Cassazione Civile, Sez. Lav., 11 marzo 2025, n. 6418 - Sospensione del lavoro senza preavviso, mancanze recanti pregiudizio alla persona e all'igiene e insubordinazione. No al licenziamento per giusta causa
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Presidente
Dott. RIVERSO Roberto - Consigliere
Dott. CINQUE Guglielmo - Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere
Dott. CASO Francesco Giuseppe Luigi - Relatore-Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 9316-2023 proposto da:
SOCIETÀ ITALIANA ACETILENE E DERIVATI - S.I.A.D. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 146, presso lo studio dell'avvocato STEFANIA VERALDI, rappresentata e difesa dall'avvocato LORENZO IOELE;
- ricorrente -
contro
A.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati GIACOMO MARIO D'ANCONA, MAURO ALBERTO BOVOLENTA;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 139/2023 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 13/02/2023 R.G.N. 1368/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Consigliere Dott. FRANCESCO GIUSEPPE LUIGI CASO.
Fatto
1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d'Appello di Milano rigettava il reclamo proposto dalla SOCIETÀ ITALIANA ACETILENE E DERIVATI - S.I.A.D. Spa contro la sentenza del Tribunale di Monza n. 467/2022 che aveva respinto l'opposizione della stessa società all'ordinanza del medesimo Tribunale, la quale, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, aveva annullato il licenziamento disciplinare per giusta causa intimato il 26.11.2020 da detta società a A.A. ed aveva ordinato la reintegrazione di quest'ultimo nel suo posto di lavoro.
2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che il lavoratore, dipendente di detta società con mansioni di operaio addetto alla movimentazione bombole presso il reparto "banchina vuoti", era stato licenziato a seguito di contestazione disciplinare dell'11.11.2020, nella quale gli veniva addebitato: "Il giorno 4.11.2020 alle ore 10:05 circa, l'Ing. B.B., superiore gerarchico, stante il prolungato allontanamento dal lavoro (ben oltre 20 minuti), si portava all'interno dello spogliatoio e La invitava a riprendere l'attività lavorativa... La invitava ad indossare la mascherina, atteso che sia Lei che il collega con il quale si stava intrattenendo non la indossavate ed eravate a distanza ravvicinata, nonché a riprendere immediatamente l'attività lavorativa. A tale richiesta dapprima riferiva di averla tolta per consumare alimenti... poi, con tono insofferente inveendo nei confronti dell'Ing. B.B., riferiva le seguenti testuali parole: "ce l'avete solo con me, ti denuncio... si rifiutava di riprendere il lavoro, recandosi nel bagno destinato esclusivamente ai fornitori/visitatori esterni (in espressa violazione, dunque, alle disposizioni/protocollo per il contenimento Covid 19) ove si intratteneva ulteriormente... alle ore 10:40 circa ella chiedeva all'Ing. B.B. di poter misurare la pressione e, all'esito di tale misurazione, stante la rilevazione di valori più alti della media, Ella chiedeva che venisse chiamata un'autoambulanza del servizio 118, tanto continuando a gridare, senza indossare la mascherina e minacciando di denunciare quanto accaduto, attirando l'attenzione di quanti presenti in loco . In aggiunta a quanto sopra siamo a contestarle, altresì, che in data 4.11.2020 Ella, alle ore 13:27, indirizzava mail al medico competente della società (che si allega alla presente per pronta evidenza) il cui contenuto non solo non risponde al vero ma appare fortemente offensivo e denigratorio nei confronti della Società e dei suoi rappresentanti.
I suddetti comportamenti costituiscono violazione alle prescrizioni in materia di sicurezza e prevenzione (art. 39 lett. b del CCNL applicato); sospensione e/o anticipata cessazione del lavoro senza preavvertire il superiore diretto o senza giustificato motivo (art. 39 lett. e CCNL applicato); mancanze recanti pregiudizio alla persona, alla disciplina, alla morale o all'igiene (art. 39 lett. n CCNL applicato); grave insubordinazione verso superiori (art. 40 lett. m CCNL applicato).
