Cassazione Civile, Sez. Lav., 30 marzo 2025, n. 8358 - Provvedimenti disciplinari per varie condotte inadempienti sul lavoro anche relative alla sicurezza e licenziamento dell'operaio addetto alla manutenzione della Tangenziale 



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana - Presidente

Dott. RIVERSO Roberto - Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere

Dott. CASO Giuseppe Luigi Francesco - Consigliere

Dott. CIRIELLO Antonella - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA
 


sul ricorso 1277-2023 proposto da:

TANGENZIALE DI NAPOLI Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ANTONELLO DI ROSA, GIOSAFAT RIGANO, che la rappresentano e difendono;

ricorrente

contro

A.A., elettivamente domiciliato presso l'indirizzo PEC dell'avvocato SABINO ANTONINO SARNO, che lo rappresenta e difende;

controricorrente

avverso la sentenza n. 4371/2022 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 18/11/2022 R.G.N. 944/2022;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere Dott. ANTONELLA CIRIELLO.

 

Fatto



1. La Corte d'Appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli che, per quanto qui rileva, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare intimato a A.A., per diversi inadempimenti e insubordinazioni sul lavoro e ordinato alla società la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

Il dipendente, operaio addetto alla manutenzione della TANGENZIALE DI NAPOLI, era stato licenziato per una serie di condotte inadempienti sul lavoro, nella gestione dei cd. cantieri mobili, tra l'altro anche relative alla sicurezza degli stessi (in violazione di una serie di prescrizioni lavorative, correlate, in particolare, alle segnalazioni al Centro Radio mobile, e alla procedimentalizzazione delle stesse, per garantire la massima sicurezza della gestione del cantiere sulle sedi stradali, in relazione alla circolazione del traffico). Nella fase sommaria il Tribunale aveva emesso un'ordinanza con la quale aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro tra A.A. e TANGENZIALE DI NAPOLI Spa alla data del licenziamento, condannando la società al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva di diciotto mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Invece, nella successiva fase di opposizione, il Tribunale di Napoli, sul rilievo che le violazioni contestate ad A.A. fossero riconducibili a ipotesi per le quali il codice disciplinare aziendale prevedeva la sanzione della sospensione dal lavoro e non quella espulsiva, che apparisse sproporzionato il licenziamento rispetto all'entità dei fatti addebitati (anche in considerazione del fatto che in caso analogo altro lavoratore, pur essendosi accollato la responsabilità della mancata comunicazione al Centro Radiomobile, è stato destinatario di una sanzione disciplinare conservativa), ha accolto il ricorso del lavoratore, dichiarando illegittimo il licenziamento disciplinare e ordinando alla società la reintegrazione nel posto di lavoro.

2. La Corte di appello ha confermato tale valutazione, evidenziando pure che la contestazione della recidiva era priva dei caratteri della specificità. Ed infatti la società TANGENZIALE DI NAPOLI, nella contestazione disciplinare del 4 gennaio 2021, si era limitata a indicare le date dei provvedimenti disciplinari (25 ottobre 2019 e 28 novembre 2019) senza specificare gli episodi cui gli stessi si riferivano; inoltre i due provvedimenti disciplinari non erano definitivi al momento dell'adozione del licenziamento (22 gennaio 2021) essendola prima pendente in sede conciliativa e la seconda confermata da una sentenza del Tribunale di Napoli (5836/2021) tuttavia gravata dinanzi alla Corte d'Appello.

La corte ha poi osservato come i precedenti sette procedimenti disciplinari (risalenti agli anni 1999-2017) menzionati nel licenziamento disciplinare del 22 gennaio 2021 non erano stati contestati nella precedente lettera di contestazione del 4 gennaio 2021, in violazione del principio di immodificabilità della contestazione e che, in definitiva, i fatti contestati rapportati al codice disciplinare aziendale, erano riconducibili alle ipotesi tipiche previste per la sanzione conservativa della sospensione.

