Cassazione Penale, Sez. 4, 28 febbraio 2025, n. 8298 - Accertamenti urgenti degli organi di vigilanza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere
Dott. MARI Attilio - Relatore
Dott. CIRESE Marina - Consigliere
Dott. LAURO Davide - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a P il (Omissis)
B.B. nato a P il (Omissis)
avverso la sentenza del 21/06/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ATTILIO MARI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LIDIA GIORGIO che si è riportata alla memoria depositata e ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
È presente l'avv. FRATTONI REALDO FILIPPO del foro di VOGHERA in difesa di A.A., B.B., il quale insiste nei motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento.
Fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza emessa il 20/09/2022 dal Tribunale di Pavia, con la quale A.A. e B.B. - imputati del reato previsto dagli artt. 113, 589, commi primo e secondo, cod. pen. - erano stati condannati alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione ciascuno, oltre al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio e con fissazione di provvisionali esecutive.
Era stato contestato agli imputati, in cooperazione tra loro (il A.A. nella qualità di committente e il B.B. quali "intermediario" tra il committente stesso e l'affidatario dei lavori), per colpa consistente in negligenza, imprudenza e imperizia e, in particolare, per avere operato l'affidamento della realizzazione di un'opera a carattere strutturale, per la quale era prevedibile l'esecuzione anche ad altezza di alcuni metri dal suolo, nei confronti di una persona (C.C.) di anni settantasette, pertanto difettante dei necessari requisiti fisici e non impedendo che l'affidatario cadesse dall'alto e si procurasse un trauma cranico con incuneamento cerebrale, di avere determinato il decesso del lavoratore medesimo.
La Corte territoriale ha premesso che la decisione di condanna si era fondata sulle dichiarazioni testimoniali acquisite nel corso del primo grado di giudizio nonché sulle prove documentali consistenti nelle relazioni tecniche e nei reperti fotografici.
I giudici di appello hanno esposto che, dagli esiti dell'istruzione dibattimentale, era emerso che la persona offesa aveva operato alle dipendenze dei due imputati in qualità di fabbro; che il Tribunale aveva ritenuto attendibili le dichiarazioni rese dalla moglie della vittima - contenute nelle dichiarazioni rese il 18/02/2014 e poi nella successiva denuncia-querela - e, specificamente, dimostrative del fatto che il C.C. avesse ricevuto un incarico dal B.B. e da altro soggetto poi identificato nel A.A.; incarico avente a oggetto dei lavori da eseguire presso la sede della ditta del A.A. (e di cui il B.B. era il precedente titolare), come confermato dal ritrovamento sul posto di capriate e profilati metallici, frutto di un precedente smantellamento (profilati che presentavano segni da taglio presumibilmente effettuati con un saldatore analogo a quello trovato nella disponibilità del C.C.); hanno quindi esposto che, secondo il primo giudice, non assumeva effettivo rilievo la tipologia di lavoro concretamente eseguita dalla vittima al momento del sinistro quanto il fatto che questa stava eseguendo una mansione cui era del tutto inidoneo, in ragione dell'età, dello sforzo fisico richiesto e della circostanza per cui la stessa stava operando a un'altezza considerevole; ragioni per le quali era stata ritenuta perfezionata la condotta colposa da parte degli imputati, nelle qualità predette.
Esaminando nel merito i motivi posti alla base dei rispettivi appelli, la Corte ha valutato il profilo - comune a entrambi i ricorrenti - attinente alla dedotta inutilizzabilità del verbale di accertamenti urgenti del 20/02/2014, svolti dagli operanti presso la ASL di Pavia ed effettuati in una fase in cui il A.A. e il B.B. non risultavano ancora indagati; ha argomentato che non si verteva in materia di atto irripetibile con la conseguenza che non sussisteva alcun obbligo di avvertimento in ordine al diritto di farsi assistere da un difensore, non ricavabile dal testo dell'art. 356 cod. proc. pen.
