Cassazione Penale, Sez. 4, 14 aprile 2025, n. 14449 - Operaio precipita dal cornicione. Assenza di qualsiasi misura di sicurezza per i lavori in quota
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere
Dott. BRANDA Francesco Luigi - Relatore
Dott. DAWAN Daniela - Consigliere
Dott. ANTEZZA Fabio Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a T il Omissis
B.B. nato a B il Omissis
avverso la sentenza del 11/09/2024 della Corte d'Appello di Milano
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Francesco Luigi Branda;
udito il Procuratore Generale che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore dei ricorrenti il quale ha insiste nell'accoglimento dei ricorsi.
Fatto
1. La Corte di appello di Milano, con la decisione indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Busto Arsizio in data 7 aprile 2022, ha riconosciuto a A.A. e a B.B. il beneficio della non menzione della condanna. Nel resto, è stata confermata la pronuncia impugnata, con cui i predetti imputati, previa concessione di attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata e con la diminuente del rito abbreviato prescelto, venivano condannati alla pena, condizionalmente sospesa, di anni 2 di reclusione.
Il fatto è stato così ricostruito: in data 21.05.2019, nel cantiere sito in via Omissis di Omissis, sul basamento di un balcone posto al secondo piano di un edificio in costruzione, veniva rinvenuto il corpo esanime di C.C. - operaio dipendente della società EDIL Z. Srls.
La realizzazione dell'immobile in questione era stata commissionata dalla società D. Immobiliare Srls - il cui amministratore unico risultava essere A.A. - all'impresa individuale D. Costruzioni, legalmente rappresentata e amministrata dal medesimo A.A.
La D. Costruzioni aveva subappaltato parte dei lavori all'impresa individuale D.D. Costruzioni, rappresentata da D.D., che, a sua volta, aveva affidato i lavori di carpenteria e muratura alla EDIL Z. Srls, alle cui dipendenze lavorava la vittima C.C. I lavori edili di manodopera erano stati affidati all'operaio E.E.
B.B. rivestiva il ruolo di coordinatore per la sicurezza nella progettazione e realizzazione dell'opera.
Il giorno dell'accaduto, la persona offesa, con l'ausilio del collega E.E., era impegnata nei lavori di tamponamento, con mattoni forati e malta, della "luce" esistente tra il muro perimetrale a ridosso del balcone e l'intradosso della trave costituente il tetto.
In ordine alla ricostruzione della dinamica del sinistro, i giudici di merito hanno affermato che C.C. sarebbe precipitato dal cornicione di cemento posto in alto a destra, ad un'altezza di circa 3,5 m rispetto al balcone ove poi era atterrato. Infatti, sul suddetto cornicione erano presenti gli attrezzi da lavoro e in tale zona erano in corso le opere di rifinitura della sommità della parete che delimitava il versante interno del balcone, di cui si stava occupando quel giorno la vittima.
Quanto alle posizioni di garanzia, con riferimento agli odierni ricorrenti, è stato ritenuto che il A.A. svolgesse anche funzioni di capo cantiere. Il B.B. rivestiva il ruolo di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione.
Lo stesso A.A. e il B.B. avevano sottoscritto il Piano Operativo di Coordinamento e Sicurezza, nel quale erano evidenziati i rischi intrinseci allo svolgimento di lavori come quelli affidati alla parte lesa. In esso era espressamente prescritta la predisposizione di opere provvisionali dotate di parapetti in caso di lavori eseguiti ad un'altezza superiore ai 2 metri, al fine di eliminare rischi di cadute di persone e cose.
Parimenti, anche il Piano di Coordinamento e Sicurezza (PSC) adottato dalla EDIL ZAINI.AL Srl prevedeva la predisposizione delle medesime strutture per l'esecuzione di lavorazioni ad un'altezza maggiore di 2 metri e, nel caso in cui non fosse stato possibile allestirle, prescriveva di ricorrere all'uso di cinture di "sicurezza anti-caduta" dall'alto.
