E. non aveva partecipato nel 2005 alla campagna di rimozione ferodi come da comunicazione all'INAIL e tanto rilevava al fine di scongiurare un' ulteriore esposizione qualificata all'amianto; e. non risultava che altro lavoratore OTIS fosse affetto da patologia a neoplastica amianto correlata; g.- dal libretto di lavoro risultava che il lavoratore in passato aveva svolto altre attività come ascensorista ed inoltre dall'1981 al 4.10.1982 anche su impianti installati su navi della Tirennia in un ambiente di lavoro in cui in quegli anni era notoria la presenza di amianto anche in dosi massive; h.- non era stata allegata la quantità e rilevanza della pretesa esposizione all'amianto e non erano emersi i valori delle fibre eventualmente disperse nell'ambiente tali da causarne la nocività; i.- infine né l'una né l'altra relazione medica indicavano la concentrazione di fibre di amianto disperse nell'ambito dell'attività lavorativa svolta dal de cuius presso la OTIS che avessero potuto aver causato la patologia lamentata e quindi far emergere il colpevole comportamento omissivo del datore di lavoro nel non aver posto in essere tutti gli accorgimenti.

4.- Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione A.A. e gli altri litisconsorti con cinque motivi ai quali hanno resistito con controricorso OTIS SERVIZI Srl , GENERALI ITALIA Spa, AIG EUROPE SA , XL INSURANCE COMPANY SE. Tutte le parti hanno depositato memorie conclusive, prima dell'udienza camerale. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell'art. 380-bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.

 

Diritto


1.- Con il primo motivo, si deduce violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., dell'articolo 112 c.p.c., del D.P.R. n. 1124 del 65 e relativo all. n. 8 nonché del D.M. 9.4. 2008 del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e del D.P.R. 1994 n. 336 in relazione all'articolo 360, n. 3 c.p.c. per aver ritenuto da un lato provata una non significativa dispersione di fibre di amianto, perché asseritamente inferiore alla soglia di cui alla D.Lgs. 277 del 1991 e alla deliberazione del Comitato interministeriale del 27.7.84 in tema di prima applicazione del D.P.R. n. 915 del 2008 sullo smaltimento di rifiuti, nell'ambiente lavorativo dove per anni aveva operato il dante causa degli odierni ricorrenti; e, dall'altro, ritenuto non provato il nesso di causalità tra tale ambiente lavorativo e il mesotelioma pleurico che aveva cagionato la morte del signor E.E. , avendo le due c.t.u. espletate nel corso del giudizio di appello dato risposte contraddittorie fra loro soltanto quanto all'epoca di insorgenza della malattia; mentre entrambe le c.t.u. avevano ritenuto che il lavoratore fosse stato esposto all'amianto durante tutta la propria storia lavorativa (essendo state le due c.t.u. difformi soltanto in relazione alla valutazione dei tempi di latenza del mesotelioma e del suo carattere dose correlato o meno).

2. Con il secondo motivo si sostiene la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1218 e 2697 c.c. in relazione all'articolo 360, numero 3 c.p.c. per avere la sentenza impugnata negato che fosse emersa la prova di inadempimenti datoriali o di colpevoli comportamenti omissivi di OTIS che potessero aver cagionato la patogenesi lamentata.

3. Col terzo motivo si sostiene la nullità della sentenza e del procedimento per falsa applicazione del principio di non contestazione di cui all'articolo 115 c.p.c. in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 4 c.p.c. in relazione ai documenti ex adverso prodotti, laddove il principio di non contestazione riguarda i fatti e non le prove.

4.- Col quarto motivo si deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione del diritto alla prova costituzionalmente garantito dagli articoli 24 e 111 Cost., in relazione all'articolo 360, n. 4 c.p.c. per avere la Corte d'Appello non ammesso le prove dedotte dai ricorrenti per dimostrare la prolungata e notevole esposizione ad amianto del signor E.E. Esposito nell'esercizio delle sue mansioni in OTIS, salvo puoi dire che non sarebbe stata fornita la prova del nesso di causa.