In ordine al motivo - pure comune alla difesa degli appellanti - inerente al rapporto intercorso con la persona offesa e asseritamente ricondotto all'ambito dell'appalto, da cui derivava la negazione della posizione di garanzia, la Corte ne ha rilevato l'infondatezza alla luce delle emergenze istruttorie; con specifico riferimento a quanto dichiarato in dibattimento dallo stesso B.B., ove questi aveva ammesso di avere presentato la vittima al A.A., il quale era alla ricerca di un fabbro; dalle deposizioni della moglie e della nipote del C.C., dalle quali era emerso che il B.B. avesse contattato la vittima al telefono per affidargli dei lavori, nei giorni immediatamente antecedenti al sinistro; dalle bolle di consegna della merce che lo stesso C.C. aveva ordinato presso un ferramenta, da cui si comprendeva che la stessa era funzionale ad attività da effettuare presso i locali della ditta del A.A.; tutti elementi ritenuti sintomatici del fatto che il C.C. stesse operando nell'interesse di entrambi gli imputati; precisando come, sulla base delle testimonianze assunte, il B.B. non si fosse limitato a fungere da intermediario ma avesse lui stesso contattato il C.C. al fine di affidargli il lavoro.
Ha quindi ritenuto sussistente la responsabilità di entrambi i committenti, avendo essi omesso di verificare l'idoneità tecnico-professionale del soggetto appaltatore.
In riferimento ai motivi di appello inerenti alla dinamica del sinistro, la Corte territoriale ha rimarcato che la stessa doveva intendersi accertata ogni oltre ragionevole dubbio.
Ha messo in evidenza alcuni punti, ovvero: che il fabbro era caduto mentre stava lavorando in quota, intento a smantellare la tettoia presente nei locali della ditta del A.A., sulla base delle direttive impartite anche del B.B., richiamando su tale punto gli esiti dell'istruzione dibattimentale, con specifico riferimento all'assenza del C.C. dalla propria abitazione nella mattinata del 26/09/2013, da ritenersi comprovata da vari contributi testimoniali, elementi tali da far ritenere del tutto irrilevanti le discrepanze delle dichiarazioni rese dalla moglie del C.C., in sede di prime informazioni e poi di denuncia, in ordine all'orario del rientro in casa in cui non aveva trovato presente il coniuge e comunque facenti riferimento, in ogni caso, a una fascia oraria compatibile con quella dell'ingresso della vittima presso il pronto soccorso (ore 11,08); rilevando che, stando alle dichiarazioni della D.D. (confermate da quelle della E.E., cognata della vittima), B.B. si era presentato presso l'abitazione riportando l'auto del C.C., avvisando la moglie del C.C. che il marito aveva avuto un incidente e chiedendo alla moglie di dire a tutti che si era trattato di un infortunio domestico.
Ha evidenziato che altro elemento essenziale era rappresentato dallo schizzo planimetrico ritrovato all'interno dell'auto del C.C. dal fratello F.F., atteso che le quote riportate nel disegno erano coincidenti con quelle dei fori che i funzionari dell'ASL avevano misurato presso la ditta del A.A., in quanto corrispondenti agli agganci della tettoia da montare; sottolineando, quindi, il carattere non plausibile della ricostruzione alternativa, in base alla quale il C.C. stesse lavorando presso la propria abitazione e sarebbe stato soccorso dai prevenuti, evidenziando anche la non credibilità di quanto riferito dai testi citati da parte degli imputati.
Ha, infine, rigettato i motivi di appello inerenti al trattamento sanzionatorio e alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, attesa la notevole gravità della condotta accertata e il comportamento successivo all'evento.
2. Avverso la predetta sentenza hanno presentato ricorso per cassazione A.A. e B.B., tramite il proprio comune difensore, articolando cinque motivi di impugnazione, il cui contenuto viene qui riassunto nei limiti strettamente necessari per la redazione della motivazione, ai sensi dell'art. 173, disp. att., cod. proc. pen.
Con il primo motivo hanno dedotto - in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. - il vizio motivazionale riguardante la dedotta utilizzabilità del verbale di accertamento eseguito dalla ASL di Pavia il 20/02/2014 e delle dichiarazioni dei soggetti che vi avevano proceduto; ciò in quanto tali accertamenti non erano classificabili come urgenti ai sensi dell'art. 354 cod. proc. pen. ed erano stati eseguiti su delega del p.m. ai sensi dell'art. 370 cod. proc. pen., con conseguente violazione degli artt. 370, 364 e 369 cod. proc. pen.
