Cassazione Civile, Sez. Lav., 24 marzo 2025, n. 7788 - Licenziamento per falsa denuncia all'Inail
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAGETTA Antonella - Presidente
Dott. PONTERIO Carla - Consigliere
Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere
Dott. CINQUE Guglielmo - Rel. Consigliere
Dott. MICHELINI Gualtiero - Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 18400-2023 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI FRASSINI 23, presso lo studio dell'avvocato GIOVANNI FARAGASSO, che lo rappresenta e difende;
- ricorrente principale -
contro
DOLOMITI Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAPO PELORO 3, presso lo studio dell'avvocato GIOVANNI COSTANTINO, che la rappresenta e difende;
- controricorrente - ricorrente incidentale -
avverso la sentenza n. 2906/2023 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 11/07/2023 R.G.N. 755/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.
Fatto
Con lettera dell'11.12.2020 la DOLOMITI Srl contestava al dipendente A.A., il quale prestava la sua attività presso la Casa di Cura (Omissis) in R, di avere denunciato all'INAIL, in relazione alla malattia contratta, fatti non veritieri e lesivi dell'immagine aziendale: in particolare, per avere specificato, nel certificato di infortunio sul lavoro relativamente alla voce "descrizione delle cause e circostanze dell'infortunio", che "nel reparto di radiologia si eseguivano tamponi a pazienti DH Day Surgery pre operatori - dipendenti assembrati nei corridoi della radiologia non eseguendo i protocolli".
2. Con nota del 15.1.2021, nonostante le giustificazioni addotte, la società intimava al lavoratore licenziamento per giusta causa.
3. Impugnato il provvedimento di recesso, il Tribunale di Roma, in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, confermava l'ordinanza resa in fase sommaria con la quale, pur essendo stata accertata la fondatezza della contestazione disciplinare, era stato tuttavia ritenuto che la condotta ascritta fosse punibile non con il licenziamento, ma con sanzione meramente conservativa, ai sensi dell'art. 42 punto IX del CCNL Sanità Privata.
4. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 2906/2023, in riforma della pronuncia di primo grado rigettava invece le originarie domande dell'A.A., condannandolo al pagamento delle spese di lite.
5. I giudici di seconde cure rilevavano che, a differenza di quanto statuito dal Tribunale, il comportamento addebitato non poteva essere semplicemente inquadrato nella condotta, punibile dalla contrattazione collettiva con sanzione conservativa in quanto lesiva della sola immagine datoriale, ma, conformemente al tenore della contestazione, involgeva fatti (risultati non veri) compromettenti della datrice su più fronti e si dimostrava grave, dolosa ed idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.
6. Avverso la sentenza di secondo grado A.A. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso la DOLOMITI Srl che presentava ricorso incidentale sulla base di un motivo.
7. Il Collegio si riservava il deposito dell'ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 c.p.c..
Diritto
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 n. 2 c.p.c. e dell'art. 111 Cost., per motivazione apparente sulla ritenuta falsità delle annotazioni riportate da esso ricorrente nel certificato di denuncia di infortunio, per non avere la Corte territoriale verificato la veridicità delle affermazioni circa la esistenza di assembramenti ed il mancato rispetto dei protocolli nella esecuzione dei tamponi.
3. Il motivo è infondato.
4. Va osservato che, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall'art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 22232/2016; Cass. n. 3819/2020; Cass. n. 6758/2022): ciò non è ravvisabile nell'impianto decisorio della gravata pronuncia ove è chiara la ratio decidendi adottata ed esplicitata dai giudici di seconde cure.
5. Nella fattispecie in esame tale vizio non è assolutamente ravvisabile avendo la Corte territoriale specificato, con adeguate argomentazioni insindacabili in sede di legittimità perché relative alla attività di valutazione delle prove, le ragioni per cui le affermazioni rese dall'A.A. nel modulo INAIL sul mancato rispetto dei protocolli da parte della società nel periodo di emergenza Covid erano state reputate non veritiere. In particolare, la Corte di appello ha condiviso la lettura delle risultanze processuali (testimonianze ed esiti dei sopralluoghi) nonché le verifiche effettuate dal Servizio di Prevenzione Spresal, il quale, intervenuto nel mese di novembre 2020 ed esaminata la documentazione relativa ai sei mesi precedenti, non aveva riscontrato alcuna irregolarità e non aveva prescritto alcun intervento correttivo: ciò in un contesto in cui l'A.A. non aveva mosso alcun rilievo alle risultanze della verifica del settembre e per quella di novembre si era limitato a rilevare la non contestualità dei tempi senza però considerare che la verifica della documentazione atteneva al semestre precedente l'intervento.
6. Con il secondo motivo si eccepisce, ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 42 punto IX del CCNL per il personale dipendente delle strutture sanitarie private, in relazione all'art. 7 legge n. 300 del 1970 e all'art. 111 Cost., per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto non sussumibile, nella fattispecie astratta sopra indicata, il comportamento contestato in quanto relativo alla sola lesione all'immagine aziendale.
7. Anche questo motivo è infondato.
8. L'art. 42 punto IX del CCNL, di cui l'odierno ricorrente principale invoca l'applicazione e che punisce con sanzioni conservative le ipotesi disciplinate, recita testualmente che: "IX. Compia in generale atti che possono arrecare pregiudizio all'economia, all'ordine e all'immagine della Struttura, fermo restando i diritti tutelati dalla Legge n. 300/70".
9. Ritiene questo Collegio che la valutazione della Corte territoriale, che ha opinato non inquadrabile, nell'ambito applicativo della suddetta disposizione contrattuale, il comportamento addebitato (ed accertato) all'incolpato, sia corretta.