5.- Col quinto motivo si sostiene la violazione e la falsa applicazione degli articoli 2727 e 2729, comma 1 c.c. in relazione all'articolo 360, numero 3 c.p.c. per avere la sentenza impugnata utilizzato delle presunzioni in violazione delle norme che le regolano.

6.- I motivi di ricorso possono essere esaminati unitariamente per la connessione logica giuridica da cui sono legati. Essi sono fondati, nei limiti e nei termini di seguito indicati.

7.- La sentenza presenta errori logici e di diritto (in iudicando ed in procedendo) laddove, in primo luogo, ha errato a ritenere necessario il superamento dei limiti c.d. TLV ai fini della prova del nesso di causa tra esposizione e mesotelioma ovvero ad ipotizzare la necessità dell'accertamento del nesso di causalità attraverso la prova di un'esposizione c.d. qualificata.

8. Deve essere premesso in proposito che il tema dell'accertamento del nesso di causalità nelle malattie professionali rappresenta uno snodo peculiare all'interno del nostro ordinamento rispetto al quale il giudice del lavoro deve saper mantenere un approccio articolato ed orientare il giudizio in base ai differenti statuti della causalità che vengono in rilievo a seconda della natura della domanda svolta nel processo, posto che l'ottica giuslavoristica può coinvolgere, talvolta anche all'interno dello stesso giudizio, ciascuno dei tre ambiti giuridici (civile, penale e previdenziale) in cui l'accertamento della causalità assume rilevanza costitutiva.

9.- Ed invero, com'è noto (Cass. n. 17655/2020), se si vogliono accordare tutti i rimedi riparatori previsti dall'ordinamento al lavoratore tecnopatico o agli eredi occorre anzitutto accertare in via pregiudiziale ed incidentale anche l'esistenza oggettiva del fatto reato procedibile d'ufficio, dovendo altrimenti operare (in caso di operatività dell'assicurazione obbligatoria INAIL, che peraltro non è universale) la regola del "parziale esonero" del datore dalla stessa responsabilità civile ex artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 65.

Senza l'accertamento incidentale, sul piano oggettivo, di una fattispecie di reato procedibile d'ufficio al lavoratore ed agli eredi non spetta infatti la liquidazione del danno differenziale rispetto a quanto erogato dall'Inail; ed al limite potrebbe spettare il solo danno c.d. complementare, estraneo all'oggetto della copertura assicurativa sociale ed alla regola dell'esonero prima ricordata.

10.- E tale accertamento deve avvenire secondo le regole del giudizio civile, posto che, come ricorda la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 12041/2020), " la disciplina prevista dagli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965 deve essere interpretata nel senso che l'accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato, sia nel caso di azione proposta dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno cd. differenziale, sia nel caso dell'azione di regresso proposta dall'Inail, deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all'elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale fra fatto ed evento dannoso."

11.- Occorre in particolare mettere in evidenza come ciascuno di questi ambiti che possono venire simultaneamente in rilievo davanti al giudice del lavoro (penalistico, civilistico, previdenziale) presenta un diverso statuto probatorio della causalità; posto che, sotto questo aspetto, nel giudizio penale vale la regola dell'accertamento oltre ogni ragionevole dubbio; mentre in ambito civile vale il meno rigoroso "più probabile che non" (Cass. SS.UU. n. 576 del 2008; Cass. SS.UU. n. 23197 del 2018); in ambito previdenziale, invece, riguardo alle più diffuse malattie professionali, il nesso di causa è (spesso, ma non sempre) addirittura tabellato e quindi presunto sulla base delle previsioni del Tu n. 1124/65 le quali richiedono di provare soltanto l'esposizione al rischio e la malattia.