Le evidenziamo, altresì, che agli addebiti contestati si aggiungono ad altri comportamenti da Lei tenuti in violazione del Suoi obblighi contrattuali, ed in particolare: - con nota del 24.03.2020 Le abbiamo contestato condotte in violazione alle disposizioni interne relative alla conservazione dei DPL; a ciò è seguito provvedimento disciplinare dell'8.04.2020 di ammonizione scritta; - con nota del 2.11.2020 Le abbiamo contestato condotte in violazione delle disposizioni/protocolli per il contrasto e il contenimento del Covid-19; procedimento disciplinare tutt'ora in corso".
3. Dopo aver riesaminato le risultanze processuali in relazione ai singoli profili oggetto di contestazione, la Corte di merito giungeva alla conclusione che il F. aveva commesso una serie di condotte che, anche complessivamente considerate, non hanno integrato la giusta causa di recesso, ma erano rimaste nell'alveo delle condotte punibili con sanzione conservativa sulla base delle previsioni del CCNL, sicché correttamente il primo giudice aveva ritenuto di applicare le tutele previste dall'art. 18, comma 4, L. n. 300/1970.
4. Avverso tale decisione la SOCIETÀ ITALIANA ACETILENE E DERIVATI - S.I.A.D. Spa ha proposto ricorso per cassazione notificato (a mezzo pec) il 14.4.2023 (e depositato il 3.5.2023, affidato a sette motivi e memoria.
5. L'intimato, oltre a successiva memoria, ha depositato controricorso in data 17.11.2024, nel quale ha chiesto, previa sua rimessione in termini, di dichiarare tempestivo lo stesso controricorso, deducendovi che un precedente deposito (telematico) del medesimo atto era stato eseguito in data 24.5.2023, ma rifiutato (cfr. pagg. 1-3 e 13 di tale atto).
6. A riguardo rileva il Collegio l'inammissibilità della cennata rimessione in termini a immediato ridosso dell'adunanza camerale, in quanto non è stata presentata entro un lasso di tempo contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del processo (Cass. 1348/2024).
Diritto
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia "Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 L. 20 maggio 1970, n. 300 e degli artt. 2106 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)", perché i giudici di merito hanno frazionato una condotta che avrebbe invece dovuto essere valutata globalmente.
2. Con un secondo motivo denuncia "Violazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 132, comma 2, n. 4, cpc. Nullità della sentenza (art. 360, n. 4, c.p.c.)", "perché la motivazione della stessa è solo apparente e con argomentazioni inconciliabili laddove afferma di aver valutato globalmente la condotta senza peraltro fornire le ragioni che hanno generato tale affermazione ma utilizzando le identiche argomentazioni rinvenienti dal frazionamento della condotta ed ancora, pure affermando corretti principi teorici sulla insubordinazione, nella parte applicativa non si è attenuta a tali principi".
3. Con un terzo motivo denuncia "Violazione degli artt. 1460, 2086, 2094, 2104 e 2119 c.c. (art. 360, n. 3 cpc)", "per erronea sussunzione dei fatti accertati e risultanti dalla sentenza in fattispecie cui ha ritenuto applicabili sanzioni conservative per ogni segmento dell'unitaria condotta, per aver confuso il diverbio litigioso con l'insubordinazione che invece si è protratta nell'arco dell'intera mattinata del 4 novembre 2020".
4. Con il quarto motivo denuncia "Violazione dell'art. 112 c.p.c. - Error in procedendo (360 n. 4 c.p.c.)", "per non avere la Corte di Appello considerato un espresso motivo di reclamo con il quale si sottolineava che, con le difese avverso la contestazione degli addebiti, il lavoratore aveva riconosciuto il suo comportamento, peraltro accertato e risultante dalla stessa sentenza, ma l'aveva giustificato in termini di reazione ad un comportamento scorretto ed aggressivo del superiore gerarchico che invece non ha trovato alcun riscontro dalla prova, tant'è che non è neanche menzionato dalla sentenza impugnata che invece individua giustificazioni "terze"".