La corte, in particolare, ha richiamato le ipotesi tipizzate ai numeri 3, 7 e 8 dell'art. 36 del CCNL, riconducendo i comportamenti addebitati all'inosservanza delle disposizioni aziendali in tema di sicurezza sul lavoro (omessa comunicazione al centro radiomobile e omessa esecuzione di direttive del superiore L.), evidenziando, in sintonia con la prima decisione, che la misura espulsiva, pur considerando, potenziale pericolo per l'incolumità pubblica e privata, ingenerato dalla dedotta insubordinazione (in violazione di specifiche disposizioni aziendali intese a garantire che le attività del cantiere stradale siano realizzate in condizioni di massima sicurezza) era sproporzionata, anche tenuto conto del fatto che nessun danno era intervenuto per la società ed ha quindi ritenuto corretta la conclusione del giudice di prime cure quanto al difetto di proporzionalità.

3. Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso TANGENZIALE DI NAPOLI con 5 motivi, cui resiste con controricorso A.A.; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza.
 

Diritto



4. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 300/1970, in relazione alla valutazione della recidiva nel licenziamento disciplinare intimato al A.A.

Avrebbe errato la Corte d'Appello nel ritenere che la contestazione della recidiva fosse priva dei caratteri della specificità, in quanto la società si era limitata a indicare le date dei provvedimenti disciplinari (25 ottobre 2019 e 28 novembre 2019), senza specificare gli episodi cui gli stessi si riferivano, e nel valorizzare il dato per cui i due provvedimenti disciplinari non erano definitivi al momento dell'adozione del licenziamento.

Ed infatti, deduce la ricorrente, richiamando giurisprudenza di questa corte, che ai fini di una valida contestazione della recidiva non sarebbe necessario specificare gli episodi cui i provvedimenti disciplinari si riferiscono, essendo sufficiente il richiamo alle sanzioni disciplinari dell'ultimo biennio con l'indicazione della data della loro intimazione.

Pure in merito al requisito della definitività dei provvedimenti disciplinari, la società ricorrente richiama il costante orientamento di questa Corte di cassazione, secondo cui la contestazione di precedenti sanzioni disciplinari non richiede che gli stessi siano divenuti definitivi (ossia che siano stati confermati con sentenza passata in giudicato), caratteristica propria del corrispondente istituto di diritto penale.

Evidenzia, infine, nel formulare la doglianza in esame, la disposizione dell'articolo 36 del CCNL, che espressamente prevede il licenziamento in caso di "recidiva in qualsiasi delle mancanze che abbiano dato luogo alla sospensione dal servizio e dalla retribuzione".

5. Con il secondo motivo di ricorso, formulato sempre ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., TANGENZIALE DI NAPOLI Spa lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 cod. civ. in relazione alla valutazione dei precedenti disciplinari ai fini della sussistenza della giusta causa di licenziamento. Avrebbe errato la Corte d'Appello di Napoli nel ritenere irrilevanti i sette precedenti disciplinari, risalenti agli anni dal 1999 al 2017, ai fini della valutazione della gravità degli addebiti contestati, poiché menzionati solo nel provvedimento di recesso e non nella lettera di contestazione disciplinare, in violazione del principio di immodificabilità della contestazione, giacchè gli stessi erano stati citati per corroborare la valutazione complessiva della lesione del vincolo fiduciario, come si desumeva dalla richiamata memoria difensiva presentata nella fase di opposizione, in cui si legge: "Nel corso del rapporto di lavoro la ricorrente ha ricevuto le seguenti sanzioni disciplinari: provvedimento del 06/05/1999 - 21/06/2005 - 08/07/2013 - 20/01/2015 - 07/06/2016 - 05/07/2017 - 13/10/2017 - 25/10/2019 - 28/11/2019 (CFR. alleg. 8). Le sanzioni disciplinari predette - comprensive delle due recidive - sono state considerate come circostanze confermative degli addebiti contestati, ai fini della valutazione della complessiva gravità e anche sotto il profilo psicologico delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità del provvedimento disciplinare (Cass. civ, sez. lav. n.1145/2011; Cass. civ, sez. lav. n. 5093/1995; Trib. Roma n. 200 15 gennaio 2016)".

6. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 36 del CCNL, in relazione alla qualificazione della condotta del lavoratore come "gravissima insubordinazione" e alla conseguente legittimità del licenziamento. Avrebbe errato la Corte d'Appello di Napoli avallando l'interpretazione del Tribunale, secondo cui le violazioni contestate al signor A.A. sarebbero riconducibili alle ipotesi previste dal codice disciplinare aziendale per la sanzione conservativa della sospensione, e non a quelle che legittimano il licenziamento, e riconducendole alle ipotesi tipizzate ai numeri 3, 7 e 8 dell'art. 36 del CCNL.

Ed infatti, la corte avrebbe dovuto considerare che la ripetuta insubordinazione del ricorrente assumeva connotati di particolare gravità in termini di potenziali infortuni a carico degli altri lavoratori e di incidenti stradali (che hanno costretto la società a sospendere le attività e a far rientrare i dipendenti addetti presso la sede), così dovendo essere sussunta, proprio per tali caratteristiche nella "gravissima insubordinazione", per la quale il codice disciplinare prevede espressamente il licenziamento.

Segnatamente, la ricorrente riporta i seguenti passaggi delle insubordinazioni contestate:

"Il lavoratore si è rifiutato di "comunicare al Centro Radio Informativo l'inizio dei lavori e le procedure ad esse legate per l'occupazione della sede stradale"";

"Rifiuto che è stato reiterato dal lavoratore "nonostante il Tecnico Traffico e Manutenzione chiedeva di ribadire a Lei e al

collega B.B. l'obbligo di comunicare al CRI le fasi/ubicazioni delle cantierizzazioni in avvio di esecuzione, riscontrando un ulteriore rifiuto da entrambi"";

"Nonostante il Tecnico Traffico e Manutenzione impartiva l'ordine al sig. A.A., di spostarsi con il proprio automezzo nel tratto successivo, questi si rifiutava nuovamente adducendo scuse infondate, tanto da indurre il superiore gerarchico a contattarlo telefonicamente".

7. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c., in relazione alla contestazione disciplinare e alla valutazione complessiva della condotta del lavoratore.

Avrebbero errato i giudici di merito analizzando i singoli episodi contestati in modo frammentario, anziché valutarli nel loro complesso, al fine di verificare se la sanzione del licenziamento fosse proporzionale alla pluralità delle condotte poste in essere dal lavoratore.

La corte, piuttosto che ricercare singole ipotesi tipizzate nelle quali ricomprendere la fattispecie concreta, avrebbe dovuto apprezzare la portata complessiva della condotta del lavoratore, la cui insubordinazione si traduceva nel reiterato rifiuto di svolgere l'attività lavorativa nel rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza stradale, cosicché lungi dal poter costituire una mera inosservanza di obblighi di servizio (peraltro gravissima per quantità e qualità) - integra una giusta causa di licenziamento sul piano sostanziale, ove si consideri il pericolo che la sua condotta avrebbe potuto creare agli utenti della rete autostradale (di cui peraltro dà anche atto il giudice di primo grado richiamato, sul punto, dalla stessa sentenza di appello pag. 9).

8. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2106 c.c., in relazione alla proporzionalità della sanzione irrogata al lavoratore, in cui sarebbe incorsa la Corte d'Appello di Napoli per aver avallato l'interpretazione del Tribunale, secondo cui la condotta del signor A.A., pur essendo grave, non avrebbe giustificato il licenziamento, nonostante la gravità oggettiva e soggettiva dell'inadempimento e le circostanze specifiche del rapporto di lavoro Evidenzia la ricorrente, richiamando giurisprudenza di questa corte, come il principio di proporzionalità debba essere applicato valutando non in astratto la previsione contrattuale, ma tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, come il grado della colpa o del dolo e la ricorrenza di cause di giustificazione. In ogni caso avrebbe dovuto essere svolta una valutazione di gravità che prescinde dal codice disciplinare, alla luce dell'intrinseco disvalore delle condotte tenute.