12.- Per contro, per quanto concerne il piano sostanziale della disciplina del nesso causale ovvero delle condizioni giuridiche occorrenti per la sua individuazione del nesso, secondo la giurisprudenza che si è consolidata - e fatta salva la ricordata regola della tabellazione - ogni settore del diritto è regolato dal medesimo principio di equivalenza delle cause (artt. 40 e 41 c.p.); per cui, al fine di ricostruire il legame causale, occorre tener conto di qualsiasi fattore, anche indiretto, remoto o di minore spessore, sul piano eziologico, che abbia concretamente cooperato a creare nel soggetto una situazione tale da favorire comunque l'azione dannosa di altri fattori o ad aggravarne gli effetti, senza che possa riconoscersi rilevanza causale esclusiva soltanto ad uno dei fattori che abbiano operato nella serie causale.

In punto da ultimo, Cass. n. 28458 del 05/11/2024 secondo cui "in tema di risarcimento del danno, una volta accertata la presenza di uno dei fattori di rischio (nel caso di specie l'esposizione all'amianto), che scientificamente si pongono come idonei antecedenti causali della malattia, prima, e del decesso, poi, va affermata la sussistenza del nesso di causalità tra quel fattore di rischio e la malattia e quindi il decesso, anche eventualmente in termini di concausalità, in presenza della non occasionale esposizione all'agente patogeno, di determinate modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, dell'assenza di strumenti di protezione individuale, salvo che sussista altro fattore, estraneo all'attività lavorativa e/o all'ambiente lavorativo, da solo idoneo a determinare la malattia e/o, poi, il decesso.

13.- Pertanto solo qualora possa ritenersi con certezza che l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa sia stato di per sé sufficiente a produrre l'infermità che ha portato al decesso il lavoratore deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (Cass. 26 marzo 2015 n. 6105; Cass. 11 novembre 2014 n. 23990); mentre per contro va negato che la modesta efficacia del fattore professionale sia sufficiente ad escludere l'operatività del principio di equivalenza causale (Cass. 12 ottobre 1987 n. 7551, Cass. 8 ottobre 2007 n. 21021).

Deve perciò evidenziarsi che l'ordinamento vigente ammette il giudizio sulla correlazione causale tra fatto ed evento anche in termini di apporto concausale. Ciò significa che chi sia stato esposto all'amianto per motivi professionali (anche soltanto ambientali) ha diritto di vedersi riconosciuta l'origine professionale della malattia, quand'anche nel giudizio risultino altre esposizioni o altre condizioni di confondimento (ambientali o legati ad altri fattori extraprofessionali) che non assurgano, però al ruolo di fattori alternativi di tipo esclusivo.

E la ricorrenza di tali fattori alternativi deve essere allegata e dimostrata in giudizio dal datore di lavoro.

14.- Inoltre in relazione alle malattie asbesto correlate, deve essere considerata, attraverso il giudizio demandato al ctu, la rilevanza della dose complessiva (Cass. sentenza n. 18503/2016) posto che il mesotelioma è malattia dose correlata (in cui rilevano le dosi iniziali e quelle successive) caratterizzata dall'effetto acceleratore della latenza; da cui discende che le dosi successive all'iniziazione del processo cancerogenetico possono essere ritenute causali ed inoltre che le misure omesse nel corso del tempo potrebbero diminuire l'intensità dell'esposizione, la progressione della malattia ed allungare la vita del lavoratore esposto; in quanto l'esposizione continuativa, intensa e massiccia diminuisce la latenza della malattia ed influisce perciò sul più rapido decorso della stessa.

15.- Pertanto, ai fini della responsabilità del datore di lavoro è necessario accertare che la malattia che ha afflitto il singolo lavoratore sia insorta, si sia aggravata o si sia manifestata in un più breve periodo di latenza per effetto dell'esposizione a rischio, così come verificata (Cass. sez. IV pen. n. 30206/2013).

16. Va anche considerato che allo scopo, nell'ambito di un giudizio civile, occorre tener conto dell'intera dose complessiva anche sul piano soggettivo della colpa alla luce delle specifiche circostanze di causa (e nella presente si discute di una esposizione che sarebbe durata in base a due ctu dal 1982 fino alla malattia nel 2004); posto che in questa sede lavoristica, venendo in questione l'esistenza della responsabilità patrimoniale del datore di lavoro, deve essere valutata globalmente l'intera esposizione subita dal lavoratore nel corso della sua attività di lavoro presso la medesima azienda e non soltanto il segmento riferibile ad un singolo dirigente o amministratore, come accade ai fini della responsabilità penale.

