Cassazione Penale, Sez. 4, 17 marzo 2025, n. 10465 - Caduta dall'alto e urto del lavoratore con i ferri acuminati e non protetti da guaina. Mancanza di dotazioni necessarie e attrezzature del tutto inidonee
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente
Dott. BELLINI Ugo - Consigliere
Dott. CAPPELLO Gabriella - Relatore
Dott. MICCICHÈ Loredana - Consigliere
Dott. ARENA Maria Teresa - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato a N il (omissis);
avverso la sentenza del 15/04/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
svolta la relazione dal Consigliere GABRIELLA CAPPELLO;
uditi il Procuratore generale, in persona della sostituta SABRINA PASSAFIUME, la quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso; nonché l'Avv. Lelio Della Pietra del foro di Napoli per A.A., il quale si è riportato ai motivi del ricorso, chiedendone l'accoglimento.
Fatto
1. La Corte d'Appello di Napoli ha confermato, nei confronti dell'imputato A.A., la sentenza del Tribunale cittadino, con la quale costui era stato condannato - nella qualità di rappresentante legale di AL.FI. Costruzioni Srl e datore di lavoro di B.B., operaio con qualifica di manovale stradale, impegnato in lavori edili, inerenti alla rete fognaria e, in particolare, al la realizzazione di una vasca di decantazione dei reflui, profonda circa quattro metri rispetto al piano di calpestio - per l'omicidio colposo del citato B.B., aggravato dalla inosservanza della normativa antinfortunistica (fatti accaduti in P il (omissis), con decesso della persona offesa in N lo stesso giorno). In particolare, si è rimproverato al A.A. di avere violato, nella qualità datoriale, l'art. 71 D.Lgs. n. 81/2008 per avere messo a disposizione del lavoratore attrezzature non rispondenti ai requisiti di cui all'art. 70 stesso D.Lgs. (nella specie, una scala in ferro inidonea al lavoro da svolgere, cioè la messa in posa di ferri di armatura delle pareti della vasca) e per non avere fornito i funghi di protezione da apporre sui ferri presenti nella platea di fondazione; nonché per non avere predisposto, in violazione dell'art. 146 D.Lgs. n. 81/2008, un idoneo parapetto e tavole fermapiede a ridosso dello scavo adiacente alla vasca, inteso a scongiurare cadute dall'alto. Cosicché, il lavoratore, intento ad armare le pareti della vasca con tondini in ferro privi di funghi di protezione, mentre era su una scala priva di ancoraggio ai pannelli in legno orizzontali o al suolo, precipitava su un ferro per costruzioni sporgente che lo infilzava determinando le lesioni toraciche e addominali meglio descritte nell'imputazione (trauma da impalamento perineale), dalle quali derivava il suo decesso.
2. Il giudice d'appello, rilevata l'assenza di dubbi sulla dinamica dell'infortunio, confermata in sede di s.i.t. dai colleghi della vittima e dagli esiti del sopralluogo eseguito con annesso fascicolo fotografico, ha precisato che l'esecuzione dei lavori nei quali era intento il lavoratore deceduto era stata organizzata in maniera del tutto negligente dal datore di lavoro, senza considerare che si sarebbe proceduto, sostanzialmente, in condizioni di dislivello tale da configurare un "lavoro in quota". Ciononostante, l'imputato non aveva provveduto ad allestire il cantiere prevedendo la relativa modalità lavorativa, in particolare ponteggi atti a consentire la discesa e risalita nella vasca in sicurezza, dotando i lavoratori di imbracature per gli spostamenti in verticale, viceversa avendo fornito solo una scaletta in ferro e una in alluminio. Inoltre, i tondini già affissi erano risultati privi della guaina di copertura intesa a prevenire proprio il rischio di urti accidentali da parte degli operai che agivano a livelli differenti.
Nell'esaminare le censure difensive, poi, ha ritenuto intanto infondata quella intesa ad accreditare una interruzione del decorso causale, ricollegata all'intervento dei sanitari che si erano occupati del B.B. dopo la caduta e l'impalamento. Sul punto, quel giudice, ricordato che l'intervento dei sanitari, così come i potenziali errori di cura, non costituiscono fatto eccezionale e neppure imprevedibile, ha ribadito che il decesso del B.B. era stato conseguenza della regola antinfortunistica violata, avendo concretizzato proprio il rischio specifico di caduta dall'alto e di urto del lavoratore con i ferri acuminati e non protetti da guaina.
