Cassazione Penale, Sez. 4, 08 aprile 2025, n. 13525 - Incendio nel capannone pieno di sostanze chimiche. Prescrizione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere
Dott. ARENA Maria Teresa - Relatore
Dott. CENCI Daniele - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a B il (Omissis)
B.B. nato a S il (Omissis)
avverso la sentenza del 22/01/2024 della CORTE APPELLO dì TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA TERESA ARENA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SILVIA SALVADORI, che ha concluso riportandosi alla requisitoria scritta con la quale ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione;
è presente l'avv. CARLA MARIA SALICE del foro di Torino, difensore di C.C., D.D., E.E..An., F.F., G.G., H.H., I.I., J.J. e K.K. la quale chiede la conferma della sentenza oggetto del ricorso e deposita conclusioni scritte e nota spese;
è presente l'avv. STEFANO ROSSI del foro di TORINO, difensore di A.A. e B.B. il quale insiste nell'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. La Corte di appello di Torino, in data 22 gennaio 2024, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Ivrea, ha rideterminato la pena inflitta a A.A. e B.B. per i reati di cui agli artt. 113, 449 in relazione agli artt. 423 e 434 cod. pen. oltre che per numerose ipotesi di cui agli artt. 113, 590 co. 2 e 3 in rei. all'art. 583 co. 1 cod. pen.
A.A. e B.B. erano stati chiamati a rispondere -nella qualità di dipendenti della società INTERCHIMICA Srl, sita in S, il cui amministratore unico era D.D., padre degli odierni ricorrenti, poi deceduto, nonché dirigenti di fatto - dell'incendio di vaste proporzioni che si era sviluppato il 30 maggio 2016 presso lo stabilimento industriale sito in via (Omissis), concesso in locazione alla società DARKEM Srl, a causa del quale numerosi vigili del fuoco ed operanti intervenuti riportavano lesioni e gli abitanti del vicinato subivano ingenti danni alle proprietà, in conseguenza delle esplosioni determinate dai materiali chimici stoccati all'interno del capannone.
2. Avverso la sentenza, con unico atto, sono stati proposti tempestivi ricorsi nell'interesse di A.A. e B.B. affidati a quattro motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606, co. 1 lett. c) ed e), cod. proc. pen. Rileva la difesa che era stata eccepita, con l'atto di appello, la nullità dell'ordinanza emessa dal Tribunale di Ivrea in data 23/11/2022 e, conseguentemente, della sentenza emessa, per violazione degli artt. 178, 181, 468, 501 e 511 cod.proc. pen. Con detta ordinanza era stata rigettata l'eccezione di inammissibilità e inutilizzabilità dell'elaborato peritale redatto dal consulente tecnico del Pubblico Ministero, ing. L.L., acquisito all'udienza del 23 novembre 2022 nella parte definita ""addendum" redatto dal prof. M.M., che non rivestiva l'incarico di consulente tecnico ma di "semplice suo (autorizzato) ausiliario".
La difesa lamenta la errata qualificazione di "ausiliario" che la Corte territoriale ha dato all'ing. M.M., evidenziando che lo stesso non è mai stato escusso e neppure indicato nella lista testi del Pubblico Ministero. Rileva in particolare che, all'esito della discussione, la Corte di appello ha ritenuto necessario escutere l'ing. L.L. "per ricevere chiarimenti in merito al ruolo del prof. M.M.". L'ing. L.L. ha sostenuto di avere richiesto l'autorizzazione ad avvalersi dell'ing. M.M. perché disponeva di uno strumento, denominato Codice Corn-Wep, capace di calcolare la quantità di sostanze necessarie a provocare esplosioni e di indicare a quali temperature le singole sostanze chimiche rinvenute all'interno dello stabilimento potevano determinare esplosioni. Escusso l'ing. L.L., la Corte di appello rigettava l'eccezione posta dalla difesa, rilevando che l'ing. M.M. si era limitato a svolgere calcoli matematici usando, per l'appunto, il codice Corn-Wep e che, comunque, l'ing. L.L. "ha condiviso pienamente e fatto propri gli studi e le valutazioni delegate al prof. M.M. che in nessun modo possiede competenze estranee al consulente tecnico".
