Cassazione Civile, Sez. Lav., 30 aprile 2025, n. 11347 - Partecipazione allo sciopero e licenziamento: nullo



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. MANNA Antonio - Presidente

Dott. LEONE Margherita Maria - Consigliera

Dott. PONTERIO Carla - Relatore

Dott. CINQUE Guglielmo - Consigliere

Dott. MICHELINI Gualtiero - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso 9612-2024 proposto da

S.G.A. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio dell'avvocato AMOS ANDREONI, rappresentata e difesa dall'avvocato GIUSEPPE MAZZINI;

- ricorrente -

contro

A.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato LUCIANO SCRIVANO;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 101/2024 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 12/02/2024 R.G.N. 678/2023;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/02/2025 dalla Consigliera CARLA PONTERIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l'avvocato ALBERTO OGGIANO per delega avvocato GIUSEPPE MAZZINI.
 

Fatto


1. A.A. ha agito in giudizio nei confronti della S.G.A. Srl per far dichiarare il carattere discriminatorio o ritorsivo del licenziamento intimatogli il 2 dicembre 2020 a seguito della partecipazione ad uno sciopero.

2. Il Tribunale, con ordinanza pronunciata all'esito della fase sommaria, ha accolto il ricorso e dichiarato la nullità del licenziamento, con condanna della società alla reintegra e al risarcimento del danno parametrato all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto dal giorno del licenziamento fino alla effettiva reintegra. Con successiva sentenza il medesimo Tribunale ha respinto l'opposizione proposta dalla società.

3. La Corte territoriale, adita da quest'ultima, ha rigettato il reclamo sulla base delle seguenti argomentazioni

- ha giudicato infondata la questione di incompetenza territoriale del Tribunale di Bologna per l'esistenza, presso la sede della committente Uniflotte in B, di una struttura nella disponibilità della reclamante, dotata di uffici, docce e spogliatoi, e presso i quali erano depositati il materiale e tutti gli strumenti necessari all'attività lavorativa, qualificabile come dipendenza aziendale a cui era addetto il lavoratore;

- ha individuato il motivo di licenziamento, cioè il fatto contestato, nella partecipazione del lavoratore allo sciopero, come inequivocamente indicato nella lettera di contestazione; sciopero definito illegittimo dalla società per violazione delle norme procedurali previste dal contratto collettivo Multiservizi (non preceduto dal tentativo di conciliazione, dal preavviso di dieci giorni e non proclamato per iscritto) e perché ingiustificato;

- ha affermato che lo sciopero è anche quello organizzato spontaneamente dai lavoratori, senza previa proclamazione da parte delle organizzazioni sindacali;

- ha richiamato l'art. 15 St. Lav. che sancisce la nullità del licenziamento intimato a causa della partecipazione ad uno sciopero ed ha verificato se l'esercizio del diritto di sciopero fosse avvenuto nel rispetto o meno del cd. limiti esterni, cioè con modalità tali da integrare illeciti penali o arrecare danno all'azienda e legittimare, eventualmente, l'esercizio del potere disciplinare (di natura conservativa);

- ha accertato che nel caso di specie lo sciopero non aveva provocato i rallentamenti o disservizi denunciati dalla società né causato disagi o danni alla committente, atteso che il A.A., insieme ai due colleghi, si era astenuto dall'attività per meno di un'ora e che, a seguito dell'intervento del responsabile, tutti e tre avevano ripreso il lavoro;

- ha quindi confermato la decisione di primo grado di nullità del licenziamento poiché intimato a fronte della partecipazione ad uno sciopero ed ha anche escluso che fosse configurabile una giusta causa di recesso, data l'assenza di conseguenze pregiudizievoli in danno della società.

4. Avverso tale sentenza S.G.A. Srl ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. A.A. ha resistito con controricorso.