Quanto, invece, all'effetto interruttivo ricondotto dalla difesa al comportamento della vittima, avuto riguardo alle sue esperienza annuale, formazione e posizione, a sua volta, di soggetto garante della sicurezza (siccome Rappresentante dei lavoratori per la Sicurezza e preposto), la Corte territoriale ha escluso un tale effetto, precisando innanzitutto che il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo ove il comportamento del dipendente sia del tutto autonomo ed estraneo alle mansioni affidategli, non essendo sufficiente la semplice imprudenza.
Nella specie, l'incidente mortale si era verificato in occasione dello svolgimento di mansioni direttamente connesse a quelle affidate dal datore di lavoro, rilevando, quanto all'assenza dei funghi protettivi, che la difesa si era limitata ad affermarne la presenza, pur non essendo stati gli stessi rinvenuti in cantiere, non essendo state neppure allegate fatture o documenti attestanti il loro acquisto, restando indiscusso che, al momento dell'infortunio, essi non erano stati apposti e che, ciononostante, i lavoratori stavano lavorando all'interno della vasca (solo dopo l'accertamento, peraltro, la ditta aveva provveduto alla loro apposizione).
Infine, quanto al trattamento sanzionatorio, i giudici territoriali hanno ritenuto l'imputato non meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in ragione dell'elevato grado della colpa e dell'alta prevedibilità dell'evento.
3. La difesa dell'imputato ha proposto ricorso, formulando tre motivi.
Con il primo, articolato con riferimento a due distinti punti, la difesa ha dedotto vizio della motivazione e violazione di legge in relazione alla presunta interruzione del nesso di causa tra la condotta e l'evento, ricollegata all'intervento dei sanitari che ebbero in cura il B.B. dopo l'infortunio: l'esistenza di un eventuale errore diagnostico e terapeutico doveva essere accertata a mezzo dell'apporto del sapere scientifico, ciò di cui i giudici del merito non avrebbero tenuto conto, essendo stata del tutto ignorata la presenza di un "emo pneumotorace", la cui evidenza in sede autoptica sarebbe confermata dalla condizione di collasso completo del polmone sinistro, circostanza, rispetto alla quale vi sarebbe stata, pertanto, una carenza diagnostica e terapeutica. Di qui il secondo aspetto sul quale si è incentrata la critica difensiva: nella specie, sarebbe stato del tutto omesso il giudizio subordinato sulla esistenza di una concausa dell'evento, neppure esclusa dai giudici del merito che, tuttavia, non l'avrebbero accertata, anche in relazione ai riflessi processuali che tale determinazione avrebbe potuto avere sulle questioni civili.
Con il secondo, ha dedotto analoghi vizi, questa volta con riferimento alla valutazione del comportamento della vittima: il B.B. era Rappresentante dei lavoratori per la Sicurezza, nonché preposto e, in tale veste, ricopriva una posizione di garanzia in relazione alla specifica area di rischio, incombendo sul medesimo la segnalazione al datore di lavoro delle criticità rilevate e l'obbligo di non esporsi a pericolo, come avrebbe fatto utilizzando la scala inidonea, non predisposta e neppure funzionale all'esecuzione delle lavorazioni. Quanto, invece, ai funghi di protezione dei ferri di armatura, la difesa ha criticato la risposta dei giudici del gravame, precisando che il tema investirebbe la individuazione della regola di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, avendo i giudici capovolto l'onere della prova, rilevando la mancata dimostrazione dell'acquisto delle guaine citate e avendo tratto conferma della loro mancanza dall'assenza in sede di sopralluogo, nel verbale delle prescrizioni successivo all'infortunio dandosi conto della mancanza di tali guaine sui ferri, ma non anche in cantiere. Sotto altro profilo, poi, la difesa ha dedotto analoghi vizi anche con riferimento al secondo addebito colposo, la mancata predisposizione cioè del parapetto e delle tavole fermapiede a ridosso dello scavo, essendo emerso che l'azione avrebbe dovuto essere quella dell'attraversamento della vasca e della risalita sul lato opposto rispetto a quello ove si operava, inferendone l'irrilevanza della collocazione del parapetto a ridosso dello scavo.
Infine, con il terzo motivo, ha dedotto analoghi vizi quanto al trattamento sanzionatorio, e al diniego delle generiche, non avendo i giudici considerato fattori quali la condotta dei sanitari che ebbero in cura il B.B., la stessa posizione di garanzia di quest'ultimo e l'adempimento delle prescrizioni rispetto alle violazioni rilevate a verbale.
