Cassazione Penale, Sez. 4, 08 aprile 2025, n. 13532 - Infortunio mortale con il silos di miscelazione del cioccolato. D. Lgs. 231/01



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere

Dott. ARENA Maria Teresa - Consigliere

Dott. MARI Attilio - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sui ricorsi proposti da:

A.A. nato a R il (Omissis)

B.B. nato a R il (Omissis)

C.C. nato a M il (Omissis)

CIOCCODOR Srl CIOCCODOR Srl

avverso la sentenza del 30/05/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere ATTILIO MARI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LIDIA GIORGIO che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.

È presente l'avvocato CASSARINO GIOVANNI del foro di RAGUSA in difesa delle parti civili D.D., E.E., F.F. il quale, associandosi alle conclusioni del Procuratore Generale, chiede il rigetto dei ricorsi.

È presente l'avvocato PELUSO CARMELO del foro di CATANIA in difesa di CIOCCODOR Srl, il quale insiste nei motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento.

L'avvocato PELUSO, in sostituzione ex art. 102 c.p.p., per delega scritta dell'avvocato LUIGI LATINO del foro di CATANIA in difesa di A.A., si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento.

 

Fatto


1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catania ha riformato la sentenza emessa il 07/05/2018 dal Tribunale di Ragusa, con la quale B.B., C.C., A.A. e la CIOCCODOR Srl (quale incolpata e responsabile civile) erano stati assolti - le persone fisiche - dal reato previsto dagli artt. 113 e 589, comma 2, cod. pen. e, la persona giuridica, dall'illecito previsto dall'art.25 septies del D.Lgs. 5 giugno 2001, n.231 - e, in accoglimento dell'appello proposto dalla parte civile D.D., in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sui figli minori F.F. e E.E. - ha condannato gli imputati e la Cioccodor, quale responsabile civile, in solido, al risarcimento dei danni nei confronti delle stesse parti civili, da liquidarsi in separato giudizio, con fissazione di una provvisionale di Euro 35.000,00 per ciascuna di esse.

1.1 Era stato contestato agli imputati, nella loro qualità di componenti del consiglio di amministrazione (C.C. e A.A.) della CIOCCODOR Srl e di datori di lavoro nonché di delegato per la sicurezza dei luoghi di lavoro (B.B.), cagionato colposamente il decesso del dipendente G.T.; tanto a seguito della violazione dell'obbligo di formazione professionale (art.18, comma 1, lett.l), D.Lgs. n.81/2008), per non avere adottato misure idonee a rendere sicuro ed agevole l'accesso ai macchinari di lavorazione (in violazione degli artt. 63, comma 1 e 64, comma 1, D.Lgs. cit.), per aver installato su un silos di miscelazione del cioccolato, un dispositivo di interblocco di sicurezza inefficace e facilmente eludibile e comunque montato in corrispondenza allo spazio di accesso dell'addetto per le operazioni di caricamento e manutenzione, per non avere installato una grata di protezione della tramoggia del miscelatore munita di dispositivo del movimento di apertura blocco (pure previsto nel documento di valutazione dei rischi), per avere assentito o non impedito l'installazione e l'uso di un peso calamitato legato con una corda al coperchio del silos che ne permetteva, in elusione del funzionamento del dispositivo di sicurezza, l'apertura del coperchio evitando il meccanismo di rotazione delle pale e quindi non disponendo la rimozione del meccanismo elusivo, in violazione dell'art.70, comma 1 e 71, comma 2, D.Lgs. n.81/2008 e dei punti 5.2, 6.1 e 6.3 del relativo allegato V.