L'Avvocata generale ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

 

Diritto


1. Preliminarmente, non può trovare accoglimento l'istanza di differimento dell'udienza presentata dall'avv. Giuseppe Mazzini per suo impedimento, ai sensi dell'art. 115disp. att. c.p.c., sia per l'inidoneità del certificato allegato in quanto privo di prognosi e, comunque, per avere il legale provveduto a farsi sostituire da un collega cui ha conferito delega e che ha poi discusso la causa, risultando così dimostrata l'insussistenza della impossibilità di sostituzione (cfr. Cass. S.U. n. 4773 del 2012;Cass. n. 10546 del 2018; n. 11121 del 2020).

2. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 2 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell'art. 413c.p.c., per avere la Corte d'Appello affermato la competenza territoriale del foro di Bologna pur in presenza di un contratto scritto in cui è indicato quale luogo di conclusione Forlì.

Il motivo è infondato.

I fori speciali previsti dall'art. 413 c.p.c. per individuare il giudice territorialmente competente in una controversia individuale di lavoro subordinato sono alternativamente concorrenti tra loro e sono tre quello ove è sorto il rapporto, quello ove si trova l'azienda e quello della dipendenza ove il lavoratore è addetto o prestava la sua attività lavorativa alla fine del rapporto (v. Cass. n. 24695 del 2010;n. 13530 del 2012;n. 20804 del 2012;n. 12418 del 2003). Il legame di alternatività tra i tre fori esclude che possa attribuirsi valore esclusivo o prevalente ad alcuno di essi (v. Cass. n. 10465 del 1998; n. 14678 del 2000). Questa S.C. ha poi precisato che, nelle controversie individuali di lavoro, l'attore è libero di scegliere uno dei fori alternativi di cui all'art. 413, secondo comma, c.p.c., con l'unico onere di dimostrare che ricorrono gli elementi di fatto relativi al criterio di competenza per territorio prescelto (v. Cass. n. 700 del 1993;n. 13147 del 1999;n. 17513 del 2014;n. 24230 del 2022).

Quanto alla nozione di dipendenza aziendale, questa Corte (v. Cass. n. 24230 del 2022in motivazione) ne ha elaborato una particolarmente ampia ed ha precisato che essa non coincide con la figura di unità produttiva contenuta in altre norme di legge, dovendosi invece intendere in senso lato, in armonia con la ratio legis mirante a favorire il radicamento del foro speciale del lavoro nel luogo della prestazione lavorativa (Cass. nr. 23110 del 2010). Condizione minima, ma sufficiente a tal fine, è che l'imprenditore abbia configurato quella determinata organizzazione del lavoro e che l'azienda disponga in quel luogo di un nucleo di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, cioè destinato al soddisfacimento delle finalità imprenditoriali, anche se modesto e di esigue dimensioni; è sufficiente che in tale nucleo operi anche un solo dipendente e non è necessario che i locali e le attrezzature siano di proprietà aziendale, ben potendo essere di proprietà del lavoratore stesso o di terzi (v. Cass. n. 3154 del 2018che richiama Cass. n. 4767 del 2017eCass. n. 17347 del 2013; in motivazione, di recente, anche Cass. n.13309 del 2019;n. 23053 del 2020). Precedenti pronunce di legittimità hanno statuito che rientra nella nozione di "dipendenza alla quale è addetto il lavoratore", di cui all'art. 413cod. proc. civ., "il parcheggio di proprietà di terzi" in cui siano collocati i beni strumentali alla prestazione lavorativa (nella specie, si trattava del carico delle merci, del trasporto e successivo ritorno per il ricovero dei furgoni), ove hanno inizio e fine le mansioni quotidianamente svolte dal lavoratore (Cass. n. 2003 del 2016, cui hanno dato continuità Cass. n. 29344 del 2017en. 25613 del 2019, ponendosi sulla scia di Cass. n. 11320 del 2014che aveva identificato la dipendenza in un "cantiere stradale della società datrice di lavoro, in cui siano addetti lavoratori e nel quale esistano beni destinati a rendere possibile l'espletamento dell'attività appaltata e quindi il conseguimento dei fini imprenditoriali").

