Cassazione Penale, Sez. 4, 04 aprile 2025, n. 13145 - Caduta di un pozzetto in cemento sul piede del lavoratore durante la sua movimentazione manuale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente
Dott. BELLINI Ugo - Consigliere
Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere
Dott. MICCICHÈ Loredana - Consigliere
Dott. ARENA Maria Teresa - Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A. nato a P. il (Omissis)
avverso la sentenza del 26/03/2024 della CORTE APPELLO di L'AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA TERESA ARENA;
lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del Sostituto Procuratore SABRINA PASSAFIUME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; letta la memoria difensiva dell'avv. Pier Michele Quaranta del foro di Pescara, con motivi aggiunti con la quale ha insistito nell'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. La Corte d'Appello di L'Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Pescara con la quale A.A. era stato condannato alla pena di mesi otto di reclusione per il reato di cui agli artt. 40 e 590 co. 1, 2 e 3 cod. pen. perché, quale amministratore unico dell'impresa edile A.A. COSTRUZIONI Srl e, quindi, datore di lavoro, per colpa generica e violazione delle norme in materia antinfortunistica, senza valutare i rischi connessi alla specifica fase di lavorazione, metteva a disposizione dei lavoratori un carrello elevatore per la movimentazione di pozzetti in cemento che richiedeva il sollevamento manuale da parte dei lavoratori, non dotati di specifiche attrezzature di lavoro come pinze per il suddetto sollevamento, cosicché nella fase di sollevamento, uno dei pozzetti che doveva essere spostato, cadeva sul piede del lavoratore B.B. che riportava un grave trauma da schiacciamento al piede destro che ne determinava la necessità dell'amputazione dell'alluce. In M. il (Omissis).
2. Dalle decisioni conformi dei due gradi di giudizio emerge che A.A., assunto dall'B.B. con funzioni di escavatorista, il 19 gennaio 2018, giungeva a lavoro in ritardo rispetto all'orario previsto per l'assegnazione dei lavoratori presso i cantieri e veniva adibito dal capocantiere alla sistemazione del magazzino. Mentre il capocantiere caricava con le forche di un muletto un pozzetto per le acque residue del peso di circa trenta chili, B.B., a mani nude, lo aiutava a sollevarlo per far sì che il capocantiere potesse infilare le forche del muletto al di sotto. Mentre veniva eseguita tale manovra, il pozzetto di cemento, che non era ben equilibrato, cadeva sul piede dell'B.B. provocandogli lesioni consistite in "grave trauma da schiacciamento piede destro associato a sofferenza vascolare meso-avampiede con fratture multiple dei mmtt., dita, flc regione plantare complicata da necrosi dell'alluce e. regione cutanea dorsale", cui seguiva l'amputazione dell'alluce del piede destro.
Sulla scorta delle emergenze istruttorie è stato ritenuto che le forche, secondo il manuale in dotazione relativo al bobcat, potevano essere utilizzate per movimentare i pozzetti solo ove gli stessi fossero stati depositati su pallet di legno.
Nel caso in esame il pozzetto che si tentava di sollevare era posto sul pavimento e non su un bancale.
Secondo i giudici di merito, sarebbe stato necessario prevedere nel documento di valutazione dei rischi per tale tipo di movimentazione, l'impiego di pinze o catene per sollevare il pozzetto con dei ganci. I giudici di merito hanno ritenuto sussistente la violazione degli artt. 70 e ss. D.Lgs. 81/2008 e in particolare dell'art. 71 co. 3 e 4. Detta norma prevede che il datore di lavoro deve garantire al lavoratore mezzi idonei a limitare al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature, assicurando, peraltro, che le stesse vengano utilizzate in conformità alle istruzioni d'uso.
È stata respinta la ricostruzione prospettata dalla difesa secondo cui il pozzetto non doveva essere sollevato bensì "ruotato", rifacendosi alle dichiarazioni del capocantiere, dell'ispettore del lavoro Lo Parco nonché alla documentazione fotografica acquisita. Ritenuta accertata la violazione della regola cautelare è stato ritenuto il nesso cautelare rispetto all'evento, argomentando che se il lavoratore fosse stato dotato di pinze e catene e se non si fosse usato il bobcat, inidoneo al sollevamento da terra piuttosto che da un bancale, l'evento, secondo un giudizio di alta probabilità logica, non si sarebbe verificato.
