Cassazione Penale, Sez. 4, 28 marzo 2025, n. 12253 - Operaio precipita dal balcone. Gravi omissioni di sicurezza: omessa formazione e mancanza di dpi
- Dispositivo di Protezione Individuale
- Informazione, Formazione, Addestramento
- Lavoratore e Comportamento Abnorme
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente
Dott. VIGNALE Lucia - Relatore
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere
Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere
Dott. CIRESE Marina - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A. nato a M il (Omissis)
avverso la sentenza del 26/06/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA VIGNALE;
lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Fatto
1.Con sentenza del 26 giugno 2024, la Corte di appello di Messina ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 10 luglio 2023 dal Tribunale della stessa città. Per quanto rileva in questa sede, la Corte territoriale ha confermato l'affermazione della penale responsabilità di A.A. per il reato di cui all'art. 589 cod. pen. commesso il 12 giugno 2018 in danno di B.B. (capo a) e ha dichiarato non doversi procedere, per intervenuta prescrizione, in relazione agli illeciti contravvenzionali contestati all'imputato ai capi b) e c) della rubrica. Per l'effetto, la pena è stata rideterminata nella misura di anni tre di reclusione.
La sentenza di primo grado era stata impugnata dalle parti civili C.C. e D.D. (fratelli della vittima) sia con riferimento alla mancata liquidazione di una provvisionale, sia nella parte in cui aveva respinto la richiesta risarcitoria avanzata nei confronti di E.E. e F.F., committenti dei lavori, assolti in primo grado dall'accusa di aver violato l'art. 589 cod. pen. per non aver verificato l'idoneità tecnico professionale della ditta esecutrice. La difesa di parte civile sosteneva che E.E. e F.F. avrebbero dovuto essere condannati a risarcire i danni alle parti civili quali imputati nel procedimento e quali responsabili civili per il fatto del coimputato. L'appello è stato accolto quanto alla liquidazione della richiesta provvisionale, ed è stato respinto nel resto.
2.Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi nel corso di lavori di manutenzione decisi dai proprietari di alcuni appartamenti di una palazzina facente parte del complesso residenziale Linea Verde, sito a M in via (Omissis). I balconi di questi appartamenti erano ammalorati e i proprietari, tenuti alla manutenzione, avevano concordato di provvedere ai lavori necessari nello stesso arco temporale, ciascuno affidando l'incarico alla medesima impresa - la "MEA Costruzioni di A.A. " - che era stata segnalata loro dall'amministratore.
Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, per raggiungere i "soffitti" dei balconi, i dipendenti della MEA utilizzavano un ponteggio costituito da elementi prefabbricati, "in parte già precomposti e in parte smontabili e componibili tra loro in cantiere" che constava "di un corpo principale a struttura reticolare su ruote, con montanti ancorabili a pressione al pavimento e al soffitto, e di due corpi a sbalzo, uno frontale e uno laterale, atti a consentire le lavorazioni fuori dalla linea dei balconi" (così testualmente pag. 6 della sentenza di primo grado). Ultimati i lavori in un balcone, il ponteggio veniva smontato e rimontato in altro balcone.
Quando l'infortunio si verificò, G.G. e B.B. (dipendenti della MEA) avevano smontato il ponteggio dal balcone del sesto piano per "spostarlo "a passamano"" (pag. 7 della sentenza di primo grado) nel balcone del quinto piano. Lo avevano poi rimontato per lavorare sul "soffitto" di questo balcone (vale a dire sulla parte di sotto del pavimento del balcone del sesto piano). Prima che il ponteggio fosse fissato al soffitto (ciò che doveva avvenire facendo uso di viti senza fine posizionate sulla parte finale superiore dei montanti del corpo principale), B.B. ci sali. G.G. gli disse di scendere, ma la struttura si sbilanciò sotto il peso dell'operaio e precipitò giù dal balcone trascinando con sé il lavoratore, che mori a causa delle gravissime lesioni riportate nella caduta.
A.A. è stato ritenuto responsabile della morte di B.B. quale titolare dell'impresa e datore di lavoro dell'infortunato. Secondo i giudici di merito (pag. 10 della sentenza di primo grado; pag. 8 della sentenza di appello), l'evento fu causato da violazioni di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, rispettando le quali avrebbe potuto essere evitato.