Ad avviso della difesa, "l'elaborato aggiuntivo" costituiva una prova decisiva in quanto l'ing. L.L. aveva demandato all'ing. M.M. l'individuazione delle sostanze chimiche che avevano causato le esplosioni, oltre alla valutazione delle conseguenze delle esplosioni medesime. Si contesta, inoltre, l'affermazione secondo cui l'ing. L.L. e il prof. M.M. avrebbero le stesse competenze tecnico-scientifiche, argomento questo inconferente rispetto alla circostanza che le valutazioni e le soluzioni dell'ing. M.M. non sono state elaborate e formulate personalmente dall'ing. L.L.
2.2. Con il secondo motivo si contesta l'argomentare contraddittorio e illogico della Corte di appello nella parte in cui ritiene, in capo ai ricorrenti, una posizione di garanzia quali "dirigenti di fatto" ex D.Lgs. 81/2008 e quali "gestori" dello stabilimento ex D.Lgs. n. 105/2015 (c.d. legge Seveso).
Quanto al primo profilo la difesa richiama il principio di effettività come elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità e ritiene che i giudici del merito non ne abbiano fatto buon governo, apparendo carente la motivazione nella parte in cui si afferma la frequente presenza dei due ricorrenti accanto al padre in occasione di incontri e riunioni con soggetti esterni all'azienda o la loro assidua presenza presso lo stabilimento come riferito da alcuni testimoni. Rileva la difesa che, ai sensi dell'art. 18 co. 1 D.Lgs. 81/2008, i dirigenti sono destinatari degli obblighi prevenzionali in ordine alle attività che organizzano e dirigono "secondo le attribuzioni e le competenze ad essi conferite". Era necessario, dunque, accertare se i comportamenti descritti dalla Corte fossero stati occasionali o conseguenti a una prassi o, piuttosto, collegati a una ripartizione di fatto delle sfere di gestione all'interno dell'organizzazione aziendale, non essendo all'uopo sufficiente la mera presenza sul luogo di lavoro.
In altri termini mancherebbe un accertamento sulle attribuzioni e competenze dei fratelli D.D. o sulle mansioni loro assegnate per verificare se la posizione di garanzia loro assegnata fosse o meno compatibile con gli addebiti mossi.
Quanto alla posizione di garanzia ex D.Lgs. 105/2015 (c.d. legge Seveso) attribuita quali "gestori", la difesa contesta la motivazione nella parte in cui si afferma che "i due imputati rientrino integralmente nella figura delineata dalla normativa speciale: ad entrambi i soggetti, infatti, era stato delegato un potere decisionale determinante nell'esercizio tecnico dello stabilimento individuabile ... nella gestione del magazzino e nella direzione delle attività quotidiane all'interno del capannone di via (Omissis)". Richiama, la difesa, l'art. 3 co. 1 lett. i) del decreto citato nella parte in cui definisce il "gestore" come la persona fisica o giuridica che detiene, gestisce uno stabilimento o un impianto oppure a cui è stato delegato il potere economico o decisionale determinante per l'esercizio tecnico dello stabilimento o dell'impianto stesso delineando una posizione di garanzia del tutto diversa da quella che la Corte ha utilizzato che si attaglia, al più, a quella di "dirigente".
La Corte territoriale, dopo avere escluso le ipotesi di origine dolosa ed eventuali guasti all'impianto elettrico, ha concluso che "l'incendio non può che essersi innescato, accidentalmente, all'esito di un inadeguato stoccaggio o di una inadeguata manipolazione degli agenti chimici presenti". La conclusione non tiene conto delle conclusioni dei consulenti dei ricorrenti, ing. O.O. e P.P., non affrontate in sentenza, i quali avevano evidenziato che, al manifestarsi dell'incendio, non risultava alcuna manipolazione dei prodotti perché lo stabilimento era chiuso; nel magazzino non erano presenti scaffalatature che consentissero la sovrapposizione di pallet con possibilità di caduta di prodotti incompatibili; i prodotti erano posti, insaccati, su pallet distanziati e posti sul pavimento. A fronte di ciò, il consulente del P.M. non individua quali tra le sostanze presenti, da sole o in combinazione fra di loro, possano avere generato il principio di incendio né ha approfondito la possibilità dell'innesco doloso che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, costituiva valida ricostruzione alternativa degli accadimenti.