4. La difesa delle parti civili C.C., D.D., E.E. e F.F. ha depositato note difensive con conclusioni scritte, chiedendo la conferma della sentenza e la condanna dell'imputato, depositando nota spese.
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo e il secondo motivo sono manifestamente infondati, sotto tutti i profili.
La risposta che la Corte d'Appello ha dato ai relativi motivi di gravame, con i quali si era lamentata l'omessa rinnovazione istruttoria per accertare l'asserito errore diagnostico e terapeutico, è coerente con i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità, ai quali si è attenuta la Corte territoriale che ha ritenuto irrilevanti eventuali errori dei sanitari, posto che essi non avrebbero comunque inciso sullo scrutinio circa la sussistenza del nesso eziologico tra la condotta contestata al datore di lavoro e la morte del lavoratore.
2.1. Quanto all'intervento dei sanitari che hanno avuto in cura il B.B., infatti, pare sufficiente ribadire come, anche da ultimo, questa Corte abbia affermato che le cause sopravvenute idonee a escludere il rapporto di causalità sono solo quelle che innescano un processo causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dalla condotta omissiva o commissiva dell'agente, ovvero quelle che danno luogo a uno sviluppo anomalo, imprevedibile e atipico, pur se eziologicamente riconducibile ad essa (Sez. 4, n. 10656 del 13/02/2024, Parodi, Rv. 286013 - 01, proprio in fattispecie relativa a responsabilità per omicidio colposo per violazione di norme antinfortunistiche, in cui la Corte ha escluso rilevanza deterministica esclusiva alle sopravvenute complicanze nosocomiali, causa ultima del decesso del lavoratore, per il lungo periodo di immobilizzazione patito in conseguenza di gravi fratture vertebrali; n. 25560 del 02/05/2017, Schiavone, Rv. 269976 - 01, in cui il principio è stato affermato con riferimento all'omicidio stradale, essendosi precisato che l'eventuale negligenza o imperizia dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale, ancorché di elevata gravità, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'incidente e la successiva morte del ferito, avendo la Corte, nella specie, escluso l'interruzione del nesso di causalità in relazione al decesso della vittima per insufficienza cardiocircolatoria con coma da shock emorragico in soggetto politraumatizzato da lesioni stradali, intervenuto a circa un mese di distanza dal sinistro, rilevando che i potenziali errori di cura costituiscono, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, mentre, ai fini della esclusione del nesso di causalità, occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l'evento letale).
Ora, nel caso all'esame, la difesa ha preteso di introdurre una situazione di rischio del tutto eccentrico rispetto alle condizioni poli-traumatiche in cui versava il B.B. al momento del fatto, descritte peraltro assai vividamente sia in imputazione, che nella sentenza appellata e, infine, anche in quella impugnata in questa sede (ricordandosi che il B.B. era giunto alle ore 15:29 al pronto soccorso in codice rosso per trauma da impalamento perineale). L'esame autoptico aveva confermato che il decesso era conseguito a tale grave quadro poli-traumatico al torace e all'addome, ovvero a causa di complicanze quali lo shock ipovolemico-emorragico, avendo la vittima perso circa due litri e mezzo di sangue (vedi pag. 5 sentenza appellata), nonché per insufficienza respiratoria per emo pneumotorace destro, essendo stato riscontrato un impalamento da mezzo sottile che, penetrato il corpo della vittima per cm. 36 (regione scrotale sinistra) aveva attraversato la parete addominale anteriore e raggiunto il cavo addominale, impattando la parete posteriore all'altezza del pancreas, fino a trapassare il lobo polmonare di destra.
L'intervento dei sanitari era stato adeguato e tempestivo, sia quanto alla valutazione dei parametri vitali, che quanto alle consulenze specialistiche richieste e alle indagini ematochimiche e strumentali, anche la relazione del radiologo avendo confermato detta ricostruzione. Sotto tale aspetto, poi, il Tribunale aveva pure dato conto della correttezza della scelta terapeutica (mancata effettuazione del drenaggio pleurico), pur considerando l'opposto parere del consulente a difesa, secondo il quale tale drenaggio avrebbe dovuto essere effettuato.