Esponevano che gli accertamenti in questione erano stati svolti previa delega specifica proveniente dal p.m.; trattandosi, quindi, non di un'attività di polizia amministrativa - come dedotto dal giudice di appello - ma di un'attività di indagine non rivestente alcuna natura di urgenza, ricadente nella nozione di ispezione ai sensi dell'art. 244 cod. proc. pen.; hanno quindi dedotto che, ai sensi dell'art. 364, commi 3 e 4, cod. proc. pen., sussisteva obbligo di dare avviso al difensore dell'ispezione, rientrando questo tra gli atti cui lo stesso aveva diritto di assistere, rammentando che - ai sensi dell'art. 369 cod. proc. pen - in relazione a tali atti sussiste l'obbligo di notificare l'informazione di garanzia; aggiungendo che i diritti di garanzia dovevano ritenersi spettanti alla persona indagata indipendentemente dalla previa iscrizione nel relativo registro, avendo tale atto efficacia meramente ricognitiva e non costitutiva; hanno quindi dedotto che l'omesso avviso avrebbe determinato una nullità generale a regime intermedio ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Con il secondo motivo hanno dedotto - in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. - il vizio motivazionale in ordine all'utilizzabilità del verbale di accertamenti urgenti redatto dalla ASL di Pavia il 20/02/2014 e delle testimonianze di coloro che vi avevano proceduto.
Hanno dedotto, in riferimento al contenuto del primo motivo, che - anche volendo ritenere l'atto in questione come urgente - ai sensi dell'art. 354 cod. proc. pen., avrebbe dovuto trovare applicazione il regime di garanzia proprio degli artt. 354, 356 e 114, disp. att., cod. proc. pen., che prevede l'avviso alla persona sottoposta alle indagini del diritto di farsi assistere da una persona di fiducia, nel caso di specie omesso nei confronti del A.A. (presente al momento delle operazioni).
Con il terzo motivo hanno dedotto - in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. - la violazione di legge e i vizi motivazionali in riferimento agli artt. 40, 43 e 589 cod. pen. e 533 cod. proc. pen., non essendo stato provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, quale specifica opera gli imputati avessero commissionato al C.C. e che la stessa prevedesse effettivamente una lavorazione "in quota", con conseguente assenza del necessario nesso di causalità con la condotta dei ricorrenti.
Hanno dedotto che, sulla base del citato materiale istruttorio, fosse invece emerso che il C.C. stesse lavorando presso la propria abitazione, con conseguente insussistenza di una posizione di garanzia in capo agli imputati, con particolare riferimento al B.B., in quanto privo di poteri di spesa, organizzazione e controllo.
Hanno argomentato, in particolare, il dato non decisivo delle dichiarazioni dell'edicolante Stefanoni, atteso che - presso la vettura della vittima e dopo l'incidente - non era stato rinvenuto il quotidiano che questa avrebbe acquistato la mattina dell'incidente stesso; che non sussisteva incompatibilità tra l'orario in cui la moglie del C.C. era giunta a casa (10,10,30) e il fatto che il C.C. in quell'orario non si trovasse presente, atteso che - invocando sul punto le testimonianze degli operatori sanitari - le operazioni di estrazione dall'automobile e spinalizzazione precedenti all'accesso al triage e all'assegnazione del codice avevano sicuramente richiesto svariati minuti, per cui non sussisteva incompatibilità logica tra la mancata presenza della vittima presso la propria abitazione alle 10,30 e l'orario di ingresso registrato presso il pronto soccorso (11,08); che lo schizzo planimetrico rinvenuto presso l'auto del C.C. non dimostrava che lo stesso stesse demolendo la tettoia al momento dell'infortunio ma solo il dato del relativo commissionamento; che i giudici di merito avevano male valutato la testimonianza del Priori, atteso che la bombola acquistata il 20/12/2011 era utilizzabile esclusivamente per la saldatura e non per il taglio mentre l'altra bombola d'ossigeno - effettivamente utilizzabile per il taglio - sarebbe stata ritirata il giorno prima del decesso e non utilizzata; ha esposto che il teste Paolino (operatore sanitario), al momento dell'arrivo presso il pronto soccorso, aveva ripetutamente ricevuto dagli imputati la dichiarazione in base alla quale il C.C. stesse lavorando presso la propria abitazione.