La Corte d'Appello, nel rigoroso rispetto dei principi appena richiamati, ha ravvisato come legittimamente radicata la competenza territoriale presso il Tribunale di Bologna in base al criterio di carattere alternativo, prescelto dal lavoratore, del luogo della dipendenza ove il medesimo prestava la sua attività alla fine del rapporto. A tal fine ha individuato l'esistenza di una dipendenza della società in Bologna in base a plurimi indici coerenti con le caratteristiche desumibili dai citati precedenti di legittimità.

3. Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 4 della legge n. 604/1966, 15 della legge n. 300/1970 in connessione con l'art. 2D.Lgs. n. 23/2015, l'art. 1345 c.c. e con l'art. 40 Costituzione, artt. 1 e 2 legge n. 146/1990 e codice autoregolamentazione del CCNL Multiservizi Pulizie industria, per avere la Corte d'appello giudicato legittimo, nell'ambito dei servizi pubblici essenziali, lo sciopero indetto ed attuato dal singolo lavoratore, senza la preventiva proclamazione da parte delle OO.SS., sebbene il codice di autoregolamentazione dello sciopero nel c.c.n.l. Multiservizi riservi la legittimazione alle organizzazioni sindacali. Inoltre, per non aver considerato che lo sciopero è proclamato e attuato in forma collettiva e per interessi collettivi mentre nel caso di specie il dipendente aveva inteso scioperare per la retribuzione non adeguata, quindi per finalità personali. Ancora, la società sostiene che il mancato rispetto delle regole procedurali fissate dal c.c.n.l. e dallalegge n. 146 del 1990 determini non un vizio formale bensì l'inesistenza dello sciopero. Critica la sentenza d'appello per aver giudicato nullo il licenziamento intimato al dipendente autonomamente scioperante e per aver ritenuto applicabile l'art. 15 St. Lav. anche in ipotesi di illegittimità dello sciopero (perché in contrasto con il c.c.n.l. Multiservizi e con lalegge n. 146 del 1990) o, comunque, di inesistenza di uno sciopero (per avere il lavoratore dichiarato di aver inteso aderire ad uno sciopero proclamato dalle OO.SS. per il giorno 13.11.2020 e di aver equivocato sulla data). Censura, infine, la decisione impugnata per avere erroneamente escluso la violazione dei limiti cd. esterni del diritto di sciopero posto che l'interruzione del servizio di smaltimento dei rifiuti integrerebbe il reato di cui all'art. 340c.p. Deduce che il superamento dei limiti esterni avrebbe dovuto condurre almeno a considerare esistente il fatto materiale dell'astensione dal lavoro con la conseguenza che la ritenuta sproporzione della sanzione espulsiva avrebbe dovuto dare luogo ad una tutela indennitaria ai sensi delD.Lgs. n. 23 del 2015, avendo peraltro la società meno di quindici dipendenti.

4. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4 e n. 5 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., per aver la Corte d'Appello escluso l'esistenza di un equivoco da parte del lavoratore in ordine alla data di indizione dello sciopero ad opera delle organizzazioni sindacali e per essersi poi pronunciata sulla legittimità dello sciopero sebbene il lavoratore avesse allegato di aver scioperato in adesione alla proclamazione sindacale, in tal modo pronunciandosi oltre la domanda del lavoratore medesimo. Parte ricorrente denuncia, ancora, il vizio di motivazione illogica e perplessa nonché l'omesso esame di un fatto decisivo costituito dal codice di autoregolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali del c.c.n.l. Multiservizi.

5. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 2119,2104,2105e2106c.c. e degli artt. 45 e ss. c.c.n.l. Multiservizi, per avere la sentenza ritenuto sproporzionata la sanzione del licenziamento rispetto all'astensione dal lavoro per circa un'ora, che ha creato rallentamenti e interventi datoriali riorganizzativi, nonché per non aver ritenuto configurabile il reato di interruzione di pubblico servizio ovvero di pubblica necessità.

6. Il secondo motivo di ricorso pone la questione giuridica della qualificazione come sciopero di una astensione dal lavoro non proclamata dalle organizzazioni sindacali ed attuata da alcuni dipendenti di propria iniziativa.

Il motivo non è fondato.