Tuttavia, del tutto correttamente, già il primo giudice, aveva ritenuto irrilevante l'approfondimento istruttorio, atteso che un eventuale errore terapeutico del tipo di quello ipotizzato non avrebbe interrotto il nesso di causa innescato dalla condotta omissiva dell'imputato, non avendo i connotati sopra descritti di fattore esorbitante nell'ambito della catena causale riconducibile all'antecedente logico-fattuale della inosservanza della normativa antinfortunistica. Le doglianze difensive, articolate in ricorso, non hanno introdotto alcun elemento di novità rispetto a tale incedere argomentativo, essendosi tradotte, pertanto, nella reiterazione di quelle già valutate sia in primo che in secondo grado, con l'unico scopo di prospettare conclusioni difformi sul dato fattuale, ritenute più corrette, ciò che è precluso in questa sede di legittimità.
2.2. Lo stesso giudizio di manifesta infondatezza colpisce le argomentazioni difensive, intese ad accreditare una efficacia interruttiva della condotta tenuta dal lavoratore, conclusione agganciata dalla difesa all'esperienza della vittima e alla sua qualità di preposto, nonché di Rappresentante dei lavoratori per la Sicurezza. Anche sul punto, pare sufficiente un richiamo ai principi consolidati affermati da questa Corte di legittimità: è vero che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del soggetto deputato a gestire il rischio, poiché il principio di colpevolezza impone la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte di costui - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire, sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso (ex multis, Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, Capobianco, Rv. 273568 - 01; n. 24462 del 06/05/2015, Ruocco, Rv. 264128 - 01; n. 5404 del 08/01/2015, Corso, Rv. 262033 - 01; n. 43645 del 11/10/2011, Putzu, Rv. 251930 - 01).
Tuttavia, ciò che la difesa omette di considerare è la posizione datoriale nel contesto della sicurezza sui luoghi di lavoro: è vero che il legislatore ha considerato anche il lavoratore nel novero dei soggetti garanti della sicurezza sui luoghi di lavoro, ma il modello "collaborativo" così delineato - in virtù del quale gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori - non implica alcun esonero di responsabilità in capo al datore di lavoro all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca il suo obbligo di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (Sez. 4 n. 21587 del 23/03/2007, Pelosi, Rv. 236721 - 01). Ed è sempre in ragione di tale complessità del sistema prevenzionistico che la giurisprudenza ha cercato di delimitare con sufficiente chiarezza i presupposti in forza dei quali un comportamento non corretto del lavoratore può interrompere il nesso eziologico tra l'omissione attribuita al datore di lavoro e l'infortunio patito dal lavoratore stesso (vedi, per esempio, Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748 - 01, in cui si è affermato che, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (in fattispecie in cui la Corte ha riconosciuto l'abnormità della condotta del lavoratore, deceduto in conseguenza dell'utilizzazione di un macchinario pericoloso, diverso da quello fornito in dotazione e non presente in azienda, ma autonomamente acquisito dal lavoratore all'insaputa del datore di lavoro); analogamente Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237 - 01, in cui la Corte ha annullato la decisione impugnata, demandando al giudice del rinvio l'accertamento dell'abnormità della condotta del lavoratore, che era deceduto in conseguenza di un infortunio occorso durante lo smontaggio di un parapetto, operazione dallo stesso compiuta sebbene avesse poco prima intimato a un collega di astenersi dal suo compimento, così mostrando di conoscere la procedura di sicurezza e di avere l'intenzione di rispettarla; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017 - 01, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all'interno della macchina stessa anziché utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato).
Nella specie, la qualità di preposto del B.B. in nessun modo si pone alla base di un suo comportamento eccentrico o abnorme rispetto agli addebiti configurati in capo al datore di lavoro: questi, invero, ineriscono direttamente a un obbligo datoriale, quello cioè di predisporre e fornire ai lavoratori attrezzature idonee a svolgere in sicurezza le singole lavorazioni, quelle fornite, nella specie, essendo state considerate inadeguate siccome incapaci di garantire la stabilità necessaria per effettuare la lavorazione demandata, da svolgersi in quota. Pertanto, è del tutto eccentrica l'argomentazione difensiva che poggia sulle qualità ed esperienza della vittima: ai fini dell'individuazione del garante nelle organizzazioni complesse del lavoro, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, Rv. 269972 - 01). La stessa designazione di un preposto al rispetto delle misure di prevenzione non esonera, infatti, il datore di lavoro da responsabilità ove risulti l'inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 22256 del 03/03/2021, Canzonetti, Rv. 281276 - 01, in cui, in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la penale responsabilità del datore di lavoro per le lesioni che un suo dipendente, alla guida di un muletto, aveva cagionato ad altro lavoratore, in quanto, pur avendo nominato un preposto, non aveva organizzato i luoghi di lavoro in modo tale da garantire una viabilità sicura, regolamentando la circolazione con cartellonistica e segnaletica orizzontale).
