Cassazione Penale, Sez. 4, 04 marzo 2025, n. 8873 - Caduta del lavoratore: mancanza di idoneo parapetto nella rampa e ingombro di materiali nel piazzale. Luoghi di lavoro
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente
Dott. BELLINI Ugo - Consigliere
Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere
Dott. ARENA Maria Teresa - Consigliere
Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato a C il (omissis);
avverso la sentenza del 25/03/2024 della CORTE APPELLO di BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI;
lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore SILVIA SALVADORI, che ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata con riferimento al trattamento sanzionatorio e il rigetto nel resto del ricorso.
Fatto
1. La Corte di Appello di Bari, in data 25 marzo 2024, ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Foggia del 27 aprile 2021 nei confronti di A.A., amministratore unico della "Gruppo Alimentare Spa" e perciò datore di lavoro, in ordine al reato di cui all'art. 590 cod. pen., in danno del lavoratore dipendente B.B., commesso in C il 17 agosto 2017.
1.1. Il processo ha ad oggetto un infortunio sul lavoro ricostruito nelle conformi sentenze di merito nel modo seguente. Il dipendente B.B., all'interno della ditta su indicata, al termine del suo turno di lavoro, mentre stava scendendo la rampa priva di parapetto, che conduce dal reparto imbottigliamento al piazzale esterno, parlando con un collega, non si era avveduto della fine della rampa stessa ed era caduto da un'altezza di 40 cm; nell'atterraggio era rimasto con un piede incastrato in un pallet, in precedenza utilizzato per caricare del materiale e lasciato sul piazzale al di sotto della rampa e, nel tentativo di rialzarsi, aveva perso l'equilibrio, cadendo a terra all'indietro; a seguito della caduta aveva riportato lesioni gravi, consistite nella frattura della tibia e del malleolo peroneale sx, dalle quali era derivata una malattia della durata di 43 giorni.
1.2. All'imputato, quale profilo di colpa, è stata addebitata la violazione dell'art. 64 comma 1 lett. a) (in relazione al punto 1.4.10 e al punto 1.7.3 dell'allegato IV) del D.Lgs. n. 9 aprile 2008 n. 81, per non avere provveduto a dotare di idoneo parapetto la rampa e per non essersi assicurato che il piazzale non fosse ingombro di materiali.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, formulando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e in specie la violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato. Dall'istruttoria era emerso che gli ispettori avevano contestato al A.A. omissioni riconnesse al punto n. 1.3.13 dell'allegato IV, cui rimandano gli artt. 63 e 64 del D.Lgs. n. 81/2008, quando invece la fattispecie contestata rientrava più propriamente nelle diverse prescrizioni di cui al successivo punto n. 1.7.3, che prevedevano anche la esimente dell'obbligo della predisposizione di parapetto nel caso di altezza di rampa inferiore a metri due, come nel caso di specie; inoltre nel capo di imputazione era contestata l'occupazione della rampa con materiali ingombranti, quando invece tali materiali, sui quali la persona offesa era inciampata, si erano trovati non già sulla rampa, bensì al di sotto di essa. La Corte d'Appello, nonostante le doglianze mosse in sede di impugnazione, aveva affermato che la difesa era stata messa nelle condizioni di contestare i fatti oggetto dell'imputazione, quando invece la riqualificazione dell'imputazione era avvenuta solo con la sentenza di primo grado, confermata da quella impugnata, senza che l'imputato avesse potuto tempestivamente interloquire su una circostanza dirimente, perché scriminante il fatto di reato contestato.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso eziologico tra le omissioni e l'evento dannoso. Dopo che la difesa aveva rilevato che nel caso di specie l'evento si era verificato per un caso fortuito, la Corte di appello, nel rigettare tale doglianza, non aveva tenuto conto che la caduta si era verificata da un'altezza di soli 40 cm., era stata provocata da una fatale distrazione di B.B. (il quale aveva camminato, conversando con la testa girata rispetto al piano di calpestio della rampa) e di per sé non aveva provocato alcun danno, posto che l'incastro del piede nel pallet sarebbe stato privo di conseguenze, ove il dipendente, in luogo di rialzarsi, avesse chiesto aiuto ai presenti. Le triplici ragioni interruttive del nesso causale e l'eccentricità ravvisabile rispetto al rischio lavorativo escludevano, dunque, secondo il difensore, qualsivoglia nesso eziologico.