È necessario premettere che la sentenza d'appello non contiene alcun accertamento sull'applicabilità della legge n. 146 del 1990 alla fattispecie oggetto di causa e, specificamente, sull'attività in concreto svolta dalla società datoriale e sulla qualificazione della stessa come riconducibile ai servizi pubblici essenziali, definiti dall'art. 1 della citata legge come volti "a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazione". La decisione impugnata fa cenno alla legge n. 146 del 1990 solo per ricordare in astratto ("ove lo sciopero sia avvenuto presso aziende che svolgono servizi pubblici essenziali") che, anche nell'ambito dei servizi pubblici essenziali, lo sciopero illegittimo non può essere sanzionato con il licenziamento (sentenza, p. 9). Sul punto, la sentenza di primo grado (all. n. 6 al ricorso in esame) ha espressamente statuito (p. 7) "non può ritenersi, come sostiene parte resistente, che lo sciopero abbia comportato l'interruzione dell'intero servizio di nettezza urbana svolto da Hera Spa da ritenersi servizio pubblico essenziale ove si consideri che tale circostanza non ha trovato alcuna conferma né nei documenti prodotti né nell'istruttoria svolta nel giudizio cautelare". Neppure vi sono i presupposti per procedere, in questa sede, ad un simile accertamento. Ciò rende inammissibili i motivi di ricorso formulati come violazione degli artt. 1e2 della legge n. 146 del 1990 e del codice di autoregolamentazione del c.c.n.l. Multiservizi atteso che la dedotta violazione di legge presuppone un accertamento in fatto, nella specie non sussistente, sulla riconducibilità della fattispecie oggetto di causa, e specificamente dell'attività svolta dalla datrice di lavoro ("pulizia, lavaggio e supervisione di cassonetti e mezzi di raccolta della spazzatura", come indicato nella lettera di contestazione trascritta a p. 7 della sentenza), alla sfera di previsione delle citate fonti, normativa e contrattuale. Lo stesso codice di autoregolamentazione del c.c.n.l. Multiservizi (Accordo sindacale 15 gennaio 2002) disciplina "l'esercizio diritto di sciopero per i lavoratori dipendenti dalle imprese di pulizia e servizi integrati/Multiservizi per i soli servizi considerati pubblici essenziali ai sensi della legge 12 giugno 1990, n. 146, come modificata dalla legge 11 aprile 2000, n. 83".

L'esame deve censure deve pertanto essere svolto sul presupposto dell'esercizio del diritto di sciopero in relazione ad attività non qualificata come servizio pubblico essenziale.

Con pronunce risalenti agli anni '60, la Corte costituzionale ha affermato (sentenza 123 del 1962 e sentenza n. 1 del 1974) che il diritto di sciopero è operante nell'ordinamento indipendentemente dall'emanazione di quelle norme legislative che, in base al disposto dell'art. 40della Costituzione, valgano a segnarne legittimamente limiti e modalità e che, nonostante tale carenza, lo sciopero già soggiace ad alcune limitazioni, sia a quelle che si desumono in modo necessario dalla stessa configurazione dell'istituto così come fu accolto dalla Costituzione (astensione dal lavoro di una pluralità di lavoratori a difesa di interessi che siano ad essi comuni), sia a quelle che derivano dalla esigenza di salvaguardare interessi che, a loro volta, trovino protezione in fondamentali principi costituzionali. La Corte costituzionale ha altresì chiarito che lo sciopero è legittimo non solo quando sia volto a finalità retributive ma anche quando, più in generale, esso venga proclamato "in funzione di tutte le rivendicazioni riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori che trovano disciplina nelle norme sotto il titolo terzo della parte prima della Costituzione" (sentenza n. 123 del 1962 e n. 141 del 1967).