9. Il ricorso merita accoglimento.

10. Il primo e il secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per connessione logica, sono fondati.

La Corte, invero, nel respingere il reclamo della società ha operato una doppia valutazione della contestazione della recidiva. Per un verso ha escluso la rilevanza della contestazione dei due episodi di sanzione disciplinare, ritenendo che non aver descritto le condotte avrebbe precluso la loro valutazione ai fini della specificità della sanzione disciplinare, per altro verso ha valorizzato il dato della non definitività dei procedimenti disciplinari poiché ancora sottoposti al vaglio giurisdizionale (se pure, per uno di essi, fosse già intervenuta una prima sentenza di merito che ne riconosceva la legittimità).

Tuttavia preliminarmente, e con specifico riguardo al primo motivo, dalla mera lettura della contestazione riportata nel ricorso per cassazione (pag. 5) non si rileva la genericità riscontrata dalla corte di appello poiché risulta presente il riferimento non solo alla data delle due contestazioni precedenti ed al numero di protocollo interno, ma anche alla natura delle condotte ("precedente specifico per il medesimo comportamento") nonché al tipo di sanzione inflitta (provvedimento disciplinare di 10 giorni di sospensione), tutti elementi rilevanti anche luce delle difese svolte dal lavoratore, nel senso della sufficiente specificità del richiamo.

Inoltre neppure corretto appare il rilievo che ridimensiona la portata della contestazione della recidiva alla luce della non definitività del giudizio di impugnazione dei relativi provvedimenti (l'uno, all'epoca della redazione della sentenza, ancora pendente presso il Collegio di Conciliazione ed arbitrato, l'altro, pur confermato dal Tribunale con sentenza n. 5836/2011, sottoposto allo scrutinio della Corte di appello in diverso giudizio).

Ed infatti, anche riguardo a tale aspetto, la sentenza non si confronta con la giurisprudenza di questa corte che ha chiarito, da tempo, come l'istituto della recidiva presenta caratteri autonomi rispetto all'istituto regolato dal diritto penale, costituendo espressione unilaterale di autonomia privata del datore di lavoro, in relazione alla quale l'impugnazione da parte del lavoratore sanzionato è solo eventuale e, in ogni caso, non costituisce causa di sospensione della sua efficacia (cfr. sulla efficacia delle sanzioni disciplinari temporaneamente sospese, ex art. 7, comma 6, della legge n. 300 del 1970, a seguito di costituzione del collegio di conciliazione ed arbitrato, Cass. n. 7719 del 2016, Cass. n. 172 del 2005, Cass. 3915 del 1996 e più recentemente Cass. n. 17685/2018).

Venendo poi all'esame anche del secondo motivo con cui la corte sanziona l'omessa inclusione dei sette risalenti procedimenti disciplinari nella contestazione disciplinare, va rilevato come la corte di appello, in generale, non abbia considerato la giurisprudenza di questa corte, secondo cui "la preventiva contestazione dell'addebito al lavoratore incolpato deve necessariamente riguardare, a pena di nullità della sanzione o del licenziamento disciplinare, anche la recidiva e i precedenti disciplinari che la integrano, solo quando la recidiva medesima rappresenti un elemento costitutivo della mancanza addebitata e non già un mero criterio, quale precedente negativo della condotta, di determinazione della sanzione proporzionata da irrogare per l'infrazione disciplinare commessa" (cfr. Cass. 1909 del 25/01/2018). Ed infatti, per individuare la natura costitutiva o meno della recidiva, occorre fare riferimento alle previsioni della contrattazione collettiva applicabile, dovendosi considerare che nell'interpretazione delle norme collettive trova applicazione la disciplina di cui agli arti. 1362 ess. c.c.

Peraltro, questa Suprema Corte ha avuto modo di sottolineare, in più occasioni, che il giudice non può estendere le ipotesi di condotte integranti giusta causa o giustificato motivo oltre il limite che l'autonomia delle parti ha previsto (cfr., tra le molte, Cass. nn. 11481/2015, 4546/2013, 13353/2011, 1173/1996).

La Corte di merito, nell'escludere la rilevanza dei riferimenti alle sette precedenti sanzioni disciplinari, dunque non considera che tali richiami assumono rilievo nella lettera di licenziamento non già quale presupposto della condotta da sanzionare bensì quale elemento da valutare ai fini della legittimità e proporzionalità del licenziamento (considerazioni che, in disparte la già evidenziata sufficiente specificazione della contestazione, possono comunque valere anche per le recidive più recenti di cui al primo motivo).

