Cassazione Penale, Sez. 4, 07 aprile 2025, n. 13350 - Collisione tra un treno adibito al trasporto di persone e una macchina operatrice
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente
Dott. CAPPELLO Gabriella - Relatore
Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere
Dott. ARENA Maria Teresa – Consigliere
Dott. MARI Attilio - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a P. il (Omissis)
B.B. nato a V. il (Omissis)
C.C. nato a O. il (Omissis)
avverso la sentenza del 01/12/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; svolta la relazione dal Consigliere GABRIELLA CAPPELLO;
udito il Procuratore generale, in persona della sostituta SABRINA PASSAFIUME, la quale ha concluso per l'annullamento con rinvio per A.A. e per il rigetto dei ricorsi di C.C. e B.B.;
uditi, altresì, l'Avv. Emilio Festa, del foro di Terni, per C.C. e, in sostituzione dell'Avv. Lucio Niciarelli, anche per B.B., il quale ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi e l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello di Torino; nonché l'Avv. Marta Carniel del foro di Milano, in sostituzione dell'Avv. Giuseppe Alamia del foro di Milano, per A.A., la quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso e l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello di Torino.
Fatto
1. La Corte d'Appello di Torino ha riformato la sentenza del Tribunale di Verbania, con la quale A.A., B.B. e C.C. erano stati assolti dal reato di cui agli artt. 40, comma 2 e 450, cod. pen. (in Preglia di C. il (Omissis), loro contestato nelle rispettive qualità, dichiarandoli, in accoglimento dell'appello proposto dal pubblico ministero, responsabili della collisione occorsa tra un treno adibito al trasporto di persone lungo la tratta Milano - Ginevra e una macchina operatrice (un caricatore idraulico di proprietà di C.C. Costruzioni Srl), all'interno della galleria ferroviaria di Preglia, ciascuno avendo contribuito a far sorgere, in conseguenza di tale collisione, il pericolo di un disastro ferroviario. In particolare, in base all'editto accusatorio, si è rimproverato alla C.C., n.q. di amministratore delegato dell'impresa affidataria dei lavori di fresatura e consolidamento dei piedritti della suddetta galleria, per la realizzazione di camminamenti di emergenza, di non avere redatto il POS ai sensi dell'art. 96, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 81/2008 e di non aver messo a disposizione dei lavoratori idonea attrezzatura, ai sensi dell'art. 71, comma 3, stesso D.Lgs., atta a scongiurare rischi per gli operatori e per coloro che, pur terzi rispetto all'impresa, percorressero la galleria; al A.A., nella qualità di direttore dei lavori e dirigente di RFI Spa, di non aver adottato misure per attuare quanto prescritto dal coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva, a seguito del sopralluogo del 10 aprile 2018 (vale a dire il carico manuale del materiale di risulta della lavorazione); al B.B., infine, quale preposto dell'impresa C.C., di non aver vigilato sull'osservanza, da parte dei singoli lavoratori, della disposizione che prevedeva, almeno a partire dal sopralluogo del 10 aprile 2018, il caricamento manuale del materiale di risulta, al fine di scongiurare il rischio che, caricando detto materiale con la macchina operatrice, la sagoma di questa potesse interferire pericolosamente con l'altro binario in esercizio.
Nella specie, la collisione tra la ruota gommata anteriore della macchina caricatrice e la parte anteriore destra dei locomotori elettrici del treno e la grave situazione di pericolo si erano realizzati quando, verso le ore (Omissis) del (Omissis), poco prima che transitasse il treno passeggeri sul binario attivo attiguo al n. 100, interrotto per i lavori, la macchina suddetta sviava dalle rotaie senza che si riuscisse a riportarla in sede in tempo utile, dato il sopraggiungere del treno alla velocità, pur rallentata, ma sempre pericolosa, di 60 Km/h.
2. Il Tribunale, riassunti gli elementi di prova e ricostruita la dinamica dei fatti, ha ritenuto non dimostrato che la movimentazione della macchina caricatrice fosse avvenuta senza applicazione del blocco di sicurezza, in presenza di elementi che sembravano, anzi, avvalorare il contrario. Da ciò ha inferito l'assenza di un addebito colposo in capo al preposto B.B. e al datore di lavoro C.C. (quanto a costei, ancor prima di verificarne la rimproverabilità, in ragione della sfera di rischio dalla stessa governata), in relazione alla pretesa violazione delle prescrizioni impartite dal coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva con l'ordine di servizio del 10 aprile 2018 e successivi, con i quali si era indicata la modalità di caricamento manuale del materiale di risulta. Ciò sia per l'eccentricità di tale violazione rispetto al verificarsi dell'evento (ritenendo assente la causalità della colpa, l'evento essendo stato determinato dallo sviamento della macchina dalle rotaie), che avuto riguardo alla perimetrazione del contenuto dell'ordine medesimo (avendo il primo giudice ritenuto che esso consentisse l'utilizzo del mezzo meccanico, purché in assetto tale da assicurarne il rispetto della sagoma, vale a dire applicando il blocco di sicurezza alla ralla, si da impedirne la rotazione).
Inoltre, il Tribunale ha rilevato che la macchina era dotata del dispositivo di blocco che, al contrario, l'accusa aveva posto a fondamento dell'addebito mosso alla C.C., laddove la documentazione versata in atti aveva smentito anche l'addebito inerente all'omessa predisposizione del POS, viceversa redatto prima dell'attività di cantiere e giudicato idoneo dal coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva, geom. D.D. In esso, peraltro, era previsto l'impiego del sistema di sicurezza con gli agenti di copertura (vale a dire soggetti espressamente incaricati di avvistare i treni in arrivo e di segnalarli con bandiere rosse), che costituiva la cautela massima adottabile, atteso che l'agente avvistatore poteva interdire l'accesso del treno in galleria. Tale sistema non era stato inspiegabilmente adottato sin dall'inizio dei lavori a febbraio 2018, ritenuta dal coordinatore D.D. sufficiente la misura in concreto attuata (blocco della ralla e fermo della macchina sulla rotaia, con posizionamento di cunei sotto le ruote), cautela tuttavia inidonea a prevenire il rischio concreto, posto che la macchina operatrice, posta tra due vagoni, doveva per forza muoversi sulle rotaie anche ove inutilizzata, con immanente pericolo di svio.
Allo stesso modo, il Tribunale ha ritenuto che il direttore dei lavori A.A., per conto di RFI Spa, non poteva essere rimproverato per non aver governato il rischio interferenziale, obbligo incombente sul coordinatore per la sicurezza nella fase della progettazione, il primo svolgendo di regola un'attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente alla esecuzione del progetto, rispondendo degli infortuni solo ove abbia assunto lo specifico compito di impartire ordini alle maestranze e di sovraintenderne le lavorazioni.
3. La Corte d'Appello, nel ribaltare il verdetto assolutorio, ha preliminarmente rilevato la inspiegabile, mancata escussione dei soggetti della scorta che accompagnava il convoglio dentro la galleria, soprattutto considerata la presenza di un caricatore munito di ralla. Sul punto, si era opposto all'assunto proposto da RFI per il tramite del teste D.D. (secondo il quale tale scorta non doveva essere presente dentro la galleria) quello sostenuto da C.C. Srl e per essa dai testi E.E. e F.F. e dal teste G.G. della Polfer, secondo il quale detta scorta avrebbe dovuto rimanere all'interno della galleria durante le lavorazioni, posizioni contrapposte anche quanto all'esistenza di un canale di comunicazione tra la scorta e i lavoratori, negata dall'impresa. Il che spiegherebbe, secondo la Corte territoriale, l'anomalia data dal fatto che, solo il 10 aprile 2018, a distanza di mesi dall'inizio dei lavori, detta scorta si fosse resa conto del fatto che il convoglio contemplava quotidianamente anche la macchina caricatrice, riferendolo al coordinatore D.D.
Sotto altro profilo, poi, la Corte ha dato atto della non perfetta corrispondenza degli addebiti contenuti nell'imputazione rispetto a quelli emersi nell'istruttoria di entrambi i gradi di giudizio, tuttavia non inferendone una violazione del principio di correlazione di cui all'art. 521, cod. proc. pen., per mancanza di una conseguente immutazione del fatto. Ha, pure, richiamato l'obbligo di motivazione rafforzata rispetto all'esito non conforme, precisando di condividere la ricostruzione fattuale del primo giudice, fatta eccezione per alcuni dettagli definiti irrilevanti. Ha, così, confermato che: le regole precauzionali adottate sin dall'inizio dei lavori erano consistite nella chiusura del solo binario n. 100, nella riduzione della velocità dei treni in transito sull'attiguo binario n. 200 e nell'adozione del sistema automatico "Minimel", grazie al quale un allarme segnalava l'arrivo del treno; dopo il 10 aprile 2018, la scorta ferroviaria si era avveduta dell'impiego della macchina caricatrice, pur prospettata dalla impresa, ma ignorata da RFI; la decisione era stata quella di mantenere l'originario sistema e di non adottare quello dell'agente di copertura, implementando il primo con la previsione che il caricatore fosse usato solo in intervalli preventivamente comunicati, così mantenendosi inalterati i ritmi produttivi, nonostante la maggior sicurezza del sistema non applicato. Ha, tuttavia, osservato che, a prescindere dal suo effettivo utilizzo e dal blocco della ralla che garantiva il rispetto della sagoma, il caricatore era comunque presente sul binario, costretto a muoversi per seguire la lavorazione, senza essere vincolato agli altri convogli di un cantiere mobile, utilizzato per fresare la parete rocciosa da sud verso nord, che si interrompeva solo in concomitanza del passaggio di treni sul binario contiguo, segnalati dall'allarme del sistema "Minimel". Ciò aveva fatto sì che il manovratore della caricatrice, H.H., dovesse più volte e quotidianamente spostare il mezzo al quale era addetto che si trovava nel mezzo tra gli altri elementi del convoglio (cantiere di lavoro). Era del tutto prevedibile, dunque, la presenza dì terriccio e detriti, stante la natura della lavorazione, laddove la causa del deragliamento doveva, con ogni probabilità, ravvisarsi proprio nella presenza di un ostacolo di tal fatta sulla rotaia, non avendo potuto gli addetti riportare la macchina sulla stessa, stante il tempo assai ridotto dall'allarme al passaggio del treno. Pertanto, non si era attivato alcun rischio eccentrico rispetto al prospettato pericolo e all'evento verificatosi: lo svio della macchina dalla rotaia era stato preso in considerazione anche nel corso della riunione del 10 aprile 2018, nonché nel POS dell'impresa e, anche a voler addebitare al H.H. l'omesso allarme alla scorta (della cui presenza, però, non si era acquisita certezza in istruttoria), ciò non aveva rappresentato un fatto imprevedibile, egli avendo scelto di attivarsi senza indugio per risolvere il problema.