In particolare, la sentenza di primo grado (che, per questa parte, è stata integralmente ripresa dalla sentenza di appello), ha attribuito rilevanza causale alle seguenti omissioni: non aver fornito ai dipendenti (e in primis all'infortunato) "una accurata informazione e formazione inerente ai rischi connessi alle attività di cantiere e all'esecuzione di lavori in quota" (artt. 36 e 37 D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81); non aver messo a disposizione dei lavoratori "materiale idoneo e conforme alle norme di legge, in luogo del ponteggio, intrinsecamente pericoloso e instabile (art, 112; art. 122... D.Lgs. n. 81/08)"; non aver fornito ad B.B." cinture di sicurezza, quali dispositivi di protezione individuale idonei a scongiurare il pericolo di caduta dall'alto" (art. 18, comma 1, lett. d) D.Lgs. n. 81/08).
3. Contro la sentenza della Corte di appello, il difensore di fiducia di A.A. ha proposto tempestivo ricorso deducendo violazione di legge e vizi di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del nesso causale tra le condotte omissive ascritte all'imputato e l'evento. Secondo la difesa, l'infortunio fu determinato esclusivamente dal comportamento abnorme del lavoratore e la sentenza impugnata ha potuto escludere tale abnormità soltanto perché ha travisato le dichiarazioni rese nel corso del giudizio da G.G., testimone oculare dell'incidente.
Nel verbale di sommarie informazioni testimoniali del 24 luglio 2018 (acquisito agli atti, sull'accordo delle parti, all'udienza del 7 febbraio 2022 e allegato all'atto di ricorso), G.G. ha dichiarato che B.B." era stato incaricato di prestargli assistenza porgendogli i componenti del ponteggio; ha riferito, inoltre, che egli sali sul ponte (ancora non fissato al soffitto) di propria iniziativa "per recuperare la morsetta di aggancio della carrucola". In tesi difensiva, da tali dichiarazioni si desume che, quando salì sul ponteggio, B.B." adottò una iniziativa che non rientrava tra le mansioni affidategli. Si trattò, inoltre, di una condotta anomala e imprevedibile, come reso evidente dalle dichiarazioni dell'amministratore del condominio (H.H.) che, al momento del fatto, stava parlando con G.G. H.H. ha dichiarato infatti che, vedendo B.B. salire sul ponteggio, G.G. gli disse di scendere, ma l'infortunato non lo ascoltò.
Sotto diverso profilo, il difensore osserva che, se ad B.B. fosse stata fornita una idonea cintura di sicurezza, questo non avrebbe comunque evitato l'evento, perché l'infortunato non cadde dall'impalcatura, ma fu l'impalcatura a precipitare nel vuoto trascinandolo con sé.
4.Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. Ha sottolineato a tal fine: che l'infortunato salì sul ponteggio per recuperare un oggetto (dunque, nel pieno svolgimento delle proprie mansioni) e che non era stato formato e informato sull'uso degli strumenti di lavoro e sui possibili pericoli.
5.Conclusioni analoghe sono state formulate dalla difesa delle parti civili con memoria del 14 gennaio 2024.
Diritto
1.I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
2.Va premesso che ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento impugnato deve essere volto a verificare: che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; non sia internamente "contraddittoria", sia quindi esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; non risulti fondata su argomenti logicamente "incompatibili" con "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Alla Corte di cassazione è preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Un tal modo di procedere, infatti, trasformerebbe la Corte da giudice di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto (tra tante: Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747).
A ciò deve aggiungersi che, nel caso di conformità delle sentenze dei due gradi di merito, "il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado" (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217).
3. Applicando questi principi al caso oggetto del presente ricorso, si deve subito osservare che le sentenze di merito non hanno ignorato le dichiarazioni del teste G.G., ma, pur tenendone conto, hanno ritenuto che B.B. abbia agito nello svolgimento delle mansioni affidategli e hanno sottolineato che egli salì su un ponteggio messogli a disposizione dal datore di lavoro. Hanno ritenuto, dunque, che non fosse estraneo alle mansioni del lavoratore, consistenti nel passare materiali a G.G., aver cercato di recuperare la morsetta di aggancio di una carrucola.
