Cassazione Civile, Sez. Lav., 10 marzo 2025, n. 6317 - Limiti del potere datoriale in caso di licenziamento disciplinare



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAGETTA Antonella - Presidente

Dott. PONTERIO Carla - Consigliere

Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere

Dott. BOGHETICH Elena - Consigliere-Rel.

Dott. CIRIELLO Antonella - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA
 


sul ricorso 15500-2023 proposto da:

GNL ITALIA Spa (già SNAM Spa), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 203, presso lo studio dell'avvocato MANLIO ABATI, che la rappresenta e difende;

ricorrente

contro

A.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati SILVIA BARBACCI, MARCO BOSCHERINI;

controricorrente

avverso la sentenza n. 646/2023 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 05/06/2023 R.G.N. 1338/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2025 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

 

Fatto



1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'Appello di Milano, in riforma del provvedimento del giudice di primo grado, ha accolto le domande proposte da A.A. nei confronti della società G.N.L. Italia Spa accertando la illegittimità del licenziamento intimato per giusta causa in data 22.3.2021 e applicando la tutela dettata dall'art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970.

2. La Corte territoriale, per quel che interessa, ha ritenuto che la lettera di contestazione disciplinare comunicata al lavoratore addebitava non solo il rifiuto di consegnare una sentenza penale di patteggiamento che lo aveva riguardato (sentenza del Tribunale di La Spezia n. 404 del 2014) ed una di condanna non definitiva (sentenza del Tribunale di La Spezia del 2020) ma altresì i comportamenti che avevano determinato tali pronunce; ha, poi, rilevato che il rifiuto di consegnare la sentenza emessa dal giudice penale nel 2020 (per il reato di cui all'art. 609 bis c.p.) era comportamento già sanzionato tramite sanzioni conservative via via più afflittive (e, pertanto, il provvedimento espulsivo rappresentava un bis in idem, anche perché la reiterazione delle richieste da parte della società e i reiterati rifiuti costituivano un comportamento sostanzialmente unitario), che, inoltre, il lavoratore aveva tempestivamente informato la società in occasione del rinvio a giudizio (nel 2017) e della condanna (tramite invio di numerosi atti, quali il decreto di citazione a giudizio e atto modificativo dell'imputazione, consulenza tecnica, trascrizione delle fonoregistrazioni e dell'incidente probatorio) e che, infine, la pretesa di acquisizione del provvedimento penale (non definitivo) non era sorretta nemmeno dalla previsione di cui all'art. 2 octies del D.Lgs. n. 196 del 2003; la Corte rilevava, inoltre, che l'addebito disciplinare consistente nel riferimento alle condotte relative alla sentenza di patteggiamento del 2014 era tardivo (avendo, il lavoratore, consegnato detta sentenza al datore di lavoro l'8.7.2020, ben otto mesi prima della contestazione disciplinare); infine, in ordine alle condotte esaminate dalla sentenza penale del 2020, sottolineava che (la riforma in sede di appello e) l'annullamento in sede di legittimità non consentiva (in considerazione delle gravi carenze di motivazioni e irregolarità nell'assunzione dei mezzi di prova dei giudici di appello) di attribuire rilevanza (a sostegno dell'addebito disciplinare) alle motivazioni poste a base delle pronunce di merito, e la società non aveva dimostrato di aver compiuto una sua autonoma valutazione e deduzione probatoria con riguardo ai principi etici del vivere civile e agli obblighi di protezione degli altri dipendenti ex art. 2087 cod. civ. e ad una eventuale negativa risonanza mediatica. La Corte di appello riteneva, pertanto, del tutto insussistente l'addebito disciplinare, disponendo la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore e la condanna al pagamento di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

3. Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. Il lavoratore ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

4. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nei successivi sessanta giorni.