Ciononostante, sempre secondo le decisioni di merito, in violazione di quanto prescritto dal PSC e dalla normativa di settore, il defunto C.C. stava lavorando ad un'altezza certamente superiore ai 2 metri (se calcolata dal cornicione, pari a 3,70 m dal pavimento del balcone in cui poi era precipitato) - non presidiata da opere provvisionali che, ove realizzate in concreto, ne avrebbero evitato la caduta e il decesso, anche qualora lo stesso stesse operando a livello delle travi del tetto poste un metro più in alto del piano del cornicione.
Entrambi gli imputati sarebbero venuti meno ai loro doveri.
Il A.A., rivestendo una specifica posizione di garanzia, avrebbe dovuto predisporre - o comunque assicurarsi che fossero predisposte - opere provvisionali dotate di parapetti idonee ad eliminare il rischio di caduta; per di più, essendo egli stesso al momento dei fatti presente in cantiere, avrebbe avuto piena consapevolezza delle condizioni di lavoro.
Il B.B. avrebbe dovuto controllare l'applicazione delle disposizioni contenute nel Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC).
2. A.A. e B.B., mediante il comune difensore di fiducia, ricorrono per cassazione per i seguenti motivi.
2.1 Con il primo motivo, censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione riguardo al riconoscimento della penale responsabilità.
La sentenza, ad avviso dei ricorrenti, risulta illogica e contraddittoria nella parte in cui ha ritenuto acclarata la dinamica dell'infortunio, nonostante la descrizione della medesima come "plausibile" e, dunque, incompatibile con un rimprovero di responsabilità penale.
In particolare, malgrado la riconosciuta impossibilità da parte dei consulenti tecnici di accertare la puntuale dinamica del sinistro, e al cospetto di plurime ipotesi a tal riguardo formulate da questi ultimi, nessuna delle quali adeguatamente appagante e supportata sul piano probatorio, il giudice di appello ha aderito acriticamente alla ricostruzione autonomamente formulata dal giudice di prime cure che, in mancanza di elementi empirici univoci, ha individuato il preciso punto di caduta della persona offesa nel cornicione in cemento di un balconcino nei pressi del quale si sarebbero svolti i lavori il giorno del sinistro.
La sentenza ha sposato solo una delle molteplici versioni del fatto fornite dal consulente tecnico del Pubblico Ministero rispetto all'individuazione del punto di caduta del lavoratore.
Il suddetto consulente formulava tre ipotesi.
La prima ipotesi, ritenuta poco plausibile, era nel senso che C.C. sarebbe caduto da un'altezza di 2,5 m dal piano del balcone, stazionando o spostandosi sul piano di calpestio in tavole metalliche ancorate a sbalzo al ponteggio.
Con la seconda, fatta propria dalle sentenze di merito, si prospettava che la caduta sarebbe avvenuta da un'altezza di circa 3,5 m dal cornicione di cemento posto in alto a destra rispetto al balcone.
Nella terza ipotesi, la caduta sarebbe avvenuta da un'altezza ancora superiore rispetto al terrazzino, a livello delle travi del tetto, forse mentre il signor C.C. sostava su una tavola metallica rinvenuta a terra.
Ad avviso dello stesso consulente dell'accusa, nessuna di queste ipotesi era in grado di illustrare l'iter causale con ragionevole convincimento. Infatti, nella medesima consulenza tecnica veniva espressamente rimarcato che si trattava di riflessioni e ipotesi e che, con le informazioni al momento a disposizione, non risultava possibile fornire elementi idonei a definire, con sufficiente grado di probabilità logica, l'esatta dinamica dell'evento.
In sede di confronto tra i consulenti di parte, svolto in occasione dell'udienza del 27 gennaio 2022 dinanzi al giudice dell'udienza preliminare, veniva ulteriormente ribadita l'inidoneità di tali congetture a garantire l'adeguato grado di certezza imposto dalla legge. Infatti, a specifica domanda della difesa su quale delle tre versioni potesse assolvere l'onere dell'oltre ogni ragionevole dubbio, i consulenti avevano dato risposta negativa.
In particolare, il consulente F.F. aveva risposto: "assolutamente no. Non siamo mai oltre ogni ragionevole dubbio".
Il consulente G.G., nello stesso senso, aveva riferito: "concordo anch'io su questo aspetto. Ragioniamo comunque in termini di probabilità. La terza sicuramente quella che ha una probabilità maggiore".
