Tribunale di Grosseto, Sez. Lav., 05 febbraio 2025, n. 46 - Esposizione ad amianto e riconoscimento dell'origine professionale delle malattie di disturbo dell'umore e psoriasi
Tribunale Ordinario di Grosseto
Sezione Lavoro
in persona del Giudice, dott. Giuseppe GROSSO, all’udienza del 5 febbraio 2025, all’esito della camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
ex art. 429, 1° comma c.p.c., modificato dall’art. 53, comma 2 d.l. n. 112/2008, conv. in legge n. 133/2008, nella causa civile iscritta al n. 403 del Ruolo Generale Affari Lavoro dell’anno 2023, vertente
TRA
Omissis, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Marco Tufo e Leonardo Befi, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Marco Tufo in Grosseto, Corso Carducci n. 34, giusta delega in atti telematici,
RICORRENTE
E
I.N.A.I.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Grosseto, alla via Mameli, n. 13, rappresentato e difeso dall’Avv. Maria Elena MANCUSO SEVERINI in virtù di mandato generale alle liti.
CONVENUTO
OGGETTO: malattia professionale.
CONCLUSIONI DELLE PARTI:
Ricorrente: “Voglia il Giudice adìto, contrariis reiectis, per le causali di cui al ricorso:
- riconoscere e dichiarare che il sig. Omissis è affetto dalle malattie professionali denominate “disturbo dell’umore con persistente stato ansioso - ansia anticipatoria correlata alla esposizione pregressa alle fibre di amianto” ed “estesa psoriasi”, accertandone, pertanto, l’origine professionale, e che tali patologie determinano una inabilità permanente complessiva del 16%, ovvero quella diversa, maggiore o minore, che risulterà all’esito del giudizio;
- condannare l’INAIL, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, ai sensi del D.P.R. n. 1124/65, così come modificato dal D.Lgs. n. 38/2000, al pagamento delle prestazioni previste in caso di inabilità permanente a titolo di rendita, se maggiore o uguale al 16%, o di danno biologico, se inferiore, secondo quanto sarà accertato in corso di causa, con obbligo di pagare interessi legali e rivalutazione monetaria sui ratei maturati dalla data di presentazione della domanda amministrativa.
Con vittoria di spese e compensi professionali da distrarsi in favore del procuratore antistatario”.
Convenuto: “Voglia l’Ill.mo giudice adito, contrariis reiectis:
- respingere il ricorso, così come specificato, perché inammissibile in parte qua, nonché infondato in fatto e in diritto.
- Spese e competenze del giudizio come per legge”.
FattoDiritto
1. Con ricorso depositato il 9.7.2023, Omissis ha chiesto il riconoscimento quali malattie professionali della psicopatologia denominata “disturbo dell’umore con persistente stato ansioso – ansia anticipatoria correlata alla esposizione pregressa alle fibre di amianto” e della patologia costituita da una “estesa psoriasi”.
A tal fine ha rappresentato (i) di aver lavorato alle dipendenze della società ENEL presso l’area geotermica sita in Larderello nel periodo dal 29.12.1986 al 31.7.1998, durante il quale entrava a diretto contatto con materiali contenenti amianto, allora comunemente utilizzati per la coibentazione; (ii) che nel 1995 l’Azienda USL di Pisa aveva inviato alla Direzione Aziendale ENEL una comunicazione con la quale raccomandava il controllo sanitario mirato a tutto il personale che aveva lavorato per almeno 5 anni nei reparti “Carpenteria interna ed esterna”, “Sonde” e “Centrali”, reparti in cui si erano verificati casi di Asbestosi e/o sintomatologie riconducibili a tale patologia; (iii) che per le mansioni svolte di operaio carpentiere egli rientrava nell’elenco del personale che aveva lavorato per almeno 5 anni in carpenteria;