1.2 La Corte territoriale ha premesso la ricostruzione del fatto operata da parte del Tribunale, in base alla quale - nel silos ove operava il lavoratore deceduto - era stato aggiunto un meccanismo artificiale di sblocco del circuito a coperchio aperto, costituito da un disco metallico assicurato al macchinario da una cordicella e che consentiva la chiusura del circuito stesso e, quindi, il funzionamento delle pale interne nonostante il coperchio del silos fosse aperto; meccanismo che, secondo la ricostruzione del Tribunale, avrebbe consentito all'operatore di abbreviare il suo lavoro consentendogli di controllare la miscelazione del prodotto anche a coperchio aperto; ha esposto che, secondo il Tribunale, non sarebbe stato provato che il posizionamento del bypass artigianale del blocco del sistema a coperchio aperto fosse a conoscenza del datore di lavoro, stante il possibile dubbio che fosse stato apposto dal lavoratore; in quanto, per come le apparecchiature erano concepite, l'introduzione dei materiali da miscelare doveva avvenire a coperchio aperto, con il meccanismo interno non in grado di funzionare, mentre la miscelazione doveva iniziare a coperchio chiuso, con conseguente impossibilità di contatti accidentali tra il meccanismo e il lavoratore; ha osservato che, nel caso di specie, l'introduzione di una grata di protezione e la rimozione del bypass del blocco di sicurezza avrebbero consentito di evitare l'evento ma che mancava, a parere del Tribunale, il collegamento a un evento che fosse prevedibile nel suo attuarsi, attribuendo lo stesso a un comportamento imprudente del lavoratore, che si era sporto all'interno di un meccanismo di miscelazione funzionante a coperchio aperto; ha esposto che, secondo il Tribunale, non sarebbe stato certo che la chiusura del circuito, con conseguente azionamento delle pale a coperchio aperto, fosse stata effettivamente determinata dal contatto del corpo del lavoratore con il sensore di sblocco, potendosi ipotizzare che il lavoratore si fosse sporto all'interno del macchinario già in funzione a coperchio aperto per recuperare un elemento estraneo; ha esposto che il Tribunale aveva ritenuto insussistente la violazione dell'obbligo di formazione, in quanto il lavoratore aveva partecipato a corsi tenuti dalla Gisol, precedente gestore dell'azienda, nella quale la Cioccodor era subentrata da solo un mese.

1.3 La Corte - nell'esaminare i motivi di impugnazione - ha ritenuto che il datore di lavoro si fosse sottratto ai propri obblighi in materia di sicurezza, essendo state riscontrate dal personale operante alcune violazioni, la più rilevante delle quali era quella relativa al malfunzionamento del sistema di sicurezza del silos ove era avvenuto l'evento; essendo stato accertato che le pale di miscelazione si avviavano a coperchio aperto con la semplice pressione esercitata dal corpo del lavoratore sul dispositivo di interblocco e mancando una grata di protezione finalizzata a impedire il contatto del corpo dell'operatore con gli organi meccanici in movimento; essendo pure stata accertata la violazione dell'obbligo di formazione dei dipendenti, avendo la società prodotto documentazione attinente a corsi effettuati dalla Gisol, diverso soggetto giuridico, nel solo anno 2003.

D'altra parte, la Corte ha osservato la comprovata presenza di un marchingegno, di fattura evidentemente artigianale e costituito da un magnete legato con un cordino al silos, che consentiva di bypassare il sistema di sicurezza facendo girare le pale di miscelazione a coperchio aperto; tutti fattori che si ponevano in diretto rapporto causale con l'evento mortale; mentre, altresì, era effettivamente stata constatata l'assenza di una grata di protezione, pure prevista dal documento di valutazione dei rischi.

Ha ritenuto non rilevante l'elemento, richiamato dal Tribunale, attinente alla presunta difficoltà di accertare se le pale del silos si fossero messe in movimento per la pressione esercitata dal corpo del dipendente sul meccanismo di interblocco oppure in conseguenza del contatto attivato dal magnete trovato assicurato al silos da una corda; essendo da ritenersi certo che le pale non avrebbero dovuto girare a coperchio aperto.

Ha ritenuto non condivisibile l'argomentazione del Tribunale in ordine al carattere abnorme della condotta del lavoratore, in quanto la procedura seguita dal dipendente per caricare il prodotto da lavorare era - di fatto - quella ordinaria.

In punto di individuazione dei profili individuali di responsabilità colposa, ha ritenuto che il fatto fosse da attribuire a B.B. - quale vicepresidente del consiglio di amministrazione e responsabile del servizio di prevenzione e protezione; a A.A., quale componente del Consiglio di amministrazione e a C.C. quale datore di lavoro di fatto.