È stato, altresì, escluso dalle conformi sentenze che l'essere affetto il lavoratore da diabete possa considerarsi fattore eccezionale idoneo ad interrompere il nesso causale, non trattandosi di evento eccezionale e imprevedibile, capace di incidere sul decorso causale. Inoltre è stato rilevato che l'evento necrosi rispetto alle fratture riportate dal lavoratore non costituisce uno sviluppo del tutto imprevedibile, atipico, eccezionale rispetto all'infortunio iniziale risultando sviluppo eziologico prevedibile e direttamente riconducibile al trauma iniziale.
I giudici di merito hanno ritenuto, altresì, sussistente la colpa del A.A. che conosceva le lavorazioni e le regole di movimentazione dei pozzetti, argomentando che lo stesso era regolarmente presente si luoghi e doveva prefigurarsi che il mancato utilizzo nella movimentazione dei pozzetti, di attrezzature specifiche quali pinze o catene, avrebbe potuto determinare l'evento lesivo che costituiva la specifica concretizzazione del rischio che la regola cautelare violata mirava a scongiurare.
3. Avverso la sentenza è stato proposto ricorso nell'interesse del A.A. affidandolo a due motivi.
3.1 Con il primo si deduce la violazione dell'art. 606, co. 1, lett. e) cod. proc. pen. per motivazione assente, contraddittoria e illogica.
Lamenta la difesa che già in primo grado era stato messo in luce che la ricostruzione degli accadimenti era diversa da come contestata nell'imputazione poiché, secondo quanto riferito dal capocantiere C.C., il pozzetto era posto "verticalmente" e non doveva essere sollevato ma solo "poggiato su un lato". Mancava, quindi, il nesso tra la regola cautelare sostenuta dall'ispettore del lavoro, secondo cui per sollevare verso l'alto il pozzetto bisognava posizionarlo sopra un pallet o imbracarlo con una catena, e l'infortunio occorso al lavoratore. Il Tribunale, secondo la difesa, ritenuta l'attendibilità della persona offesa non ha confrontato le dichiarazioni del suddetto con quelle del teste C.C. né ha motivato in modo coerente circa la ricostruzione del fatto così violando gli obblighi di cui agli artt. 192 co. 2 e 546 co. 1 lett. e) cod. proc. pen. Tutto ciò senza considerare che la dinamica descritta dal C.C. esclude la manovra di sollevamento del pozzetto riferita dalla parte offesa ed esclude la caduta del pozzetto dalle forche del bobcat in fase di sollevamento, con la conseguenza del venir meno del nesso causale rispetto alla regola cautelare specifica.
Analogamente la Corte di appello non avrebbe adempiuto all'onere di indicare i criteri adottati nella valutazione della prova fornita dai due testimoni e si è limitata a riprodurre la trascrizione dell'esame del teste C.C. nella parte in cui descrive l'accaduto senza porta a confronto con il narrato del D'B.B.
La Corte si è limitata ad affermare che non era rilevante accertare la dinamica dell'incidente poiché la responsabilità del ricorrente sarebbe stata confermata tanto a ritenere che si intendesse sollevare il pozzetto quanto se lo si volesse ruotare.
Ancora, secondo la difesa, i giudici di secondo grado, avrebbero stravolto il senso dell'argomentazione difensiva laddove assume che il pozzetto sarebbe caduto mentre l'operatore si accingeva a movimentarlo dopo che lo stesso era stato inforcato, nell'atto di appello, si era detto che, per eseguire la manovra, il lavoratore non avrebbe dovuto sollevarlo ma solo farlo oscillare in avanti e farlo cadere in modo che l'apertura si trovasse in posizione orizzontale così consentendo a C.C. di inforcarlo, inserendo le staffe nell'apertura, sollevandolo da terra di alcuni centimetri in modo da trasportarlo in un altro punto del piazzale.