Dunque, proseguono i ricorrenti, nessuna delle tre distinte ipotesi può considerarsi appagante sotto il profilo della razionalità logica necessaria a sostenere una sentenza di condanna.
Viene in ciò ravvisato un vizio di motivazione, atteso che il giudice di merito, a fronte della mancanza di certezze in ordine all'effettiva dinamica del sinistro, non avrebbe potuto intraprendere un percorso avulso dal sapere scientifico, avventurandosi in opinabili valutazioni personali, sostituendosi agli esperti e ignorando ogni contributo conoscitivo di matrice tecnico-scientifica.
Ciò nonostante, la sentenza di appello ha sposato comunque la seconda delle tre supposizioni, sulla base di tre elementi che la renderebbero plausibile.
In particolare, sono state indicate, come confermative della suddetta ipotesi, la compatibilità dell'altezza della soletta con l'entità delle lesioni riportate dalla vittima; la presenza in loco di attrezzi di lavoro impiegati al momento del fatto; le testimonianze relative all'espletamento di attività lavorativa della vittima negli istanti precedenti alla caduta proprio in tale luogo.
Per contestare le suddette argomentazioni, i ricorrenti, quanto alla prima circostanza, deducono che le asserzioni del consulente tecnico del Pubblico Ministero non fornivano risultati precisi e idonei a fugare dubbi ragionevoli afferenti alla dinamica causale del sinistro, atteso che le specifiche lesioni riportate e il punto d'impatto nulla dicono circa l'individuazione dello specifico punto di caduta della persona offesa.
La semplice presenza di attrezzi in uno specifico punto del cantiere è da ritenersi del tutto neutra e priva di significato probatorio, atteso che dalla consultazione della documentazione fotografica in atti emergeva la presenza di svariate tipologie e quantità di attrezzi in varie zone del cantiere.
Altresì priva di rilevanza probatoria era da ritenersi la testimonianza dell'operaio E.E.
Quest'ultimo, in data 24 maggio 2022, effettivamente dichiarava che "C.C. doveva ultimare il tamponamento tra la trave e la parete del balcone iniziato dal giorno precedente. Per tale motivo si posizionava sulla soletta visibile in foto 1 e 2, dove è presente anche un secchio con la malta; per raggiungere tale zona è passato dal ponteggio mentre io rimanevo nei pressi; stando sul ponteggio gli passavo il materiale.
Terminati i forati C.C. mi chiedeva di andare a prendere altri forati al deposito sul piano del ponteggio dalla parte opposta dove stavamo lavorando. Nel momento in cui mi sono allontanato era ancora sulla soletta. Prima di arrivare sull'angolo ho sentito un rumore strano, mi sono girato subito e non ho più visto C.C. sulla soletta. Sono tornato indietro ed era a terra sul pavimento del balcone supino con i piedi appoggiati verso l'esterno del balcone. Tra la trave esterna e quella posta sulla parete, nella zona dal balcone dov'era salito C.C. era presente una pedana metallica da ponteggio dove C.C. aveva appoggiato il secchio, un'ascia, un martello, la cazzuola. Mi rendo conto solo ora guardando le foto che la pedana non è più presente".
I ricorrenti deducono che laddove si ritenesse attendibile la suddetta versione, si dovrebbe ipotizzare la presenza di una tavola metallica inizialmente all'altezza del terrazzino e implicarla nella caduta di C.C., nel senso che la tavola sarebbe caduta insieme all'operaio. La tavola infatti è stata rinvenuta sul medesimo piano su cui è stato trovato il cadavere. Tuttavia, è proprio la sentenza di appello che esclude categoricamente qualsiasi coinvolgimento della tavola metallica nella caduta, rappresentando che la stessa nulla avesse a che vedere con la dinamica dell'accaduto, essendo stata ritrovata a considerevole distanza dal corpo della vittima. In altri termini, la stessa sentenza di appello avrebbe sconfessato l'attendibilità delle dichiarazioni rese dal testimone.