Inoltre, pure vertendosi in impugnazione proposta dalle sole parti civili, ha ritenuto sussistenti anche i presupposti della responsabilità della CIOCCODOR Srl ai sensi dell'art.25septies del D.Lgs. n.231/2001; ha quindi concluso nel senso sopra indicato.

2. Avverso la predetta sentenza hanno presentato ricorso per cassazione, A.A., B.B., C.C. e la Cioccodor Srl, tramite i propri rispettivi difensori.

2.1 II ricorso proposto da A.A. si articola su cinque motivi.

Con il primo motivo, ha dedotto - ai sensi dell'art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod. proc. pen. - la violazione della legge processuale per effetto della mancanza di motivazione rafforzata e della omessa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale.

Ha dedotto che il giudice di appello, nel riformare in senso peggiorativo la sentenza di primo grado, avrebbe dovuto adottare una motivazione di valenza dimostrativa idonea a smentire puntualmente le conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado, nonché provvedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, sulla base dei principi dettati da Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267489; esponendo, sul punto, che il giudice di primo grado aveva dato rilevanza a quanto dichiarato dai testi G.G., in ordine alla grata di protezione del silos e alla procedura seguita dal dipendente deceduto e H.H., relativamente al pericolo di caduta nel macchinario.

Con il secondo motivo ha dedotto - ai sensi dell'art.606, comma 1, lett.c) ed e), cod. proc. pen. - la violazione degli artt. 526 e 191, comma 1, cod. proc. pen., per travisamento della prova, mancanza e illogicità della motivazione relativamente alla prevedibilità dell'evento da parte del datore di lavoro e alla regola di condotta che sarebbe stata violata.

Ha argomentato che la Corte avrebbe illogicamente ritenuto di rilevare dagli atti un malfunzionamento del sistema di sicurezza del silos e del correlativo sistema di interblocco e ciò pur rilevando la presenza di un dispositivo artigianale idoneo a bypassare il sistema di sicurezza medesimo; deducendo che non poteva ipotizzarsi alcun malfunzionamento se l'azionamento delle pale a coperchio aperto fosse stato da addebitare solo all'uso del suddetto marchingegno, azionato unicamente a seguito dell'intervento dell'operatore; esponeva che la motivazione doveva quindi ritenersi contraddittoria in punto di prevedibilità dell'evento da parte del datore di lavoro; ritenendo altresì illogica la motivazione nella parte in cui aveva attribuito al datore di lavoro la preventiva conoscenza del meccanismo elusivo del sistema di sicurezza.

Con il terzo motivo, ha dedotto - ai sensi dell'art.606, comma 1, lett.e), cod. proc. pen. - la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione sul punto relativo alla valenza causale da attribuire al comportamento del lavoratore.

Ha richiamato le argomentazioni del Tribunale in ordine al carattere imprudente e imprevedibile del comportamento del dipendente e tanto sulla base dell'utilizzo di un meccanismo posticcio tale da eludere il sistema di sicurezza della macchina, posto proprio a tutela del rischio della caduta accidentale a pale in funzione; ha quindi dedotto che tutti i rischi prevedibili sarebbero stati affrontati dal datore di lavoro con adozione di idonee regole cautelari, eluse solo dalla condotta abnorme del lavoratore.

Con il quarto motivo ha dedotto - ai sensi dell'art.606, comma 1, lett.e), cod. proc. pen. - la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza della violazione dell'obbligo di formazione del lavoratore e alla efficienza causale di tale omissione sulla determinazione dell'evento.

Ha dedotto che - nel ritenere non rilevante la formazione già impartita dalla Gisol nell'anno 2003 - la Corte non si sarebbe posto il problema di ancorare l'inefficacia della stessa alla effettiva esigenza della formazione stessa, piuttosto che al dato formale del tempo trascorso; ritenendo che, illogicamente, i giudici di appello avessero ritenuto rilevante la mancata ripetizione di informazioni già fornite dal precedente datore di lavoro, anche in considerazione del fatto che il subentro era avvenuto meno di un mese prima dell'evento; in ogni caso, deduceva l'assenza di rilevanza causale della ipotizzata violazione, attesa la volontarietà dell'aggiramento del sistema di interblocco da parte del lavoratore.