Si tratterebbe di un travisamento alla stregua di quello che la Corte avrebbe operato con riferimento alle dichiarazioni rese dall'ispettore dell'ASI- il quale si è espresso diversamente da come hanno ritenuto i giudici di merito.
Assume la difesa che la regola cautelare, per avere rilevanza, deve muovere dal presupposto che il piede della persona offesa sia stato colpito dal pozzetto caduto dall'altro mentre veniva sollevato in modo precario delle forche del bobcat. La Corte invece, contraddicendo il presupposto, di avvio del percorso argomentativo è stata costretta a prendere posizione tra le due versioni e, senza offrire adeguate spiegazioni, ha dato per accertate le circostanze di fatto riferite dalla persona offesa che come detto contraddicono quelle del teste C.C..
3.2. Con il secondo motivo si contesta la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in tema di rapporto di causalità e responsabilità colposa.
Il Tribunale ha escluso la rilevanza causale della patologia diabetica della quale era affetto il lavoratore esprimendo valutazioni errate tanto sul piano giuridico quanto medico. Sul piano giuridico la preesistenza di una patologia come il diabete, nota solo al lavoratore, costituisce un fattore causale autonomo da solo sufficiente a determinare la necrosi in seguito a qualunque tipo di trauma. Sul piano medico non è vero che la necrosi dell'alluce possa essere considerata uno sviluppo prevedibile e non atipico ed eccezionale di una comune frattura. Sarebbe stato in ogni caso necessario eseguire un accertamento medico, peraltro, richiesto dalla difesa dell'imputato. L'evento dannoso conseguito dallo schiacciamento del piede è rappresentato dalle fratture riscontrate all'atto del ricovero; la lesione è divenuta del tipo gravissimo ai sensi dell'art. 583 co. 2 n. 3 cod. pen. per effetto della necrosi dell'alluce e della regione cutanea dorsale causata dal diabete. Se allora sulla base del criterio della condicio sine qua non, se non vi fosse stato lo schiacciamento non si sarebbe verificata neppure la necrosi, certo è che la preesistenza della patologia diabetica non può essere considerata irrilevante nella eziologia dell'evento finale. In proposito la cartella clinica documenta le complicazioni di carattere circolatorio che hanno impedito l'intervento chirurgico e hanno causato la necrosi dell'alluce.
Sotto altro profilo rileva la difesa che se l'art. 41 cod. pen. può dare sostegno alla tesi che solo fattori causali eccezionali sopravvenuti possano escludere il nesso di causalità, sul piano della responsabilità la prospettiva muta perché il fattore causale preesistente, concomitante o sopravvenuto, per consentire il rimprovero per colpa deve essere previsto o prevedibile.
Nel caso in esame la certezza della prevedibilità dell'evento da parte dell'appellante viene fatta derivare dalla presunzione secondo cui il ricorrente avendo consapevolezza dello stoccaggio e della movimentazione dei materiali presso il magazzino e del fatto che la movimentazione deve avvenire previo posizionamento degli stessi sui bancali, potesse prevedere quanto è accaduto. Si tratta di una valutazione che si astrae dalla realtà poiché la presenza della persona offesa nel magazzino si è verificata in modo occasionale a causa di un suo ritardo e l'attività svolta presso il magazzino è stata una decisione assunta dal capocantiere solo per non fargli perdere una giornata di lavoro. Al netto delle modalità esecutive degli adempimenti richiesti al lavoratore resta il fatto che il ricorrente, come datore di lavoro, era assolutamente all'oscuro di ciò che stava accadendo. La persona offesa era addetta alla conduzione dell'escavatore e il fatto che si prestasse a svolgere qualsiasi tipo di mansione è affermazione priva di riscontro, inattendibile e dunque non conosciuta dal ricorrente. Che poi la persona offesa stesse operando a mani nude è circostanza smentita dal teste C.C. il quale confermava che tutti i lavoratori erano muniti di DPI; se pure fosse vera, non può essere ascritta al datore di lavoro che in quel momento era assente.
Ancora, rileva la difesa che ove la circostanza della patologia che affliggeva il A.A. fosse stata conosciuta anche dal medico aziendale e dal responsabile della sicurezza, allora sarebbe giustificato un addebito per colpa in quanto si sarebbe potuta evitare al dipendente l'esposizione a rischi incompatibili con la sua patologia.