2.2 Con il secondo motivo, censurano la decisione per vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all'accertamento della cosiddetta causalità della colpa omissiva. I ricorrenti premettono che solo in presenza di un accertamento puntuale e specifico del fatto storico è possibile, da un lato, stabilire il nesso causale tra la condotta e l'evento, nonché, dall'altro lato, individuare la regola cautelare violata, corrispondente, nell'ipotesi omissive, al comportamento alternativo lecito che il garante avrebbe dovuto tenere per impedire l'evento.
In altri termini, per individuare la regola cautelare che gli imputati avrebbero dovuto rispettare, sarebbe stato necessario conoscere il rischio concretizzatosi nella verificazione dell'evento. Non un rischio generico relativo a un evento astratto, quale astratto rischio di una caduta dall'alto all'interno di un cantiere, ma il rischio specifico che ha determinato l'evento hic et nunc.
In sintesi, nell'impossibilità di una corretta individuazione delle cause che hanno determinato l'evento morte, risulta altrettanto impossibile individuare, a monte, una condotta alternativa lecita che lo avrebbe potuto impedire o che avrebbe potuto sensibilmente ridurre il rischio del suo verificarsi.
3. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
4. Il difensore degli imputati, in sede di trattazione orale, ha insistito per l'accoglimento dei motivi.
Diritto
1. I motivi di ricorso sono inammissibili.
1.1 Va preliminarmente osservato che compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. 1, sent. n. 45331 del 17/02/2023, Rv. 285504; Sez. U., n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv. 203428-01).
Esula, quindi, dai poteri della Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l'illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per Cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794-01; cfr. altresì Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074-01).
È stato altresì rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 6, Sentenza n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, Rv. 280601; Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Baratta, Rv. 234109).
1.2 Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità dei ricorrenti, puntualmente mettendo in relazione il giudizio di fondatezza dell'accusa al compendio probatorio acquisito, a fronte del quale non possono trovare spazio le deduzioni difensive, per lo più finalizzate a sollecitare una lettura del materiale probatorio diversa e volte ad accreditare un'alternativa generica ricostruzione dei fatti, mediante prospettazioni che risultano formulate in difetto di correlazione con i contenuti della decisione impugnata e si risolvono in mere critiche discorsive a quest'ultima.
La manifesta illogicità della motivazione, prevista dall'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., presuppone che la ricostruzione proposta dal ricorrente e contrastante con il procedimento argomentativo recepito nella sentenza impugnata sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un'ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (Sez. 4, 14 dicembre 2023, Stretti, Rv. 285533; Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 280589-02; S.U., 30 giugno 2000, Tammaro, Rv. 216249).
Tale carattere non è ravvisabile nella formulazione dei motivi di ricorso, con cui si lamenta che i giudici di merito non avrebbero potuto intraprendere un percorso avulso dal sapere scientifico, attraverso opinabili valutazioni personali, sostituendosi agli esperti e ignorando ogni contributo conoscitivo di matrice tecnico-scientifica.
Il riferimento è alla dedotta contrarietà della decisione rispetto alle conclusioni del consulente del Pubblico Ministero, il quale aveva formulato tre ipotesi sulla dinamica della caduta dall'alto, senza tuttavia poter stabilire, con la necessaria certezza, a quale delle tre fosse riconducibile l'evento in concreto verificatosi.
In altri termini, i giudici di merito avrebbero ritenuto di poter formulare il giudizio esplicativo in termini di certezza, in ordine alla dinamica del sinistro, sebbene i consulenti tecnici non fossero stati in grado di stabilire quale delle tre ipotesi versioni si era in concreto verificata.
In realtà, la censura è innanzitutto aspecifica.
Infatti, il consulente del Pubblico Ministero, così come è riconosciuto dallo stesso ricorrente, ha affermato che, con le informazioni al momento a disposizione, non risultava possibile fornire elementi idonei a definire, con sufficiente grado di probabilità logica, l'esatta dinamica dell'evento secondo una delle tre ipotesi prospettate.
Ebbene, la sentenza impugnata ha colmato il deficit informativo, aggiungendo altre circostanze di fatto che hanno permesso di effettuare la scelta tra le tre sole versioni ipotizzabili, prospettate dal medesimo consulente.
Gli elementi di fatto sono rappresentati innanzitutto dalle dichiarazioni rese dal teste E.E. in data 24 maggio 2022, il quale era presente sul posto in quanto intento a coadiuvare la vittima nelle lavorazioni da eseguire al momento dei fatti.