11. Anche il terzo e il quarto motivo relativi alla violazione dell'art. 36 CCNL e art. 1362 c.c., meritano accoglimento e possono essere valutati congiuntamente, con assorbimento del quinto motivo.

Dalla lettura della sentenza di appello emerge, infatti, come la corte abbia esaminato partitamente le condotte di insubordinazione riportate dalla ricorrente in ricorso (consistenti sostanzialmente nel : - ripetuto rifiuto del lavoratore, nell'ambito del medesimo turno lavorativo, di effettuare le comunicazioni al Centro radio che avrebbero favorito l'adempimento delle procedure per l'occupazione della sede stradale, preordinate alla sicurezza dei lavori, non solo per gli addetti, ma per gli automobilisti di passaggio, - avere ribadito il rifiuto, nonostante l'invito del Tecnico competente; - avere poi rifiutato di adempiere un ordine del medesimo tecnico di effettuare il cambio dell'automezzo (cfr. ricorso pag. 22)).

La ricorrente, per un verso contestando l'applicazione corretta dell'art. 36, numeri 3, 7 e 8, del CCNL richiamato dalla Corte, per altro verso l'interpretazione della vicenda disciplinare e della lettera di addebito secondo i canoni dell'art. 1362 c.c., si duole che tale valutazione atomistica e parcellizzata dei fatti abbia portato la corte a sminuirne la complessiva gravità risultante dalla contestazione disciplinare, che, interpretata nel suo senso anche letterale complessivamente, avrebbe invece corroborato la valutazione dell'insubordinazione facendola assurgere alla insubordinazione gravissima che di per sé giustificava la sanzione espulsiva.

I motivi sono fondati poiché effettivamente la lettura della sentenza censurata mostra come, riguardo a tali condotte di insubordinazione, la corte sfuggendo ad una valutazione unitaria, si sia limitata ad individuare dei riferimenti contrattuali specifici, concludendo per la sanzione conservativa, nelle ipotesi tipizzate ai numeri 3, 7 e 8 dell'art. 36 del CCNL che sanzionano, rispettivamente, chi "(n. 3) svolga negligentemente il lavoro affidato o non lo effettui volontariamente nei termini o secondo le modalità richieste, (n. 7) non applichi nell'espletamento della propria attività, le prescrizioni impartite dall'Azienda attraverso direttive e disposizioni interne (Ordine di Servizio, Istruzioni di Servizio, regolamenti e procedure interne, Codice Etico, ecc.; (n. 8) non ottemperi agli obblighi di legge e/o di contratto in materia di sicurezza sul lavoro e/o di circolazione stradale".

Tale interpretazione della lettera di contestazione non appare conforme ai criteri ermeneutici dettati dall'art. 1362 c.c., poiché non tiene conto che la formulazione unitaria degli addebiti disciplinari, che certamente esprime nella contestualità dei fatti a cui sono riferiti, tutti realizzatisi durante il medesimo turno di servizio, un significativo rifiuto di svolgere l'attività lavorativa nel rispetto della normativa sulla sicurezza stradale e sul lavoro.

Il giudice del rinvio dovrà dunque procedere a una nuova valutazione della lettera di contestazione, alla luce dei criteri interpretativi sanciti dall'art. 1362 c.c., e considerando per esprimere la valutazione dell'idoneità della condotta a giustificare il licenziamento ex art. 2119 c.c., l'insieme delle condotte contestate, non solo isolatamente, ma nella loro dimensione unitaria e reiterata, tenendo presenti non tanto e solo la mera violazione delle prescrizioni aziendali, ma anche le esigenze di sicurezza pubblica a cui quelle prescrizioni presiedevano, per valutare la complessiva gravità.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, e rinviata al giudice indicato in dispositivo, per il riesame delle originarie domande alla luce dei principi sopra espressi, e altresì per provvedere sulle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.


La Corte accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 18 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2025.