2.4 Con il quarto motivo si deduce la contraddittorietà della motivazione nella parte relativa alla ritenuta sussistenza del nesso causale tra l'evento-incendio e i profili di colpa specifica impropriamente attribuiti ai ricorrenti. Si è attribuita ai ricorrenti la non adeguata modalità di stoccaggio delle sostanze collocate all'interno dello stabilimento, riconducendo la condotta all'art. 227 co. 4 del D.Lgs. 81/2008 neppure contestata nella imputazione, alla stregua delle altre ipotesi contravvenzionali delle quali gli odierni ricorrenti, nella veste di dirigenti, non potevano essere destinatari.
3. All'udienza, il P.G., riportandosi alle conclusioni scritte ha insistito nell'annullamento senza rinvio della sentenza essendo i reati estinti per prescrizione. I difensori delle parti civili hanno chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso depositando conclusioni e nota spese. Nelle more è pervenuta revoca della costituzione di parte civile da parte del Comune di Scarmagno. Il difensore degli imputati ha insistito nell'accoglimento dei motivi di ricorso.
Diritto
1. Va preliminarmente detto, che i ricorsi superano il vaglio di ammissibilità (Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, De Roberto, Rv. 217266 - 01) il che impone di rilevare che i reati per i quali si procede sono prescritti alla data del 17 febbraio 2024, dunque, dopo la pronuncia della sentenza di appello (22 gennaio 2024).
La delibazione dei motivi induce ad escludere l'emergere di un quadro dal quale possa ricavarsi il ragionevole convincimento dell'evidente innocenza dei ricorrenti. Sul punto questa Corte ha affermato che in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi dell'art. 129, co. 2, cod. proc. pen. solo nei casi in cui le circostanze idonee a escludere l'esistenza del fatto, la commissione dello stesso da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo incontestabile "cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sex. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275 - 01)" (Sez. 4, n. 7003 del 16/01/2025, non massimata)
Nel caso di specie l'assenza di elementi univoci dai quali possa ricavarsi, senza necessità di approfondimento critico, il convincimento della innocenza degli imputati, impone l'applicazione della causa estintiva, con annullamento della sentenza agli effetti penali.
D'altra parte, però, la presenza delle parti civili impone di esaminare i motivi di ricorso in virtù dell'art. 578 cod. proc. pen. poiché in presenza di una condanna al risarcimento dei danni, il giudice penale è tenuto, quando accerti l'estinzione del reato, per intervenuta prescrizione, a esaminare il fondamento dell'azione civile.
3. Ai fini di una migliore comprensione della vicenda in esame occorre premettere una breve ricostruzione dell'accaduto.
Il 30 maggio 2016, intorno alle ore 21,15, in seguito alla segnalazione di un principio di incendio presso un capannone sito in via (Omissis) del comune di S, intervenivano i vigili del fuoco i quali, nelle more, apprendevano che nessuna azienda sita in quella via era munita di Certificato di Prevenzione Incendi (CPI). Sul posto erano già presenti alcuni carabinieri che supervisionavano l'area, in attesa dell'invio di un mezzo del nucleo batteriologico radioattivo nell'eventualità che, all'interno, fossero presenti sostanze chimiche e, comunque, pericolose. L'assenza di informazioni precise circa il tipo di attività espletata presso il capannone induceva gli appartenenti alle forze dell'ordine, che nelle more appredevano dal Sindaco del comune e dai coniugi Q.Q., che avevano segnalato la fuoriuscita di fumo dallo stabilimento e la cui abitazione si trovava proprio a ridosso del fabbricato, che la struttura era "una fabbrica chimica".
Mentre i vigili del fuoco si accingevano, con cautela, a entrare all'interno dell'area recintata per un primo sopralluogo, i militari dell'Arma cercavano di identificare e contattare i proprietari della struttura per sapere che tipo di materiali si trovassero all'interno e, intanto, gli operatori si preparavano ad indossare maschere e tute protettive. Uno dei vigili del fuoco, avvicinatosi a un oblò del capannone attraverso il quale aveva visto in lontananza delle fiammelle, constatava che le fiamme erano ormai divampate nella parte retrostante dello stabilimento e avevano raggiunto dei pancali di legno siti in prossimità di un portone in lamiera coibentata, destinato al carico e scarico delle merci. Si notava, inoltre, che dalla porta fuoriusciva un liquido schiumoso di colore giallo scuro. Proprio mentre gli operatori indossavano gli indumenti di protezione, venivano investiti dall'onda d'urto provocata dalla prima esplosione proveniente dall'interno del fabbricato. A tale detonazione ne seguiva un'altra, dopo circa dieci secondi, di maggiore intensità che squarciava il capannone e scaraventava lontano i mezzi di soccorso e i soccorritori stessi, molti dei quali riportavano lesioni. Alla prima esplosione ne seguivano altre quattro-cinque cui seguiva il crollo della struttura e l'innalzamento di una densa coltre di fumo. Si approntavano i soccorsi per gli operanti rimasti feriti in conseguenza delle esplosioni.