Fatta tale premessa, la Corte ha affermato di non condividere le conseguenze giuridiche che il primo giudice aveva tratto da tali elementi fattuali.
La conoscenza di un fattore di rischio specifico (il forzato movimento sulla rotaia della macchina caricatrice, anche ove inutilizzata) ne imponeva la relativa gestione, il che impediva di ritenere, come aveva fatto il Tribunale, l'insussistenza di profili di colpa direttamente derivanti dalla legge, alla luce dell'art. 2087 cod. civ. e di numerose norme del D.Lgs. n. 81/2008, analiticamente richiamate alle pagg. 43-44 della sentenza impugnata. Nel dettaglio, poi, ha rilevato, quanto alla C.C. e al B.B., che dallo stesso verbale del 15 maggio 2018 emergevano con chiarezza i confini della responsabilità dell'impresa quanto a ciò che accadeva dentro la galleria e, in particolare, agli spostamenti dei macchinari in condizioni di sicurezza. Né, al contrario, poteva valere la sola previsione del sistema più sicuro nel POS, dal momento che quel sistema non era stato mai applicato dall'impresa stessa, restando parimenti irrilevanti le ragioni di tale scelta, essendosi il datore di lavoro disinteressato dell'effettiva attuazione delle previsioni contenute nel documento, a cominciare dall'assunzione, spettante all'appaltatrice, di soggetti preposti ad agire come agenti di copertura. Lo stesso POS, peraltro, prevedeva l'impiego della macchina caricatrice deragliata, di un mezzo cioè intrinsecamente pericoloso, siccome a rischio di svio.
In particolare, quanto alla C.C., la Corte ha rilevato che la smentita dell'omessa predisposizione del POS andava valutata alla stregua della testimonianza I.I., a mente della quale quello redatto in data 11 dicembre 2017 e giudicato dal D.D. idoneo nel febbraio 2018 aveva l'esiziale difetto di non riguardare il singolo cantiere, riducendosi a una sorta di modello valido per ogni situazione più o meno analoga.
Quanto al A.A., le sue mansioni erano state correttamente individuate dal Tribunale, ma da esse il primo giudice non aveva tratto conclusioni corrette: al medesimo spettava, infatti, di verificare il rispetto degli obblighi di legge da parte dell'impresa e corretta esecuzione dell'opera; di disporre in ordine al coordinamento del lavoro con altri, eventuali appalti e con RFI; di mantenere il contatto con il coordinatore per l'esecuzione D.D.. A ciò la Corte ha pure aggiunto la scelta, di sua competenza, di procedere attraverso un sistema di sicurezza diverso da quello previsto, scelta che non ineriva alla esecuzione, bensì - a monte - alla definizione degli aspetti tecnici del contratto, involgenti la sicurezza così come l'aspetto economico dell'accordo. Infine, egli si era ingerito nella decisione assunta il 17 aprile 2018, in atto al momento dell'incidente, ciò che, del resto, risultava del tutto coerente con i suindicati compiti.
In conclusione, secondo la Corte territoriale, era rimasto accertato che il sistema più sicuro (quello, cioè, che prevedeva il c.d. agente di copertura), pur previsto, non era mai stato applicato nel corso dei lavori inerenti a quell'appalto; che quello adottato era certamente pericoloso e che solo il 10 aprile 2018 era stato implementato con due cautele (rallentamento della velocità dei treni e allarme sonoro con 20 secondi di anticipo rispetto al transito); che il sistema adottato non teneva conto del pericolo di deragliamento del caricatore; che solo il 17 aprile 2018 era stato previsto un terzo sistema, variante del secondo, con l'aggiunta di una ulteriore previsione cautelare, quella cioè di consentire il carico con la macchina solo in alcune finestre temporali, individuate in collaborazione con RFI, sì che tale attività potesse svolgersi solo quando non era previsto il transito di treni sul binario n. 200; che neppure tale terzo sistema poteva ritenersi sicuro, avuto riguardo alla mera presenza dentro la galleria della macchina caricatrice e al suo movimento necessitato da quello dell'intero convoglio. Sulla scorta di tali evidenze, dunque, la Corte ha ritenuto che nessuno degli imputati avesse considerato, ciascuno nella propria qualità, lo specifico rischio del deragliamento della caricatrice, rischio non scongiurato neppure dal blocco della ralla e dalla presenza di cunei sotto le ruote della macchina, restando del tutto irrilevante accertare se, nelle giornate nelle quali non era prevista la "contemporanea", il caricatore facesse o meno parte del convoglio.
4. I difensori degli imputati hanno proposto separati ricorsi.
4.1. La difesa della C.C. ha formulato dodici motivi.
Con il primo, ha dedotto erronea applicazione della legge penale in relazione al principio della correlazione tra accusa e sentenza, rilevando l'aggiunta di profili di colpa, originariamente non contestati da parte della Corte territoriale. Si è rimproverato alla C.C. di non aver redatto il POS, di non aver fornito ai lavoratori attrezzatura idonea, facendo impiegare una macchina caricatrice la cui ralla non era dotata di apposito dispositivo di blocco, con il rischio di invasione dell'altro binario; di non aver controllato, né fatto verificare l'idoneità della segnaletica approntata per segnalare l'arrivo di treni; infine, di non aver agito al fine di attuare quanto richiesto dal coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva, in ordine alla necessità che il materiale di risulta della lavorazione venisse caricato manualmente e non mediante la macchina caricatrice. La Corte d'Appello, per come dalla stessa ammesso in premessa, avrebbe ravvisato profili di colpa diversi rispetto ai suddetti, dai quali l'imputata era stata assolta, avendo ritenuto che costei avesse condiviso con il A.A. la scelta di non applicare la previsione di sicurezza contenuta nel POS e di adottare il sistema meno sicuro, intrinsecamente pericoloso; scelto, quale strumento di lavoro, la macchina caricatrice poi deragliata, insicura in ragione del luogo e delle modalità d'impiego; infine, redatto un POS non concepito per quella lavorazione, ma valevole come modello generale per qualsiasi situazione analoga.
Ciò avrebbe determinato un vulnus difensivo, posto che, dopo la sentenza assolutoria sugli originali profili di colpa, l'imputata non avrebbe avuto la possibilità di indicare nuovi testimoni o altre fonti di prova a discarico, rispetto a condotte non contemplate nell'imputazione e articolare, di conseguenza, anche le relative censure in sede di gravame di merito, atteso l'esito assolutorio.
Con il secondo motivo, ha dedotto inosservanza degli artt. 63 comma 2xe 191, cod. proc. pen., con riferimento alla utilizzabilità del riferito del teste D.D. nel corso del giudizio di primo grado, atteso che lo stesso avrebbe dovuto essere sentito come indagato di reato connesso: la conclusione che era stata la C.C., in concerto con il A.A., a decidere di adottare il sistema meno sicuro è stata tratta dalla testimonianza di costui, il quale tuttavia non era stato sentito, come avrebbe dovuto, ai sensi dell'art. 210, cod. proc. pen., ad onta del fatto che egli, quale coordinatore della sicurezza, aveva avuto un ruolo centrale nella gestione della sicurezza stessa, aveva approvato il POS della C.C., aveva deciso di porre nel nulla la previsione contenuta nel POS (che prevedeva il sistema più sicuro dell'agente di copertura) per passare a quello "Minimel" e aveva l'obbligo di legge di verificare che le imprese esecutrici adottassero gli adeguamenti del POS ritenuti necessari. Pertanto, egli era stato quantomeno corresponsabile dell'accaduto, sulla scorta di elementi già emersi all'udienza di escussione, considerato altresì che, secondo la testimonianza di Luisa I.I., sentita prima del D.D. all'udienza del 7/2/2020, il POS presentato dall'appaltatrice era stato approvato proprio dal D.D. nella qualità.
Con il terzo motivo, ha dedotto vizio della motivazione, sub specie contraddittorietà, rispetto alla testimonianza della I.I.: una volta accertato che il sistema previsto nel POS era quello più sicuro, la motivazione tradisce la premessa nella misura in cui ha concluso per la inadeguatezza del documento, considerato peraltro che, con l'imputazione, si era contestato all'imputata di avere omesso la redazione del POS, non di averne redatto uno aspecifico. Tale equivoco sarebbe emerso dalla deposizione della I.I., esponente dell'organo di controllo che aveva opposto alla C.C. la genericità del DVR e non del POS.
Con il quarto motivo, ha dedotto analogo vizio, sub specie di apparenza della motivazione, quanto alla testimonianza D.D., anche in relazione all'obbligo di suo rafforzamento, stante la difformità dei due giudizi di merito. Il primo profilo di responsabilità sarebbe stato ricavato dalle dichiarazioni del D.D., rispetto alle quali sarebbe del tutto mancata ogni valutazione di attendibilità e, sulla scorta di tale riferito, i giudici d'appello hanno ritenuto che la C.C. avesse concordato con il A.A. di lasciare che il sistema più sicuro, previsto nel POS, rimanesse lettera morta, circostanza emersa solo in fase di riapertura dell'istruzione in appello, poiché il teste in primo grado non lo aveva riferito, essendosi anzi interrogato sui motivi della mancata utilizzazione del sistema, da lui stesso approvato, dell'agente di copertura. Inverosimile, dunque, secondo la difesa, la conclusione secondo la quale il coordinatore per la sicurezza non si era pronunciato su tale decisione, mentre il Tribunale l'aveva attribuita proprio al D.D. E, in ciò, ha ravvisato una enorme contraddizione nella valutazione di attendibilità del teste, il quale si era preoccupato di allontanare da sé ogni addebito: in primo grado, infatti, aveva spiegato la previsione nel POS del sistema più sicuro in termini di mero refuso; in appello, aveva corretto il tiro, addebitando l'abbandono del sistema a un accordo tra gli imputati C.C. e A.A., aggiungendo per la prima volta che l'agente di copertura avrebbe rappresentato un costo economico per l'impresa.
Con il quinto motivo, ha dedotto mancanza della motivazione o sua apparenza quanto alla ritenuta riconducibilità della decisione di adottare il c.d. "terzo sistema", in luogo di quello previsto nel POS, alla C.C., senza chiarire in che modo l'imputata avrebbe appreso che era in corso l'applicazione del sistema meno garantito, né considerare la piena corresponsabilità profilatasi in capo allo stesso D.D.
Con il sesto motivo, ha dedotto analogo vizio quanto all'altro profilo di colpa ascritto all'imputata, specificamente inerente alla scelta di utilizzare la macchina caricatrice quale strumento di lavoro: si trattava, infatti, di un mezzo previsto nel POS, del quale era stato prospettato l'uso nel cantiere Preglia, come sapevano anche RFI e il coordinatore D.D. la macchina era in regola e omologata. Il pericolo del caricatore è stato individuato nel fatto che lo stesso doveva operare in galleria, il che però costituiva un problema per tutti i mezzi d'opera, dovendo essi muoversi per entrare e uscire, laddove la Corte non avrebbe invece precisato per quale motivo la macchina caricatrice fosse un mezzo più pericoloso degli altri.