(iv) che tuttavia non veniva sottoposto ad alcun controllo da parte di ENEL (cfr. doc. n. 2); (v) che nel 2008 aveva adito il Giudice del lavoro di Grosseto al fine di sentir accertare il proprio diritto ai benefici di cui all’art. 13, comma 8, l. n. 257/1992, con richiesta di condanna dell’INAIL al riconoscimento dell’esposizione all’amianto e dell’INPS alla rivalutazione della contribuzione accreditata; (vi) che il CTU nominato in corso di causa, così aveva concluso: “Nel corso del periodo lavorativo si possono sostanzialmente individuare 2 diversi periodi in cui il soggetto ha lavorato in mansioni sostanzialmente diverse. Per quanto riguarda il periodo dal 29.12.86 al 01.08.98 si segnala che l’attività del ricorrente era quella di carpentiere esterno presso la Centrale di Larderello. Nell’ambito di tale mansione, il ricorrente provvedeva a tutte le necessità inerenti alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto, intervenendo così nelle varie parti, in associazione agli elettricisti, agli addetti alla manutenzione e anche da solo. Nell’ambito di tale mansioni provvedeva alla manutenzione ordinaria delle turbine e delle valvole, svolgendo anche opere di saldature e quant’altro. In pratica quasi tutte le varie operazioni di manutenzione, considerata la tipologia dell’impianto, prevedevano il contatto diretto con materiali contenenti amianto, vuoi sotto forma di guarnizioni, vuoi sotto forma di pannelli termici isolanti, ovvero di malte cementizie per la coibentazione delle tubazioni. Altra fonte particolarmente importante di esposizione a materiali contenenti amianto era caratterizzata da tutte le condutture dei vapordotti. Trattasi cioè di quelle tubature che conducono il vapore alla centrale e che necessariamente devono essere coibentate termicamente. Tale coibentazione fino ad epoca relativamente recente avveniva essenzialmente con malte cementizie impastate anche con materiali di amianto che frequentemente in caso di rottura dovevano essere parzialmente demolite e quindi parzialmente ricostruite. Solo a partire dal ‘94 tali malte vennero sostituite con materiali isolanti non contenenti amianto, anche se durante le fasi di smantellamento delle parti più vecchie è ancora possibile trovare la presenza di importanti quantità di materiale contenente amianto. (…) In via indicativa e presuntiva, tenuto conto dei normali livelli di uso e smaltimento delle scorte e della tipologia del lavoro in genere, si ritiene che fino all’anno 1996 possa essere riconosciuta una esposizione importante e verosimilmente superiore ai valori soglia. Per quanto riguarda il secondo periodo dal 01.08.98 a tutt’oggi, si segnala che il ricorrente ha lavorato in qualità di manutentore degli impianti di alta tensione e con qualifica di tira-filista. Il ricorrente stesso conferma che in questa seconda mansione non ha subito alcuna esposizione a materiali contenenti amianto”. (…) “Dopo aver esaminato gli atti di causa e dalla raccolta anamnestica, possiamo rispondere al quesito posto affermando che per quanto riguarda il periodo lavorativo dal 29.12.86 al 31.12.92 si può riconoscere una esposizione a materiali contenenti amianto significativa e superiore ai valori soglia previsti dall’attuale normativa. Nei successivi 4 anni, fino al 1996, è verosimile che tali livelli di esposizione siano rimasti di entità rilevante, tenuto conto che i materiali contenenti amianto non potevano certo essere banditi dai luoghi di lavoro in modo “immediato” (…). Viceversa, per quanto riguarda il successivo periodo lavorativo, ed in particolare dal 01.08.98 a tutt’oggi, non vi è stata alcuna esposizione a materiali contenenti amianto” (cfr. doc. n. 3). Conclusioni fatte proprie in sentenza, passata in giudicato, dal Giudice del lavoro di Grosseto.
Rappresentava poi che, nonostante non abbia a tutt’oggi sviluppato patologie asbesto correlate, il contesto descritto lo portava a sviluppare gradatamente “una psicopatologia in relazione alla “rabbia” per non essere stato adeguatamente informato e protetto ai tempi dell’attività lavorativa a rischio presso l’area geortermica di Larderello e alla “paura” persistente di contrarre gravi patologie a causa dell’esposizione all’amianto, le quali, come è noto, in molti casi possono condurre al decesso e possono svilupparsi a distanza di 20, 30 o 40 anni dall’esposizione”. Patologia per la cui cura è seguito sin dal 2008 da una specialista, la dott.ssa Mariangela Gasperini, Responsabile del dipartimento dei disturbi del tono dell’umore dell’ASL Toscana Sud-Est, che lo ha sottoposto a trattamento farmacologico (Citalopram, mirtazaprina e carbolitio; cfr. doc. n. 6).