2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza e alla mancata applicazione della sanzione sostitutiva della multa ex art. 53 legge 24 novembre 1981 n. 689. Sotto il primo profilo, il difensore osserva che la Corte, al fine di negare il giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle circostanze aggravanti, aveva valorizzato la notevole gravità delle lesioni, pretermettendo il rilievo che nel determinismo causale dell'evento aveva avuto la "distrazione" della vittima, e aveva, altresì, dato rilievo alla personalità dell'imputato, non considerando che questi era uno stimato imprenditore di 65 anni, benvoluto dai dipendenti e dalla stessa vittima.
La Corte - prosegue il difensore - avrebbe, piuttosto, dovuto valorizzare la positiva condotta di A.A., che aveva immediatamente ottemperato alle prescrizioni imposte dalla Asl, aveva pagato la sanzione amministrativa e aveva, altresì, collaborato per la celere e chiara ricostruzione dei fatti in sede processuale. Gli stessi elementi avrebbero dovuto indurre la Corte ad accogliere la richiesta di sostituzione della pena detentiva nella pena pecuniaria, rigettata, in maniera illogica, in ragione della asserita impossibilità di "effettuare una prognosi di adempimento della stessa", pur essendo l'imputato il legale rappresentante di una fiorente società per azioni operante nel settore agro-alimentare.
3. Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto Silvia Salvadori, ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata con riferimento al trattamento sanzionatolo e il rigetto nel resto del ricorso.
Diritto
1. Il ricorso è fondato quanto al terzo motivo, con riferimento al rigetto della sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria e deve essere rigettato nel resto.
2. Il primo motivo, con cui si sostiene che la condanna sia stata pronunciata per un fatto diverso da quello contestato, è infondato.
Occorre prendere le mosse dal principio espresso dalle Sezioni Unite secondo cui, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 Carelli, Rv. 24805101). L'immutazione del fatto, ai fini della eventuale applicabilità dell'art. 521 cod. proc. pen., dunque, è solo quella che modifica radicalmente la struttura della contestazione, in quanto sostituisce il fatto tipico (condotta, nesso di causalità e elemento psicologico) e, per conseguenza di essa, la fattispecie contestata risulta completamente diversa da quella contestata, al punto da essere incompatibile con le difese apprestate dall'imputato per discostarsene (Sez. 4 n. 18366 del 17/01/2024, T., Rv. 286379 - 01 in motivazione).
Così perimetrata, ai fini che interessano, la nozione di fatto diverso, secondo il difensore il principio in esame sarebbe stato violato sotto due diversi profili.
In primo luogo - si afferma nel ricorso - la Asl aveva contestato all'imputato omissioni riconnesse al punto 1.3.13 dell'allegato IV cui rimandano gli artt. 63 e 64 D.Lgs. n. 81/2008, mentre nella realtà nel caso in esame venivano in rilievo le diverse prescrizioni di cui al successivo punto 1.7.3 che prevedono, peraltro, specifica esimente dall'obbligo di predisposizione del parapetto, se l'altezza della rampa risulta inferiore a due metri. In secondo luogo, nell'istruttoria era emerso che il pallet, che ingombrava il passaggio e su cui era inciampata la persona offesa, si trovava sul piazzale e non sulla rampa.
Le censure, cosi formulate, non si confrontano con il percorso argomentativo della sentenza impugnata nella quale si è spiegato che:
- ai sensi del punto 1.7.3 il parapetto non è previsto per i piani di caricamento, mentre è obbligatorio per le rampe di accesso: i giudici hanno spiegato in maniera articolata le ragioni per cui quella da cui era caduto B.B. era una rampa di accesso e non un piano di carico;
- nel capo di imputazione era chiaramente indicato, nella parte in cui era ricostruita la dinamica dell'infortunio, che il pallet su cui B.B. era inciampato era posizionato sul piazzale e non sulla rampa; l'art. 64 comma 1 lett. a), D.Lgs. n. 81/2008 rimanda al punto 1.4.10 dell'allegato IV secondo cui "i pavimenti e i passaggi non devono essere ingombrati da materiali che ostacolino la normale circolazione".
Il fatto, prosegue la Corte, era stato contestato in maniera chiara e l'imputato era stato messo in condizione di difendersi dalla imputazione per cui era stato condannato, fin dall'inizio del giudizio.
La motivazione adottata non si presta a censure, posto che il fatto ritenuto in sentenza per il quale è stata pronunciata condanna non è in alcun modo eterogeneo rispetto a quello contestato ed è ricollegabile alla violazione delle prescrizioni di cui all'art. 64 D.Lgs. n. 81/2008 riportato nel capo di imputazione. La mancanza del parapetto e l'ingombro del piazzale con materiali sono stati indicati quali profili di colpa fin dalla formulazione della imputazione ascritto a A.A. e l'istruttoria svoltasi nel corso del processo è stata incentrata su entrambi tali profili. Prima ancora che la mancata lesione del diritto di difesa, dunque, nel caso in esame, al fine di escludere la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., rileva la piena coincidenza dell'addebito di cui all'imputazione con i fatti accertati nel corso del processo, per i quali il ricorrente è stato condannato.