Interveniva immediatamente personale dell'ARPA Piemonte, richiesto dai vigili del fuoco che, indossando dei respiratori, entrava nello spazio destinato a stabilimento, cercando di recuperare documentazione, etichette e residui di sacchi contenenti materiali di vario tipo. Venivano effettuati anche dei campionamenti dell'aria. Si appurava che, allorquando, nel 2014 nella struttura si era insediata la società INTERCHIMICA era stato dichiarato lo svolgimento di attività di magazzino e, proprio in virtù del mancato espletamento di attività produttiva, l'ARPA non era più intervenuta.
4. E' manifestamente infondato il primo motivo nella parte in cui si ribadisce la nullità dell'ordinanza con la quale il Tribunale di Ivrea ha ammesso e ritenuto utilizzabile l'elaborato a firma del prof. M.M., indicato quale ausiliario dall'ing. L.L., consulente del Pubblico Ministero e che costituisce "parte aggiuntiva" della consulenza. Si contesta, in particolare, che il rigetto della questione posta con apposito motivo di gravame sia affetto da vizi di motivazione oltre che violazioni di legge, in quanto la Corte ha ribadito la qualifica di ausiliario in capo al prof. M.M. benché allo stesso fossero state demandate valutazioni non delegabili.
La Corte territoriale, investita della questione con l'atto di gravame, ha argomentato che l'ing. L.L., in sede di conferimento dell'incarico da parte del Pubblico Ministero, in data 16 giugno 2016, era stato espressamente autorizzato alla nomina di ausiliari e che il consulente aveva chiesto al professore M.M. di "provvedere alla valutazione di quali fra le sostanze chimiche presenti nello stabilimento della DARKEM Srl avessero causato le diverse detonazioni verificatesi il 30/5/2016, provvedendo quest'ultimo per quanto possibile, alla descrizione delle conseguenze delle stesse esplosioni sul medesimo impianto industriale e sull'ambiente circostante".
Ha spiegato la Corte che, a fronte della questione posta dalla difesa, ha ritenuto necessario procedere, ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen, all'esame del consulente tecnico il quale "ha chiarito che la necessità dell'intervento del prof. M.M., in quanto detentore del codice Corn-Wep che, come anche riportato analiticamente nella relazione del professore al punto 3.2 è un codice di calcolo di origine militare distribuito dal governo degli Stati Uniti il cui utilizzo - indispensabile secondo il C.T. - in considerazione della complessità del caso e della presenza di numerose detonazioni anomale, richiede la cittadinanza americana o un permesso del governo americano".
Ha proseguito la Corte territoriale affermando che l'ing. L.L. "ha chiarito in modo definitivo avanti a questa Corte che l'ausilio del prof. M.M. era finalizzato a una maggiore raffinatezza del calcolo matematico per consentire di validare "in maniera granitica" la propria tesi scientifica in merito alle cause delle esplosioni". Ciò proprio utilizzando il codice Corn Wep, sistema di calcolo stechiometrico capace di effettuare lo studio quantitativo delle reazioni chimiche.
Ha ritenuto la Corte territoriale, dunque, con motivazione affatto illogica né incoerente con le emergenze in atti, rappresentate anche dall'esame dell'ing. L.L., appositamente escusso nel contraddittorio tra le parti in merito all'attività "delegata" al prof. M.M., di potere inquadrare l'attività da quest'ultimo svolta nell'alveo di quella che il consulente, peraltro appositamente autorizzato a ciò da parte del Pubblico Ministero, può demandare all'ausiliario. Il consulente del Pubblico ministero, infatti, ha ritenuto di dovere utilizzare un sistema di calcolo del quale non disponeva personalmente e per ottenere il quale, come evidenziato a pag. 26 della sentenza impugnata, era necessaria la cittadinanza americana o un specifico permesso del governo americano.