Ritenendo tale patologia psichica collegata in rapporto causale diretto con l’attività lavorativa svolta presso l’area geotermica di Larderello, in data 18.6.2021 presentava all’INAIL domanda per riconoscimento del disturbo dell’umore quale malattia professionale (cfr. doc. n. 8), che tuttavia veniva respinta.
Tanto premesso, chiedeva pertanto che il Tribunale, riconosciuta l’esistenza della malattia dalla quale è affetto (“disturbo dell’umore con persistente stato ansioso” ed “estesa psoriasi”), quale espressiva di un rischio specifico improprio, oltre che del nesso causale con l’attività lavorativa, volesse conseguentemente dichiarare il proprio diritto all’indennizzo per danno biologico in rapporto a una invalidità del 16% o, comunque, in misura indennizzabile, condannato l’INAIL alla corresponsione delle prestazioni previste dalla legge.
2. L’Istituto, costituitosi in giudizio, richiamando gli accertamenti compiuti in sede amministrativa, ha chiesto il rigetto della domanda essendo essa infondata nel merito.
3. Espletata CTU medica, all’odierna udienza la causa è stata discussa e decisa mediante sentenza di cui è stata data integrale lettura.
***
4. La domanda è fondata.
Il C.T.U. nominato dr. Luigi Galassi, visitato il ricorrente ed esaminata la documentazione prodotta, coadiuvato dalla specialista psichiatra dr.ssa Federica Vanelli, ha così ritenuto e concluso: “Tenendo presente lo scopo della presente perizia in relazione ai quesiti posti dal Signor Giudice, passo ora alla valutazione di ciò che è emerso dall’esame clinico, dall’anamnesi del paziente e dall’esame degli atti. Il periziato ha iniziato a presentare disturbi psichici dal 2008 quando a seguito della conoscenza di decessi dovuti all’esposizione all’amianto di ex colleghi di lavoro, manifestava una “ansia di attesa” della malattia che lo stesso descrive come una spina irritativa permanentemente presente per cui si rivolgeva a specialista di fiducia. Tale timore di ammalarsi era sostenuto quindi dalla preoccupazione motivata dalla consapevolezza che l'esposizione prolungata all'amianto (maturata per circa 10 anni in ambito lavorativo ) avrebbe potuto provocargli in futuro lo sviluppo di tale malattia legata appunto all’amianto. Per tale motivo fu iniziata terapia farmacologica con Citalopram 30mg. Tale angoscia definibile come ansia anticipatoria provoca depressione e ansia che si accentua ad ogni nuova notizia su un ex-collega ammalato. Ritenendo che tale condizione psichica fosse da correlare all’esposizione lavorativa, presentava denuncia di MP non tabellata all’INAIL. L’Istituto dopo iter medico-legale, valutazione specialistica (dr.ssa Cuccuini psichiatra INAIL “Dall’esame degli atti e dal colloquio psicodiagnostico posso affermare che l’assicurato ad oggi presenta un Disturbo Depressivo Ricorrente con quota ansiosa rilevante: per inquadrare il grado di tale quadro si richiede CORTISOLEMIA alle ore 8 e CATECOLAMINE URINARIE delle 24 h.Tale disturbo si è manifestato dal 2008 e per tale quadro è in cura presso Psichiatria Grosseto e in passato ha svolto psicoterapia presso terapeuti privati. Dall’indagine sulla storia di tale disturbo è rivelabile che la
La valutazione degli atti, e la valutazione psichiatrica del ricorrente porta alle seguenti considerazioni: -il ricorrente è stato riconosciuto esposto ad amianto nel periodo 29/12/1986 al 31/12/1996, come si deduce dalla Sentenza del 15/12/2009 Giudice del lavoro di Grosseto .
- la valutazione psichiatrica Inail e la valutazione effettuata dall’ausiliario dr.ssa Vanelli F. concludono per un disturbo di adattamento con disturbo misto dell’umore e ansia.
- Come noto, particolare rilevante, inerente al termine di "malattia professionale" risulta essere la prova del nesso causale, del quale costituiscono una valida fonte gli elenchi delle malattie professionali
contenute nelle tabelle allegate al D.P.R. n. 1124/1965 e successive modificazioni,ultima delle quali il DM 09.04.2008. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato il principio secondo cui per le malattie comprese in dette tabelle e manifestatesi entro i termini ivi previsti opera in favore del lavoratore una presunzione legale dell'esistenza di un rapporto di causalità tra lavoro e malattia.