Si chiede che quantomeno venga esclusa la circostanza aggravante della lesione gravissima perché non prevedibile ai sensi dell'art. 59 co. 2 cod. pen.
4. Il P.G., in persona del sostituto Sabrina Passafiume, ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
5. L'avv. Pier Michele Quarta ha depositato memoria difensiva con motivi aggiunti rilevando tra l'altro la violazione dell'art. 69 cod. pen. Il Tribunale, dopo aver riconosciuto al ricorrente le circostanze attenuanti generiche ha operato la riduzione di un terzo della pena base determinata nel minimo previsto per le lesioni gravissime senza compiere il giudizio di comparazione. Sia in caso di equivalenza che di prevalenza dell'attenuante la pena base avrebbe dovuto essere commisurata tenendo conto della cornice edittale prevista nel comma 1 dell'art. 590 cod. pen.
Diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Va, innanzitutto, premesso che la sentenza impugnata costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado con la conseguenza che le due sentenze di merito vanno lette congiuntamente rappresentando un unico corpo decisionale (Sezione 2, n. 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 - 01).
Deve essere, poi, rammentato che l'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto di impugnazione se il discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di avere tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio sicché quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza devono ritenersi, anche implicitamente esaminate e disattese dal giudice con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all'art. 6060 comma primo lett. e), cod. proc. pen, (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014 Amaniera, Rv. 260841; Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593).
È, ancora, noto che il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato, mira a verificare che la stessa sia "effettiva", cioè che spieghi le ragioni poste alla base della decisione adottata; non manifestamente illogica, cioè sorretta, nei suoi punti essenziali da argomenti che non risultino viziati da errori nella applicazione delle regole della logica; non contraddittoria, ossia che non presenti incongruenze tra le sue parti e non incompatibile con gli altri atti del processo dotati di forza dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia tale da disarticolare il ragionamento svolto dal decidente e da determinare radicali incompatibilità, capaci di inficiare in radice l'apparato logico motivazionale (Sez. 2, n. 9106 del 12/2/21, Caradonna, Rv. 280747 - 01; Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, F., Rv. 280601 - 01).
Per sostenere l'esistenza di un vizio di motivazione è, invero, necessario che gli elementi evocati dal ricorrente siano in grado di disarticolare l'intero ragionamento seguito dal giudice di merito - nel caso di specie, dai giudici delle sentenze conformi - e che siano tali da vanificare o da rendere la motivazione manifestamente incongrua o contraddittoria.
Resta precluso, infatti, a questa Corte di legittimità, di "rileggere" gli elementi di fatto posti a fondamento della motivazione alla stregua della adozione di diversi parametri di valutazione diversi e ritenuti preferibili rispetto a quelli usati dai giudici di merito, solo perché ritenuti più plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Diversamente opinando questa Corte diverrebbe l'ennesimo giudice del fatto e non, piuttosto, l'organo deputato a controllare che le motivazioni dei provvedimenti rispettino gli standard di intrinseca razionalità e capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per pervenire alla decisione.
3. Il quadro dei principi sopra delineati rende evidente la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso che si risolvono, al netto delle violazioni dedotte, in una critica nel merito dell'accertamento in fatto senza confrontarsi con il percorso motivazionale delle conformi sentenze e nella reiterazione di argomenti posti a fondamento delle censure contenute nell'atto di appello che la Corte territoriale ha affrontato e risolto in maniera coerente e logica.
La sentenza di appello, che ha integralmente condiviso il percorso argomentativo del primo" giudice, con motivazione non manifestamente illogica e coerente con le emergenze acquisite, ha respinto le censure mosse dalla difesa con l'atto di gravame con le quali si poneva in evidenza che la manovra in atto al momento dell'infortunio del D'B.B. non prevedeva il sollevamento del pozzetto ma solo la sua inclinazione-rotazione da verticale a orizzontale in modo da consentire l'inserimento, nel varco, delle forche del bobcat il che avrebbe determinato la irrilevanza delle prescrizioni imposte dall'Ispettorato del lavoro.