In proposito va detto che l'art. 228 cod. proc. pen., che al secondo comma prevede la possibilità di chiedere l'autorizzazione a "servirsi di ausiliari di sua fiducia", è norma che riguarda il perito e non anche il consulente tecnico del pubblico ministero, atteso che analoga previsione non è contenuta nell'art. 35,9 cod. proc. pen. Tale disposizione regola, in modo più analitico, con riferimento alla sola pubblica accusa, la facoltà concessa dall'art. 233 cod. proc. pen. a tutte le parti, di procedere alla nomina di consulenti al di fuori dei casi di perizia disposta dal giudice. La richiesta di autorizzazione da parte del Pubblico Ministero, alla nomina dell'ausiliario attiene alle conseguenze che da essa derivano sul piano della liquidazione delle spese in favore del consulente nominato dato che la liquidazione dei compensi del consulente del p.m. avviene per l'espresso rinvio contenuto nell'art. 73 disp. att. cod. proc. pen. secondo le previsioni di cui all'art. 232 cod. proc. pen. per il perito del giudice, ossia gli artt. 49 e ss. d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Da quanto detto discende che le categorie evocate dalla difesa della nullità e della inutilizzabilità non possono applicarsi all'attività svolta dal prof. M.M., su incarico dell'ing. L.L., consulente del pubblico ministero all'uopo espressamente autorizzato. A quanto detto, e solo per completezza, deve essere aggiunto che i "calcoli" operati tramite lo strumento del Corn Wep non sono stati neppure oggetto di contestazione da parte della difesa.
Sotto altro profilo, va rilevata l'inammissibilità dell'argomento speso secondo cui non sarebbe stato dimostrato che il sistema di calcolo utilizzato dal prof. M.M. sia tra i più affidabili. Si tratta di argomento generico perché meramente oppositivo. D'altra parte va detto che il motivo non è consentito atteso che non risulta, in concreto, che la questione della utilizzazione di un altro sistema tecnico alternativo, di affidabilità equivalente o superiore, il cui impiego avrebbe condotto a risultati diversi, sia stata posta alla Corte territoriale.
5. E' infondato il profilo inerente alla inutilizzabilità dell'elaborato a firma del prof. M.M., in virtù della mancata escussione ai sensi dell'art. 498 cod. proc. pen. o, comunque, ex art. 507 cod. proc. pen.
All'udienza del 23 novembre 2022 il Tribunale di Ivrea pronunciava ordinanza in cui evidenziava "il Tribunale lette le consulenze tecniche a firma dell'ing. L.L. nonché le dichiarazioni dallo stesso rese all'udienza del 3.10.2022, rilevato che il predetto era stato espressamente autorizzato in sede di conferimento dell'incarico al ricorso ad ausiliari; posto che negli atti a firma dell'ing. L.L. le valutazioni compiute dal prof. M.M. venivano compiutamente analizzate e recepite in toto dall'ing. L.L. anche al fine di confutare le ricostruzioni alternative prospettate dai consulenti tecnici di parte, ritenuta, pertanto, non necessaria l'escussione dibattimentale anche dal prof. M.M. Dichiara utilizzabili interamente le consulenze tecniche a firma dell'ing. L.L. compresa l'addenda del prof. M.M. e rigetta l'istanza della difesa anche in merito all'escussione ai sensi dell'art. 507 c.p.p."
La Corte, condividendo gli argomenti spesi dall'ordinanza sopra riportata e chiarito anche tramite l'esame ex art. 507 cod. proc. pen. dell'ing. L.L., il ruolo svolto dal prof. M.M., ha fatto proprio il giudizio di utilizzabilità della consulenza tecnica ivi compresa la parte sviluppata da quest'ultimo, sulla quale le parti, nel contraddittorio, hanno avuto la possibilità di confrontarsi.
6. Il secondo motivo con il quale si deduce la contraddittorietà della motivazione nella parte relativa alla ritenuta posizione di garanzia sia quali dirigenti di fatto ex d.ls. n. 81/2008, sia quali "gestori" dello stabilimento ex d.lgs. 105/2015 (c.d. Legge Seveso) è solo in parte fondato.
6.1 Il motivo risulta aspecifico nella parte in cui vengono reiterate doglianze che non costituiscono critica argomentata alla ricostruzione operata dai giudici di merito.
Quanto al primo profilo, infatti, la sentenza di appello oggetto di ricorso in relazione alla affermazione della responsabilità degli imputati costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d'appello a quella del Tribunale, sia quello ulteriore che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sezione 2, n. 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 - 01).