A fronte delle ricostruzione dei fatti operata dai giudici di appello, la difesa ha quindi ritenuto che ve ne fosse una alternativa, trovante riscontro nei documenti e negli atti acquisiti al processo e specificamente desumibile dalle dichiarazioni rese dai testi G.G. e H.H. e dalle quali sarebbe stato ricavabile che il C.C., effettivamente chiamato dal B.B. al fine di eseguire i lavori di sistemazione della tettoia (precedentemente danneggiata), avesse eseguito un solo schizzo planimetrico e ordinato al ferramenta il materiale necessario, mentre una parte dei profilati metallici riconducibili alla tettoia smantellata sarebbero stati trasportati presso l'abitazione del C.C.; che, il giorno 26/09/2013, gli imputati si sarebbero recati presso l'abitazione del C.C. che, in quel frangente, sarebbe caduto a terra provocandosi l'infortunio che ne avrebbe determinato il decesso; hanno quindi ritenuto del tutto illogici gli argomenti spesi dalla Corte a fondamento del rigetto di tale ricostruzione alternativa, attesa l'assenza di tracce della caduta presso la ditta del A.A. e il mancato riscontro rispetto all'argomento per cui l'altezza della scaffalatura rinvenuta presso l'abitazione del C.C. sarebbe stata troppo bassa per determinare una caduta mortale.
Hanno poi contestato la valutazione della Corte in punto di inattendibilità dei testi I.I., G.G. e H.H. così come quella inerente alle dichiarazioni rese dal B.B. in sede di esame e in base alla quale lo stesso, non avendo assistito all'incidente, non avrebbe potuto descriverlo al momento dell'arrivo in ospedale, in quanto contrastante con le dichiarazioni rese dagli operatori sanitari, i quali avevano esposto che gli imputati avevano esclusivamente riferito in ordine a una caduta dall'alto; da tutte le predette premesse deducevano la violazione del principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio".
Con ulteriore punto di doglianza, hanno dedotto che - dalle risultanze istruttorie utilizzabili - il C.C., al momento dell'infortunio, non stesse costruendo una nuova tettoria né smantellando la precedente; conseguendone che la penale responsabilità degli imputati non poteva essere desunta dal solo elemento rappresentato dalla scelta di un soggetto astrattamente inidoneo all'esecuzione dell'opera, atteso che da nessun elemento era emerso come le lavorazioni affidate fossero pericolose e comportassero la necessità di operare in quota; sottolineando come, nella fattispecie concreta, si vertesse comunque nell'ambito di un contratto di appalto e che, in ogni caso, difettasse del tutto la prova del nesso eziologico tra mansioni affidate e infortunio.
D'altra parte, hanno argomentato come il B.B. non potesse essere ritenuto quale committente dell'opera affidata al C.C. e nemmeno considerato come datore di lavoro di fatto.
Con il quarto motivo di impugnazione hanno dedotto - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. - la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Hanno dedotto che la Corte avrebbe illogicamente equiparato le posizioni dei due imputati e che l'oggettiva connotazione del fatto, anche in relazione al comportamento successivo all'infortunio, non giustificava la mancata applicazione del beneficio.
Con il quinto motivo di impugnazione hanno dedotto - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. - la violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'art. 133 cod. pen., circa la quantificazione della pena irrogata.
Hanno contestato la valutazione di gravità dell'offesa compiuta dalla Corte territoriale nonché quella inerente al mancato ravvedimento da parte degli imputati, atteso che questi si erano sempre dichiarati esenti da ogni responsabilità.
3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Le parti civili hanno fatto pervenire memoria, nella quale hanno concluso per il rigetto del ricorso.