Il che è avvenuto nel caso all'esame, nel quale l'addebito non ha riguardato le modalità esecutive di una lavorazione, ma la lavorazione stessa e il modo in cui il datore, al quale competeva, l'aveva organizzata. I lavoratori, infatti, erano stati incaricati di effettuarla senza le dotazioni necessarie e con attrezzature del tutto inidonee, ciò avendo determinato la concretizzazione del rischio di caduta dall'alto e di urto con le parti in ferro sprovviste delle guaine. Né può ritenersi dirimente l'osservazione secondo la quale i parapetti sul bordo della vasca non avrebbero potuto svolgere alcuna funzione preventiva nel caso all'esame: al A.A., infatti, si è innanzitutto addebitato di non aver predisposto presidi, quali le imbracature, necessari per muoversi sulle pareti della vasca e di aver messo a disposizione dei lavoratori, per raggiungere i vari livelli della parete, scale non ancorate.
2.3. Infine, quanto all'addebito inerente alla mancanza delle guaine dei ferri già presenti nella vasca in corso la lavorazione, anche la relativa doglianza è manifestamente infondata, inerendo a una valutazione in fatto (presenza o meno di tali "funghi" in cantiere, incontestata essendo la non apposizione sui ferri), estranea al presente giudizio di legittimità. I giudici del doppio grado hanno escluso che le guaine fossero state fornite, sulla scorta di quanto emerso dal verbale di sopralluogo, nel quale non ne era stata menzionata la presenza, elidendo il rilievo della documentazione allegata a difesa, in mancanza di documenti formali, comprovanti l'acquisto di tali componenti, a conferma valorizzando la circostanza che la mancanza delle coperture non aveva riguardato solo il giorno dell'infortunio, ma anche quelli precedenti. Trattasi di un ragionamento del tutto congruo, non manifestamente illogico e neppure contraddittorio, rispetto al quale la difesa ha opposto una propria lettura, ritenuta più convincente, tuttavia estranea al vaglio di legittimità, poiché attingente aspetti del giudizio che si traducono nell'apprezzamento del significato di elementi probatori, inerente al merito, apprezzabili dalla Corte di cassazione solo ove risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio (Sez. 6 n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 - 01; n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482 - 01; n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 - 01). Si è già da tempo chiarito, infatti, che sono inammissibili le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, cosi come quelle che sollecitano una diversa comparazione dei significati da attribuire alle prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 - 01).
3. Infine, è manifestatamente infondato anche il terzo motivo.
I giudici del merito hanno giustificato la dosimetria della pena alla stregua di elementi che rientrano tra i parametri di cui all'art. 133, cod. pen., sicché del tutto acriticamente la difesa ha evocato il vizio di violazione di legge. Quanto, poi, alla motivazione, anch'essa censurata, la difesa non ha condiviso il ragionamento giustificativo della dosimetria della pena (peraltro attestata, per come precisato anche dal Tribunale nella sentenza impugnata, al minimo edittale) e del diniego delle generiche che la Corte del gravame ha, peraltro, ancorato non solo alla non spontaneità della sanatoria delle riscontrate irregolarità, come aveva fatto il Tribunale che, pure, aveva stigmatizzato l'assenza di elementi positivi valutabili, ma anche all'elevato grado della colpa e alla facile prevedibilità dell'evento. In effetti, la difesa ha introdotto aspetti che non hanno ricevuto riscontro (errore medico e statuto del lavoratore) e che, con ogni evidenza, sono stati ritenuti recessivi rispetto a quelli valorizzati dai giudici del merito. A tali fini, invero, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale rilevanza tenga conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall'interessato (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, Bianchi, Rv. 282693 - 01), posto che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Carillo, Rv. 275509 - 03; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02).
4. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi elementi di esonero in ordine alla causa della inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000), ma non anche quella alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, non apprezzandosi alcun contributo delle parti stesse, peraltro affidato al mero scritto in procedimento a trattazione orale, alla dialettica processuale (sul punto, Sez. U, n. 34559 del 26/6/2002, De Benedictis, Rv. 222264; Sez. U, n. 877 del 14/7/2022, dep. 2023, Sacchettino, in motivazione).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Nulla per le spese in favore delle parti civili.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2025.
Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2025.