5. Con il quinto motivo denuncia "Violazione dell'art. 30 L. 183/2010 e violazione degli artt. 39 e 40 del CCNL 19 luglio 2018 per gli addetti all'industria chimica, chimica farmaceutica, delle fibre chimiche e dei settori abrasivi, lubrificanti e GPL". "per avere la Corte di merito ricondotto il comportamento del A.A. al diverbio verbale e non all'insubordinazione, quest'ultima prevista dal CCNL senza il requisito della gravità quale fattispecie idonea a legittimare il licenziamento".
6. Con il sesto motivo denuncia "Violazione dell'art. 18, comma 4, L. 20 maggio 1970, n. 300 (art. 360, n. 3, c.p.c.)", "per avere erroneamente ritenuto la fattispecie disciplinare commessa dal A.A. punibile con sanzione conservativa e conseguente falsa applicazione della detta norma per effetto dell'illegittimo frazionamento dell'unitaria condotta e dell'erronea interpretazione del CCNL".
7. Con il settimo motivo denuncia "Violazione dell'art. 112 c.p.c. - Error in procedendo - (art. 360 n. 4 c.p.c.)". "perché la sentenza impugnata nonostante specifica richiesta, sia in primo grado che con motivo di reclamo, non ha valutato il comportamento del A.A. quale giustificato motivo soggettivo di licenziamento, dopo aver escluso la sussistenza della giusta causa".
8. Possono essere congiuntamente esaminati, in quanto connessi, il primo, il secondo, il terzo, il quinto ed il sesto motivo.
8.1. Tali doglianze sono infondate.
9. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, anche di recente confermato (v. Cass., sez. lav., n. 9138/2024), in tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, allorquando siano contestati al dipendente diversi episodi, il giudice di merito non deve valutarli separatamente, bensì globalmente, al fine di verificare se la loro rilevanza complessiva sia tale da minare la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel dipendente; ed invero, la stessa molteplicità degli episodi, oltre ad esprimere un'intensità complessiva maggiore dei singoli fatti (e della loro sommatoria aritmetica), delinea una persistenza che è di per sé ulteriore negazione degli obblighi del dipendente, ed una potenzialità negativa sul futuro adempimento di tali obblighi; poiché il singolo comportamento può assumere valore di giusta causa indipendentemente dalla specifica previsione contrattuale, la molteplicità (quale moltiplicazione di singoli fatti pur di per sé soli sufficienti) deve essere valutata anche da questa angolazione (ciò, indipendentemente dal formale rilievo della recidiva) (così Cass., sez. lav., 14.9.2007, n. 19232, richiamata dalla ricorrente nel primo motivo; e in termini esatti o analoghi Cass. n. 6454/2006; Cass. n. 2009/1890, la quale specifica che si deve trattare di contestazione di diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare).
9.1. Orbene, l'esame dei fatti ed il loro apprezzamento giuridico, operati dalla Corte territoriale, non si discostano da tali principi di diritto.
9.2. In tal senso, occorre considerare che la contestazione disciplinare dell'11.11.2020 (che la Corte, come riportato in narrativa, aveva trascritto nella sua sentenza in ampio stralcio) si articolava in fatto, più che in una pluralità di episodi, in distinti profili di contestazione, relativi tutti a fatti occorsi il medesimo giorno 4.11.2020 nell'arco di poche ore.
La Corte di merito, come pure premesso in narrativa, aveva trascritto la nota di contestazione anche nella parte in cui la stessa datrice di lavoro richiamava specifiche previsioni del CCNL applicato al rapporto, per la precisione, l'art. 39 lett. b, l'art. 39 lett. e, l'art. 39 lett. n, e l'art. 40 lett. m, sebbene ognuna di queste disposizioni collettive non fosse ivi direttamente riferita dalla datrice di lavoro a una o più delle condotte addebitate.