Con il settimo motivo, ha dedotto vizio di contraddittorietà della motivazione quanto all'addebito inerente alla inadeguatezza del POS adottato da C.C. Costruzioni Srl: il ragionamento della Corte territoriale, che pure aveva riconosciuto la maggiore sicurezza del sistema previsto nel POS, colliderebbe con la conclusione secondo cui il documento era inidoneo perché generico, posto che quel sistema era certamente il più sicuro e idoneo a neutralizzare qualsiasi interferenza, tra cui anche lo svio del caricatore.
Con l'ottavo motivo, ha dedotto vizio motivazionale con riferimento alla prevedibilità del pericolo, evento del reato contestato: la colpa dell'imputata avrebbe dovuto essere valutata rispetto al c.d. "terzo sistema", vigente al momento della collisione e descritto dalla Corte come variante del secondo, al quale erano state aggiunte ulteriori cautele. Orbene, secondo la prospettazione difensiva, tale sistema non sarebbe stato adeguatamente valutato sotto il profilo della sicurezza e neppure della prevedibilità dell'evento da parte dell'imputata, trattandosi di accorgimenti idonei a scongiurare il rischio di invasione del binario attivo. La presenza delle scorte di RFI, poi, avrebbe dovuto essere considerata agli stessi fini, tale adempimento dovendosi ritenere decisivo quanto al pericolo di ingombro, a tal fine reputando inefficace la mera affermazione della non eccentricità del comportamento tenuto dal manovratore H.H., posto che l'avviso alla scorta non doveva essere dato dopo lo sblocco della ralla, ma ogni volta che si fosse profilata l'esigenza di impegnare il binario attiguo, non avendo i giudici del merito neppure spiegato l'assenza delle scorte e la mancata identificazione dei componenti.
Con il nono motivo, ha dedotto erronea applicazione dell'art. 43 cod. pen., sempre in punto imprevedibilità dell'evento, avendo la difesa rilevato che interzo sistema° quando non vi era l'interruzione contemporanea dei due binari attigui, subordinava comunque l'impiego del mezzo a diversi accorgimenti e controlli incrociati, rispetto ai quali era centrale il ruolo del personale RFI, dotato pure di poteri inibitori su richiesta del capo cantiere.
Con il decimo motivo, ha dedotto vizio della motivazione con riferimento alla valutazione di alcuni documenti (tra i quali, la procura speciale e delega delle funzioni ai sensi dell'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008 conferita da C.C. a C.C. Marco, l'affidamento dell'incarico di direttore di cantiere a J.J. Francesco e il POS redatto in data 11/12/2017). Secondo la prospettazione difensiva, la Corte avrebbe ricavato la non validità della delega a C.C. Marco da parte dell'imputata dalla circostanza che era stata proprio costei ad affidare, successivamente, la direzione del cantiere al J.J., cadendo i giudici in contraddizione per travisamento dei relativi documenti, poiché solo il primo rispondeva ai requisiti formali della delega ai sensi dell'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008, prevedendo espressamente la facoltà del delegato di delegare le funzioni in materia di sicurezza ai vari direttori di cantiere, ciò che il C.C. aveva fatto con il J.J.. Quest'ultimo atto, tuttavia, non costituirebbe una delega autonoma, ma una sub delega che non farebbe venir meno i poteri-doveri del delegante. Il contenuto ampio di tale sub delega, non smentito neppure dal ruolo di direttore di cantiere in capo al delegato J.J., confermerebbe semmai il potere di delega in capo al C.C. Quest'ultimo, peraltro, quale delegato principale alla sicurezza, non avrebbe potuto, a differenza del J.J., sub-delegato, assumere contemporaneamente il ruolo di direttore del cantiere, i cui compiti in ogni caso esulano dal campo della sicurezza sul luogo di lavoro, inerendo piuttosto alla verifica del progetto esecutivo e all'organizzazione tecnico-logistico-esecutiva dei macchinari.
Con l'undicesimo motivo, la difesa ha dedotto manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta inefficacia del sistema delle deleghe di funzioni, motivata sulla scorta del fatto che l'imputata aveva redatto il POS del 2017 e del 2018 e replicato personalmente alle osservazioni prescrittive dello SPRESAL, ciò da cui la Corte ha inferito che la stessa si fosse fatta carico della sicurezza. La difesa ha, però, osservato che la redazione del POS è un obbligo non delegabile del datore di lavoro, la risposta allo SPRESAL (peraltro inerente anche all'addebito di omessa redazione del POS, sul quale solo il datore di lavoro avrebbe potuto rispondere) avendo al più dimostrato che la C.C. si era fatta carico della sicurezza aziendale a far data da quella interlocuzione nel settembre 2018, cioè dopo i fatti per cui è processo.
Infine, con il dodicesimo motivo, ha dedotto erronea applicazione della legge penale con riferimento alla colpa (Omissis), sempre in relazione al tema della delega delle funzioni. Essa, ha osservato la difesa, ridefinisce la posizione datoriale e, nella specie, avrebbe avuto rilevanza scusante, essendo divenuto garante, a titolo derivativo, il delegato (Omissis), ricorrendo nella specie tutti i requisiti di forma richiesti dalla norma di riferimento. Quanto, poi, all'obbligo di vigilanza permanente in capo al datore di lavoro, trattasi di alta vigilanza, avente a oggetto il corretto svolgimento delle funzioni da parte del delegato, diversamente svuotandosi di contenuto l'istituto stesso. Nella specie, la C.C. aveva delegato le funzioni di sicurezza a (Omissis) che aveva accettato, sub-delegando le funzioni in materia di sicurezza al J.J., come consentito per specifiche funzioni della sicurezza che la difesa ha individuato nella indicazione del singolo cantiere.
Pertanto, l'adozione del sistema preventivo diverso da quello previsto nel POS doveva addebitarsi agli addetti alla sicurezza e non all'imputata, al pari della decisione di mettere a disposizione dei lavoratori la macchina caricatrice, risolutivamente osservando che il sistema in atto al momento della collisione prevedeva la movimentazione non libera dei mezzi, peraltro subordinata a plurime cautele (valutazione caso per caso in relazione alle caratteristiche dei luoghi; rispetto della sagoma; benestare del personale RFI di scorta, interruzione del binario).
4.2. La difesa del B.B. ha formulato otto motivi (sebbene il quinto costituisca ripetizione del primo).
Con il primo, anche questa difesa ha dedotto una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, pregiudicante il diritto di difesa dell'imputato: in particolare, al B.B., già assolto in primo grado dall'accusa di non avere, quale preposto dell'impresa, sovrinteso e vigilato sull'osservanza, da parte dei lavoratori, della disposizione che stabiliva il caricamento manuale del materiale di risulta, la Corte d'Appello avrebbe mosso addebiti diversi (mancata, tempestiva segnalazione dell'inosservanza del POS e delle istruzioni per la protezione del cantiere; mancata segnalazione della intrinseca pericolosità del macchinario adottato), così impedendogli di conoscere tempestivamente gli addebiti a suo carico e predisporre, in conseguenza, le sue difese.
Con il secondo, anche questa difesa censura l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal coordinatore per la sicurezza D.D., deducendo inosservanza della legge processuale in relazione agli artt. 63, comma 3 e 191, cod. proc. pen., costui dovendo essere sentito come indagato di reato connesso, essendo emersi, già nel giudizio di primo grado, elementi tali da farne ritenere la qualità di indagato, tenuto anche conto della posizione ricoperta, centrale nell'intero sistema della sicurezza. Trattasi di prova decisiva, posto che dal riferito del D.D. la Corte d'Appello avrebbe tratto conferma delle omissioni ritenute in capo al B.B. Peraltro, era stato proprio il D.D. ad approvare il sistema previsto dal POS e l'impiego della macchina caricatrice, salvo poi a disporne la non utilizzazione, per passare al sistema "Minimel".
Con il terzo motivo, ha dedotto analogo vizio anche con riferimento alla testimonianza H.H.: dallo stesso tenore del capo d'imputazione sarebbe emerso che il reato contestato era correlato al verificarsi della collisione tra il treno e la macchina caricatrice, manovrata proprio dal H.H., l'istruttoria avendo acclarato che la stessa non poteva muoversi, mentre si era trovata in movimento in occasione dell'evento.
Con il quarto motivo, ha dedotto vizio motivazionale quanto alla ravvisata responsabilità colposa del B.B., per difetto della indicazione dei criteri di valutazione della prova orale (D.D.) e per violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata, ancora una volta rilevando la non perfetta coincidenza dei profili di colpa ritenuti rispetto a quelli contestati. La responsabilità dell'imputato è stata correlata alla sua posizione di preposto, ossia di capo cantiere, in forza della quale gli si è rimproverato di non aver segnalato la pericolosità della macchina caricatrice, per insufficienza della sola interruzione contemporanea dei binari. Il riferito del D.D. sarebbe stato inteso a difendere se stesso e, pur di fronte a tale dubbio, la Corte d'Appello si sarebbe limitata a richiamarne le affermazioni, traendone conferma dell'inadeguatezza del POS e della responsabilità del B.B. per non aver segnalato le criticità.
Il quinto motivo, come anticipato, è una ripetizione del primo.
Con il sesto motivo, la difesa ha dedotto vizio della motivazione in ordine all'addebito di colpa (mancata segnalazione della pericolosità del caricatore) nella qualità di preposto, nonostante la macchina, in regola e omologata, fosse stata indicata nel POS e la circostanza nota a RFI e, per essa, anche al coordinatore D.D. La Corte d'Appello avrebbe correlato la pericolosità della macchina alla possibilità del suo deragliamento, pericolo tuttavia comune a tutti i mezzi d'opera presenti in galleria, nulla avendo invece precisato sulla maggiore pericolosità di quel macchinario, il rischio di svio essendo neutralizzato dal sistema indicato nel POS.
Il settimo motivo, specificamente inerente al giudizio sulla prevedibilità dell'evento di reato, è sostanzialmente sovrapponibile all'ottavo motivo dedotto nell'interesse dell'imputata C.C. e ad esso si rinvia per comodità espositiva.
Infine, con l'ottavo motivo, la difesa ha dedotto la nullità della sentenza per omessa valutazione della documentazione prodotta nel corso del giudizio di primo grado in ordine alla individuazione, al momento del fatto, del preposto, nella specie, il geom. H.H. che aveva sostituito il B.B. il giorno della collisione. Il giudice d'appello non avrebbe motivato sul punto, limitandosi ad affermare che la mancata vigilanza e la mancata segnalazione dovevano intervenire ancor prima dei fatti, l'attività svoltasi il giorno dell'incidente essendo stata uguale a quella dei giorni, delle settimane e dei mesi precedenti.