Con il quinto motivo ha dedotto - ai sensi dell'art.606, comma 1, lett.c), cod. proc. pen. - la mancanza di motivazione con riferimento alla posizione del ricorrente nel consiglio di amministrazione della Cioccodor Srl

Ha dedotto che il consiglio di amministrazione, con verbale del 09/10/2008, aveva deliberato il conferimento a B.B. della delega a operare in via autonoma ed esclusiva per dare attuazione alle previsioni di legge e alle prescrizioni in materia di sicurezza del lavoro, con esonero degli altri membri del consiglio, con atto rilevante ai sensi dell'art.2475 cod. civ., con la conseguenza che il consigliere delegato aveva assunto la qualifica esclusiva di datore di lavoro.

2.2 II ricorso proposto dalla CIOCCODOR Srl si articola su cinque motivi, dei quali i primi quattro dal medesimo tenore letterale di quelli articolati per conto di A.A.

Con il quinto motivo, la ricorrente ha dedotto - ai sensi dell'art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod. proc. pen. - la violazione di legge e la mancanza e illogicità della motivazione in relazione a quanto disposto dell'art.5 del D.Lgs. n.231/2001, nella individuazione dell'interesse e vantaggio della società quale presupposto della responsabilità da reato della persona giuridica.

Ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe ipotizzato la sussistenza dell'interesse o del vantaggio ma senza verificare la loro effettiva sussistenza, atteso che la elisione del sistema di interblocco non era idoneo a far guadagnare un tangibile vantaggio all'ente in termine di velocità di produzione.

2.3 Il ricorso di C.C. si articola su cinque motivi.

Con il primo motivo ha dedotto la mancanza e contraddittorietà della motivazione.

Ha dedotto che il ricorrente, già titolare della Gisol, aveva ceduto la proprietà della società ai futuri fondatori della Cioccodor, in cui non rivestiva alcuna carica; derivandone che alcuna responsabilità potesse essere ascritta al precedente titolare per la mancata organizzazione di corsi di formazione, mentre sarebbe rimasto immotivato l'argomento in base al quale il ricorrente avrebbe svolto una gestione di fatto dell'impresa.

Con il secondo motivo ha dedotto la violazione della legge processuale, in riferimento all'art.603, comma 3bis, cod. proc. pen. e alla necessità di una motivazione rafforzata.

Ha dedotto che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente superato le argomentazioni poste alla base della sentenza di assoluzione e che, in ogni caso, avrebbe dovuto dare luogo alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale al fine di fondare un effettivo contradditorio tra le parti rispetto alle valutazioni espresse in primo grado.

Con il terzo motivo ha dedotto il travisamento della prova per inosservanza delle norme processuali.

Ha dedotto che, dagli esiti dell'istruzione svolta in primo grado, era emerso che l'indicazione del datore di lavoro non prevedeva che il meccanismo di miscelazione venisse messo in movimento ma che si dovesse attendere l'arrivo della materia prima in preparazione dell'inizio della lavorazione, prevista per il giorno successivo; non avendo altresì la Corte tenuto conto del fatto che il lavoratore si era autonomamente infilato nel silo per raccogliere un pezzo di plastica ivi caduto, con condotta conseguentemente autonoma e imprudente.

Con il quarto motivo ha dedotto il difetto di motivazione, nella parte in cui aveva ritenuto prevedibile il comportamento non giustificato del lavoratore.

Con il quinto motivo ha dedotto il carattere omesso, illogico o contraddittorio della motivazione in rapporto alla violazione connessa al mancato adempimento dell'obbligo formativo.

Ha contestato la motivazione della Corte territoriale nella parte in cui aveva ritenuto che - in presenza dei corsi organizzati dalla precedente proprietaria - la tenuta di nuovi corsi avrebbe impedito l'adozione della condotta, anche considerando la specifica esperienza del lavoratore.

2.4 II ricorso di B.B. si articola su cinque motivi.

Con il primo motivo ha dedotto la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Ha dedotto di essere stato ritenuto civilmente responsabile per la sua posizione di consigliere di amministrazione della Cioccodor nonché responsabile per la sicurezza della stessa società; ha peraltro dedotto che la propria posizione di garanzia sarebbe venuta meno in conseguenza della condotta del tutto autonoma e imprevedibile del lavoratore.