Nelle sentenze conformi è stato passato in rassegna il contributo dichiarativo offerto dai testi escussi. In particolare, la Corte territoriale, da pag. 29, ha ricostruito i passaggi più significativi delle dichiarazioni rese, ponendo l'accento sul ruolo preminente rivestito, in seno alle società di famiglia, da D.D., padre degli odierni ricorrenti, il quale sovrintendeva personalmente alle assunzioni dei dipendenti, ai conferimenti degli incarichi e alla gestione dei rapporti con altre realtà economiche.
Secondo quanto ampiamente argomentato nelle due sentenze di merito che hanno riportato sul punto le dichiarazioni rese dai testimoni, i due fratelli T.T. erano frequentemente presenti all'interno dell'azienda e con essi i dipendenti si rapportavano; "in occasione degli incontri e delle riunioni con soggetti esterni all'azienda, i due imputati figuravano frequentemente accanto al padre, del quale erano del tutto in grado di intendere le scelte in materia di sicurezza anche perché pacificamente informati sul contenuto del magazzino presente nello stabilimento; all'interno dell'azienda... rivestivano un ruolo primario nei rapporti con i dipendenti e nella gestione dei prodotti stoccati in magazzino, indicando le attività da effettuare e illustrando le misure di sicurezza da impiegare nel loro svolgimento".
I giudici di merito hanno rilevato, inoltre, che i fratelli D.D. sono risultati personalmente coinvolti nella gestione del magazzino. In proposito vale il richiamo operato dalla Corte territoriale alla sentenza di primo grado nella parte in cui viene riportata la deposizione del teste S.S. il quale spiegava di non avere ricevuto alcuna formazione sui rischi correlati alla manipolazione di sostanze chimiche e di ricevere indicazioni in merito alla tipologia di miscelazioni o macinazioni da compiere, come pure in merito al posizionamento dei diversi materiali all'interno dello stabilimento, da parte di B.B. o D.D. e, talvolta, anche dal padre. Le sentenze conformi hanno evidenziato che i due imputati non si sono preoccupati di assicurare alle sostanze chimiche stoccate e lavorate all'interno dello stabilimento, una collocazione razionale nonostante le indicazioni riportate nelle schede di sicurezza dei singoli prodotti.
Nel respingere, dunque, gli argomenti difensivi posti dalla difesa la Corte territoriale ha ritenuto, anche rinviando a quanto evidenziato dal primo giudice, che il ruolo svolto dai due ricorrenti integrasse senz'altro quello di "dirigente di fatto", con motivazione non manifestamente illogica e coerente con le emergenze istruttorie, non travolta dagli argomenti difensivi spesi che si risolvono in censure versate in fatto, funzionali ad una rilettura del compendio probatorio, non consentita in questa sede (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep 2021, F, Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
Il ricorrente, peraltro, non si confronta con l'articolato e logico apparato argomentativo posto sul punto dalla sentenza impugnata che ha ritenuto in capo agli odierni ricorrenti la posizione di garanzia quali dirigenti di fatto ai sensi del combinato disposto degli artt. 299 e 2, co. 1, D.Lgs. n. 81/2008, espressione del c.d. principio di effettività che impone nell'ambito delle posizioni elencate dall'art. 2 del T.U. di prescindere dagli aspetti formali e di riferirsi ai poteri in concreto esercitati.
Sul punto, questa Corte ha ripetutamente affermato che "in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale, di fatto, si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, indipendentemente dalla sua funzione nell'organigramma dell'azienda" (Sez. 4, n. 31863 del 10/014/2019, Rv. 276586 - 01; Sez. 4. N. 22606 del 04/04/2017 Rv. 269972 - 01; Sez.4, n. 22246 del 28/02/20-14, Rv. 259224 - 01 che, in parte motiva, precisa che, nel caso di assunzione di fatto del ruolo, la derivazione della posizione di garante in mancanza di una previa investitura da parte del datore di lavoro la si ricava oltre che "da un'analisi strutturale del fenomeno dalla chiara lettera del d.gls. n. 81 del 2008, art. 299 per il quale "le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'art. 2, co. 1, lett. b), d) ed e) gravano, altresì, su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti".