4.3. La difesa del A.A. ha formulato quattro motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla valutazione della responsabilità dell'imputato, avuto riguardo alla individuazione della sua posizione di garanzia, quale direttore dei lavori/dirigente RFI, cui si è rimproverata la violazione dell'art. 18, comma 1, lett. f); D.Lgs. n. 81/2008, per non avere richiesto ai lavoratori l'osservanza delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza. Il primo giudice aveva escluso qualsivoglia posizione di garanzia del A.A. sotto tale profilo, laddove la Corte d'Appello ha abbandonato la contestazione sub art. 18 citato, senza precisare sulla scorta di quali elementi potesse ritenersi che il predetto (Omissis) assunto il ruolo di dirigente per la sicurezza, avendo sempre e solo svolto compiti di direzione dei lavori, ruolo estraneo ai compiti antinfortunistici. Pertanto, non essendo individuabile una sua posizione di garanzia, non sarebbe stato possibile ascrivergli le omissioni ritenute in sentenza, contestandosi la conclusione dei giudici territoriali, per la quale al A.A. sarebbero stati assegnati compiti in qualche modo connessi con la sicurezza del cantiere. Avrebbe perciò errato la Corte territoriale a sostenere che siano le mansioni a giustificare il coinvolgimento del A.A., egli non avendo mai ricevuto l'incarico di coordinatore per la sicurezza, né sostituito quello nominato. Né vale, (Omissis) fa la Corte d'Appello, valorizzare il compito del direttore dei lavori di interfacciarsi con il coordinatore per inferirne una inammissibile cogestione o condivisione della sicurezza: in tal modo verrebbero a confondersi i diversi piani di operatività delle due figure, quello cioè tecnico/economico del direttore dei lavori e quello della sicurezza proprio del coordinatore, (Omissis) specie difettando l'individuazione di funzioni, ulteriori e tipiche del garante della sicurezza del cantiere, funzioni che non potrebbero ricavarsi, come avrebbe fatto il giudice del gravame, dalle ordinarie attività del direttore dei lavori, in assenza di un'ingerenza di costui nel settore della sicurezza.
Ha, poi, contestato la valutazione delle prove orali, tra tutte la testimonianza D.D., il quale aveva spiegato l'iter relativo alla scelta del sistema di prevenzione, ma anche quella di K.K., il quale aveva chiarito che il ruolo del direttore dei lavori era quello di avere rapporti con l'impresa da un punto di vista tecnico e contabile, collaborando con il CSE, ma non nel campo della sicurezza. Né potrebbe valere il personale convincimento espresso dal D.D., peraltro in termini dubitativi, secondo cui la mancata attuazione del sistema più sicuro era da attribuirsi all'impresa di concerto con la direzione dei lavori, sul punto opponendo anche un travisamento del riferito del D.D. che aveva chiarito più avanti il suo pensiero, rivendicando la paternità della decisione sul sistema da adottare, da lui stesso approvato, senza che possa essere individuato alcun contributo del A.A. autonomo e rilevante sul punto, egli essendo stato assente in più riunioni di coordinamento e cooperazione, come confermato nei verbali richiamati in ricorso.
La criticità dell'accusa nei confronti del A.A., peraltro, si coglierebbe, secondo la difesa, anche nel ricorso della Corte territoriale alla figura dell'ingerenza di fatto, avendo la stessa ammesso che neppure la continuità dell'intervento del direttore dei lavori può di per sé costituire indice di essa, essendo necessaria una prova rigorosa che, tuttavia, non potrebbe trarsi, come ha fatto la Corte d'Appello, dalle affermazioni del D.D. o dalla prova documentale, sull'assunto che la scelta del sistema di prevenzione interessasse aspetti tecnici, economici e temporali del contratto e la sicurezza nella fase della progettazione, elementi dai quali quel giudice ha inferito tale ingerenza, ritenendoli coerenti con la sfera delle competenze dell'imputato, senza indicare i comportamenti indicativi di detta ingerenza.
Infine, sotto altro profilo, la difesa ha rilevato un ulteriore, grave vizio inerente, questa volta, al tema della esigibilità della condotta dovuta: arroccatasi sulla tesi della cogestione, la Corte d'Appello non avrebbe neppure operato la necessaria valutazione personalizzata della relativa verifica, concludendo nel senso che tutti i soggetti coinvolti erano stati consapevoli della pericolosità della macchina caricatrice, senza fornire riscontri circa l'effettivo contributo del A.A., di eventuali sue insistenze sul coordinatore ai fini dell'adozione dell'una o dell'altra misura, sulle direttive date dall'appaltatore, sulla conoscenza effettiva delle condizioni di lavoro nel cantiere.
Con il secondo motivo, la difesa ha dedotto inosservanza della legge processuale in relazione all'obbligo di motivazione rafforzata, rispetto al ribaltamento dell'assoluzione in
primo grado, evidenziando due, distinti profili: da un lato, la Corte del gravame avrebbe omesso (Omissis) confronto con diversi elementi di prova valorizzati dal Tribunale, sia quanto ai compiti spettanti al direttore dei lavori, che avuto riguardo alla valutazione tecnico-operativa in ordine all'utilizzo delle interruzioni temporanee; dall'altro, avrebbe operato una revisione di elementi probatori senza dare ragione delle proprie scelte e della maggiore considerazione accordata ad elementi diversi o diversamente valutati, nella stessa sentenza censurata dandosi conto della non perfetta corrispondenza tra imputazione e profili di colpa emersi dall'istruttoria. Infatti, la regola di cautela individuata sarebbe diversa da quella contenuta nell'imputazione, laddove si addebitava all'imputato di non aver provveduto per l'attuazione delle disposizioni del coordinatore per la sicurezza che oggi costituirebbero l'oggetto del rimprovero mossogli. L'istruttoria avrebbe dimostrato che l'appaltatore era ben consapevole delle misure da adottare, ma che inspiegabilmente non erano state poste in essere dal preposto H.H. (il riferimento è, in particolare, all'avviso della scorta di RFI), laddove la Corte non avrebbe neppure spiegato come il A.A. si fosse intromesso nella scelta della doppia regola di sicurezza, ingerendosi nella relativa adozione e quali elementi di conoscenza avesse avuto quanto alla mancata attuazione del sistema di sicurezza.
Con il terzo motivo, ha dedotto analogo vizio, oltre a vizio della motivazione, quanto alle modalità di audizione del teste D.D., il cui ruolo decisivo nella valutazione dell'adeguatezza del sistema di prevenzione era perfettamente noto sulla base della motivazione della sentenza assolutoria: la stessa prospettazione adottata dai giudici di seconde cure, quella cioè della cogestione della scelta del sistema di prevenzione, darebbe conferma della sussistenza di possibili profili di responsabilità in capo al coordinatore per la sicurezza, non avendo la Corte neppure ricercato elementi a conferma del suo riferito.
Con il quarto motivo, infine, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione quanto al diniego delle generiche: la Corte ha valorizzato la non partecipazione al processo dell'imputato, viceversa presente all'udienza di rinnovazione istruttoria, nonché alle più importanti udienze, quelle cioè del 7 e 21 febbraio 2020; sotto altro profilo, ha assegnato rilievo alla consistenza del pericolo, meramente prospettata e non ancorata ad alcun appiglio concreto, laddove, con specifico riferimento alla distanza, definita dai giudici d'appello abissale, tra ciò che era esigibile e ciò che era stato posto in essere in concreto, essi avrebbero dimenticato il segno diametralmente opposto della decisione appellata.
5. L'udienza del 06/11/2024 è stata rinviata per adesione dei difensori all'astensione dalle udienze proclamata dagli organismi di categoria.
Diritto
1. I ricorsi vanno rigettati.
2. In via preliminare vanno affrontate le questioni inerenti alla dedotta violazione dell'art. 521, cod. proc. pen. e alla utilizzabilità di alcune testimonianze (D.D. e H.H.).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, intanto può evocarsi la violazione del principio di cui all'art 521, cod. proc. pen., in quanto se ne evidenzi la compromissione delle facoltà difensive. Infatti, il principio di correlazione tra contestazione e sentenza è funzionale alla salvaguardia del diritto di difesa dell'imputato, con la conseguenza che la sua violazione è ravvisabile quando il fatto ritenuto nella decisione si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d'imputazione non contenga l'indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consenta di ricavarli in via induttiva (Sez. 6, n. 10140 del 18/02/2015, Bossi, Rv. 262802 - 01, in fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto sussistere la violazione del principio nella condanna per il delitto di abuso d'ufficio in luogo della contestata concussione, in quanto il capo d'accusa non conteneva alcuna indicazione in ordine alla norma di legge violata, né all'ulteriore requisito, richiesto dall'art. 323 cod. pen., dell'ingiustizia del vantaggio patrimoniale procurato o del danno arrecato; Sez. 2, n. 21089 del 29/03/2023, Saracino, Rv. 284713 - 02, in cui, nell'affermare lo stesso principio, sì è precisato che detta violazione è ravvisabile, non solo nel caso in cui il fatto ritenuto nella decisione si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d'imputazione non contenga l'indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, ma anche quando esso non consenta di ricavarli in via induttiva, tenendo conto cioè di tutte le risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione; Sez. 5 n. 7984 del 24/09/2012, dep. 2013, Jovanovic, Rv. 254648 - 01). Tali principi sono, peraltro, coerenti con quelli costituzionali racchiusi nella norma di cui al novellato art. Ili Costituzione, ma anche con l'art. 6 della Convenzione E.D.U., siccome interpretato, in base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, a partire dalla nota pronuncia Drassich c. Italia (Corte EDU 2 sez. 11 dicembre 2007), ma anche, più di recente, con la pronuncia del 22 febbraio 2018, Drassich c. Italia (n.2), con la quale la Corte di Strasburgo ha escluso la violazione dell'art. 6 cit. nel caso in cui l'interessato abbia avuto una possibilità di preparare adeguatamente la propria difesa e di discutere in contraddittorio sull'accusa alla fine formulata nei suoi confronti.
Sotto altro aspetto, va poi ribadita la fondamentale distinzione tra fatto "nuovo" e fatto "diverso", ai fini di una corretta lettura dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen.: per "fatto nuovo" si intende un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendum, trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo; per "fatto diverso", invece, deve intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato (Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256861 - 01).
Pertanto, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro, Rv. 260161 - 01; n. 7940 del 25/11/2020, dep. 2021, Chiappatone, Rv. 280950 - 01; n. 53455 del 15/11/2018, Galdini De Lima, RV. 274500 -01; n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo, Rv. 281997 - 09, in cui si è ribadito che il ricorso per cassazione con cui si deduca la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, ai fini della sua ammissibilità, sotto il profilo della specificità, non può limitarsi a segnalare la mancanza formale di coincidenza tra l'imputazione originaria e il fatto ritenuto in sentenza, dovendo altresì allegare il concreto pregiudizio che ne è derivato per l'esercizio del diritto di difesa, non sussistendo la violazione predetta ove, sulla ricostruzione del fatto operata dal giudice, le parti si siano confrontate nel processo).