- Effetti psicologici negativi si riscontrano anche in coloro che sono stati esposti all’amianto. I soggetti soffrono per via della paura di poter contrarre una patologia asbesto correlata, potenzialmente mortale. Lo status psicologico alterato post esposizione amianto è denominato “paura di ammalarsi”. Il 75% di coloro che sono stati esposti ad amianto soffrono di ansia, deflessione del tono dell’umore, disturbi somatici, tendenza al ritiro sociale e di varie forme di depressione. Successivamente compaiono altri sintomi come senso di disperazione, apatia, difficoltà di concentrazione, paura di contrarre malattie o di morte prematura, paura di un “contagio aereo”, disfunzione sociale, nosofobia e negazione della malattia e la difficoltà di esprimere emozioni. La depressione correlata all’esposizione di fibre di asbesto si manifesta spesso negli ex lavoratori esposti amianto che nel corso del tempo hanno realizzato che molti dei loro compagni di lavoro, o semplicemente colleghi che svolgevano la loro stessa mansione, hanno perso la vita a causa della presenza di eternit. In Francia, nel biennio 2003-2005 si è assistito all'implementazione di un programma di screening su larga scala per le patologie asbesto-correlate, denominato “Asbestos PostExposure Survey” (APEXS). A ciascun partecipante è stato attribuito un punteggio relativo al livello di esposizione, in tutti i casi lavorativa, ad amianto, tenendo conto sia della durata sia dell’intensità della stessa. La ricerca ha evidenziato come i soggetti con un'effettiva esposizione occupazionale all’amianto manifestino elevati livelli di distress (Cockburn, 1992 Cockburn J., De Luise T., Hurley S., Clover K. (1992), Development and validation of the PCQ: a questionnaire to measure the psychological consequences of screening mammography, in Soc Sci Med, 34(10), pp.1129-1134;; Maziade, 2001 Maziade H., Thomassin L., Morin R. (2001), Emotional, physical and social consequences of breast cancer: viability and utilization of a clinical questionnaire, in Can J Public Health, 92(1), pp. 57-61;). Tali valori non dipendono né correlano con la consapevolezza di ciascuno di loro di essere esposti ad amianto e di poter ammalarsi di patologia amianto-correlate.
Non è difficile immaginare come la sola esposizione a materiale cancerogeno, porta la persona a vivere un forte disagio, tensione e preoccupazione che, normalmente, si sperimenta di fronte a situazioni ambientali considerate potenzialmente minacciose per la propria vita. Solitamente l’individuo sano di fronte ad una minaccia ambientale risolve il problema eliminandolo ma se questo non è possibile, la costante esposizione diventa quel fattore responsabile di quell’affaticamento mentale che si considera produttore di stress; ed il quale, a certi livelli altera il funzionamento cognitivo ed emotivo dell’individuo, condizionando gravemente la qualità del modo di vivere nel suo ambiente, le relazioni affettive, sociali e ricreative. In base a quanto è stato rilevato sino ad oggi in letteratura scientifica e dalla ricerca sul campo, si possono ipotizzare, e in molti casi confermare, diversi effetti dovuti allo stress ambientale sull’individuo che è costretto a subirlo: disturbi cognitivi, timore di ammalarsi, ipocondria, sintomatologie psicosomatiche, nevrosi e idee ossessive, depressione, riduzione delle ore di sonno, disturbi di attacchi di panico, abbassamento del sistema immunitario, problemi cardiocircolatori, ecc.. I disagi psichici possono presentarsi singolarmente e/o associati ad altri disturbi, e quando sono costanti ed eccessivi finiscono per costituire una vera e propria patologia psichica, non di rado si richiede anche l’intervento psicofarmacologico per contrastare i sintomi. In altre situazioni, invece, l’alterazione psicologiche non solo tali da produrre una psicopatologia (danno psichico), ma piuttosto, producono una modificazione peggiorativa dell’equilibrio psicologico e dello stile di vita nell’ambito dei rapporti sociali, della famiglia e degli affetti in un ottica relazionale ed emotiva; e ciò condiziona marcatamente la qualità della vita, la sua progettualità e le aspettative (danno esistenziale, inteso come un’alterazione (temporanea e/o permanente), in senso peggiorativo, del modo di essere di una persona nei suoi aspetti sia individuali che sociali. Sul Piano Individuale si presenta come: una modificazione della personalità e dell’assetto psicologico nel suo adattamento, nei suoi stati emotivi, nella sua efficienza e nella sua autonomia. Sul Piano