Altro motivo di appello riguardava la sussistenza del nesso causale avendo evidenziato la difesa il ruolo decisivo svolto dalla patologia diabetica dalla quale l'B.B. era affetto e che il datore di lavoro non conosceva, sulla amputazione dell'alluce, trattandosi di evento non prevedibile.
A ben vedere, il ricorso è meramente reiterativo e ripropone ancora una volta una rilettura degli elementi in fatto posti a fondamento della decisione adottata nelle due sentenze di merito, che come detto al punto 2. non è consentita in questa sede.
L'argomento proposto dalla difesa secondo cui il pozzetto andava solo ruotato, il che rendeva l'operazione confacente e legittima non si confronta con gli argomenti spesi dai giudici di merito i quali hanno evidenziato che, come rilevato dall'ispettore del lavoro, il manuale di istruzioni del bobcat prevedeva espressamente che la movimentazione di materiali sulle forche doveva avvenire unicamente previo posizionamento su appositi pallet e che il mancato rispetto della prescrizione prevista ha determinato una condizione di precarietà che ha determinato la caduta del carico e conseguentemente le lesioni subite dalla persona offesa.
Invero, che il pozzetto non sia caduto dalle forche né mentre l'operatore si accingeva a movimentarlo, dopo averlo inforcato, ma sarebbe caduto perché la spinta esercitata dal lavoratore non sarebbe stata idonea e sarebbe "tornato indietro" schiacciandogli il piede è argomento che rimane del tutto neutro ma soprattutto propone una inammissibile ricostruzione in fatto, comunque inidonea a mutare la sostanza deli accadimenti in quanto non supera gli argomenti spesi dalla Corte sul punto.
Il giudice "anche la manovra effettuata secondo le modalità indicate dall'appellante non sarebbe stata corretta e, quindi avrebbe comportato la responsabilità del prevenuto" (pag. 4 sentenza della Corte). Ancora più specificamente, già il Tribunale (pag. 4) aveva affermato che "la tesi della difesa non possa essere condivisa. Il teste Lo Parco ha infatti specificato che non è possibile infilare le forche del bobcat nel varco interno del pozzetto e sollevarlo proprio perché non è una operazione prevista dal costruttore (Il costruttore di quelle forche prevede l'uso di bancali)". Ancora aggiunge il Tribunale, con giudizio condiviso dalla Corte territoriale, che "analogamente è stato accertato che il lavoratore non veniva dotato di mezzi idonei (quali pinze o catene di sollevamento ed è stata sconfessata la correttezza della procedura di rotazione del pozzetto a mani nude".
Analogamente le sentenze di merito, confutando l'argomento già speso dalla difesa, hanno evidenziato che nel DVR non erano stati valutati i rischi connessi all'anzidetta attività di movimentazione né era stata adottata una procedura formale atta a disciplinare tale segmento dell'attività lavorativa (art. 28 del D.Lgs. n. 81/2008).
Non è in discussione che B.B., dipendente dell'impresa A.A., assunto con mansioni di escavatorista, il 19 gennaio 2018 sia stato adibito alla sistemazione del magazzino e che lo stesso abbia collaborato con il C.C. per spostare, sollevare, ruotare, capovolgere un cassone di cemento del peso di trenta chili per il quale indubitabilmente veniva usato un bobcat il cui utilizzo era previsto da manuale delle istruzioni, come detto, solo per lo spostamento di pesi posti su un bancale. Nessun travisamento, dunque, si ravvisa, alla luce della ritenuta irrilevanza della alternativa modalità proposta dal ricorrente.
Sotto altro profilo va detto che le due sentenze di merito hanno compiutamente valutato la credibilità soggettiva e oggettiva della persona offesa che, a ben vedere, neppure il ricorrente mette in discussione.
Come pure è rimasto incontroverso quanto rilevato dall'Ispettore del lavoro secondo il quale le attrezzature poste a disposizione dei lavoratori per la movimentazione dei pozzetti in cemento armato non erano conformi.