Nel caso in esame, gli addebiti di colpa sono stati puntualizzati dalla Corte territoriale (che ha infatti parlato, al par. 6.1.2., di "non perfetta corrispondenza" tra i profili di colpa descritti in imputazione e quelli emersi nel corso dell'istruttoria) alla stregua delle risultanze, implementate anche a seguito della disposta rinnovazione° e sulle stesse le parti hanno ampiamente dedotto, difettando una lesione del diritto di difesa, alla cui salvaguardia il principio di correlazione è direttamente funzionale, non apprezzandosi un rapporto di eterogeneità del fatto ritenuto rispetto a quello contestato (Sez. 6, n. 10140 del 18/02/2015, Bossi, Rv. 262802 - 01): le condotte contestate non costituiscono profili inediti di accusa, bensì sviluppo degli addebiti espressamente evocati nell'editto accusatorio, tra i quali rientrano la inidoneità del POS (per profili che si andranno di seguito ad esaminare), la decisione di non darvi attuazione nella parte in cui era previsto il sistema di allarme più sicuro e la presenza della macchina caricatrice, pur inattiva, all'interno della galleria, in mezzo al convoglio e non agganciata ai locomotori.
Ne deriva la infondatezza del primo motivo formulato nell'interesse dell'imputata C.C., del primo e del quinto (sovrapponibile) formulati nell'interesse dell'imputato B.B. e del terzo formulato nell'interesse del A.A.
3. Il secondo motivo formulato nell'interesse dell'imputata C.C. e dell'imputato B.B. e il terzo motivo, formulato nell'interesse dell'imputato A.A., inerenti specificamente alla inutilizzabilità delle dichiarazioni del D.D., nonché il terzo motivo formulato nell'interesse del B.B., inerente alla inutilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali di H.H., sono infondati.
L'art. 63, comma 1, cod. proc. pen. disciplina le c.d. "dichiarazioni indizianti" ("Se davanti all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l'autorità procedente ne interrompe l'esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese"), laddove, al comma 2, disciplina il divieto assoluto di utilizzazione delle dichiarazioni rese da un soggetto che doveva esser sin da subito sentito quale imputato o persona sottoposta alle indagini.
Orbene, deve ritenersi ancora attuale il principio fissato dal diritto vivente in tema di prova dichiarativa, per il quale, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali e, quindi, al di là del riscontro di indici formali, come l'eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 15208 del 25/2/2010, Mills, Rv. 246584 - 01, principio successivamente ripreso da Sez. 2, n. 8402 del 17/02/2016, Gjonaj, Rv. 267729 - 01; Sez. 6, n. 25425 del 04/03/2020, Pascolini, Rv. 279606 - 01; Sez. 5, n. 39498 del 25/06/2021, Tommasi, Rv. 282030 - 01). Tuttavia, ai fini di tale verifica, è necessario che, a carico di tali soggetti, risulti l'originaria esistenza di precisi, anche se non gravi, indizi di reità e tale condizione non può automaticamente farsi derivare dal solo fatto che i dichiaranti risultino essere stati in qualche modo coinvolti in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a loro carico (Sez. 2, n. 51732 del 19/11/2013, Carta, Rv. 258109 - 01; Sez. 1, n. 48861 del 11/07/2018, Mero, Rv. 280666 - 01), occorrendo che tali vicende, come percepite dall'autorità inquirente, presentino connotazioni tali da non poter formare oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente l'esistenza di responsabilità penali a carico (Sez. 4, n. 29918 del 17/06/2015, Affatato, Rv. 264476 - 01).
In altri termini, la sanzione di inutilizzabilità "erga omnes" delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto fin dall'inizio essere sentito in qualità di imputato o persona soggetta alle indagini implica che a carico dell'interessato siano già acquisiti, prima dell'escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall'autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell'interrogante (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243417 - 01).
In perfetta coerenza con i principi testé delineati, quindi, si è precisato che l'omissione dell'avvertimento previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c), cod. proc. pen. nei confronti del soggetto che riveste la qualità di indagato o di imputato in un procedimento connesso o collegato (art. 210 cod. proc. pen.) dà luogo all'inutilizzabilità delle dichiarazioni assunte, a condizione che la situazione di incompatibilità a testimoniare, ove non già risultante dagli atti, sia stata dedotta prima dell'esame (Sez. 5, n. 13391 del 23/01/2019, Bazzurri, Rv. 275624 - 01), essendo onere della parte interessata ad opporsi all'assunzione della testimonianza allegare, prima della assunzione delle dichiarazioni, le circostanze fattuali da cui risultano situazioni di incompatibilità a testimoniare, sempre che la posizione del dichiarante non risulti già dagli atti nella disponibilità del giudice e non sussistano i presupposti perché questi si attivi d'ufficio, in conseguenza di una richiesta di prova formulata sul punto dalle parti, ex art. 493 cod. prov. pen, ovvero in ragione dell'assoluta necessità di disporre l'escussione del dichiarante, ai sensi dell'art. 507 dello stesso codice (Sez. 6, n. 12379 del 26/02/2016, Picciolo, Rv. 266422 - 01).
Nella specie, l'asserita esistenza di indizi a carico del D.D. e del H.H., prima della loro escussione (o la sopravvenienza di essi nel corso della stessa) non emergeva ictu oculi dal tenore della imputazione, essendo rimasta affidata a una elaborazione postuma delle parti, considerata la posizione ritenuta in capo ai predetti. Il presupposto fattuale che dovrebbe giustificare l'inutilizzabilità del riferito dei due dichiaranti (Omissis) realtà grettamente correlato a un apprezzamento di merito e al collegamento dei predetti con le vicende per cui è processo. E, sul punto, è già stato spiegato che la questione dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese senza le necessarie garanzie difensive da chi sin dall'inizio doveva essere sentito in qualità di imputato o indagato non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità se richiede valutazioni di fatto su cui è necessario il previo vaglio, in contraddittorio, da parte del giudice di merito (Sez. 6, n. 18889 del 28/02/2017, Tornasi, Rv. 269891 - 01; Sez. 4, n. 2586 del 17/12/2010, dep. 2011, Bongiovanni, Rv. 249490 - 01; Sez. 6, n. 43534 del 24/04/2012, Lubiana, Rv. 253798 - 01, in cui si è ribadito il principio con riferimento alle questioni di inutilizzabilità che richiedono, al di là del mero esame degli atti processuali, approfonditi accertamenti in fatto di esclusiva competenza del giudice dì merito).
4. Ciò posto, deve operarsi una premessa quanto ai singoli addebiti colposi, per poi procedere all'esame degli ulteriori motivi dei ricorsi, dapprima con riferimento alle posizioni degli imputati C.C. e B.B., anche per la sovrapponibilità di alcune censure difensive, quindi a quella del A.A., soggetto il cui ruolo è correlato alla committenza dell'opera.
Quanto alla C.C., la sua responsabilità è stata strettamente correlata a quella del A.A., per avere i due condiviso la scelta di non dare applicazione al POS, laddove era precipuo compito dell'appaltatore non solo prevedere su un foglio di carta le misure di prevenzione, ma anche vigilare sulla loro applicazione, sia richiedendone l'osservanza, che organizzando il relativo servizio. Inoltre, l'imputata aveva scelto la macchina caricatrice per quel lavoro, senza tener conto del fatto che il mezzo poteva sviare dal binario, mentre era utilizzato in un luogo attiguo a un binario in pieno esercizio. Infine, aveva presentato a RFI un POS mancante di un essenziale requisito, la previsione cioè per lo specifico cantiere. Esso costituiva una sorta di modello valevole per qualsiasi situazione, come del resto avvalorato dalla circostanza che, nonostante la previsione dell'impiego del caricatore, non si considerava il rischio di un suo deragliamento. Peraltro, i giudici del gravame hanno ritenuto irrilevante la delega al figlio nel lontano 2011 (in sentenza essendosi erroneamente indicato il J.J., pur rinviandosi al par. 5.1.2. che riguarda la delega notarile del febbraio 2011 in favore di (Omissis): essa, intanto, contemplava un'autonomia del tutto insufficiente per porre a carico della ditta gli oneri connessi all'adozione di uno dei sistemi di prevenzione e sicurezza; inoltre, l'adozione di sistemi insicuri, poi in concreto implementati, era stata una scelta strategica del vertice aziendale; infine, a due giorni di distanza da(conferimento di tale delega, il delegato C.C. aveva trasferito al J.J. le stesse attribuzioni conferitegli dalla madre, per le quali l'autonomia di spesa era stata contenuta nella misura di Euro 10.000,00; peraltro, era stata la stessa imputata, nel 2017, a indicare J.J. quale direttore di cantiere per l'attuazione delle misure di sicurezza contenute nel PSC, nel POS e nel DVR, prevedendone lo stabile rapporto con il direttore tecnico e con il direttore della produzione (Omissis) Dall'insieme di tali elementi in fatto, la Corte ha tratto la conclusione che la delega in questione non valesse ad esonerare la C.C. in ordine agli addebiti emersi a suo carico, poiché superata all'epoca dei fatti, il C.C., direttore della produzione aziendale, non essendo mai stato presente nelle sedute di cui ai verbali prodotti dal coordinatore D.D. In ogni caso, la predisposizione del POS costituisce compito non delegabile del datore di lavoro e, nella specie, era stata proprio l'imputata a sottoscrivere quello del 2017 e quello corretto del 2018, la stessa avendo replicato personalmente ai rilievi sollevati dall'organo di controllo, dando prova di essere il soggetto cui faceva capo la sicurezza e prevenzione dell'azienda.
Quanto al B.B., invece, la Corte ne ha ritenuto la responsabilità in qualità di preposto che, presente quotidianamente in cantiere, aveva avuto consapevolezza della intrinseca pericolosità del macchinario, ancor prima del giorno dell'incidente e a far data almeno dal 10 aprile 2018, dirigendone come capo cantiere anche i movimenti, così come della inadeguatezza, rispetto allo specifico rischio di deragliamento, della prescrizione di usare il mezzo solo durante l'interruzione contemporanea su entrambi i binari, ciò che aveva costituito in capo allo stesso l'obbligo di riferirne al proprio datore di lavoro, rilevando l'ininfluenza della circostanza che, il giorno del fatto, le mansioni di preposto fossero svolte da terzi, trattandosi di un obbligo perdurante, rimasto da tempo inadempiuto.