Il testimone, come è già emerso, riferiva che negli attimi immediatamente precedenti alla caduta, C.C. si trovava sulla stessa soletta, indicata in sentenza come punto di caduta.
Al riguardo, la censura di inattendibilità del suddetto testimone è manifestamente infondata.
Si osserva che la giurisprudenza di legittimità tradizionalmente stabilisce che in tema di valutazione della prova testimoniale, l'attendibilità del dichiarante è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sul "id quod plerumque accidit", ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (ex multis,Sez. 6, n. 10153 del 11/2/2020, C., Rv. 278609; Sez. 2, n. 7667 del 29/1/2015, Rv. 262575).
Nel caso in esame, viene infatti indicato come elemento di intrinseca contraddittorietà la riferita presenza della pedana metallica sul luogo del sinistro, sebbene gli stessi giudici avessero escluso l'interferenza della stessa pedana nella evoluzione della caduta; tuttavia, dalla richiamata testimonianza non emerge affatto che la vittima sia caduta dalla pedana.
I giudici di merito hanno valorizzato altresì la presenza in prossimità del punto di caduta del materiale e degli attrezzi utilizzati in quel momento da C.C.
Essi pertanto non hanno derogato al principio che impone di non sostituirsi al sapere scientifico.
Nella motivazione, hanno evidenziato, illustrandone la rilevanza e la convergenza, gli ulteriori elementi di fatto che confermavano, in termini di certezza, una delle tre ipotesi formulate dal consulente (la caduta dalla soletta, priva di parapetti, da un'altezza di circa 3,5 metri).
Si rammenta che, rispetto a tale apprezzamento, non si deve stabilire se la tesi accolta sia esatta, ma solo se la spiegazione fornita sia stata razionale e logica.
Ciò significa che, in questa sede, non si può valutare la maggiore o minore attendibilità degli apporti scientifici esaminati dal giudice di merito, in quanto quest'ultimo, in virtù del principio del suo libero convincimento e dell'insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove, ha la possibilità di scegliere, fra le varie tesi prospettategli dai differenti periti di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto, con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti.
Ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è perciò inibito a questo giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poiché si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile in questa sede se non entro i limiti del vizio motivazionale.
Occorre, in altri termini, perché il giudizio di fatto sia incensurabile in sede di legittimità, che la scelta operata dal giudice di merito tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, si accompagni in sentenza ad una motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell'opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti (cfr. ex multis Sez. 4, n. 45126 del 6/11/2008, Ghisellini, Rv. 241907; conf. Sez. 4, n. 8527 del 13/2/2015, Sartori, Rv. 263435; Sez. 4, n. 15493 del 10/3/2016, B., Rv. 266787).
Il che è adeguatamente avvenuto nella sentenza impugnata, che si è confrontata con le tesi portate nel processo dai consulenti del PM e delle parti, attraverso una valutazione ponderata tra le tre ipotesi in campo, fornendo una razionale giustificazione dell'apprezzamento compiuto e delle ragioni per le quali ha opinato per la maggiore affidabilità di una rispetto ad un'altra, tra quelle prospettate.
1.3 In ogni caso, quanto ai dedotti profili di inadeguatezza del giudizio esplicativo ai fini della esatta ricostruzione della serie causale che ha condotto all'infortunio, determinata dalla incerta individuazione del punto di caduta, deve rammentarsi che in tema di causalità, la dipendenza di un evento da una condotta deve essere riconosciuta anche quando le prove raccolte non chiariscano ogni passaggio della concatenazione causale, mentre possono essere configurate sequenze alternative di produzione dell'evento, purché ciascuna di esse sia riconducibile all'agente e possa essere esclusa l'incidenza di meccanismi eziologici indipendenti (Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, Capobianco, Rv. 273567; n. 22147 del 11/02/2016, Rv. 266858-01).
Nella specie il giudice distrettuale ha correttamente evidenziato come per tutte e tre i livelli, comunque superiori alla quota minima di metri 2, il comportamento alternativo lecito era sempre quello di collocare i parapetti.