Sociale si presenta come un’alterazione del manifestarsi del proprio modo di essere nei seguenti ambiti:relazioni familiari e affettive, attività di riposo, interpersonali/relazionali, di svago, sociali/culturali e di autorealizzazione. La definizione proposta ( richiama fortemente l’art. 2 della Costituzione e permette di distinguere all’interno del Danno Esistenziale tre macrocategorie: 1. personalità e assetto psicologico; 2. relazioni familiari e affettive; 3. attività di riposo, interpersonali/relazionali, di svago, sociali/culturali, religiose, di autorealizzazione e autodeterminazione). Facendo riferimento anche a fatti recenti, quali il processo di Torino all’interno del processo Eternit, veniva accolta la costituzione di parte civile delle persone fisiche residenti nei paesi in cui erano collocati vecchi stabilimenti Eternit o in zone limitrofe, che avanzano nei confronti degli imputati una pretesa risarcitoria fondata sulla presunta esistenza di un danno da “mera esposizione” all’amianto, dalla quale deriverebbe la sottoposizione ad uno stress psicologico da paura di ammalarsi. In quella sede i giudici hanno stabilito, da un lato, che “il danno definito dalle difese quale “esistenziale” può attualmente farsi rientrare nella nozione di danno non patrimoniale (ovvero di danno biologico), eventualmente risarcibile, qualora provato” e, dall’altro, che “lo stato di sofferenza o di turbamento della pretesa morale non potrà che essere provato caso per caso, ed essere valutato in sede di esame della fondatezza”. In ogni modo, la risarcibilità di un danno da esposizione dipende dall’assolvimento di precisi oneri probatori relativi: alla gravità dell’evento; all’effettivo turbamento psichico subito; al nesso causale fra turbamento ed evento dannoso. La ricerca scientifica svolta dalla Disciplina della Psicologia Ambientale ci insegna che quando un individuo si trova di fronte ad uno stimolo stressogeno durevole, che non può eliminare e che subisce, può ammalarsi di disturbi psicologici e/o psicosomatici, a causa dell’attivazione di difese non adattive.
- L’INAIL nella circolare n° 7876 del febbraio 2006 in merito al nesso di causa riporta “Una volta accertata, nei termini sopraindicati, la nocività dei fattori di rischio lavorativi, si potrà passare alla valutazione del nesso di causalità tra detti fattori di rischio e la patologia denunciata come malattia professionale. L’impossibilità di raggiungere una assoluta certezza scientifica in ordine alla sussistenza del suddetto nesso causale non costituisce, peraltro, motivo sufficiente per escludere il riconoscimento della eziologia professionale. Aquesto fine, infatti, la giurisprudenza consolidata e concorde della Corte di Cassazione ritiene sufficiente la ragionevole certezza della genesi professionale della malattia. Tale ragionevole certezza, che non può certamente consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, deve ritenersi sussistente in presenza di un elevato grado di probabilità dell’etiopatogenesi professionale, desumibile anche da dati epidemiologici e dalla letteratura scientifica. L’accertamento della sussistenza del nesso eziologico, sia pure in termini di probabilità qualificata, tra il rischio lavorativo e la patologia diagnosticata deve indurre a riconoscere la natura professionale della stessa anche quando abbiano concorso a causarla fattori di rischio extralavorativi. Nel caso di concorrenza di fattori professionali con fattori extraprofessionali trovano, infatti, applicazione i principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., che, in quanto principi generali dell’ordinamento giuridico, sono applicabili anche alla materia dell’ assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. In particolare, in forza del principio di equivalenza, causa di un evento è ogni antecedente che abbia contribuito alla produzione dell’evento stesso, anche se di minore spessore quantitativo o qualitativo rispetto agli altri, salvo che sia dimostrato l’intervento di un fattore causale da solo sufficiente a determinarlo”.
-in conclusione ritengo alla luce di quanto sopra esposto esita una discreta probabilità di nesso causale tra il disturbo psichico e l’esposizione all’amianto per ca 10 aa determinando la patologia denunciata e meritevole del riconoscimento di un DB pari al 6%”.
5. Le risultanze della CTU medica appaiono pienamente condivisibili, essendo la espletata indagine correttamente eseguita e immune da profili di censurabilità, peraltro neppure sollevati dai CCTTPP delle parti.