Ha altresì articolato gli ulteriori motivi di impugnazione per ragioni di fatto e di diritto coincidenti con quelli formulati dalla difesa di C.C.

3. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Le parti civili hanno presentato memorie, nelle quali hanno concluso per la dichiarazione di inammissibilità ovvero per il rigetto dei ricorsi.

Motivi della decisione
1. In via logicamente preliminare, va rilevata l'erroneità del riferimento -contenuto nella sentenza impugnata - alla sussistenza di una responsabilità amministrativa della CIOCCODOR Srl in riferimento alle disposizioni contenute nel D.Lgs. n.231/2001, impropriamente evocate tanto nella sentenza medesima quanto nel ricorso della Cioccodor Srl, la quale è da ritenersi parte del giudizio -attesa la proposizione del ricorso ai soli fini civili - unicamente nella propria veste di responsabile civile.

Tanto in diretta applicazione dell'esclusione della ammissibilità della costituzione di parte civile nel processo penale nei confronti dell'ente, fatta salva solo l'ipotesi in cui l'ente sia citato come responsabile civile, ritenendosi che l'assenza di ogni riferimento espresso alla parte civile nel D.Lgs. n. 231/2001 sia frutto di una scelta consapevole del legislatore, che ha dunque operato intenzionalmente una deroga rispetto alla regolamentazione codicistica (Sez. 6, n. 2251 del 05/10/2010, dep.2011, Fenu, Rv. 248791; Sez.4, n.30175 del 06/06/2023, Pagano n.m.).

2. Nel merito, i ricorsi sono fondati, con specifico riferimento al profilo - fatta oggetto di specifica doglianza da parte tutti gli istanti - inerente alla violazione dell'obbligo di una motivazione di effettiva forza persuasiva superiore rispetto a quella della sentenza di primo grado, da ritenersi necessaria in presenza di un ribaltamento, ai fini civili, della pronuncia assolutoria.

3. Su tale punto, deve essere richiamato il principio in forza del quale - in tema di motivazione della sentenza - il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679); parlandosi, in questo caso, di obbligo di una motivazione "rafforzata", che specificamente consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore e da rispettare, in tale modo, il canone dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio" (Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, dep. 2014, Ciaramella, Rv. 262261; Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056, tra le altre).

In particolare, in tale ultimo arresto, questa Corte ha rilevato che la motivazione rafforzata presuppone ed impone, innanzitutto, una cautela decisionale, cioè un'attenzione valutativa e una prudenza deliberativa, per così dire, maggiorate nella disamina di quel dato istituto di diritto sostanziale o processuale, ovvero per quel determinato aspetto della vicenda giuridica.

Tali principi, espressamente dettati da questa Corte, impongono - peraltro -un analogo vincolo motivazionale anche nell'ipotesi in cui il giudice di appello, come nel caso di specie, abbia riformato la sentenza assolutoria a seguito di un'impugnazione proposta ai soli fini civili ai sensi dell'art.576 cod. proc. pen.

Su tale profilo, questa Corte aveva difatti già rilevato che, della predetta regola, il giudice di appello deve fare applicazione anche quando, come nel caso di specie, si tratti di giudizio che riguarda, a seguito di impugnazione svolta dalla sola parte civile, le sole statuizioni civilistiche, attesa comunque, anche in tal caso, la necessità di osservare la regula iuris espressa dall'art. 533 cod. proc. pen. propria del processo penale nel quale la pretesa civilistica è, infatti, inserita, come del resto evidenziato dal collegamento ineludibile tra pronuncia di condanna e decisione sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno risultante dal testo dell'art. 538 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo, Rv. 256869; Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S., Rv. 262524; Sez. 5, n. 54300 del 14/09/2017, Banchero, Rv. 272082) e il tutto in coerenza con il principio generale, fatto proprio dalla costante giurisprudenza costituzionale, in base al quale il processo penale "ha per oggetto principale l'esercizio della pretesa punitiva nei confronti del prevenuto, al quale spettano, a tutela dei suoi diritti fondamentali (in primo luogo, quello della libertà personale), le massime garanzie difensive"; per cui l'azione di restituzione o di risarcimento, "esercitata mediante costituzione di parte civile, ha carattere accessorio e subordinato rispetto all'azione penale, sicché essa subisce tutte le conseguenze derivanti dalla funzione e struttura del processo penale" (cfr. Corte Cost., 25/06/1982, n.171).