10. Invero, la condotta contestata e provata presenta profili di complessità che non possono essere ricondotti solo ad una patita lesione all'immagine della società in quanto, come condivisibilmente sottolineato dai giudici di secondo grado, sono stati evidenziati, già con la nota di addebito, "possibili rilievi penalmente rilevanti" perché il dipendente, in un contesto in cui non erano necessarie né erano state richieste dall'INAIL, ha fornito dichiarazioni, risultate non veritiere e che avrebbero esposto la datrice di lavoro a varie responsabilità, su più livelli, di natura civile, penale ed amministrativa.
11. Il danno all'immagine, per una persona giuridica, è quello che attiene alla mera lesione della reputazione formatasi in un determinato momento storico, cagionando un discredito illecito.
12. Nel caso di specie, invece, con le dichiarazioni del lavoratore, risultate ex post non vere, i profili trasgressivi falsamente attribuiti alla società incidevano anche sotto ulteriori aspetti, oltre a quello della reputazione, esponendo potenzialmente la datrice di lavoro ad una serie di effetti pregiudizievoli ricadenti non solo sul buon nome sul mercato lavorativo, ma anche, eventualmente, sulla stessa continuità dell'attività aziendale.
13. Correttamente, pertanto, il fatto storico non è stato ritenuto sussumibile in quello tipizzato dall'art. 42 punto IX del CCNL di settore.
14. Con il terzo motivo si censura, ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 42 del CCNL per il personale dipendente delle strutture sanitarie private, in relazione all'art. 7 legge n. 300 del 1970, all'art. 2119 cc e all'art. 111 Cost, per essere stata ritenuta di particolare gravità la condotta di esso dipendente, pur non avendo essa messo in pericolo la pubblica incolumità ovvero determinato la responsabilità penale, civile o amministrativa della Struttura.
15. Pure questo motivo è infondato.
16. In sede di legittimità è stato affermato che la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento "che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto"; la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall'interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici (Cass. n. 6498/2012).
17. La sussistenza in concreto di una giusta causa di licenziamento, poi, va accertata in relazione sia della gravità dei fatti addebitati al lavoratore - desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonché dall'intensità dell'elemento intenzionale -, sia della proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, con valutazione dell'inadempimento in senso accentuativo rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza" dettata dall'art. 1455 c.c. (Cass. n. 21017/2015).
18. Nel caso de quo la Corte capitolina, in ossequio a tali principi, ha rilevato la gravità dei fatti commessi e la sussistenza della giusta causa dai seguenti elementi: a) il dipendente non si era limitato riferire di avere contratto il virus, ma si era spinto ad affermare, con false dichiarazioni, che il contagio era stato frutto di una non corretta gestione dell'emergenza sanitaria da parte del suo datore di lavoro; b) le dichiarazioni erano state inserite in un modulo indirizzato ad un Ente (INAIL) a cui istituzionalmente è demandato il potere di controllo del rispetto da parte del datore di lavoro delle norme in tema di sicurezza sul lavoro; c) si trattava di precisazioni, fermo l'obbligo di denuncia e di comunicazione dell'infortunio e di invio di tutta la documentazione indispensabile a tal fine, non necessarie a fini della tutela previdenziale richiesta, in una situazione in cui, per l'INAIL, già sussisteva una presunzione semplice, per l'operatore sanitario contagiato, di avere contratto il virus nell'ambiente lavorativo; d) era ravvisabile, pertanto, un uso improprio del certificato INAIL, con lo scopo di nuocere al datore di lavoro in quanto le affermazioni riguardavano fatti risultati insussistenti.
19. La Corte d'Appello, pertanto, si è correttamente attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta causa (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; n. 6901 del 2016; n. 21214 del 2009; n. 7838 del 2005) e di proporzionalità della misura espulsiva (cfr. Cass. 18715 del 2016; Cass. n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007) ed ha motivatamente valutato la gravità della condotta della dipendente, sottolineando la grave lesione dell'elemento fiduciario connesso alla falsa imputazione alla Struttura di comportamenti violativi delle regole dell'emergenza sanitaria con la creazione di assembramento e di mancato rispetto dei protocolli.
20. Con l'unico motivo del ricorso incidentale la DOLOMITI Srl lamenta la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla richiesta di condanna alla restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di reintegra di primo grado.
21. Il motivo è fondato perché la Corte territoriale effettivamente non si è pronunciata sulla domanda, reiterata dalla società in sede di reclamo (pag. 23), di restituzione delle somme eventualmente percepite in esecuzione del provvedimento, emesso all'esito della fase di opposizione, a titolo di indennità risarcitoria medio tempore, oltre accessori.
22. Né dalla gravata pronuncia è evincibile un rigetto implicito della istanza in quanto la sentenza di primo grado è stata totalmente riformata con il conseguente rigetto dell'originario ricorso proposto dal lavoratore.
23. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso incidentale deve essere accolto, mentre va rigettato il ricorso principale.
24. La gravata sentenza deve essere cassata in relazione al motivo del ricorso accolto e la causa va rinviata, essendo necessari accertamenti di fatto, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà esaminare la domanda restitutoria di DOLOMITI Srl, il cui scrutino è stato omesso, e provvederà, altresì, alle determinazioni sulle spese anche del presente giudizio.
25. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi nei confronti del ricorrente principale, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
26. In caso di diffusione vanno omesse le generalità e gli altri dati identificativi del lavoratore e della società datrice di lavoro venendo in rilievo dati sensibili relativi alla salute.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso incidentale e rigetta quello principale; cassa la sentenza in relazione al motivo del ricorso accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Ai sensi dell'art. 52 comma 5 del D.Lgs. n. 196/2003, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi del lavoratore e della società datrice di lavoro.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2025.