6.2. La difesa coglie nel segno senza che, tuttavia, l'argomento difensivo intacchi la decisione adottata che rimane sostenuta dai profili di colpa ritenuti accertati, nella parte in cui fa ricadere in capo ai ricorrenti profili di colpa specifici, riconducibili alla qualità di gestori ai sensi dell'art. 3, lett. i), D.Lgs. n. 105/2015 di attuazione alla direttiva 2012/18/UE sul controllo del pericolo di incidenti rilevanti, connessi con sostanze pericolose che così definisce il "gestore": "qualsiasi persona fisica o giuridica che detiene o gestisce uno stabilimento o un impianto, oppure a cui è stato delegato il potere economico o decisionale determinante per l'esercizio tecnico dello stabilimento o dell'impianto stesso".
E' in capo al gestore che gravano gli obblighi previsti dagli artt. 12 e ss. del decreto citato relativamente alla trasmissione della notizia ai sensi dell'art. 13 ai soggetti ivi indicati, la redazione di una "politica degli incidenti rilevanti", l'attuazione di un sistema degli incidenti rilevanti e di gestione e sicurezza, nonché la predisposizione di un piano di emergenza interno (artt. 14 e 20 co.6 D.Lgs. cit.), come contestato nell'imputazione.
Gli argomenti utilizzati dai giudici di merito per affermare che i ricorrenti avevano assunto la qualità di dirigenti di fatto (cioè di coloro che, in virtù delle competenze professionali e dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico, attuavano le direttive padre, datore di lavoro), non possono considerarsi validi anche al fine di ravvisare, in capo a costoro, il diverso ruolo di gestori di fatto, siccome tratteggiato dall'art. 3 D.Lgs. n. 105/2015, quale soggetto che, "non attuando direttive" impartite da altri, "detiene o gestisce uno stabilimento" o, comunque, esercita "il potere econonomico o decisionale determinante per l'esercizio dell'impianto o dello stabilimento".
Ne consegue che, pur avendo i giudici congruamente ritenuto gli imputati responsabili dell'accaduto in quanto dirigenti di fatto dell'azienda del padre, non altrettanto può dirsi con riferimento alla qualifica di "gestori" ai sensi della c.d. legge Seveso, egualmente ma non condivisibilmente, attribuitagli.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato in quanto non si confronta con le ampie motivazioni poste dai giudici di merito a sostegno della esclusione delle causali alternative prospettate tanto dai consulenti di parte quanto dalla difesa.
Contrariamente a quanto si assume con il ricorso, le sentenze conformi hanno dedicato ampio spazio all'analisi delle consulenze tecniche di parte in merito alla causale dell'incendio, muovendo dagli esiti dei plurimi sopralluoghi e dai campionamenti eseguiti nell'immediatezza dell'evento e dai quali è emerso all'evidenza che non si trattava di un mero deposito di materiali chimici. All'interno della struttura, infatti, non vi erano solo sostanze chimiche imballate in sacchi di plastica e fusti ma anche diversi macchinari, quali miscelatori, dissolutori, insaccatrici e veniva, inoltre appurato che all'interno del magazzino si trovavano sostanze chimiche "pericolose" perché comburenti.
E' stato, inoltre, posto l'accento sulla circostanza che a fronte degli obblighi previsti di tenere sostanze infiammabili o chimiche pericolose in quanto fortemente ossidanti, separate da altri materiali depositati in strutture resistenti al fuoco, il capannone si presentava come un unico grande spazio privo di qualsivoglia separazione e di appositi compartimenti tagliafuoco e dove le sostanze pericolose si trovavano "stoccate in modo disordinato e a stretto contatto con materiali infiammabili".
Con motivazione congrua e non manifestamente illogica, le sentenze di merito, recependo le conclusioni dell'ing. L.L. e confutando quelle dei consulenti di parte, hanno rilevato che la presenza dei "crateri" determinati dalle esplosioni, all'interno dei quali erano rinvenute dosi massicce di soda caustica, confermava che il mancato rispetto delle regole di conservzione delle sostanze chimiche aveva determinato la combustione che inizialmente aveva riguardato materiali solidi che sciogliendosi avevano causato un aumento della temperatura dell'aria generando reazioni di decomposizione dei materiali ossidanti con rilascio di ossigeno. Come pure non veniva confutato il percorso motivazionale della sentenza di primo grado, recepita dalla Corte territoriale, secondo cui l'aumento della temperatura, causato dalle fiamme e l'irraggiamento termico aveva dato origine all'acido solforico, la cui presenza veniva constatata dai vigili del fuoco allorquando vedevano il liquido giallo che scioglieva la guarnizione della saracinesca e si propagava dando origine alla prima detonazione, era da ricondursi alla presenza di clorato di potassio e perclorato di potassio.