Il CTU in particolare ha evidenziato una serie di elementi utili al fine dell’affermazione del nesso causale che – come noto – consiste nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il principio, ispirato alla regola della normalità causale, ossia del "più probabile che non" o della qualificata probabilità scientifica (cfr., ad esempio, Cass. n. 17334/2012 cit.). Nello specifico, trattandosi di una malattia non tabellata la prova della derivazione della malattia da causa di lavoro grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità (cfr., ad esempio, Cass. 14308/2006). Il giudizio circa la sufficienza dell’esposizione del lavoratore a istituire il nesso causale deve essere condotto sul caso concreto alla luce della letteratura scientifica, degli studi epidemiologici di settore, ove disponibili, e di ogni altro ausilio scientifico proprio della scienza specifica.
Nel caso del ricorrente Omissis è importante evidenziare in tal senso che i primi disturbi sono coincisi con la conoscenza delle serie problematiche di salute che avevano colpito alcuni colleghi di lavoro, i quali - come il ricorrente - avevano subito una lunga esposizione ad amianto (l’esposizione è dato incontestabile ed è avvenuta nel periodo 1986/1996). Si tratta di una patologia definibile “ansia anticipatoria”.
Le conclusioni della stessa valutazione specialistica effettuata in sede di visita medico legale dell’Inail sono rilevanti dal momento che la specialista aveva diagnosticato un “Disturbo Depressivo Ricorrente” con quota ansiosa rilevante e che dall’indagine sulla storia di tale disturbo era rivelabile come la sintomatologia fosse secondaria a un forte timore di perdita della propria salute a causa della pregressa esperienza di lavoratore.
In corso di causa l’ausiliario del CTU, la psichiatra Vanelli, visitato il ricorrente, ha poi concluso per la sussistenza un disturbo di adattamento con disturbo misto dell’umore e ansia. Rilevanti sono poi i dati evidenziati dal CTU circa la connessione statistica tra esposizione ad amianto e comparsa di sintomi depressivi.
Tali elementi tutti vanno a corroborare il giudizio conclusivo del CTU Galassi circa la sussistenza di “una discreta probabilità del nesso causale”, sì che esso può dirsi ricorrente con qualificato grado di ragionevolezza scientifica, secondo il principio del "più probabile che non"; principio che quindi si ritiene possa farsi rivivere nel caso in esame.
La paura di ammalarsi configura un danno di natura non patrimoniale. Si tratta di un danno morale soggettivo coincidente con il patema d’animo o la sofferenza interiore subiti dalla vittima di un illecito o, secondo una più ampia e recente interpretazione, con «la lesione arrecata alla dignità e integrità morale, quale massima espressione della dignità umana».
Ma il danno d’ansia può estendersi alla sfera areddituale del soggetto, tracimando nel danno esistenziale, ovvero può tradursi in una lesione dell’integrità psichica, configurando un danno psichico, quale quello accertato e quantificato dal CTU nel caso in esame.
6. Di conseguenza, la domanda va accolta e pertanto l’INAIL deve essere condannato a corrispondere all’odierno ricorrente l’indennizzo in capitale per il danno biologico subìto a seguito dell’accertata malattia professionale nella misura del 6%, oltre interessi legali dal 121° giorno successivo a quello della domanda amministrativa, fino all’effettivo soddisfo.
7. Le spese seguono la soccombenza. Quelle di consulenza, liquidate
con separato decreto, sono poste interamente a carico dell’INAIL.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Omissis, con ricorso depositato il 9.7.2023 nei confronti dell’INAIL, disattesa ogni diversa istanza ed eccezione, così provvede:
- condanna l’INAIL al pagamento, in favore di Omissis, dell’indennizzo in capitale per il danno biologico subìto a seguito del contratto “disturbo psichico” di origine professionale, nella misura complessiva del 6%, oltre interessi legali dal 121° giorno successivo a quello della domanda amministrativa (18.6.2021), fino all’effettivo soddisfo;
- condanna l’INAIL al pagamento, in favore dell’Avv. Marco TUFO e dell’Avv. Leonardo BEFI, procuratori antistatari, delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 3.000 per compensi professionali, oltre spese forfettarie, oltre IVA e CPA come per legge;
3) pone definitivamente a carico dell’INAIL le spese della consulenza tecnica d’ufficio, liquidate con separato decreto.
Grosseto, 5 febbraio 2025