 

Diritto



1. Con il primo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, comma 2, cod. civ., anche in relazione all'art. 2094 cod. civ., 7 della legge n. 300 del 1970, 54 del CCNL Energia e Petrolio, 1362, 2106, 2119 cod. civ. in relazione alle comunicazioni aziendali del 19 settembre 2017, dell'11 febbraio 2020, del 2 marzo 2020, del 25 marzo 2020, del 14 maggio 2020, del 20 luglio 2020, del 5 agosto 2020, del 26 agosto 2020 e del 23 ottobre 2020 per aver, la Corte territoriale, trascurato la circostanza rappresentata dagli inadempimenti - reiteratamente posti in essere dal D. - alle numerose disposizioni impartite dalla GNL ITALIA Spa di consegnare copia della sentenza di condanna, emessa dal Tribunale di La Spezia in data 30 gennaio 2020, richieste datoriali definite (ingiustamente e gravemente) dal lavoratore "persecutorie" e "mobbizzanti" e che, diversamente, avevano lo scopo di consentire al datore di lavoro di fare un'autonoma valutazione delle condotte e di valutare gli effetti sul rapporto di lavoro; la violazione dell'onere di collaborare del lavoratore ha configurato una reiterata insubordinazione ed una violazione dei doveri di buona fede e correttezza che gravano sul dipendente.

2. Con il secondo motivo si denunzia, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1366 e 1367 cod. civ., in relazione alla premessa ed ai punti I, II.5.1, IV.1, IV.4 del Codice Etico Aziendale, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2001, dell'art. 54 del CCNL Energia e Petrolio, degli artt. 41 e 24 Cost., dell'art. 2094 e 2119 cod. civ. in relazione agli artt. 2104 e 2106 cod. civ. e all'art. 7 della legge n. 300 del 1970; violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 cod. civ., dell'art. 102 Cost., dell'art. 2 octies del D.Lgs. n. 196 del 2003 e dell'art. 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300, per avere la Corte di appello ritenuto la illegittimità della richiesta della Società datrice di lavoro di consegna della sentenza penale di condanna emessa dal Tribunale di La Spezia del 30 gennaio 2020 nonostante il Codice etico aziendale imponga ai dipendenti di adottare comportamenti improntati a buona fede, correttezza, lealtà e reciproco rispetto e l'art. 54 del CCNL di categoria preveda il licenziamento per le ipotesi di violazione del Codice etico aziendale e in particolare, al punto 2, in caso di "comportamenti lesivi della dignità della persona o atti, comportamenti o molestie, anche di carattere sessuale; sistematici e reiterati atti o comportamenti aggressivi e/o ostili e/o denigratori che assumano forma di violenza morale o di persecuzione psicologica; qualsiasi condotta di natura discriminatoria in relazione ad orientamenti che rientrano nella propria sfera personale"; pacifica è, inoltre, la giurisprudenza che ritiene disciplinarmente rilevanti anche comportamenti extralavorativi tali da ledere interessi morali e materiale del datore di lavoro.

3. Con il terzo motivo si denunzia, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, in relazione all'art. 2119 cod. civ., 1362 e ss. cod. civ., in relazione alle comunicazioni del 20 luglio 2020, del 5 agosto 2020, del 26 agosto 2020, del 1 ottobre 2020, del 23 ottobre 2020, del 10 dicembre 2020, del 18 gennaio 2021, del 2 marzo 2021 e del 22 marzo 2021, nonché in relazione al Codice Etico Aziendale, nonché dell'art. 54 del CCNL di categoria e dell'art. 2087 cod. civ. avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto che la società intendesse abdicare all'esercizio del potere disciplinare con riferimento ai fatti di cui alla sentenza di patteggiamento del Tribunale di La Spezia del 2014, nonostante la consegna di detta sentenza - da parte del lavoratore alla società - solamente a luglio 2020, senza alcuna violazione del diritto di difesa lamentata dal lavoratore stesso.

4. Con il quarto motivo si denunzia, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 41 Cost., in relazione all'art. 2094 cod. civ., 1334 cod. civ., in relazione all'art. 2119 cod. civ., 2043 cod. civ. e 643 e 648 c.p.p. nonché 115 c.p.c., 102 e 111 Cost. avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto che la legittimità del licenziamento dipendesse dal passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna (del Tribunale di La Spezia del 30 gennaio 2020), dovendosi, invece, considerare la situazione di fatto esistente al momento in cui il licenziamento è stato adottato.