9.3. Ebbene, l'ampia e puntuale disamina operata dalla Corte d'Appello è del tutto aderente ai termini di tale contestazione disciplinare, e, nel contempo, ha tenuto conto delle molteplici censure formulate dalla reclamante, a cominciare da quella, ora riproposta nel primo motivo di ricorso, in cui quest'ultima già deduceva l'errore - allora attribuito al giudice di prime cure -, consistente nell'aver "frazionato l'unitaria condotta del A.A., tenuta nella identica giornata (3 infrazioni commesse in 3 ore) ed in un ristretto lasso di tempo, per diversificare comportamenti, in realtà unitari, e sussumerli in diverse fattispecie disciplinari da punire con sanzioni conservative"; censure riferite anche a precipui aspetti dei singoli profili oggetto di addebito (cfr. pagg. 4-6 dell'impugnata sentenza).
9.4. In definitiva, la Corte, per non eludere il contenuto delle varie censure, non poteva che, prima, esprimersi sui fatti oggetto dei singoli profili di addebito, e, poi, valutare complessivamente le condotte contestate, come accertate e se ritenute di rilievo disciplinare.
10. In tale ottica, quindi, la stessa Corte si è anzitutto soffermata sul diverbio che aveva "visto come attori principali l'Ing. B.B. e il collega" del lavoratore incolpato "I.", senza peraltro constatare "provocazioni e comportamenti scorretti del B.B." nei confronti del A.A.
10.1. Esaminata tale prima parte di quanto contestato, ha anzitutto affermato "che il sig. A.A. abbia partecipato ad un diverbio litigioso non seguito da vie di fatto (punibile con sanzione conservativa)". E nota in proposito il Collegio che, non avendo in proposito i giudici del reclamo espressamente menzionato alcuna norma del CCNL, la conclusione circa la punibilità "con sanzione conservativa" è da intendersi tratta a contrario: com'è agevole constatare, infatti, da un lato, l'art. 39 del CCNL, in tema di "Ammonizioni scritte, multe e sospensioni", vale a dire, sanzioni conservative, non contempla alcun diverbio litigioso, sia pure non seguito da vie di fatto, mentre l'art. 40 in tema di "Licenziamento per mancanze", alla lett. l) prevede il "diverbio litigioso, seguito da vie di fatto, avvenuto nel recinto dello stabilimento e che rechi grave perturbamento alla vita aziendale".
10.2. Sempre in ordine ai primi profili di contestazione, la Corte ha ritenuto "che il sig. A.A. non abbia tenuto un comportamento di grave insubordinazione poiché, da un lato, non ha offeso né ingiuriato il suo superiore gerarchico,e dall'altro, non si è intenzionalmente (e ingiustificatamente) rifiutato di riprendere l'attività lavorativa".
E rileva il Collegio che nella nota di contestazione degli addebiti, come si è visto, la stessa datrice di lavoro si riferiva (anche) ad una "grave insubordinazione verso superiori" (richiamando l'art. 40 lett. m CCNL applicato); così come richiamava l'ipotesi di cui all'art. 39 lett. n del CCNL, che pure la Corte giudicava non attagliarsi al caso (v. pag. 3 della sentenza).
10.3. Ma alla Corte d'Appello non è sfuggito che l'ora cit. art. 40 lett. m del CCNL di settore parli di "insubordinazione verso i superiori" (senza adottare l'aggettivo "grave").
Ha, infatti, considerato che: "Né si può ritenere che tale condotta costituisca "insubordinazione verso i superiori" (secondo l'espressione di cui all'art. 40 lett. m del CCNL di settore); perché "Di per sé un diverbio litigioso col superiore gerarchico non costituisce una insubordinazione se non è seguito dal rifiuto di eseguire un ordine ovvero da altro comportamento teso a pregiudicare l'esecuzione ed il corretto svolgimento di detta disposizione"; il che la Corte stessa non ha constatato (v. pagg. 7-8 dell'impugnata sentenza).