4. Il ricorrente non si confronta, poi, con gli argomenti spesi dalla Corte territoriale nella parte in cui ha posto l'accento su quanto riferito dalla consulente del lavoro della ditta A.A., Roberta Di Giovanni, laddove la stessa ha precisato che la maggior parte delle attività avveniva presso i cantieri e che nel magazzino la movimentazione veniva valutata nel DVR "in maniera un pò più generica perché da quello che perlomeno io sapevo non veniva effettuata una vera e propria movimentazione perché loro tutta la merce ce l'avevano in cantiere... da quello che sapevo io, in questo magazzino non ci lavorava quasi nessuno perché tutti gli operai erano in cantiere".
È pacifico, invero, che il datore di lavoro è tenuto a redigere e sottoporre ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale deve indicare in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, la redazione del documento di valutazione dei rischi e l'adozione di misure di prevenzione non escludono la responsabilità del datore di lavoro quando, per un errore nell'analisi dei rischi o nell'identificazione di misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione (sez. 4, n. 43350 del 5/10/2021, Mara, Rv. 282241-01).
Il ricorso, ancora, non si confronta con le sentenze conformi nella parte in cui si ritiene accertato che l'imputato, titolare della ditta, fosse a conoscenza del fatto che D'B.B. fosse spesso adibito a mansioni diverse da quelle per le quali era stato assunto.
5. Quanto al rapporto di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, in conformità ai principi sanciti da questa Corte di legittimità, le sentenze conformi, con motivazione che non merita affatto le censure mosse con il ricorso in esame, hanno ritenuto che la mancata formalizzazione della modalità di spostamento dei pozzetti in cemento armato, per la quale non era seguita la procedura espressamente prevista dal libretto d'uso del bobcat, abbia determinato la violazione delle regole cautelari volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato (Sez. 4 n. 27871 del 20.3.2019 Rv. 276242 - 01)
Né il comportamento del lavoratore costituisce concretizzazione di un rischio eccentrico idoneo ad escludere la responsabilità del garante posto che quest'ultimo non aveva posto in essere le cautele che sono finalizzate esattamente a governare il rischio di comportamento imprudente del garantito (Se2. 4 n. 28781 del 20.3.2019 ud. 25.6.2019).
Già il Tribunale a pag. 5 della motivazione ha riportato la deposizione della teste D.D. secondo la quale "la presenza di diabete va ad aggravare e ad allungare i processi di guarigione delle ferite, delle fratture in generale", precisando che "nel caso in esame non si tratta di verificare i termini di guarigione ma di mettere in correlazione l'evento schiacciamento del piede con "grave trauma.... Con fratture mmtt multiple, I, II, II e frattura pluriframmentaria della falange prossimale del I e II dito e vasta verifica L.C. plantare" quello di "necrosi dell'alluce in paziente diabetico" con conseguente amputazione
Con motivazione affatto illogica le sentenze conformi hanno desunto la sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva dell'imputato e le lesioni patite dal lavoratore, nell'immediato lo schiacciamento del piede destro associato a sofferenza vascolare e fratture multiple e poi la necrosi e amputazione di un dito, correttamente applicando, rispetto alla patologia diabetica preesistente, il principio causale di cui all'art. 41 cod. pen. L'evento necrosi, infatti, coerentemente, non è stato, ritenuto uno sviluppo del tutto imprevedibile, atipico, eccezionale, dell'infortunio iniziale, risultando sviluppo eziologico prevedibile e direttamente riconducibile al trauma iniziale. L'argomento speso sul punto secondo cui ove la circostanza della patologia che affliggeva il A.A. fosse stata conosciuta anche dal medico aziendale e dal responsabile della sicurezza, renderebbe giustificato un addebito per colpa in quanto si sarebbe potuta evitare al dipendente l'esposizione a rischi incompatibili con la sua patologica, è del tutto generico poiché non dà atto delle visite alle quali sarebbe stato sottoposto il lavoratore e in occasione delle quali non sarebbe emersa la patologia che affliggeva il lavoratore.
6. Sono inammissibili i motivi nuovi che afferiscono al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in quanto si tratta di motivo non consentito in quanto non era stato proposto con l'atto di gravame. Sul punto questa Corte ha precisato che non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 5, n. 22105 del 07/06/2022 non mass.; Sez. 5, n. 28514 del 23/4/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577).
7. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29 gennaio 2025
Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2025