All'interno di queste coordinate e con orientamento risalente questa Corte di legittimità ha ribadito che il diritto di sciopero, che l'art. 40 Cost. attribuisce direttamente ai lavoratori, non incontra - stante la mancata attuazione della disciplina legislativa prevista da detta norma - limiti diversi da quelli propri della ratio storico-sociale che lo giustifica e dell'intangibilità di altri diritti o interessi costituzionalmente garantiti. Pertanto, sotto il primo profilo, non si ha sciopero se non in presenza di un'astensione dal lavoro decisa e attuata collettivamente per la tutela di interessi collettivi - anche di natura non salariale ed anche di carattere politico generale, purché incidenti sui rapporti di lavoro - e, sotto il secondo profilo, ne sono vietate le forme di attuazione che assumano modalità delittuose, in quanto lesive, in particolare, dell'incolumità e della libertà delle persone, o di diritti di proprietà o della capacità produttiva delle aziende; sono, invece, privi di rilievo l'apprezzamento obiettivo che possa farsi della fondatezza, della ragionevolezza e dell'importanza delle pretese perseguite nonché la mancanza sia di proclamazione formale sia di preavviso al datore di lavoro sia di tentativi di conciliazione sia d'interventi dei sindacati, mentre il fatto che lo sciopero arrechi danno al datore di lavoro, impedendo o riducendo la produzione dell'azienda, è connaturale alla funzione di autotutela coattiva propria dello sciopero stesso (Cass. n. 4260 del 1984; n. 6177 del 1985; nello stesso senso Cass. n. 23552 del 2004, di conferma della sentenza d'appello che aveva ritenuto legittimo lo sciopero finalizzato a tutelare l'interesse professionale collettivo dei lavoratori, riguardante l'orario di lavoro, pur se formalizzato dalla presenza di tre dei sei lavoratori dipendenti della società e comunicato al datore di lavoro nella medesima giornata).

Si è ulteriormente precisato, con indirizzo risalente, ma di perdurante attualità, che il diritto di sciopero, quale che sia la sua forma di esercizio e l'entità del danno arrecato, non ha altri limiti attesa la necessaria genericità della sua nozione comune presupposta dal precetto costituzionale (art. 40Cost.) e la mancanza di una legge attuativa di questo se non quelli che si rinvengono in norme che tutelino posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario o quanto meno paritario, quali il diritto alla vita e all'incolumità personale, nonché la libertà dell'iniziativa economica, cioè dell'attività imprenditoriale, che con la produttività delle aziende è concreto strumento di realizzazione del diritto costituzionale al lavoro per tutti i cittadini; pertanto, l'esercizio del diritto di sciopero deve ritenersi illecito se, ove non effettuato con gli opportuni accorgimenti e cautele, appare idoneo a pregiudicare irreparabilmente non la produzione, ma la potenziale produttività dell'azienda, cioè la possibilità per l'imprenditore di continuare a svolgere la sua iniziativa economica, ovvero comporti la distruzione o una duratura inutilizzabilità degli impianti, con pericolo per l'impresa come organizzazione istituzionale, non come mera organizzazione gestionale, con compromissione dell'interesse generale alla preservazione dei livelli di occupazione; l'accertamento al riguardo va condotto caso per caso dal giudice, in relazione alle concrete modalità di esercizio del diritto di sciopero e ai parimenti concreti pregiudizi o pericoli cui vengono esposti il diritto alla vita, all'incolumità delle persone e all'integrità degli impianti produttivi; tali principi sono stati ribaditi, ad esempio, da Cass. n. 2840 del 1984, specificando che l'esercizio del diritto suddetto non tollera neanche limitazioni conseguenti ad aspetti dimensionali dell'azienda, salva l'osservanza di modalità imposte dai menzionati limiti esterni, esercizio del diritto che è libero nella forma, non richiedendo una sua comunicazione al datore di lavoro, né una sua formale proclamazione, e può concretarsi anche nell'astensione da una parte soltanto della prestazione lavorativa (v. anche, tra le molte, Cass. n. 46 del 1984,n. 5686 del 1987,n. 869 del 1992,n. 18368 del 2013,n. 24653 del 2015e da ultimo Cass. n. 6787 del 2024).