5. Ciò posto, il terzo e il settimo motivo formulati nell'interesse dell'imputata C.C. sono manifestamente infondati. Le doglianze sono state articolate senza un effettivo confronto con il tenore della decisione. Infatti, l'inidoneità del POS è stata direttamente collegata alla sua genericità, siccome consistente in un modello adattabile ad ogni tipo di cantiere, senza contenere indicazioni riferibili a quello specifico di Preglia. Di talché l'argomento che fa leva su una presunta contraddizione della sentenza nella parte in cui dà atto della previsione, in quel documento, del sistema dì allarme più sicuro, sconta tale silenzio rispetto alle considerazioni sulla scorta delle quali i giudici territoriali hanno ritenuto dimostrata la inidoneità di quel documento. Allo stesso modo, la difesa assume un travisamento della testimonianza I.I. nella parte in cui la dichiarante avrebbe parlato della genericità del DVR, inferendone per ciò solo una trasposizione automatica del medesimo giudizio al POS. Viceversa, la Corte ha fatto espresso riferimento proprio a tale documento, richiamando la circostanza che la C.C.° solo a seguito della relativa prescrizione da parte dell'organo di controller aveva provveduto a redigerne uno conforme ai requisiti di legge (cfr. pag. 52 della sentenza impugnata) e che proprio il fatto che il POS contemplasse l'utilizzo della macchina caricatrice avrebbe imposto anche la previsione dei rischi collegati al suo possibile deragliamento.
6. Il quarto motivo formulato nell'interesse dell'imputata C.C. e dell'imputato B.B. sono infondati, al pari del quinto e del sesto motivo formulati nell'interesse della C.C. e del sesto motivo formulato nell'interesse del B.B. (segnatamente inerenti agli addebiti di colpa), gli ultimi tre essendo anche generici e privi del necessario confronto con le argomentazioni alle quali la Corte territoriale ha affidato le sue conclusioni.
Premesso che, nella specie, non vi è questione di rinnovazione della prova dichiarativa, avendo peraltro la Corte proceduto a nuova audizione dei testi H.H., D.D. e I.I. e all'acquisizione di documenti allegati da questi ultimi due, ciononostante, è necessaria una premessa ai fini dell'inquadramento dell'obbligo di motivazione rafforzata che le difese assumono tradito dalla Corte territoriale.
Il diritto vivente ha ormai definitivamente delimitato i confini dell'apprezzamento dell'onere motivazionale in ipotesi di overturning di verdetto assolutorio, ormai puntualmente fissati dalla giurisprudenza di legittimità (a partire da Sez. U, n. 33748, del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679): in tale ipotesi, infatti, il giudice di appello ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato, "non essendo altrimenti razionalmente giustificata la riforma". Tali principi sono stati poi recepiti dal legislatore, all'esito del percorso avviato dalla giurisprudenza di legittimità che, all'indomani della sentenza della Corte E.D.U. 5/7/2011 nel caso Dan c/ Moldavia, aveva ritenuto affetta da vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", di cui all'art. 533, comma 1, cod. proc. pen., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermasse la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non era stata disposta la rinnovazione a norma dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267491 - 01; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269787 - 01, in cui, in motivazione, si è evidenziata la stretta correlazione tra il dovere di motivazione rafforzata da parte del giudice della impugnazione, in caso di dissenso rispetto alla decisione di primo grado, il canone "al di là di ogni ragionevole dubbio", il dovere di rinnovazione della istruzione dibattimentale e i limiti alla reformatio in peius, affermandosi che l'assoluzione pronunciata dal giudice di primo grado travalica ogni pretesa di simmetria tra il primo e il secondo grado di giudizio, implicando l'esistenza di una base probatoria che induce "quantomeno il dubbio sulla effettiva valenza delle prove dichiarative...").
Anche successivamente, il Supremo organo della nomofilachia, richiamando tali principi, ha ricordato che "La disposizione che ha introdotto nel sistema codicistico il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio è stata... riferita dal legislatore all'esclusivo ambito di applicazione dell'art. 533 cod. proc. pen., che attiene alla pronuncia di una sentenza di condanna, mentre dall'art. 530 cod. proc. pen., che disciplina il diverso esito assolutorio, non soltanto non emerge un criterio di giudizio analogo, ma ne affiora, nella sostanza, uno opposto. Nel comma 2 di tale articolo, infatti, si prevede che il giudice debba pronunciare assoluzione in tutti i casi in cui un dubbio sussiste e non può essere superato, ciò che equivale a descrivere - dalla prospettiva dell'assoluzione - il mancato soddisfacimento della regola del ragionevole dubbio, Sulla medesima linea interpretativa tracciata dalla sentenza (Omissis) si è posta successivamente la prevalente elaborazione giurisprudenziale della Corte (Sez. 5, n. 42443 del 07/06/2016, G., Rv. 267931; Sez. 5, n. 35261 del 06/04/2017, Lento, Rv. 270721; Sez. 5, n. 2499 del 15/11/2016, dep. 2017, Vizza, Rv. 269073; Sez. 3, n. 46455 del 17/02/2017, M., Rv. 271110; Sez. 6, n. 55748 del 14/09/2017, Macrì, non mass.), sul rilievo che "l'assoluzione dopo una condanna non deve superare alcun dubbio, perché è la condanna che deve intervenire al di là di ogni ragionevole dubbio, non certo l'assoluzione, possibile anche ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen.". La presunzione d'innocenza e il ragionevole dubbio impongono, dunque, soglie probatorie asimmetriche in relazione al diverso epilogo decisorio, la certezza della colpevolezza per la condanna, il dubbio processualmente plausibile per l'assoluzione, differenza che ha evidenti riflessi anche sul piano della estensione dell'obbligo di motivazione. Esso, infatti, si atteggia in modo diverso a seconda che si verta nell'una o nell'altra ipotesi: in caso dì sovvertimento di una sentenza assolutoria, al giudice d'appello si impone l'obbligo di argomentare circa la plausibilità del diverso apprezzamento come l'unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano inficiato la permanente sostenibilità del primo giudizio; per il ribaltamento di una condanna, invece, egli può limitarsi a giustificare la perdurante sostenibilità di ricostruzioni alternative del fatto, sulla scorta di un'operazione di tipo essenzialmente demolitivo (in motivazione, Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430 - 01: n. 11586 del 30/09/2021, dep. 2022, D.). Tale obbligo può venir meno, in caso di ribaltamento di pronuncia di assoluzione, solo ove il provvedimento assolutorio abbia un contenuto motivazionale generico e meramente assertivo, posto che, in tale ipotesi, non vi è neppure la concreta possibilità di confutare argomenti e considerazioni alternative del primo giudice, essendo la decisione dì appello l'unica realmente argomentata (Sez. 6, n. 11732 del 23/11/2022, dep. 2023, S. Rv. 284472 -01).
6.1. Di tali principi la Corte territoriale si è dimostrata perfettamente edotta e di essi ha fatto corretta applicazione, nel caso in esame.
Infatti, quel giudice ha condiviso la ricostruzione fattuale della vicenda, cosi come operata dal primo giudice, sviluppando il proprio difforme ragionamento quanto alle conseguenze giuridiche ricavate da quegli stessi elementi fattuali, ribaditi in appello. Il punto attorno al quale ruotano gli addebiti di colpa mossi ai due imputati è rappresentato dalla circostanza, non inedita, che per l'esecuzione dei lavori di fresatura appaltati alla C.C. Costruzioni Srl sin dal mese di febbraio fosse stato usato un cantiere mobile ricoverato presso la stazione di (Omissis) che, quando era operativo, si muoveva lungo il binario 100, parallelo a quello percorso dal treno entrato in collisione con la macchina caricatrice. Tale cantiere mobile era costituito da tre blocchi: due locomotori, in mezzo ai quali si trovava per l'appunto la macchina in questione, munita di benna (oltre ad un carro intermedio per servizi igienici di cantiere). Ciò aveva implicato che la macchina caricatrice doveva muoversi anche quando inattiva, per la semplice ragione che la stessa faceva parte di un unico convoglio che costituiva il cantiere mobile all'interno della galleria. Il che, a sua volta, ha posto al centro della disamina della Corte proprio il rischio correlato a tale movimento sulla rotaia, quello cioè dello svio da essa delle ruotine in ferro della macchina. Il sistema di sicurezza in atto al momento dell'incidente era quello c.d. "Minimel" (dispositivo sonoro che dava solo il tempo ai lavoratori di mettersi al sicuro per l'imminente passaggio del treno proveniente dalla opposta direzione sul binario attivo (il n. 200), procedente alla velocità ridotta di 60 Km/h. Della situazione di pericolo si era accorto il citato D.D., il quale aveva promosso una fase di revisione, con sospensione dei lavori, disponendo che il caricamento del materiale di risulta fosse effettuato manualmente, con la previsione di implementare il "Minimel" con la presenza dei cc.dd. agenti di copertura (personale RFI che doveva agire da avvistatore e sospendere la circolazione nel caso di interferenze). Tale implementazione, però, non era stata in concreto realizzata, essendosi invece disposta la sospensione dell'intervento della ditta Schweitzer Electronic incaricata della miglioria a verbale del 10/04/2018: infatti, si era optato per l'utilizzo della macchina solo negli intervalli nei quali la circolazione era interrotta su entrambi i binari (ed. contemporanea), il che comportava, però, la presenza del caricatore (sia pure a distanza dagli altri mezzi del convoglio, che veniva "staffato" con cunei sotto le ruote e con la ralla bloccata al fine di scongiurare invasioni della sagoma del mezzo sull'altro binario). Tale sistema era stato applicato quotidianamente secondo direttive precise e sotto la supervisione del capo cantiere B.B. L'incidente, peraltro, era avvenuto fuori dall'attività di caricamento, ma durante lo spostamento obbligato della macchina che doveva assecondare il movimento del cantiere mobile.
Il Tribunale ha ritenuto infondata la contestazione perché la stessa presupponeva l'inosservanza dell'ordine del D.D. che vietava il caricamento meccanico, posto che l'incidente era avvenuto in un momento nel quale non si stava procedendo impropriamente a tali operazioni, quindi sul piano della causalità della colpa, l'impatto non avendo coinvolto la ralla della macchina ed essendosi lo svio dalla rotaia verificato a prescindere dall'utilizzo non consentito del mezzo, ma a causa della composizione del convoglio. Sul punto, peraltro, il Tribunale aveva dato atto delle previsioni dei verbali di riunione, dai quali era emerso che la movimentazione dei mezzi all'interno della galleria era rimessa all'appaltatrice, previa verifica della compatibilità di tale utilizzo con le caratteristiche dei luoghi e dell'esistenza delle necessarie condizioni di sicurezza e di garanzia del mantenimento della sagoma.
Quanto, poi, al POS, quel giudice ha rilevato che, nello stesso, era stato previsto il sistema di protezione più sicuro, pur essendosi interrogato sulla sua mancata applicazione, il sistema adottato essendo stato approvato anche dal D.D.