10.4. La Corte di merito ha poi ritenuto che: "L'aver usato i servizi igienici adibiti per fornitori e visitatori e interdetti al personale dal Protocollo anti Covid-19 integra, piuttosto, una mancanza ricompresa in quella prevista dalla lettera b) dell'art. 39 CCNL (inosservanza delle previsioni in materia di sicurezza), ma per essa il CCNL prevede solo sanzioni conservative". E osserva il Collegio che la stessa datrice di lavoro faceva riferimento (anche) all'ipotesi di cui all'art. 39 lett. b) nella nota di contestazione degli addebiti. Ma la Corte ha anche motivatamente escluso che "tale condotta può essere ascritta ad insubordinazione..." (cfr. pag. 8).
10.5. Inoltre, nei fatti ulteriori che si erano svolti lo stesso giorno "dalle ore 10.40 alle 12 circa", la Corte non ha rilevato "alcun comportamento disciplinarmente punibile", perché "La circostanza che il A.A. - come si legge nella lettera di contestazione - abbia usato un tono alto di voce nel chiedere al B.B. di chiamare l'ambulanza, senza indossare la mascherina, e che lo abbia minacciato di denunciare l'accaduto - non assume rilevanza disciplinare poiché tale atteggiamento - come ben rilevato dal primo Giudice - dev'essere contestualizzato. Il dipendente infatti era in stato di agitazione perché non si sentiva bene e, per tale ragione, ha fortemente insistito affinché il B.B. chiamasse il 118"; ha, altresì, argomentatamente ritenuto che negli stessi fatti non era "ravvisabile una condotta di "grave insubordinazione verso superiori", ma anche nell' "invio della e-mail al medico competente della società" (v. in extenso prima parte di pag. 9 della sua sentenza).
10.6. "Quanto alla contestazione dell'inosservanza dell'uso della mascherina e della distanza interpersonale", i giudici del reclamo hanno ritenuto che "tali fatti rientrano nella condotta descritta alla lett. b) dell'art. 39 CCNL di settore ("... il lavoratore b) che non osservi le prescrizioni in materia di ambiente e sicurezza") che è punita con sanzioni conservative", spiegando anche perché la "violazione dell'obbligo di indossare la mascherina" non rientrava, invece, nell'ipotesi di cui all'art. 39 lett. n), ossia, altra ipotesi richiamata nella nota di contestazione.
10.7. Infine, la Corte ha considerato che non assumeva "rilevanza ai fini del recesso la contestata recidiva poiché l'art. 40 del CCNL di settore alla lettera n) specifica che determina il licenziamento la "recidiva nelle mancanze di cui ai punti f), g), i), m) e n) dell'articolo precedente", con esclusione, quindi, della mancanza di cui alla lettera b) dell'art. 39".
11. Pertanto, dalla disamina così operata dalla Corte di merito si trae che per la gran parte dei fatti addebitati ne è stata esclusa la rilevanza disciplinare oppure, comunque, si è ritenuto che non integrassero gli estremi della "grave insubordinazione verso superiori" (come contestato), ma anche della semplice "insubordinazione verso i superiori" (secondo la lettera m) dell'art. 40 del CCNL); mentre solo taluni e pressoché marginali profili di contestazione sono stati ricondotti alla sola ipotesi di cui all'art. 39 lett. b) dello stesso CCNL, e nel caso del "diverbio" non seguito da vie di fatto la condotta relativa è stata ritenuta meritevole di sanzione conservativa.
12. Alla luce di tanto appare incensurabile la conclusione tratta dai giudici di secondo grado che il lavoratore aveva "commesso una serie di condotte che, anche complessivamente considerate, non hanno integrato la giusta causa di recesso, ma sono rimaste nell'alveo delle condotte punibili con sanzione conservativa sulla base delle previsioni del CCNL".
13. Per quanto sin qui detto, neppure sussistono le anomalie motivazionali che la ricorrente denuncia nel secondo motivo.
13.1. In particolare, è di tutta evidenza che la motivazione resa dalla Corte territoriale non è affatto "apparente".
Ma deve escludersi, altresì, che in tale motivazione si riscontri un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
Rispetto ai principi di diritto che la Corte distrettuale ha richiamato a pag. 7 della sua sentenza (citando Cass. n. 13411/2020), la stessa ha coerentemente escluso sia un "rifiuto di eseguire un ordine" che "altro comportamento teso a pregiudicare l'esecuzione ed il corretto svolgimento di detta disposizione".