Diritto
1. Il ricorso è fondato quanto al primo motivo, con conseguente assorbimento di quelli ulteriori.
2. Con il primo e con il secondo motivo di impugnazione - che sono unitariamente esaminabili in considerazione della loro stretta connessione logica, la difesa degli imputati ha dedotto la nullità - con conseguente inutilizzabilità - del verbale di accertamenti urgenti compiuti il 20/02/2014 da personale in servizio presso la ASL di Pavia nonché delle dichiarazioni testimoniali riguardanti il relativo atto, in quanto assunto in violazione delle garanzie difensive previste dagli artt. 370, 364 e 369 cod. proc. pen., ovvero - in caso di qualificazione dell'atto come urgente - degli artt. 354, 356 e 114, disp. att., cod. proc. pen.
Le argomentazioni sono complessivamente fondate, con particolare riferimento a quelle esposte nel primo motivo.
2.1 Va premesso che l'atto in questione è stato adottato previa emissione di una delega di indagine ai sensi dell'art. 370 cod. proc. pen., con la quale il p.m. procedente aveva disposto il compimento di "ogni accertamento necessario ed opportuno al fine di individuare il luogo e le modalità del trauma che ha portato al decesso di C.C.", con richiesta di assunzione contestuale di informazioni da parte della moglie della vittima, del B.B. e del A.A., con richiesta di procedere al rilievo fotografico del luogo (premessa sulla base della quale risultano quindi assorbiti i riferimenti alle disposizioni contenute negli artt. 354, 356 e 114, disp. att., cod. proc. pen., specificamente attinenti all'attività compiuta su iniziativa della polizia giudiziaria).
Si verte, pertanto, nell'ambito di indagini disposte dal p.m. sulla base del generale disposto dell'art. 358 cod. proc. pen. e in riferimento alle quali, pure in presenza della delega conferita alla p.g. e stante l'espressa previsione dell'art. 370, comma 2, cod. proc. pen., l'autorità delegata era tenuta al rispetto delle garanzie difensive previste dall'art. 364 cod. proc. pen. in tema di ispezioni, perquisizioni e sequestri.
A tale proposito - in riferimento all'affermazione della Corte di appello in base alla quale si verterebbe in una mera attività di polizia amministrativa - deve ritenersi che quella delegata alla p.g., comportando (tra l'altro) l'ingresso nell'altrui proprietà, debba essere qualificata a tutti gli effetti nell'ambito dell'attività ispettiva, in base al disposto generale dell'art. 244 cod. proc. pen., il quale stabilisce che l'ispezione "delle persone, dei luoghi e delle cose" è disposta "quando occorre accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato"; nonché alla luce dell'art. 246 cod. proc. pen., il quale, in caso di ispezione locale, prevede la consegna del relativo provvedimento al soggetto che abbia la disponibilità del luogo.
Sul punto, pure in relazione ad altra argomentazione spesa dalla Corte territoriale, va infatti ritenuto che non sia assimilabile all'attività ispettiva il solo mero svolgimento da parte della polizia giudiziaria di una attività di osservazione descrittiva dello stato dei luoghi, eventualmente documentata con rilievi fotografici (Sez. 3, n. 31640 del 31/05/2019, Manna, Rv. 276680); situazione non ravvisabile nel caso di specie, nella quale l'atto di indagine delegato aveva ad oggetto l'accesso presso l'altrui proprietà proprio al fine di reperire tracce ed effetti materiali del reato.
2.2 Pertanto, in conseguenza del concreto tenore dell'attività svolta dall'autorità delegata, i ricorrenti hanno lamentato la violazione delle garanzie difensive previste in materia di ispezioni dal citato art. 364; ai sensi del quale l'esecuzione dell'attività deve essere preceduta dall'invito rivolto all'indagato - che debba partecipare all'esecuzione dell'atto - a presentarsi (comma primo) e dall'avviso all'indagato stesso della presenza di un difensore d'ufficio, salva la facoltà di nominarne uno di fiducia (comma secondo), il quale ha "in ogni caso" il diritto di assistere al compimento dell'atto (comma quarto), fatti salvi i soli casi di necessità e urgenza nei quali, ai sensi del comma quinto, l'autorità può precedere al compimento dell'atto anche in assenza del difensore.