Le sentenze di merito - che possono essere lette congiuntamente e costituiscono un unico complessivo corpo decisionale in virtù dei richiami che la sentenza d'appello opera alla sentenza di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595) - hanno rilevato inoltre che, come emerso nell'istruttoria dibattimentale, il ponteggio veniva smontato da un balcone e montato in un balcone diverso senza che fosse stato predisposto un piano di montaggio e senza che B.B., incaricato di coadiuvare G.G. in queste operazioni, avesse ricevuto una apposita formazione. La sentenza di primo grado ha anche sottolineato che il ponteggio era "intrinsecamente pericoloso e instabile" (dunque non sicuro) e che A.A. era presente alle operazioni di smontaggio e successivo montaggio del ponte; era, dunque, ben consapevole delle caratteristiche della struttura messa a disposizione dei dipendenti e delle modalità operative adottate per svolgere il lavoro.
In sintesi, i giudici di merito hanno ritenuto che la condotta imprudente dell'infortunato sia stata resa possibile dalla violazione di norme di prevenzione ascritta all'imputato e che il lavoratore abbia deciso di salire sul ponte non ancora fissato al soffitto perché non era stato informato dei rischi connessi e della instabilità della struttura. Dalla lettura delle sentenze di merito l'inconsapevolezza della situazione di pericolo emerge evidente. Vi sono riportate, infatti, le dichiarazioni rese da H.H. secondo il quale, G.G. disse ad B.B. di scendere ed egli rispose: "Non ti preoccupare, tanto io sono leggero" (pag. 6 della sentenza di primo grado).
4. La motivazione è congrua, scevra da profili di contraddittorietà o manifesta illogicità e conforme ai principi di diritto che regolano la materia. Si rammenta in proposito che, per giurisprudenza costante, un comportamento, anche avventato, del lavoratore, se realizzato mentre egli è dedito al lavoro affidatogli, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro (Sez. 4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande A., Rv. 214999; Sez. 4, n. 1588 del 10/10/2001, Russello, Rv. 220651; Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne, Rv. 259227; Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386). Questi principi sono stati chiariti - e meglio specificati - sottolineando che, "in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748; Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914). Ponendosi in questa prospettiva si è affermato che il comportamento negligente, imprudente e imperito tenuto dal lavoratore nello svolgimento delle mansioni a lui affidate può costituire concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, solo se questi "ha posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante " (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).
Per quanto esposto, la decisione assunta non è censurabile né sotto il profilo dell'identificazione del rischio concretizzatosi, né per quanto riguarda le regole cautelari applicabili. Neppure è censurabile, perché coerente con le emergenze istruttorie, l'identificazione della condotta alternativa doverosa, individuata nella messa a disposizione di attrezzature da lavoro adeguate, accompagnata da formazione e informazione specifiche.
5.La ritenuta rilevanza causale della violazione degli obblighi sopra indicati, rende superfluo l'esame dell'ulteriore argomento sviluppato dalla difesa, secondo la quale la violazione dell'art. 18, comma 1, lett. d) D.Lgs. n. 81/08 non ebbe rilevanza alcuna nel verificarsi dell'evento atteso che, anche se fosse stato agganciato a una cintura, B.B. sarebbe comunque caduto nel vuoto insieme all'impalcatura. È tuttavia doveroso rilevare che, secondo i giudici di appello (pag. 8 della sentenza impugnata), se le cinture di sicurezza fossero state fornite e il lavoratore fosse stato opportunamente formato, nella fase del montaggio del ponte, B.B. avrebbe potuto utilizzarle agganciandosi alle ringhiere e ciò avrebbe consentito all'infortunato di rimanere "ancorato al balcone" anche in caso di "ribaltamento o caduta del ponteggio": una motivazione con la quale il ricorrente non si confronta, neppure per sostenerne la contraddittorietà o manifesta illogicità.
6.All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute per questo grado di giudizio dalle parti civili costituite. Tale condanna non deve essere disposta nei confronti di F.F. e E.E. (citati in giudizio quali responsabili civili) perché l'istanza risarcitoria formulata nei loro confronti è stata definitivamente respinta con la sentenza di appello.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso, nella misura di Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione delle spese di giudizio sostenute nel presente grado di legittimità dalle parti civili C.C. e D.D., che liquida in complessivi Euro 3.900,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2025.
Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2025.