3. Il secondo motivo, relativo alla presunta interruzione del nesso di casualità fra la condotta e l'evento per effetto del comportamento del lavoratore ritenuto abnorme, è manifestamente infondato. In tema di infortuni sul lavoro, il principio informatore della materia è quello per cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (Sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, Rv.). All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4 n. 15124 del 13712/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; Sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT c/ Musso Paolo, Rv. 275017), oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222). In ogni caso "perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un rischio eccentrico, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio del comportamento imprudente" (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 27624201).
La Corte, facendo applicazione di tali principi, ha rilevato che la condotta del lavoratore non poteva essere considerata neanche in astratto anomala. Le ragioni con cui il giudice d'appello ha illustrato l'esclusione della condotta di B.B. dall'alveo della c.d. abnormità sono in linea con i principi su indicati. Invero da un lato, il lavoratore si è infortunato al termine del proprio turno di lavoro e le regole cautelari violate, ovvero la mancata apposizione del parapetto e l'aver consentito che il piazzale fosse ingombro di materiali, erano volte a prevenire i rischi connessi a sue eventuali disattenzioni; dall'altro, la condotta della persona offesa, consistita nel tentare di rialzarsi dopo che il suo piede era rimasto incastrato nel pallet appare esente da qualsivoglia profilo di colpa.
4. Il terzo motivo, con cui si censura il trattamento sanzionatorio, è fondato quanto alla mancata applicazione delle sanzioni sostitutive.
4.1. La censura relativa alla formulazione del giudizio di bilanciamento delle circostanze è infondata. Invero è noto che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti e al giudizio di bilanciamento, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione se dà conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. o richiama alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197). Il giudizio di bilanciamento è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto espressione del potere discrezionale nella valutazione dei fatti e nella concreta determinazione della pena demandato al giudice del merito, purché la motivazione sia aderente ad elementi tratti obiettivamente dalle risultanze processuali e sia, altresì, logicamente corretta. In ragione di tali principi il richiamo da parte della corte territoriale alla gravità del reato, sotto il profilo della conseguenze derivatene per la vittima, ovvero ad uno dei parametri di cui all'art. 133 cod. pen. al fine di giustificare il bilanciamento solo in termini di equivalenza, è coerente e non illogico.
4.2. La doglianza coglie nel segno, invece, con riferimento al rigetto da parte della Corte della richiesta di sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria.
La Corte di Appello, nel dare atto che il computo della pena era conforme alla gravità del fatto accertato e alla personalità dell'imputato, ha rigettato anche la richiesta di sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria, rilevando che l'imputato non aveva allegato elementi idonei ai fini della quantificazione e che non sussistevano elementi per effettuare una prognosi di adempimento (pag. 10). Come rilevato dal ricorrente, la motivazione adottata dalla Corte, sotto tale specifico profilo, appare insufficiente se non addirittura apparente, in quanto apodittica ed è, comunque, non rispettosa del dettato normativo.
4.2.1. Il D.Lgs. n. 10 ottobre 2022 n 150 ha ridisegnato il sistema delle sanzioni sostitutive previsto dalla legge n. 689/81.
Per quanto di interesse in relazione al profilo che viene in rilievo, si osserva che la disciplina dell'esercizio del potere discrezionale del giudice è dettata dall'art. 58 della legge n. 689/1981. Nel testo previgente alla riforma, tale articolo richiedeva al giudice, chiamato a valutare se applicare una pena sostitutiva, di tenere conto dei criteri indicati dall'art. 133 del codice penale e prevedeva che egli dovesse scegliere quella più idonea al reinserimento sociale del condannato. Il novellato art. 58 stabilisce che il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati dall'art. 133 del codice penale, se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. Pressoché invariata è rimasta la previsione per cui la pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato: mentre il previgente art. 58 stabiliva che il giudice non potesse sostituire la pena detentiva nel caso in cui avesse presunto che le prescrizioni non sarebbero state adempiute, il novellato art. 58, come detto, preclude tale possibilità quanto si abbia fondato motivo di ritenere l'inadempimento delle prescrizioni da parte dell'imputato. La nuova formulazione risponde alla esigenza di ancorare la valutazione del giudice a dati oggettivi e non meramente presuntivi.