La prospettiva difensiva secondo cui la ricostruzione dello stato dei luoghi avrebbe reso impossibile individuare in quali condizioni e per quali cause ciascuna delle merci esistenti, da sole o in aggregazione con altre avrebbero determinato l'innesco sono state, come detto, oggetto di ampia valutazione cosicché la sentenza, sotto tale profilo, non merita le censure mosse.
Analogamente, la Corte non ha mancato di valutare in maniera non manifestamente illogica, gli argomenti difensivi posti dal consulente degli imputati in merito alla evenienza di un innesco doloso argomentando che detta ipotesi, alla stregua di un possibile guasto al quadro elettrico, non ha trovato alcun elemento a supporto, di natura oggettiva.
Al contrario ha ritenuto la Corte territoriale di condividere le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale in merito allo sviluppo dell'incendio all'interno del capannone dove si trovavano oltre 50 tonnellate di sostanze chimiche, molte, incompatibili tra loro, posizionate - come pure confermato dai dipendenti - all'interno dell'unico grande spazio, senza un corretto isolamento tagliafuoco. Basti solo pensare al richiamo operato nelle sentenze circa l'accertata presenza di un cumulo di soda caustica, sostanza che, in presenza di acqua, sviluppa una notevole quantità di calore tale da determinare l'autoaccensione di materiali combustibili.
E' stato, altresì, rilevato che l'impossibilità di stabilire la precisa dinamica dell'innesco non interrompe il nesso causale tra la condotta colposa degli appellanti che "maneggiavano" nel capannone grosse quantità di materiali chimici pericolosi in violazione delle norme cautelari senza adeguare le necessarie cautele per lo stoccaggio in sicurezza e l'incendio seguito dalle esplosioni che ne è derivato.
Con tutto questo, il generico motivo di ricorso non si confronta.
4. Con il quarto motivo la difesa si limita a ribadire argomenti già sviluppati, relativamente alle fattispecie contravvenzionali contestate ai due imputati, delle quali, a loro avviso, non potevano essere destinatari, ivi compreso l'obbligo di osservare le misure antiincendio nonché i profili di colpa generica comunque descritti diffusamente nelle due sentenze di merito e, in particolare, sulle modalità di stoccaggio e di lavorazione dei materiali pericolosi, argomenti - anche questi - che non vengono in alcun modo attaccati dalla difesa.
5. Alla luce di quanto fin qui detto, non ricorrono i presupposti per una pronuncia assolutoria di merito ex art. 129 cod. proc. pen. a fronte di una doppia conforme sul giudizio di responsabilità, nel complesso, correttamente strutturata coerentemente con il compendio probatorio comprensivo della consulenza tecnica e dei dati testimoniali che è stato diffusamente vagliato.
6. A fronte delle superiori considerazioni ricorrono, tuttavia, i presupposti per addivenire ad una pronuncia di estinzione del reato per intervenuta prescrizione posto che seppure la stessa è maturata dopo il giudizio di secondo grado ossia in data 17.2.2024 ciò è avvenuto in un contesto processuale, soprattutto in relazione a quanto detto con riferimento al secondo motivo in cui non è ravvisabile l'inammissibilità della denuncia originaria del gravame (Sez. 3 n. 5908 del 11.1.2023 Rv. 284084; sez. 4 n. 8132 del 31.1.2019 Rv. 275216).
Ne consegue che la sentenza, per le ragioni sopra spiegate, deve essere annullata senza rinvio per quanto riguarda gli effetti penali mentre i ricorsi devono essere rigettati ai soli effetti civili.
7.Consegue la condanna degli imputati al pagamento delle spese del presente giudizio in favore delle parti civili, con esclusione del Comune di Scarmagno che ha revocato la costituzione di parte civile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché i reati sono estinti per prescrizione. Annulla senza rinvio la medesima sentenza limitatamente alla condanna degli imputati al risarcimento dei danni in favore del Comune di Scarmano, statuizione che elimina. Rigetta nel resto i ricorsi agli effetti civili e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità alle parti civili I.I., F.F., D.D., C.C., G.G., E.E., H.H., J.J., K.K., liquidate in euro 3.510,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 26 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2025.