Si verte nell'ambito di garanzie difensive la cui violazione non dà luogo a un'ipotesi di nullità assoluta ai sensi dell'art. 179 cod. proc. pen., trattandosi di atti in relazione ai quali la presenza del difensore non è prevista come obbligatoria, essendo necessario il solo avviso, determinandosi conseguente una nullità a regime intermedio (cfr. Sez. 1, n. 7255 del 02/12/2005 n. 7255, Murinu, RV. 234048; Sez. 6, n. 13523 del 22/10/2008, dep. 2009, De Lucia, Rv. 243829); rilevandosi, sotto tale profilo, che - sulla base dell'esame degli atti del processo - la relativa eccezione è stata sollevata dalla difesa già di fronte al giudice di primo grado e poi riproposta in sede di motivo di appello.
2.3 Deve quindi ritenersi che, in riferimento al dedotto profilo di patologia processuale inerente al rispetto delle garanzie difensive previste dall'art. 364 cod. proc. pen., sussista il lamentato vizio di violazione di legge e di difetto di motivazione.
Difatti, come detto, la Corte ha speso argomentazioni - inerenti alla qualificazione dell'atto delegato come rapportabile a un'attività di polizia amministrativa e alla non qualificabilità dello stesso nel genus dell'ispezione - da ritenersi contrarie rispetto al disposto degli artt. 244 e ss., cod. proc. pen.
Ma, d'altra parte, la motivazione deve ritenersi omissiva in relazione all'affermazione inerente alla non applicabilità dell'art. 364 cod. proc. pen., giustificata per non avere ancora assunto gli odierni ricorrenti, al momento dell'espletamento dell'atto, la veste formale di indagati (motivazione posta alla base anche del rigetto della relativa eccezione da parte del giudice di primo grado).
A tale proposito, in tema di rispetto delle suddette garanzie difensive, non può assumersi quale punto di riferimento il solo dato formale rappresentato dall'omessa iscrizione del nominativo del destinatario dell'atto nel registro degli indagati.
Difatti, appare utilmente richiamabile la giurisprudenza consolidata e in forza della quale - nell'ambito specifico degli accertamenti tecnici non ripetibili disciplinati dall'art. 360 cod. proc. pen. - l'avviso relativo all'espletamento, con la conseguente assicurazione dei diritti di assistenza difensiva, deve essere dato anche alla persona che, pur non iscritta nel registro degli indagati, risulti nello stesso momento raggiunta da indizi di reità quale autore del reato oggetto delle indagini (Sez. 5, n. 5581 del 08/10/2014, dep. 2015, Ciociaro, Rv. 264216; Sez. 2, n. 34745 del 26/04/2018, Tassone, Rv. 273543); con argomentazioni che appaiono logicamente estensibili a tutte le ipotesi dello svolgimento di atti di indagine comportanti il necessario rispetto di garanzie difensive.
Nel caso di specie - sulla base di un elemento fattuale specificamente sottolineato nel motivo di ricorso - la predetta delega conferita dal pubblico ministero faceva esplicito riferimento alla denuncia-querela presentata da Carla D.D., moglie della persona offesa, la quale aveva formulato un'espressa istanza di punizione nei confronti degli odierni imputati, a seguito di una specifica ricostruzione di fatto delle circostanze in cui aveva trovato la morte la vittima.
Per l'effetto, nell'operare un mero riferimento alla mancanza in capo ai ricorrenti della qualità di indagati al momento del fatto, la motivazione della Corte territoriale deve ritenersi omissiva e non adeguatamente raffrontata con i suddetti principi.
3. Deve quindi ritenersi che sussista un complessivo vizio di violazione di legge nonché una lacuna motivazionale in ordine allo specifico punto di doglianza con la quale i ricorrenti avevano replicato l'eccezione di nullità riferito all'atto di ispezione e alle relative istanze istruttorie.
Per l'effetto, con assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano; la quale dovrà valutare nuovamente la fondatezza dell'eccezione di nullità dei suddetti risultati probatori alla luce dei principi suddetti e quindi - in riferimento alla soluzione adottata - prendere comunque in esame le ulteriori risultanze dell'istruttoria espletata nel primo grado di giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Così deciso in Roma il 30 gennaio 2025.
Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2025.