Tale ragionamento è stato censurato dal giudice del gravame nella parte in cui, in maniera implicita, il Tribunale aveva sostanzialmente concluso nel senso che gli addebiti di colpa fossero eccentrici rispetto al rischio conoscibile che gli imputati erano chiamati a gestire, laddove quello dello sviamento del mezzo dalla rotaia non poteva considerarsi né anomalo, né eccentrico, né imprevedibile, nonostante la pericolosità della macchina fosse stata ritenuta dal D.D. (che, infatti, aveva indicato il caricamento manuale come modalità sicura per implementare il sistema "Minimel") e preannunciata nello stesso POS che C.C. Costruzioni aveva rassegnato a RFI, essendo rimasta indimostrata anche la presenza della "scorta" di RFI. Tuttavia, la circostanza che il caricatore non fosse utilizzato per caricare i detriti non escludeva che il mezzo, una volta facente parte del convoglio, dovesse essere movimentato, perdurando dunque, a causa della sola presenza, il rischio del suo svio dalla rotaia, rischio che non era stato gestito da alcuno dei soggetti chiamati a governare la sicurezza sul cantiere e che il sistema dell'agente di copertura avrebbe consentito di prevenire, come previsto nel POS, rimasto però inattuato in parte qua.
6.2. Orbene, proprio muovendo da tale premessa, la Corte ha evidenziato l'erroneità dell'affermazione del primo giudice, secondo cui nessuna inosservanza fosse imputabile alla C.C. e al B.B. nelle rispettive qualità: alla prima spettava, infatti, il compito di gestire la movimentazione dei mezzi all'interno della galleria, al secondo di supervisionare che le modalità lavorative fossero sicure, in caso contrario avendo l'obbligo di richiamare l'attenzione del datore di lavoro. In altri termini, secondo la Corte territoriale, la previsione di sicurezza del POS era rimasta lettera morta, essendosi deciso di adottare un diverso sistema che, tuttavia, era inadeguato rispetto allo specifico rischio di sviamento, derivato dalla semplice presenza inattiva della macchina caricatrice all'interno della galleria. Quanto, poi, alla idoneità del POS, ha sì richiamato la testimonianza I.I. per affermarne la genericità, ma anche elementi a conforto sopra evidenziati (modifica successiva ai rilievi SPRESAL, mancata previsione, nonostante la presenza della macchina in galleria, del rischio di un suo svio). Pertanto, tirando le fila di tale analitico ragionamento, quel giudice ha ritenuto che la decisione di introdurre il caricatore nel convoglio e quella di utilizzare il sistema di allarme implementato solo dalla c.d. contemporanea, fosse attribuibile all'appaltatore, cui non compete solo l'adempimento formale di prevedere il sistema nel POS, ma anche di adottare tutte le misure necessarie, vigilando sulla loro applicazione e organizzando il relativo servizio, la scelta di impiegare comunque la macchina caricatrice essendo stata rimessa alla ditta, restando ininfluente (stante la causa dello svio) che la macchina fosse dotata di tutte le certificazioni del caso. Inoltre, il POS non era stato concepito per quello specifico cantiere, pur contenendo la previsione del sistema di sicurezza più idoneo, non avendo contemplato, accanto alla previsione dell'impiego della macchina, il rischio connesso al suo deragliamento.
Trattasi di motivazione del tutto congrua e coerente con gli ammonimenti del giudice di legittimità: la Corte del gravame, infatti, non si è limitata a un intervento di tipo demolitorio del difforme ragionamento probatorio, avendo - al contrario - messo in chiaro i vizi logici rilevati e l'inadeguata ricostruzione probatoria operata dal Tribunale, giungendo a un apprezzamento conclusivo che ha motivatamente esposto come l'unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio.
6.3. Dal canto loro, le difese hanno riproposto temi vagliati analiticamente dal giudice del gravame, rimanendo silenti rispetto agli argomenti ai quali la Corte territoriale ha affidato le proprie conclusioni e, sul punto, va ricordato che è del tutto estraneo al vaglio di legittimità l'esame degli aspetti del giudizio che si sostanzino nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere valutati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Tale principio costituisce il diretto precipitato di quello, altrettanto consolidato, per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi dì fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 - 01; n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 - 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 - 01; Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556 - 01), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 - 01) ed essendo la cognizione della Corte di cassazione funzionale a verificare la compatibilità della motivazione della decisione con il senso comune e con i limiti di un apprezzamento plausibile, non rientrando tra le sue competenze lo stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti, né condividerne la giustificazione (Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504 - 01). Inoltre, il tenore di alcuni rilievi, con i quali si è sostanzialmente lamentato un asserito "silenzio" motivazionale in ordine a specifiche osservazioni difensive, impone di precisare che - in sede di legittimità - non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (Sez. 1 n. 27825 del 22/05/2013, Camello, Rv. 256340 - 01; Sez. 5 n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Curro, Rv. 275500 - 01).
Del tutto eccentrica, poi, rispetto agli addebiti ritenuti, è l'affermazione difensiva secondo cui tutti i mezzi che lavorano in galleria sarebbero a rischio svio: trattasi di assunto che tralascia di considerare quanto affermato nella sentenza impugnata, laddove si era dato atto che la macchina caricatrice era isolata in mezzo al convoglio, non era cioè agganciata ai locomotori, circostanza che fonda il diverso rischio di sviamento ritenuto dai giudici territoriali (vedi pag. 21, par. 5.1.9. dove si richiama il verbale di sopralluogo del 10/4/18: "il caricatore lavora autonomamente staccato dal treno cantiere").
7. L'ottavo e il nono motivo formulati nell'interesse della C.C. e il settimo formulato nell'interesse del B.B. sono manifestamente infondati.
Errano le difese nel sostenere che la Corte non avrebbe valutato l'idoneità del sistema in atto al momento della collisione: in tal modo, infatti, hanno omesso di considerare l'assunto dal quale la Corte è partita, vale a dire la circostanza che il caricatore dovesse muoversi in sintonia con il convoglio, a prescindere cioè dal suo utilizzo e che la sua presenza nella galleria non era stata accompagnata dal sistema più sicuro (quello dell'agente avvistatore), rimasto lettera morta. Peraltro, la pericolosità della macchina, connessa al rischio specifico di svio dalla rotaia, era stata alla base della revisione del sistema di sicurezza in atto fino al 10/04/2018 e, rispetto ad esso, la Corte ha valutato l'inadeguata implementazione disposta da quel momento in avanti. Anche con riferimento a tali motivi, pertanto, pare sufficiente un richiamo ai principi esposti al par. 5.3. che precede.
8. Sono infondati anche il decimo, undicesimo e dodicesimo motivo formulati nell'interesse della C.C., tutti inerenti allo specifico punto riguardante l'esistenza di una delega idonea ai sensi dell'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008.
Il principio dal quale occorre muovere è espresso dal diritto vivente: gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere trasferiti, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ai sensi dell'art. 16 del D.Lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261108 - 01; principio ripreso anche da Sez. 4, n. 4350 del 16/12/2015, dep. 2016, Raccuglia, Rv. 265947 - 01), fermo restando, comunque, l'obbligo - per il datore di lavoro - di vigilare e controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (Sez. 4, n. 24908 del 29/01/2019, Ferrari, Rv. 276335 - 01). Anche più di recente, il principio è stato calibrato con la precisazione che, in ogni caso, la delega di funzioni, disciplinata dall'art. 16 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro sul corretto espletamento delle funzioni trasferite, ma, afferendo alla correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato, non può avere ad oggetto il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni (Sez. 4, n. 51455 del 05/10/2023, Fiochi, Rv. 285535 -01). Uno degli indici di valutazione della idoneità della delega è, peraltro, quello del conferimento del correlato potere di spesa in capo al delegato, le scelte politico-imprenditoriali rimanendo, in ogni caso, in capo alla figura datoriale (Sez. 4, n. 44943 del 08/07/2021, Cirielli, Rv. 282717 - 01). Trattasi di un principio espresso anche con riferimento all'operata distinzione tra la delega di funzioni ai sensi dell'art. 16 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e la delega di gestione ai sensi dell'art. 2381 cod. civ.: la prima, infatti, trasferisce su un soggetto, non qualificabile come datore di lavoro, le funzioni del predetto, divenendo il delegato garante a titolo derivativo; la seconda attiene, nell'ambito di strutture societarie complesse, alla ripartizione di ruoli e competenze tra i membri del consiglio amministrazione, concentrando i poteri decisionali e di spesa in capo al delegato, già qualificabile come datore di lavoro a titolo originario (Sez. 4, n. 40682 del 03/10/2024, Parenti, Rv. 287206 - 01, i cu, in motivazione, la Corte ha precisato che, in caso di delega di funzioni, residua, in capo al delegante, l'obbligo di vigilanza sul delegato, che risulta assolto, ove sia adottato e attuato un efficace modello organizzativo ai sensi dell'art. 30, comma 4, D.Lgs. cit., mentre, in ipotesi di delega gestoria di cui all'art. 2381 cod. civ., l'obbligo di adottare le misure antinfortunistiche e di vigilare sulla loro osservanza si trasferisce dal consiglio di amministrazione al delegato, residuando, in capo all'organo consiliare, i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo).
Tanto premesso, nel caso all'esame, la Corte territoriale ha motivatamente escluso l'idoneità della delega rilasciata in data 08/02/2011 dall'imputata al proprio figlio, (Omissis), così come dell'atto, con il quale quest'ultimo, due giorni dopo, aveva trasferito le funzioni delegategli dalla madre a J.J.: la prima, a fronte di un lungo elenco descrittivo del mandato, contemplava una generica indicazione sulla necessaria autonomia finanziaria (limitandosi a rinviare ai singoli appalti); la seconda precisava tale autonomia, contenendola tuttavia nella somma di diecimila euro, con obbligo di rendiconto. La Corte, richiamato il contenuto di tali documenti, ha precisato che, anche ove effettivamente si fosse ritenuta tale delega (e, si aggiunge, anche quella da (Omissis) a J.J., ai sensi dell'art. 16, comma 3-bis, D.Lgs. n. 81/2008, come evidenziato a difesa), la stessa, oltre a contemplare un'autonomia di spesa del tutto insufficiente, al fine di porre a carico della società oneri derivanti dall'adozione del sistema di prevenzione più sicuro, avrebbe comunque riguardato un aspetto della sicurezza del tutto strategico che chiamava in causa direttamente il vertice societario, quello cioè di lasciare solo sulla carta il sistema di prevenzione più sicuro, prevedendo la presenza della macchina a rischio di svio all'interno della galleria con un sistema di prevenzione inadeguato rispetto ad esso. A tal fine, peraltro, la Corte ha valorizzato anche la circostanza che, in epoca assai più prossima all'esecuzione dell'appalto dì che trattasi, l'imputata aveva nominato il citato J.J. direttore del cantiere, con obbligo per costui di tenersi in costante collegamento con (Omissis), indicato quale Direttore della produzione aziendale, e il B.B. assistente del J.J., quest'ultimo avendo assegnato al primo in pari data il ruolo di preposto.