Deve altresì ritenersi che tale specifico onere motivazionale permanga anche a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 7 luglio 2021, n.182, nella cui parte motiva è stato rilevato - con specifico riferimento alla tematica del nesso causale - che, nel decidere in sede di impugnazione ai fini risarcitori, il giudice deve avere riguardo al fatto che nell' illecito civile "vale, invece, il criterio del "più probabile che non" o della "probabilità prevalente" che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi contraria"; criterio che, sulla base dell'impianto argomentativo dell' arresto espresso da Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 286880 è applicabile nei casi di impugnazione proposta ai soli fini civili.

Difatti, in linea generale, questa Corte ha sottolineato che la riforma della sentenza di primo grado, anche nell'ipotesi in cui la stessa riguardi una sentenza di condanna, impone comunque - pure senza l'obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa - una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata; ciò in quanto " all'assenza di un obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in caso di ribaltamento assolutorio, debba affiancarsi l'esigenza che il giudice d'appello strutturi la motivazione della decisione assolutoria in modo rigoroso, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte. La tesi favorevole alla necessità di una puntuale motivazione anche in caso di riforma della condanna in assoluzione costituiva, d'altronde, un orientamento largamente condiviso... sul rilievo che il giudice di appello, quando riforma in senso radicale la condanna di primo grado pronunciando sentenza di assoluzione, ha l'obbligo di confutare in modo specifico e completo le precedenti argomentazioni, essendo necessario scardinare l'impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova"; precisando che "Il canone del ragionevole dubbio, infatti, per la sua immediata derivazione dal principio della presunzione di innocenza, esplica i suoi effetti conformativi non solo sull'applicazione delle regole di giudizio e sulle diverse basi argomentative della sentenza di appello che operi un'integrale riforma di quella di primo grado, ma anche, e più in generale, sui metodi di accertamento del fatto, imponendo protocolli logici del tutto diversi in tema di valutazione delle prove e delle contrapposte ipotesi ricostruttive in ordine alla fondatezza del tema d'accusa: la certezza della colpevolezza per la pronuncia di condanna, il dubbio originato dalla mera plausibilità processuale di una ricostruzione alternativa del fatto per l'assoluzione" (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430).

In ciò dovendosi richiamare anche i principi espressi da Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini, Rv. 281228, che ha ritenuto estensibili i principi in tema di rinnovazione necessaria, da parte del giudice di appello, dell'assunzione della prova dichiarativa anche nell'ipotesi di riforma di una sentenza di assoluzione ai soli fini civili.

Può quindi ritenersi che la necessità di una motivazione di particolare forza persuasiva, idonea a scalzare l'apparato argomentativo della sentenza di primo grado, costituisca un principio immanente rispetto al nostro sistema processuale e ciò anche nei casi in cui, attenendo il thema decidendum ai soli capi civili, non possa essere richiamato il canone dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio".

4. Esaminando, quindi, l'apparato motivazionale della sentenza di primo grado, deve rilevarsi che questa aveva premesso che, dalla pur ampia istruzione dibattimentale espletata, non era risultata la presenza di alcuna testimonianza oculare dell'incidente e che il p.m., da parte propria, non aveva ritenuto di disporre alcun accertamento tecnico finalizzato alla ricostruzione della dinamica del sinistro.

Ha osservato che, sulla base della conformazione dei miscelatori (costituiti da cilindri metallici dal diametro di un metro), gli stessi erano dotati di tramogge contenenti pale di miscelazione, per venire a contatto con le quali il lavoratore addetto avrebbe dovuto necessariamente operare una manovra, espressamente definita anomala, di introduzione del corpo all'interno del cilindro.