Il PSC adottato dalla EDIL Z. Srl prevedeva la predisposizione delle medesime strutture per l'esecuzione di lavorazioni ad un'altezza maggiore di 2 metri e, nel caso in cui non fosse stato possibile allestirle, prescriveva di ricorrere all'uso di cinture di "sicur-caduta" dall'alto.
Ciononostante, sempre secondo le decisioni di merito, in violazione di quanto prescritto dal PSC e dalla normativa di settore, il defunto C.C. stava lavorando ad un'altezza certamente superiore ai 2 metri, non presidiata da opere provvisionali che, ove realizzate in concreto, ne avrebbero evitato la caduta e il decesso, anche qualora lo stesso stesse operando a livello delle travi del tetto poste un metro più in alto del piano del cornicione.
Pertanto, per qualunque dei tre punti di caduta tra quelli ipotizzati comunque sarebbe ravvisabile il nesso causale, mancando per tutti e tre i parapetti e trattandosi di caduta da più di due metri da cui è derivata la morte.
2. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
2.1 Si è dedotto che, nell'impossibilità di una corretta individuazione delle cause che hanno determinato l'evento morte, risulta altrettanto impossibile individuare, a monte, una condotta alternativa lecita che lo avrebbe potuto impedire o che avrebbe potuto sensibilmente ridurre il rischio del suo verificarsi.
Il motivo è direttamente collegato al precedente, ritenendosi che, in difetto di certezze nella formulazione del giudizio esplicativo, sarebbe impossibile individuare il rischio verificatosi e conseguentemente la regola cautelare che avrebbe dovuto fronteggiarlo.
E evidente pertanto che, avendo i giudici di merito accertato, con la necessaria certezza, la dinamica del sinistro, la dedotta impossibilità di individuare il rischio e la regola cautelare, astrattamente formulata, risulta smentita nella sua stessa logica.
La sentenza ha ampiamente illustrato che la caduta da quella soletta è stata causata dall'assenza di parapetti.
La causalità della colpa, per il A.A., nella sua veste di committente, e per di più presente sul posto e con le effettive funzioni di capo cantiere, è stata ricollegata, al suo ruolo di datore di lavoro committente. In tal veste, egli ha omesso di adottare e, comunque di controllare l'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, anche in considerazione della immediata percepibilità della inadeguatezza delle misure precauzionali (Sez. 4, sent. n. 14167 del 12/03/2015 - Rv. 263150 - 01 Sez. 4, sent. n. 7188 del 10/01/2018, dep. 14/02/2018, Rv. 272221-01).
Al medesimo, inoltre, è stata rimproverata la colpa, avendo svolto di fatto funzioni di capocantiere, di aver egli stesso indirizzato lo C.C. a quella lavorazione, nella piena consapevolezza del pericolo di caduta.
Per il B.B., coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori, la violazione della regola cautelare, eziologicamente rilevante, è stata individuata nell'omesso controllo dell'applicazione delle disposizioni contenute nel Piano di Sicurezza e Coordinamento.
Le suddette argomentazioni, per quanto riguarda il riscontro della regola cautelare violata, appaiono logiche e ben articolate.
Infatti, in ordine alle norme violate, al A.A. è stata correttamente ascritta la violazione dell'art.159 comma 2 lett. a) in relazione all'art. 122 comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, per non aver adottato nei lavori in quota, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare il pericolo di caduta dall'alto di persone, più precisamente per non avere predisposto adeguate opere provvisionali volte ad effettuare in sicurezza le opere di tamponamento e di rasatura tra la trave in legno del tetto della costruzione e il muro perimetrale del balcone del secondo piano.
Al B.B., in qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori ex art. 89 comma 1 lett. f) D.Lgs. n. 81/2008, è stata correttamente ascritta la violazione dell'art. 158 comma 2 lett. a) in relazione all'art. 92comma 1 lett. a) D.Lgs. n. 81/2008, per non avere verificato, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e coordinamento e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro.
3. Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili; segue ex lege la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, oltre che di una somma, che si stima equo fissare in Euro tremila per ciascuno, in favore della Cassa delle ammende (non ricorrendo elementi per ritenere i ricorrenti esenti da colpe nella determinazione della causa di inammissibilità, conformemente a quanto indicato da Corte cost., sentenza n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 4 febbraio 2025.
Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2025.