14. Sempre in base alle considerazioni innanzi svolte dev'essere disatteso anche il terzo motivo di ricorso, che presenta profili d'inammissibilità.
14.1. In particolare, i vizi di sussunzione che la ricorrente deduce in tale motivo non sussistono.
La censura, del resto, si fonda in gran parte su una diversa lettura delle risultanze processuali (cfr. pagg. 15-18 del ricorso).
Inoltre, la ricorrente addebita alla Corte di non aver considerato che "la disposizione del superiore gerarchico era legittima e correttamente posta", ma essa stessa riconosce che la stessa Corte non aveva "minimamente posto in discussione la legittimità della disposizione impartita".
15. Parimenti infondato è, quindi, il sesto motivo.
16. Avendo la stessa Corte, come si è visto, fatto più volte riferimento a diverse ipotesi previste dall'art. 39 del CCNL (vale a dire, a norma collettiva che prevede sanzioni conservative), ma per il resto escluso la rilevanza disciplinare di altre condotte, la sua decisione risulta del tutto conforme al dettato normativo di cui all'art. 18, comma quarto, L. n. 300/1970 novellato (cui si è espressamente riferita in via di conferma dei provvedimenti di primo grado: cfr. inizio di pag. 10 della sua sentenza).
17. Neppure il quinto motivo è fondato.
18. Alla stregua di quanto già osservato nell'esaminare i precedenti motivi, nella specie non poteva venire in considerazione quanto previsto dall'art. 30, comma 3, L. n. 183/2010.
Come si è visto, la Corte ha qualificato la prima delle condotte addebitate quale "diverbio litigioso non seguito da vie di fatto", laddove l'art. 40 lett. l) prevede "diverbio litigioso, seguito da vie di fatto, avvenuto nel recinto dello stabilimento e che rechi grave perturbamento alla vita aziendale", e, cioè, fattispecie astratta per nulla riscontrata con tutte tali connotazioni in quella concreta come accertata dalla Corte d'Appello.
Quest'ultima ha, per altro verso, tenuto conto che la lett. m) dello stesso art. 40 contempla l'"insubordinazione verso i superiori", senza altre specificazioni, e che al lavoratore veniva contestata (anche) una "grave insubordinazione verso superiori", ma ha escluso qualsiasi insubordinazione.
19. Possono essere congiuntamente esaminati il quarto ed il settimo motivo, che entrambi prospettano la violazione dell'art. 112 c.p.c. e risultano privi di fondamento.
20. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia (v., ex multis, Cass. n. 8439/2020).
21. La Corte di merito, nella sua valutazione del caso, in relazione alla prima parte dei fatti contestati (quella del diverbio litigioso), si è espressa implicitamente, ma chiaramente nel senso di non annettere rilevanza alle giustificazioni del lavoratore cui allude la ricorrente, né ha accertato un comportamento scorretto ed aggressivo del superiore gerarchico, sicché ha reso un'esaustiva risposta in merito, avendo accertato il fatto con argomentazione congrua (da terz'ult. cpv. p. 6 a 2 cpv p. 7 sentenza).
22. Analoghi rilievi valgono per il settimo motivo.
23. La richiesta subordinata dell'allora reclamante che si assume non considerata, ossia quella di valutare il comportamento del lavoratore quale giustificato motivo soggettivo di licenziamento, è stata implicitamente, ma chiaramente disattesa dalla Corte di merito.
Quest'ultima, infatti, ha sussunto entrambe le uniche condotte reputate di rilievo disciplinare nella specifica ipotesi di cui all'art. 39 lett. b) del CCNL, che riguarda esclusivamente sanzioni conservative, sicché non poteva fondare un recesso datoriale di natura disciplinare, ma per giustificato motivo soggettivo.
24. Nulla dev'essere statuito circa le spese del giudizio di legittimità, in difetto di tempestivo controricorso dell'intimato come sopra accertato; nondimeno la ricorrente è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2024.
Depositato in Cancelleria l'11 marzo 2025.