Cassazione Penale, Sez. 4, 24 marzo 2025, n. 11599 - Procedura di "movimentazione dei tronchi": omissioni nel DVR e mancata informazione



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere

Dott. BRANDA Francesco Luigi - Consigliere

Dott. MARI Attilio - Consigliere

Dott. DAWAN Daniela - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso proposto da

A.A. nato a B il (Omissis)

avverso la sentenza del 06/03/2024 della CORTE APPELLO di POTENZA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA DAWAN;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LIDIA GIORGIO

che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

 

Fatto


1. La Corte di appello di Potenza ha confermato la sentenza resa dal locale Tribunale in data 13/09/2021 nei confronti di A.A., dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 590, commi 2 e 3, cod. pen., perché in qualità di titolare della ditta omonima e datore di lavoro, con violazione delle norme in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 28, commi 1 e 2, lett, a), D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) cagionava al lavoratore B.B. lesioni gravi, consistite in "politrauma" con prognosi di quarantadue giorni.

1.2. Nell'imputazione si legge che il A.A. ha omesso di valutare tutti i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro e dei relativi accessori e di inserire nell'apposito documento di valutazione una relazione che ne tenesse conto, con le conseguenti, specifiche, indicazioni in ordine alle misure di prevenzione e protezione da realizzare, con precipuo riferimento ai rischi della fase dell'esborso via terra; così permettendo al lavoratore B.B. di posizionarsi sulle zavorre anteriori della trattrice agricola marca "Jhon Deer" (tg. (OMISSIS)) mentre percorreva il tragitto per spostare i tronchi dal luogo di abbattimento al luogo di scarico, provocandone in conseguenza la caduta e l'investimento da parte del trattore in marcia.

2. Avverso la sentenza di appello ricorre il difensore dell'imputato che articola tre motivi

2.1. Con il primo motivo, deduce omessa o apparente motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell'imputato, per non avere la Corte di appello fornito risposta ai motivi sollevati, essendosi limitata ad un mero rinvio alla sentenza di primo grado. La doglianza investe la ricostruzione della dinamica dei fatti che la difesa assume essere incerta; il tema della c.d. concretizzazione del rischio, atteso che, già nell'atto di impugnazione, si era segnalata la contraddizione tra le dichiarazioni della persona offesa (che aveva affermato di essere stato investito mentre si trovava dietro al trattore intento a staccare i tronchi), il capo di imputazione e le dichiarazioni dei testimoni dell'accusa. La parte della motivazione in cui si fa riferimento all'assenza di procedure nel D.V.R. e alla carente informazione al lavoratore sullo svolgimento della fase lavorativa sarebbe assolutamente incoerente con quanto accertato nel processo e dedotto nell'atto di appello. La regola cautelare violata non sarebbe stata individuata con certezza;

2.2. Con il secondo motivo, deduce erronea applicazione degli artt. 43 e 590, i commi 2 e 3, cod. pen., nonché dell'art. 28 D.Lgs. 81/2008, in ordine alla ritenuta sussistenza della causalità della colpa. La difesa sostiene che la Corte di appello non abbia fatto buon governo delle norme in ordine alla corretta identificazione della causa dell'infortunio, poiché propone un'alternativa tra l'azione e l'omissione senza declinarne contorni e disattende il contenuto dell'imputazione la quale identifica una chiara azione del datore di lavoro, elusiva delle garanzie; imposte dal T.U 81/2008. Invero, nell'imputazione si ascrive al datore di lavoro la colpa di aver fatto salire il lavoratore sul trattore, mentre nella versione dei fatti resa dalla persona offesa in dibattimento, l'investimento sarebbe avvenuto a seguito di una disattenta manovra di retromarcia posta in essere dal A.A. In assenza di una prova certa della condotta illecita posta in essere dall'imputato è impossibile affermare la sussistenza del nesso di causalità. La difesa sostiene che debba essere valutata la dedotta abnormità della condotta del lavoratore che si era posto dietro il trattore senza avvedersi che era in movimento. Anche rispetto a tale censura, la Corte territoriale ha semplicemente fatto richiamo alla sentenza di primo grado;

2.3. Con il terzo motivo, deduce erronea applicazione dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen., in relazione al mancato riconoscimento del fatto diverso da quello contestato. Il Tribunale, diversamente da quanto affermato nell'imputazione, ha sostenuto che l'infortunio sarebbe avvenuto a causa di "una manovra improvvisa che colpiva la persona offesa, intenta allo sgancio dei tronchi agganciati dietro al trattore, secondo le direttive del A.A.". Nel rispondere al motivo sul punto, la Corte territoriale avrebbe palesemente eluso la norma di cui all'art. 521 cod. proc. pen.

 

Diritto


1. Il ricorso è inammissìbile.

2. Quanto ai primi due motivi, occorre ricordare che costituisce principio consolidato, in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado nella giurisprudenza di legittimità, quello per il quale se l'appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relazione (Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, dep. 2013, Santapaola e altri, Rv. 256435). Già le Sezioni Unite di questa Corte (Sez U. n. 17 del 21/06/2000, Primavera e altri, Rv. 216664) avevano affermato la legittimità della motivazione per relationem, a condizione che essa 1)- faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2)- fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbici meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3)- l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione.