Ha quindi rilevato che le macchine erano dotate di un sistema di sicurezza tale da consentire che le pale potessero mettersi in movimento solo a coperchio chiuso, consistente in un sensore posto sulla sommità del cilindro esterno; evidenziando che non era emersa con certezza la circostanza se tale meccanismo potesse essere sbloccato sulla base del semplice contatto del corpo della vittima con il sensore o se la chiusura del circuito potesse avvenire per sola conduzione elettrica mediante contatto di metallo con metallo, come si doveva concludere in conseguenza della constatata presenza di un sistema artigianale per bypassare il blocco di sicurezza mediante un disco metallico assicurato al macchinario con due cordicelle (e di cui, altrimenti, non vi sarebbe stato bisogno).

Sulla base di tali premesse, il Tribunale ha escluso la fondatezza dell'ipotesi accusatoria; la quale si basava sul dato che il meccanismo di sicurezza si fosse sbloccato accidentalmente per effetto della pressione operata sul sensore dal corpo del lavoratore con la conseguente inidoneità del sistema, la quale - per l'accusa pubblica - derivava anche dalla mancata installazione della grata di sicurezza prevista nel documento di valutazione dei rischi.

A fronte di ciò, il Tribunale ha ritenuto che la responsabilità dell'incidente fosse da ascrivere a un comportamento imprudente del lavoratore, il quale aveva azionato il predetto meccanismo artigianale di sblocco per poi sporgersi in modo anomalo all'interno del miscelatore mentre le pale erano in movimento.

Rilevando altresì, in riferimento ad altro profilo di colpa specifica contestato dal p.m., che non poteva attribuirsi alla CIOCCODOR Srl il mancato adempimento rispetto all'obbligo di formazione, essendo tale società subentrata nella gestione dell'azienda da meno di un mese e che, quindi, non vi sarebbe stato il tempo materiale di organizzare nuovi corsi, comunque predisposti da precedente gestore del complesso.

4. A fronte di tali motivazioni, la Corte territoriale ha argomentato come dovesse ritenersi provata l'inefficacia del sistema di sicurezza, per effetto della collocazione del predetto meccanismo di sbloccaggio artigianale cui è stata attribuita la causalità materiale del fatto, argomentando comunque come la valutazione non sarebbe cambiata in caso di disattivazione determinata dalla pressione esercitata dal corpo del dipendente sul dispositivo.

Ravvisando altresì gli ulteriori profili colposi costituiti dalla mancata predisposizione della grata di protezione oltre che la violazione dell'obbligo formativo.

5. Così riassunto il contenuto delle decisioni di merito, ritiene questa Corte che il giudice di appello non abbia adempiuto allo specifico onere di fornire - in sede di riforma della sentenza di assoluzione e alla luce dei predetti principi - una motivazione dotata di maggiore forza persuasiva, non avendo espresso argomentazioni compiutamente idonee a superare il giudizio assolutorio espresso in primo grado.

Esaminando, infatti, le argomentazioni espresse dalla Corte, deve ritenersi che il giudizio di responsabilità formulato nei confronti dei vertici aziendali si regga sulla dedotta sussistenza di una vera e propria prassi anomala, rappresentata dall'utilizzo del citato meccanismo artigianale di sblocco delle pale.

In ordine a tale aspetto, va richiamato il consolidato principio per il quale in tema di infortuni sul lavoro, l'obbligo del datore di lavoro di vigilare sull'esatta osservanza, da parte dei lavoratori, delle prescrizioni volte alla tutela della loro sicurezza, può ritenersi assolto soltanto in caso di predisposizione e attuazione di un sistema di controllo effettivo, adeguato al caso concreto, che tenga conto delle prassi elusive seguite dai lavoratori di cui il datore di lavoro sia a conoscenza; conseguendone che, in presenza di tale elemento, è ravvisabile la colpa del datore di lavoro anche in caso di comportamento anomalo del dipendente (Sez. 4, n. 35858 del 14/09/2021, Tamellini, Rv. 281855; Sez. 4, n. 45398 del 25/09/2024, Trinchese, Rv. 287360); derivandone lo speculare principio per cui in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non è ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto il profilo dell'esigibilità del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia prova della sua conoscenza, o della sua colpevole ignoranza, di tale prassi (Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019, Romano, Rv. 276797-02).