In consonanza con i principi diritto richiamati, la Corte d'Appello ha qualificato come sciopero l'astensione dal lavoro attuata dal controricorrente e da altri due dipendenti della società, quindi da tre dipendenti rispetto ad un organico di poco superiore (nel ricorso a p. 29 è affermato che la SGA ha meno di 15 dipendenti; nel controricorso a p. 3 è specificato che l'organico della società era all'epoca di cinque dipendenti e questo dato è riportato nella sentenza di primo grado) e pertanto collettivamente, per la tutela di interessi collettivi di natura salariale. Come accertato dai giudici di merito, i tre lavoratori hanno deciso di astenersi dal lavoro, spontaneamente e collettivamente, a causa della retribuzione troppo bassa e subito dopo aver ricevuto le buste paga, come si ricava anche dalla e-mail inviata quel giorno dal A.A. al sindacalista della CGIL del seguente tenore "...sono arrivati euro... in queste condizioni non ci possiamo vivere. Noi oggi smettiamo di lavorare" (sentenza, p. 9). D'altra parte, come osservato dalla Corte di merito, è stata la stessa società a qualificare l'astensione dal lavoro come sciopero e ad intimare il licenziamento a causa della partecipazione del dipendente ad uno sciopero assunto come illegittimo e ingiustificato.

Il diritto di sciopero, al di fuori dei servizi pubblici essenziali, non incontra altri limiti se non la protezione di diritti di pari rango costituzionale e la sua legittimità non dipende dalla proclamazione formale né dalla osservanza di regole procedurali (v. Cass. 23552 del 2004 cit. e successive conformi) e neppure rilevano la fondatezza e l'importanza delle finalità perseguite, fermo il rispetto del cd. limiti esterni. Sotto quest'ultimo profilo, la pronuncia d'appello ha accertato, scrutinando il materiale probatorio raccolto, come la astensione dal lavoro del A.A. e degli altri due dipendenti si è protratta "per un tempo molto limitato... di circa un'ora" (sentenza, p. 9) e poi "a seguito dell'intervento del responsabile (il A.A.) ha ripreso il lavoro insieme ai colleghi" (p. 11); che lo sciopero dei tre dipendenti non ha causato rallentamenti o disservizi in danno della datrice di lavoro e della appaltante né danni o disagi a quest'ultima. Le censure che pretendono di opporsi a tale accertamento fattuale sono, all'evidenza, inammissibili in quanto pacificamente estranee al perimetro segnato dall'art. 360c.p.c. (su cui v. Cass., S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014).

Le modalità e le caratteristiche attraverso cui l'astensione dal lavoro è stata decisa ed attuata e l'assenza di qualsiasi conseguenza negativa nei confronti della società datrice di lavoro, anche nei suoi rapporti con la società appaltante, conducono alla conferma della decisione di appello in ordine al legittimo esercizio del diritto di sciopero e alla conseguente nullità del licenziamento intimato per la partecipazione del lavoratore allo sciopero, secondo la previsione dell'art. 15 dello Statuto dei Lavoratori. La nullità sancita dal citato art. 15 trova espressa sanzione, sotto il vigore del D.Lgs. n. 23 del 2015, nell'art. 2 che riconosce al lavoratore la tutela reintegratoria piena. Da tale statuizione discende l'infondatezza del quarto motivo di ricorso poiché, una volta confermata la nullità dell'atto espulsivo, nessun rilievo può avere il tema della proporzionalità della sanzione espulsiva.

7. Il terzo motivo di ricorso è infondato. La sentenza d'appello (p. 2) reca la trascrizione del ricorso introduttivo di primo grado con il quale il lavoratore "eccepiva il carattere discriminatorio e/o ritorsivo del licenziamento, per essere stato intimato a seguito della partecipazione del ricorrente ad uno sciopero, in violazione del disposto dell'art. 15co. 1 lett. b) della L. 300/70". La Corte d'Appello si è pronunciata su tale domanda, identificata nel petitum e nella causa petendi appena trascritti, su cui nessun impatto possono avere le giustificazioni eventualmente date dal lavoratore e giudicate non credibili dai giudici di appello. Non vi è quindi spazio per ravvisare la dedotta violazione dell'art. 112c.p.c.

8. Le ragioni esposte conducono al rigetto del ricorso.

La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (cfr.Cass. S.U. n. 4315 del 2020).

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il 19 febbraio 2025.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2025.