4.2.2. Si tratta, dunque, di stabilire se la dizione relativa all' inadempimento delle prescrizioni sia riferibile anche alla pena pecuniaria. In proposito il collegio ritiene di aderire all'orientamento, già affermato dalle Sezioni Unite, per cui la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria è consentita anche in relazione a condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate, in quanto la prognosi di inadempimento, ostativa alla sostituzione in forza dell'art. 58, secondo comma, L. 24 novembre 1981 n. 689 ("Modifiche al sistema penale"), si riferisce soltanto alle pene sostitutive di quella detentiva accompagnate da prescrizioni, ossia alla semidetenzione e alla libertà controllata, e non alla pena pecuniaria sostitutiva, che non prevede alcuna particolare prescrizione (Sez. U, n. 24476 del 22/04/2010, Gagliardi Rv. 247274 - 01 con cui si affermato che, nell'esercitare il potere discrezionale di sostituire le pene detentive brevi con le pene pecuniarie corrispondenti, il giudice deve tenere conto dei criteri indicati nell'art. 133 cod. pen., tra i quali è compreso quello delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell'imputato, ma non quello delle sue condizioni economiche). Tale principio è stato ribadito dalla giurisprudenza successiva (Sez. 4, n. 37533 del 09/06/2021, Pizziconi, Rv. 281928; Sez. 3, n. 17103 del 08/03/2016, Bolognini, Rv. 266639; Sez. 6, n. 36639 del 10/07/2014, Sgura, Rv. 260333) ed è stato confermato anche dopo la modifica dell'art. 58 L. n. 689/81 ad opera della Riforma Cartabia: si è, infatti, precisato che il disposto dell'art. 56-quater della legge 24 novembre 1981, n. 689, introdotto dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, individuando un ampio intervallo tra il valore minimo ed il valore massimo di conversione giornaliero, permette al giudice di accedere ad una determinazione che, tenendo conto delle condizioni economiche del soggetto, al contempo garantisca il rispetto delle finalità rieducative e di prevenzione proprie della pena (Sez. 6 n. 29192 del 28/05/2024, Cerasoli, Rv. 286771).
Il diverso orientamento espresso da Sez. 2, n. 15927 del 20/02/2024, Cisse, Rv. 286318 - 01 secondo cui "il giudice può rigettare la richiesta di applicazione della sanzione pecuniaria, pur concedibile a colui che si trovi in disagiate condizioni economiche, nel caso in cui formuli, in base ad elementi di fatto, un giudizio sulla solvibilità del reo con prognosi negativa in ordine alla capacità di adempimento", nel richiamare il fatto che il giudice nell'esercizio del potere di sostituzione deve tenere conto dei criteri indicati nell'art. 133 cod. pen., non tiene conto di come le Sezioni Unite con la sentenza su indicata abbiano chiarito che tra detti criteri non è compreso quello delle condizioni economiche.
4.2.3. Il percorso argomentativo adottato dalla Corte di Appello, dunque, deve essere censurato, in quanto fonda il rigetto della richiesta di sostituzione su una presunta impossibilità di adempiere da parte dell'imputato, che, quand'anche motivata, sarebbe, comunque, irrilevante, ai fini della applicazione della sanzione sostitutiva della pena pecuniaria.
Anche il riferimento alla mancanza in atti di elementi per procedere alla quantificazione della pena pecuniaria non appare corretto, posto che proprio i poteri di indagine ascritti al giudice, oggi incanalati nel particolare ed eventuale percorso processuale di cui all'ultimo periodo del primo comma 545-bis cod. proc. pen. interno al giudizio di cognizione, consentono di ovviare a tale mancanza "garantendo un esercizio quanto più coerente e puntuale del relativo potere discrezionale, così da rapportare al meglio la pena da irrogare alle effettive connotazioni economiche e patrimoniali dell'imputato all'uopo accertate"(così espressamente Sez. 6, n. 29192 del 28/05/2024, cit.).
5. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla questione relativa alla irrogabilità delle sanzioni sostitutive ex art. 20-bis cod. pen., con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Bari.
Il ricorso deve essere rigettato nel resto.
Ai sensi dell'art. 624 cod. proc. pen. deve essere dichiara l'irrevocabilità della declaratoria di responsabilità.
Infine deve essere disposto l'oscuramento dei dati sensibili relativi alla persona offesa.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla questione relativa alla irrogabilità delle sanzioni sostitutive ex art. 20-bis c.p. e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Bari. Rigetta nel resto il ricorso. Dichiara l'irrevocabilità della declaratoria di responsabilità. Oscuramento dati sensibili.
Deciso in Roma, il 28 gennaio 2025.
Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2025.