In presenza di tali principi, sarebbe quindi stato onere della Corte di appello

- nell'ottica della necessità di una motivazione dotata di maggiore forza persuasiva

- di dare compiutamente conto della sussistenza di una vera e propria prassi elusiva e della conoscibilità della stessa da parte del datore di lavoro, peraltro appena subentrato nella gestione dell'azienda; argomentazione da ritenersi non fornita, non avendo - tra l'altro - la Corte operato alcun rilievo sulla specifica

argomentazione del Tribunale il quale aveva rilevato (con particolare riferimento alle dichiarazioni del teste G.G.) come non vi fosse neanche prova che il suddetto meccanismo artigianale fosse stato installato sugli altri due contenitori.

D'altra parte, appare manifestamente illogica - sempre nell'ottica delle necessità del rispetto dei predetti canoni motivazionali - l'evocazione del ruolo della grata di protezione, non apposta pur essendo prevista nel documento di valutazione dei rischi.

Difatti, tale evocazione finisce per condurre a una scorretta applicazione dei principi in materia di colpa, in quanto la funzione di tale meccanismo è da considerare quello di evitare la caduta del lavoratore durante lo stato di quiete delle pale, per cui attribuirgli rilevanza nella fattispecie concreta in esame si baserebbe solo su una non consentita valutazione fondata sul criterio del versari in re illicita, con conseguente erronea applicazione dei criteri di giudizio in materia di concretizzazione del rischio.

Ulteriormente, deve considerarsi del tutto generico il riferimento, operato dalla Corte, ad altra ipotesi di colpa contestata nell'atto di esercizio dell'azione penale e derivante dal mancato funzionamento del sistema di interblocco, argomento sul quale il giudice di primo grado aveva ampiamente argomentato -come prima riassunto - in ordine alla dedotta sussistenza di una prassi scorretta attribuita al solo lavoratore.

Sul punto, difatti, la Corte territoriale si è limitata a rilevare che "non appare rilevante, come al contrario ritenuto dal giudice di primo grado, la presunta difficoltà di accertare se le pale del silos si siano messe in movimento per la pressione esercitata dal corpo del dipendente sul dispositivo di interblocco oppure in conseguenza del contatto attivato dal magnete trovato assicurato al silos da una corda", in tale modo sottraendosi al necessario onere - ricavabile dai citati principi - di fornire una motivazione dotata di maggiore forza persuasiva di quella adottata dal giudice di primo grado e alle analitiche considerazioni da questo svolte sul punto.

Analogamente carente deve ritenersi la motivazione del giudice di secondo grado in ordine ad altro profilo di responsabilità colposa ascritto nell'atto di esercizio dell'azione penale e riguardante il mancato adempimento dell'obbligo formativo, aspetto sul quale il Tribunale aveva rilevato che la società Cioccodor era subentrata nella gestione dell'azienda solo un mese prima dell'incidente con conseguente impossibilità di organizzare nuovi corsi di formazione, tenendo conto che la precedente proprietaria della società aveva già svolto i corsi medesimi anche nei confronti del lavoratore deceduto.

Su tale profilo, infatti, la sentenza di appello si è limitata a considerare, con motivazione sostanzialmente distonica rispetto a quella adottata in primo grado che: "le anomalie sugli impianti, infatti, non erano insidiosamente occultate sicché sarebbe bastato un semplice controllo visivo per rilevarle e venti giorni sono un tempo assolutamente congruo per effettuare un controllo siffatto".

6. Sulla base di tali considerazioni - e con logico assorbimento dell'esame degli ulteriori motivi di ricorso - la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, ai sensi dell'art.622 cod. proc. civ., al giudice civile competente per valore in grado di appello, il quale provvederà a rivalutare la vicenda nel rispetto dei canoni propri dell'obbligo di adozione di una motivazione dotata di un'effettiva forza persuasiva maggiore rispetto a quella posta alla base della sentenza assolutoria.

Al giudice del rinvio va altresì rimessa la regolazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.


Così deciso il 13 febbraio 2025.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2025.