Pertanto, la conclusione secondo la quale la C.C. avesse mantenuto il controllo diretto delle questioni inerenti alla sicurezza riposa su precisi dati fattuali, in questa sede insindacabili, inerenti, da un lato, alla inidoneità intrinseca del risalente sistema di deleghe; dall'altro, alla precisa scelta di "tradire" il POS, pur adottato dalla stessa C.C., in qualità datoriale, concordando un sistema diverso e inadeguato rispetto al rischio collegato alla voluta presenza della macchina caricatrice (pur inattiva e a ralla bloccata) in mezzo al convoglio-cantiere mobile, operante all'interno della galleria. In ogni caso, la delega del 2011 in favore di Marco C.C., anche ove ritenuta idonea nonostante il difetto del requisito di cui all'art. 16, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 81/2008, non esonerava il delegante dagli obblighi di cui al comma 3 dello stesso articolo, punto sul quale la difesa nulla ha osservato.
9. Infine, l'ottavo motivo formulato nell'interesse del B.B., oltre ad essere del tutto generico, è anche manifestamente infondato.
In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, è stato più volte precisato che, ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, Rv. 269972 - 01; n. 14915 del 19/02/2019, Arrigoni, Rv. 275577 -01). Nella specie, la difesa, oltre ad avere formulato una generica critica, ha omesso di considerare la circostanza, ben evidenziata nella sentenza impugnata, che il B.B. era perfettamente consapevole del sistema in atto durante i lavori in questione, ciò risultando in maniera incontestata dagli atti. Egli aveva assistito quotidianamente alla intrinseca pericolosità correlata alla presenza della macchina caricatrice, dirigendone anche i relativi spostamenti (si ricordi che la movimentazione delle macchine era compito specifico dell'appaltatore), nella consapevolezza che il caricatore, a rischio di svio, doveva muoversi all'interno della galleria, anche se inattivo e che il sistema di prevenzione previsto nel POS era inapplicato, essendone impiegato uno diverso. Pertanto, egli aveva condiviso quella prassi che, pur coerente con le direttive datoriali, restava illegittima, siccome del tutto indifferente al rischio generico di svio della macchina dalla rotaia, rischio che il sistema "Minimel", così come implementato, non era in grado di prevenire. In altri termini, quella prassi lavorativa contra legem si era consolidata, nella specie, anche grazie all'apporto attuativo del B.B.
10. Il primo e il secondo motivo formulati nell'interesse dell'imputato A.A. sono infondati, operandosi un rinvio, quanto al secondo, ai principi esposti al par. 5., circa l'obbligo dì motivazione rafforzata, anche in questo caso assolto dai giudici d'appello.
La Corte territoriale ha ritenuto la responsabilità del A.A., nella qualità di direttore dei lavori e dirigente di RFI Spa, ravvisandola in primo luogo nella mancata adozione del sistema previsto nel POS, essendosi avviata l'opera partendo dal presupposto che detto sistema dovesse restare solo sulla carta, adottandosene uno diverso e meno sicuro, attraverso scelte che rientravano nell'ambito delle competenze dell'imputato, riferibili non già all'esecuzione, bensì, a monte, alla definizione stessa degli aspetti tecnici del contratto, con specifico riferimento all'aspetto economico e della sicurezza. Inoltre, secondo i giudici del gravame, egli si era ingerito nella determinazione dell'assetto della sicurezza stabilito il 17 aprile 2018, in atto al momento dell'incidente, esitato nel mantenimento del sistema originario con la sola aggiunta delle limitazioni di utilizzo della macchina, come era emerso documentalmente (verbale di accordi tra A.A., J.J. e D.D. sulla protezione dei cantieri, pag. 22 della sentenza impugnata par. 5.1.11, richiamato a pag. 51) e
alla luce del riferito del D.D., ritenendo tale ingerenza coerente con le competenze dell'imputato, essendosi trattato di una modifica che interessava aspetti tecnici, economici e temporali del contratto e involgeva la sfera della sicurezza non sul piano dell'esecuzione, bensì, a monte, su quello della progettazione, anche perché frutto di accordi tra i vari appaltatori, RFI e la società ferroviaria svizzera quanto alla previsione delle interruzioni contemporanee del transito dei treni. In sostanza, gli addebiti di colpa ritenuti in capo all'imputato attengono sia a un profilo più formale, direttamente correlato alla posizione di direttore dei lavori e dirigente per RFI, ma anche al ruolo di fatto svolto in veste di vero e proprio rappresentante della committente che aveva preso parte alle fasi salienti riguardanti la gestione del rischio specifico, avendo concordato con la C.C. la decisione di lasciare "lettera morta" il sistema previsto dal POS e dalla Istruzione per la Protezione dei Cantieri (IPC) della stessa RFI (che, all'art. 12, prevedeva, per l'appunto, quello del c.d. agente di copertura), nonostante la presenza del caricatore in mezzo al convoglio/cantiere mobile.
Quanto al primo punto, va precisato, con le dovute distinzioni correlate al reato in esame (quello previsto dall'art. 450, cod. pen., cioè un reato di pericolo - nella specie - del verificarsi di un disastro ferroviario) che la posizione del A.A. è stata direttamente collegata al ruolo di dirigente tecnico della committenza, al quale spettava il controllo di conformità dell'opera (fresatura delle pareti della galleria) alle previsioni progettuali, ma anche di soggetto al quale è stata ricondotta la decisione (di concerto con la C.C.) di non dare attuazione alla specifica previsione di sicurezza, nonostante la presenza della macchina caricatrice in mezzo al convoglio/cantiere mobile. Pertanto, correttamente la Corte del merito ne ha valutato la posizione avuto riguardo al rischio specifico in esame, che aveva riguardato una lavorazione intrinsecamente pericolosa che prevedeva la presenza della macchina in galleria, anche se inattiva.
Ora, è vero che il direttore dei lavori, nominato dal committente, è colui che svolge normalmente un'attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all'esecuzione del progetto nell'interesse di questi (Sez. 4 n. 471 del 14/11/2013, dep. 2014, Gebbia, Rv. 257922 - 01), ma è anche vero che il progetto esitato e la sua conformità ai lavori eseguiti devono tener conto della esistenza di specificità proprie del contesto in cui essi vanno effettuati. La sua responsabilità a titolo di colpa è stata, perciò, ritenuta anche nel caso di sua assenza dal cantiere, spettando al predetto di esercitare un'oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie e adottare, ove necessario, le dovute precauzioni d'ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell'esecutore dei lavori, mediante la rinunzia all'incarico ricevuto (Sez. 4, n. 46428 del 14/09/2018, A., Rv. 273991 - 01, in fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del direttore dei lavori per aver consentito che questi iniziassero senza la nomina di un responsabile e senza la formazione di un documento di valutazione dei rischi, in zona soggetta a rischio di pericolo per la pubblica incolumità, dedotto in una ordinanza comunale interdittiva; n. 17106 del 14/03/2024, Garrasi, Rv. 286198 - 01, in fattispecie in tema di disastro colposo, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva affermato la penale responsabilità del direttore dei lavori per aver consentito che la demolizione di un edificio fosse eseguita in assenza di un programma e con modalità divergenti dalle leges artis e dalle regole della buona tecnica nella subiecta materia; Sez. 4, n. 18445 del 21/02/2008, Strazzanti, Rv. 240157 - 01; n. 2378 del 08/07/2016, dep. 2017, Benedetto, Rv. 268874 - 01).
10.1. Nella specie, secondo il tenore dell'editto accusatorio, si è contestato all'imputato di aver omesso di adottare "provvedimenti" intesi ad attuare quanto rilevato dal coordinatore a seguito del sopralluogo del 10/04/2018 e, in tal modo, si è in sostanza operato un rinvio non a prescrizioni inerenti alla fase ideativa dell'opera, bensì agli aggiustamenti in corso d'essa, a seguito dei rilievi operati dal D.D., soggetto individuato dalla stessa committenza. E, infatti, la Corte d'Appello, nel lavoro di puntualizzazione degli addebiti sostenuto dalle risultanze istruttorie, ha definito il (Omissis)"gestore della fase esecutiva dell'appalto" (pag. 51 della sentenza impugnata), nonché interlocutore della ditta appaltatrice quanto agli aspetti tecnici ed economici del contratto e alla verifica della corretta esecuzione dell'opera, necessaria per il coordinamento con eventuali altri appalti e con l'esercizio dell'attività ferroviaria. Proprio muovendo da tali compiti, lo ha perciò ritenuto responsabile (di concerto con la C.C.) della scelta di fondo, quella cioè di lasciare "lettera morta" il sistema di sicurezza previsto nel POS della appaltatrice e nella IPC della committenza, in ciò ravvisando quella ingerenza nel sistema di sicurezza approntato dall'appaltatore e non il semplice avallo di una decisione etero adottata, il che costituisce, secondo i principi sopra richiamati, il fondamento giuridico e fattuale della ritenuta responsabilità.
Quanto, poi, all'obbligo motivazionale richiesto, esso è stato esaurientemente assolto dalla Corte d'Appello che ha ricavato prova della suddetta ingerenza, non solo dal riferito del D.D., ma anche dal ruolo svolto dal A.A. in sede di interlocuzioni con la appaltatrice inerenti, per l'appunto, alla protezione del cantiere secondo le previsioni contenute nel POS e nella IPC (il rinvio è al par. 5.1.11. della sentenza impugnata, richiamata dalla Corte territoriale alla pag. 51, nel quale si dà atto della presenza, rilevata dalla firma apposta, del A.A. in sede di verbale di accordi).
11. Il quarto motivo, formulato nell'interesse del A.A. è infondato.
Il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590 - 01; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489-01, in cui si è precisato, di conseguenza, che il loro diniego può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62 bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione di esse, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato).
Nella specie, i giudici del merito hanno giustificato il giudizio di non meritevolezza, non già limitandosi a richiamare il dato normativo (art. 62 bis, comma 3, cod. pen,), vale a dire il difetto di elementi positivi a tal fine valutabili, ma - a fronte di una pena base certamente non elevata - hanno valorizzato la consistenza del pericolo e la distanza, definita "abissale", fra ciò che era richiesto agli imputati e quanto da costoro posto in essere. Nonostante la Corte abbia richiamato, a sostegno della decisione, anche l'assenza degli imputati dal processo, argomento al quale la difesa ha obiettato la partecipazione del A.A. all'udienza di rinnovazione istruttoria in grado di appello, deve osservarsi che la decisione censurata, muovendo dal principio della insufficienza della sola condizione di incensuratezza a fondare il beneficio, ha dato debito rilievo ad altri elementi, certamente rientranti nel novero dei parametri legali di cui all'art. 133 cod. pen., tali da neutralizzare ampiamente la imprecisione rilevata e da giustificare idoneamente la decisione adottata che, pertanto, non può essere considerata arbitraria.
12. Al rigetto segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25 febbraio 2025
Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2025