Nel caso di specie, la Corte di appello, lungi dall'effettuare una acritica trascrizione, totale o parziale, del testo della motivazione della sentenza di primo grado, ha fornito adeguata motivazione in ordine alla riconducibilità del fatto all'imputato, atteso che l'infortunio ebbe a verificarsi "in occasione dell'attività lavorativa" svolta dal B.B., "sicché appaiono inconferenti e/o comunque irrilevanti i primi tre motivi di appello e, cioè, sia quello relativo all'accertamento del luogo esatto in cui ebbe a verificarsi l'evento (...), sia quello relativo alla precisa ricostruzione della dinamica dell'accaduto , sia quello che fa leva sulla verificazione del sinistro al termine dell'attività lavorativa". Alle considerazioni effettuate dal primo Giudice al riguardo della cosiddetta "concretizzazione del rischio", la Corte territoriale ne ha aggiunte altre, rilevando come , per un verso, l'infortunio sia da ritenersi legato al lacunoso contenuto del DVR (difettando la previsione di procedure a tutela del lavoratore nella fase di c.d. "movimentazione dei tronchi", in violazione della norma cautelare di cui all'art. 28 D.Lgs. 81/2008); e per altro verso, sia risultato che il lavoratore non fosse stato adeguatamente informato sui rischi connessi proprio allo svolgimento di tale fase lavorativa. Ne ha, pertanto, tratto la congrua conclusione della sussistenza di uno stretto nesso causale tra la condotta dell'imputato e l'evento. Anche in ordine alla censura sull'abnormità della condotta del lavoratore infortunato, riproposta in questa sede di legittimità in termini assai generici, la sentenza impugnata si appalesa incensurabile. Occorre preliminarmente rammentare che le prescrizioni poste a tutela del lavoratore sono intese a garantire l'incolumità dello stesso anche nell'ipotesi in cui, per imprudenza, disaccortezza, stanchezza, inosservanza di istruzioni, malore od altro, egli si sia venuto a trovare in situazione di particolare pericolo (Sez. 4, n. 4917 del 01/12/2009, dep. 2010, Filiasi, Rv. | 246643; Sez. 4, n. 114 del 06/05/1985, dep. 1986, Smolich, Rv. 171538). Invero, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione propria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità, intrinsecamente connaturali alla esecuzione di talune attività lavorative, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali imprudenze e disattenzioni dei lavoratori, la cui incolumità deve essere sempre protetta con appropriate cautele. Soltanto nell'ipotesi in cui il lavoratore ponga in essere una condotta inopinabile, imprevedibile, esorbitante dal procedimento di lavoro ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero che si concreti nella inosservanza, da parte sua, di precise disposizioni antinfortunistiche, è configurabile la colpa dell'infortunato nella produzione dell'evento, con esclusione, in tutto o in parte, della responsabilità penale del datore di lavoro.

Si è anche affermato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché il comportamento colposo del lavoratore possa ritenersi abnorme e idoneo ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che esso sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia* (Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti Federica Micaela, Rv. 280914). Si è, altresì, precisato che, in tema di infortuni sul lavoro, non integra il comportamento abnorme, idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale patito dal lavoratore, il compimento da parte di quest'ultimo di un'operazione che, seppure imprudente, non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013, dep. 19/02/2014, Rovaldi, Rv. 259313). Secondo il dictum di questa Corte di legittimità, dunque, il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma s a consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabile, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro. La Corte di cassazione, peraltro, ha da tempo chiarito che nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro e di coloro che rivestono una posizione di garanzia rispetto alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente o imprudente del medesime) lavoratore infortunato, quando l'evento sia da ricondurre comunque alla insufficiertiza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. Sul punto, si è pure precisato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni.

Le considerazioni svolte in sede di merito nel presente procedimento si collocano appieno nell'alveo dell'anzidetto orientamento. Si legge infatti nella sentenza impugnata che la condotta del B.B. costituiva il normale sviluppo di un'ordinaria attività lavorativa che, dopo il taglio degli alberi, prevedeva il trasporto o, comunque, la movimentazione dei tronchi sicché l'evento subito dal lavoratore apparteneva esattamente alla classe di quelli che la norma cautelare di cui all'art. 28 D.Lgs. 81/2008 mira ad evitare.

Quanto al terzo motivo, deve richiamarsi il consolidato principio di diritto espresso da questa Corte, a mente del quale, nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pur specifica, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini della contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen., né rileva ai fini della ravvisabilità del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 cod. proc. pen. (ex multis, Sez. 4, n. 6564 del 23/11/2022, dep. 2023, Spampinato Marcello, Rv. 284101). Facendo corretta applicazione dell'anzidetto principio, la Corte di appello ha escluso che, nel caso di specie, si sia verificata una lesione del diritto di difesa del prevenuto, e ciò in considerazione del fatto che era stato comunque accertato, sulla scorta di quanto espressamente riferito da Carmine Colangelo, nel verbale di sommarie informazioni testimoniali acquisite al fascicolo del dibattimento, che "il B.B. era solito salire sul trattore condotto dall'imputato", 'sicché pure l'aggiunta di una condotta imprudente commessa dall'imputato nella conduzione e/o nella manovra del trattore non costituisce un fatto diverso o un "fatto nuovo" ai sensi della previsione di cui all'art. 521 c.p.p.'.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 19 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2025.