Cassazione Civile, Sez. Lav., 06 marzo 2025, n. 5940 - Offese al collega e licenziamento per giusta causa. Reintegra no, risarcimento si


 


Presidente Esposito – Relatore Panariello

 

Rilevato che

1.- A.F. era stato dipendente di (OMISSIS) srl da giugno 1999 fino al 26/05/2021, quando era stato licenziato per giusta causa sulla base dell'addebito disciplinare di aver rivolto a S.G., suo collega di lavoro, espressioni offensive quali “(OMISSIS)”, “(OMISSIS)”, “(OMISSIS)”, in presenza di un terzo dipendente.

Adìva il Tribunale di Firenze per ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento, il suo annullamento e la tutela di cui all'art. 18, co. 4, L. n. 300/1970, sia per insussistenza del fatto addebitato, sia per violazione procedurali dell'art. 7 L. n. 300/1970 e, in subordine, per ottenere la tutela indennitaria di cui ai commi 5^ oppure 6^ dell'art. 18 cit.

2.- Costituitosi il contraddittorio, escussi due testimoni, all'esito della fase sommaria, prevista dal rito introdotto dalla legge n. 92/2012, il Tribunale riteneva sussistente un licenziamento per giustificato motivo soggettivo e pertanto limitava la condanna della società al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso. Poi con sentenza rigettava l'opposizione del lavoratore.

3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d'Appello, in parziale accoglimento del gravame interposto da A.F., ravvisava la sproporzione della sanzione espulsiva rispetto al fatto accertato e quindi dichiarava risolto il rapporto di lavoro alla data del 26/07/2021 e condannava la società a pagare ad A.F. l'indennità risarcitoria ex art. 18, co. 5, L. n. 300/1970, che liquidava nella somma di euro 59.960,88.

Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:

a) accertato il fatto nella sua materialità, non può dirsi che si tratti di espressioni innocue, in quanto dimostra una forma di comunicazione apertamente sprezzante ed ostile;

b) tuttavia il gravame è fondato con riguardo alla valutazione della gravità del fatto;

c) non può condividersi il convincimento del Tribunale circa la sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, atteso che il licenziamento è sempre l'extrema ratio;

d) sul piano della proporzione si è in presenza di un'intemperanza verbale del lavoratore certamente grave, a prescindere dal fatto che il G. fosse oppure no un suo superiore gerarchico (fatto non desumibile chiaramente dagli organigrammi prodotti dalle parti); tuttavia si è trattato di un singolo episodio, non è trasceso oltre sull'andamento del lavoro, non ha arrecato danno all'azienda;

e) sul piano del contratto collettivo, si è al di fuori delle previsioni di cui all'art. 10, lett. A), che prevede il licenziamento con preavviso per insubordinazione, rissa, danneggiamento materiale di beni aziendali, svolgimento del lavoro per conto proprio, condanna per un reato infamante; si è al di fuori anche delle previsioni di cui all'art. 10, lett. B), che prevede il licenziamento per giusta causa già esclusa dal Tribunale, senza reclamo incidentale da parte della società;

f) la condotta dell'A.F. in termini di arroganza dimostrata nei confronti di un collega, in presenza di altro dipendente, avrebbe dovuto essere sanzionata con la sospensione, laddove il licenziamento è sanzione eccessiva, essendosi trattato di un “momentaneo scatto di rabbia”;

g) ne consegue la tutela risarcitoria di cui all'art. 18, co. 5^, L. n. 300/1970.

4.- Avverso tale sentenza A.F. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

5.- (OMISSIS) srl ha resistito con controricorso.

6.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.

 

Considerato che

1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione/falsa applicazione” dell'art. 18 L. n. 300/1970 per avere la Corte d'appello applicato la tutela di cui al comma 5^ piuttosto che quella di cui al comma 4^, pur avendo ravvisato l'insussistenza del giustificato motivo soggettivo e della giusta causa.

Il motivo è infondato.

L'art. 18, co. 4^, L. n. 300/1970 prevede la tutela c.d. reale (sia pure attenuata) della reintegrazione soltanto nel caso in cui il giudice “accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”.

Quindi ai fini della tutela invocata dal ricorrente non basta che sia ritenuto insussistente il giustificato motivo soggettivo (o la giusta causa), ma è necessario che, all'esito del giudizio di merito, si accerti che il fatto non sussista sul piano della sua storicità (fatto materiale) o della sua rilevanza disciplinare (fatto giuridico), oppure che sia previsto come punibile con sanzione conservativa.

Nessuna di queste fattispecie ricorre nel caso in esame, né il ricorrente si perita di indicare l'eventuale clausola del contratto collettivo (o del codice disciplinare aziendale) che preveda in ipotesi espressamente la condotta – in concreto a lui contestata sul piano disciplinare – come punibile con sanzione conservativa.

E' soltanto sul piano dell'apprezzamento della proporzione sanzionatoria che la Corte territoriale si è spinta a ritenere che al massimo la condotta in concreto accertata sarebbe stata sanzionabile con una sospensione dal servizio e dalla retribuzione.

2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. il ricorrente lamenta l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti. In particolare addebita alla Corte territoriale di aver omesso l'esame del settimo motivo di reclamo relativo alla violazione del diritto di difesa per errata contestazione degli addebiti, per essere stata richiamata nella lettera di licenziamento la violazione dell'art. 2105 c.c. invece mai contestata.

Il motivo – previa conversione in quello esatto di omessa pronunzia, quindi ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c., e di conseguente violazione dell'art. 112 c.p.c. – è infondato. Infatti, nel caso in esame l'omessa pronunzia non sussiste, dal momento che, a pag. 6 della sentenza impugnata, i giudici del reclamo hanno affermato: “All'esito del procedimento disciplinare, poi, non vi è stato alcun mutamento del fatto contestato. La lettera di licenziamento richiama in effetti l'art. 2105 c.c., che, avendo ad oggetto l'obbligo di fedeltà, nel caso in esame è fuori questione, sicché è evidente che si tratta di un errore materiale; ciò che conta, comunque, è che l'addebito contestato non è mai cambiato ...”

3.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.
 


La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.

Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell'art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.