17.- Altresì errata è l'affermazione contenuta nella sentenza secondo cui una dispersione di amianto espressa in fibre/cc in limiti inferiori a quelli indicati alla luce del D.Lgs. 277/1991 sia tale da non costituire una significativa dispersione dannosa per la salute dei lavoratori.

Laddove com'è noto i tlv indicano soglie di allarme allo scopo di sollecitare il datore ad attivarsi; ma non hanno alcun rilievo sotto il profilo oggettivo del nesso di causa; dato che al contrario di quanto affermato - sulla scorta delle stesse direttive CEE di cui il D.Lgs. n. 277/91 costituisce attuazione - non esiste una soglia di amianto al disotto della quale possa dirsi che non sussista un danno per la salute del lavoratore.

18.- Anche in relazione all'accertamento soggettivo della colpa la sentenza impugnata contiene (a pag. 12) affermazioni apodittiche, contrarie alla giurisprudenza consolidata, sempre sui limiti tlv posto che il comportamento preteso andava ricostruito alla luce delle prove non ammesse e della comprovata esposizione.

I giudici d'appello hanno violato sul punto il consolidato canone interpretativo secondo cui, qualora sia accertato che il danno sia stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro, provare di aver adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, almeno le cautele previste in via generale e specifica dalle norme cautelari dettate dall'ordinamento all'epoca della condotta in materia di polveri (art. 2087 c.c. e D.P.R. 303/1956).

19.- La sentenza richiama i c.d. tlv (i valori limite di esposizione agli agenti chimici), ma sul punto va rilevato che, come risulta dalla stessa lettura dell'art. 21 D.P.R. 303/56 (sulla protezione dei lavoratori dalle polveri), la stessa norma non richieda alcun superamento di limiti per l'adozione delle misure di prevenzione prescritte. Non è previsto ai fini dell'osservanza dell'art. 21 che sia accertata la presenza di determinati limiti espositivi, essendo solo sufficiente che si sviluppino polveri nocive di qualsiasi specie (visibili ed invisibili).

20.- Inoltre, la giurisprudenza ha sempre statuito che l'inosservanza dei c.d. tlv non assurge ad elemento necessario per l'integrazione dei reati di cui agli artt. 20 e 21 D.P.R. 303/56, dal momento che l'obbligo di prevenzione contro gli agenti chimici scatta a carico del datore di lavoro pur quando le concentrazioni atmosferiche non superino determinati parametri quantitativi, ma risultino comunque tecnologicamente passibili di ulteriore abbattimento (Cass. sez. IV 11.5.1998, in F.I. 1998, II, 236 ss.)

21.- Di più, la stessa giurisprudenza di legittimità intende i valori limite come soglie d'allarme il cui superamento - fermo restando il dovere di attuare sul piano oggettivo le misure tecniche, organizzative e procedurali concretamente realizzabili per eliminare o ridurre al minimo i rischi - comporta l'avvio di un'ulteriore e complementare attività di prevenzione per proteggere alcuni lavoratori particolarmente esposti e per agire sui tempi di esposizione, in modo da favorire il rapido rientro in limiti meno rischiosi. Perciò, mai la tutela dei lavoratori alle polveri di amianto - con l'adozione delle misure via via, concretamente disponibili sul piano tecnico- è stata subordinata nel nostro ordinamento all'accertamento del superamento di determinate concentrazioni di polveri, nel senso che in mancanza di tale superamento il datore fosse esentato dalla legge dall'adozione delle misure dettate dalla legge in generale per tutti i lavoratori e per proteggere l'ambiente di lavoro.