5. Con il quinto motivo si denunzia, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970, 54, comma 2, del CCNL Energia e Petrolio, avendo, la Corte territoriale, errato nell'aver ritenuto non sussistente la giusta causa di licenziamento, disponendo la reintegrazione del Donadoni nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno, dovendo, i giudici, limitare la sanzione al mero risarcimento del danno tra 12 e 24 mensilità di retribuzione.

6. I primi due motivi di ricorso, nonché il quarto motivo, che concernono la mancata consegna al datore di lavoro della sentenza penale, non definitiva, di primo grado (del 2020) ed i relativi comportamenti oggetto del provvedimento del giudice di primo grado (provvedimento modificato in sede di appello e annullato in sede di legittimità), sono inammissibili.

7. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l'omessa impugnazione di tutte le "rationes decidendi" rende inammissibili, per esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand'anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre non impugnate, all'annullamento della decisione stessa (ex multis, Cass. S.U. n. 7931 del 2013; Cass. n. 15399 del 2018; Cass. n. 13880 del 2020).

8. Nel caso di specie, il ricorrente ha a lungo argomentato sulla reiterazione del rifiuto di consegna (della sentenza penale di condanna del 2020) da parte del lavoratore e sulla gravità delle condotte oggetto del provvedimento penale (con riflessi anche nell'ambiente di lavoro e, quindi, suscettibile di rilevanza), ma nulla ha dedotto sulle ragioni del rigetto, ritenute anch'esse decisive dalla Corte territoriale, ossia sull'accertamento della tempestiva informazione fornita dal lavoratore (con riguardo al rinvio a giudizio, nel 2017, e alla trasmissione di alcuni documenti del procedimento penale) e sulla insussistenza di un obbligo, del dipendente, di consegnare detto provvedimento (pagg. 7 e 8 della sentenza impugnata) nonché sull'ampiezza della riforma, in sede di legittimità, di detta sentenza di primo grado e sulla carenza di prove in ordine ad un'autonoma valutazione e ripercussione negativa (anche di natura mediatica) nell'ambiente di lavoro di dette condotte.

9. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

10. Posto che il canone del rispetto dell'immediatezza della contestazione nel procedimento disciplinare assume carattere "relativo", che impone una valutazione caso per caso, secondo un risalente insegnamento giurisprudenziale, la valutazione della tempestività della contestazione costituisce una indagine di fatto demandata al giudice del merito (Cass. n. 14113 del 2006; Cass. n. 29480 del 2008; Cass. n. 5546 del 2010; Cass. n. 20719 del 2013; Cass. n. 1247 del 2015; Cass. n. 14324 del 2015; Cass. n. 16841 del 2018). Pertanto, come ogni accertamento di fatto può essere sottoposto al sindacato di questa Corte di legittimità nei ristretti limiti in cui può esserlo ogni quaestio facti, nella vigenza del novellato n. 5 dell'art. 360, primo comma, c.p.c. così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014.

11. Nel caso di specie, la sentenza impugnata fornisce una congrua motivazione e un apprezzamento di fatto sui tempi e sulle modalità di conoscenza della sentenza di patteggiamento del 2014 da parte del datore di lavoro.

12. Il quinto motivo non è fondato.

13. La Corte territoriale, conformemente alla valutazione di insussistenza dell'addebito disciplinare imputato al lavoratore, ha applicato il regime sanzionatorio dettato dal comma 4 dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 (come novellato dalla legge n. 92 del 2012), che prevede sia la reintegrazione nel posto di lavoro sia il risarcimento del danno limitato ad un massimo di dodici mensilità.

14. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall'art. 91 cod. proc. civ.

15. Sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, D.P.R.115 del 2002.

16. Sussistono i presupposti ai sensi dell'art. 52 D.Lgs. n. 196/2003, in caso di diffusione della presente ordinanza, per la omissione delle generalità e degli altri dati identificativi di A.A.

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi di A.A. a norma dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, come modificato dal D.Lgs. n. 101 del 2018.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 gennaio 2025.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2025.