22.- Deve essere qui ricordato che, prima del D.Lgs. 277/91, il superamento di valori limite (via via stabiliti dalla comunità scientifica) era richiesto nel nostro ordinamento soltanto per imporre il pagamento in sede assicurativa del premio supplementare per asbestosi a carico di alcuni datori di lavoro che svolgevano specifiche attività previste in tabella o che comunque esponevano al rischio alcuni lavoratori (in quantità tale da determinare il rischio). Obbligati al pagamento del premio erano solo alcuni datori di lavoro ed il premio doveva essere corrisposto prendendo in considerazione le retribuzioni corrisposte non a tutti i lavoratori esposti, bensì solo agli operai che erano fortemente esposti e per i quali l'esposizione poteva rappresentare un rischio diretto di contrarre l'asbestosi. Il limite della "concentrazione tale da determinare il rischio" nell'ambito del sistema assicurativo valeva perciò solo nell'ottica del premio assicurativo, nella logica del finanziamento del sistema, in ambito statistico attuariale; senza peraltro che lo stesso limite abbia mai esercitato alcun effetto ai fini della determinazione dell'ambito di operatività della tutela al lavoratore (come dice espressamente la tabella allegata al D.P.R. 1124/65).

23.- Pertanto i tlv non hanno alcun rilievo ai fini della colpa (da individuare in base alle norme vigenti in materia di igiene del lavoro e di prevenzione dalle polveri di qualsiasi specie); e ne hanno ancora meno ai fini del nesso di causa in una malattia che è definita dose dipendente nel senso che conta l'intensità delle dosi che si accumulano nell'organismo soprattutto in ragione della durata dell'esposizione nel corso del tempo.

24.- La sentenza gravata è pertanto contraddittoria anche sul piano della motivazione perché parla del mesotelioma come malattia dose correlata, ma poi non tiene conto della dose nociva che si accumula col tempo, posto che il lavoratore deceduto sarebbe stato potenzialmente esposto ad una dose di amianto per oltre 30 anni presso la datrice di lavoro convenuta.

25.- Il concetto di malattia dose correlata non può essere coerente col fatto che sia stata pregiudizialmente esclusa (in quanto non significativa) l'esposizione più rilevante, almeno, sotto il profilo temporale, in quanto più duratura.

26.- La pronuncia ha errato anche a non considerare che il riconoscimento della malattia da parte dell'Inail per esposizione all'amianto pur non essendo un elemento assorbente o di prova legale ai fini del nesso di causa è comunque un elemento da considerare almeno ai fini della prova del fattore di rischio e dell'esposizione all'agente nocivo (posto che la malattia è sì tabellata ma in quanto sia provata l'esposizione all'amianto, sia pure non qualificata).

27.- Inoltre, la sentenza è stata adottata in violazione degli art. dagli articoli 24 e 111 Cost., e con violazione dell'art. 115 c.p.c. perché ha affermato che non è stata provata l'esposizione nociva o addirittura (con doppio errore) qualificata (che invece è richiesta ai fini dei benefici pensionistici amianto ex legge 257/1992 e succ. mod.) e, nello stesso tempo, non ha ammesso le prove decisive che gli eredi del lavoratore avevano puntualmente articolato per provare proprio l'esposizione ed il nesso di causa.

28. Infine le affermazioni sulla mancata contestazione specifica delle indagini sulla presenza di amianto negli ascensori risultano effettuate in violazione dell'art. 115 c.p.c. che non riguarda le prove bensì i fatti.

29.- Mentre le presunzioni tratte dalla mancata partecipazione del de cuius alla rimozione dei ferodi nel 2005, dal mancato decesso di altri lavoratori, dal concorso del fumo di sigaretta (in un mesotelioma), dalla presenza di amianto sulle navi Tirrenia, risultano in violazione degli artt. 2727 e ss. c.c. in quanto dedotte da fatti privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza ai fini dell'inferenza della conseguenza ignota.

30. In conclusione, i motivi di ricorso devono essere accolti nei termini indicati. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra affermati e liquiderà altresì le spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.


La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che liquiderà altresì le spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196/2003 e succ. mod., in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei ricorrenti.

Così deciso in Roma all'udienza del 9 gennaio 2025.

Depositata in Cancelleria il 17 febbraio 2025.