Cassazione Penale, Sez. 4, 16 maggio 2025, n. 18447 - Caduta del lavoratore durante le operazioni di scarico della merce da un autocarro con l'utilizzo di una scala. Carenze nel DVR



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da

Dott. SERRAO Eugenia - Presidente

Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere

Dott. MARI Attilio - Consigliere

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere

Dott. LAURO Davide - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a M il (Omissis)

avverso la sentenza del 18/06/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Davide Lauro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Ferdinando Lignola, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;

udito il difensore, l'avvocato Marcello Montalbano, del foro di Palermo, in difesa del ricorrente, che ha concluso per l'accoglimento dei motivi di ricorso;

 

Fatto


1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 18 giugno 2024, ha confermato la sentenza emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Marsala in data 13 luglio 2022, con cui A.A. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 589 cod. pen., per aver colposamente cagionato la morte di B.B., dipendente della Sviluppo Mobili Catalano soc. coop.

1.1. Più in particolare, il 18 marzo 2021 B.B., impegnato in operazioni di scarico della merce da un autocarro con l'uso di una scala, perse l'equilibrio e cadde al suolo, riportando delle lesioni che ne determinarono il decesso. L'imputato, responsabile del servizio di prevenzione e protezione, è stato ritenuto responsabile dell'evento per non aver adeguatamente valutato il rischio relativo all'immagazzinamento degli oggetti, e per non aver previsto, nel documento di valutazione dei rischi (d'ora in poi, per brevità, DVR), precise modalità di intervento.

2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione A.A., a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.

2.1. Con il primo motivo si lamenta vizio della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), poiché contraddittoria, illogica ed affetta da plurimi travisamenti della prova, anche per omissione.

Osserva il ricorrente che la Corte territoriale ha omesso ogni confronto sia con le previsioni contenute nel DVR, sia con la consulenza dell'arch. C.C., che il difensore ha fatto propria quale memoria, sia con le argomentazioni contenute nei motivi nuovi.

Il DVR, infatti, redatto nel 2021, disciplina la valutazione dei rischi da movimentazione manuale degli oggetti nonché i rischi derivanti dal loro immagazzinamento (punti 2.6.11, quanto all'immagazzinamento; 2.6.6., quanto allo spostamento delle merci).

2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione quanto alla mancata esclusione del nesso di causa tra condotta ed evento.

Il ricorrente osserva che la condotta del B.B. fu tenuta in presenza del preposto D.D.(che non intervenne) ed in aperta violazione delle prescrizioni contenute nel DVR (v. punti 2.6.6 e 2.6.11); tale condotta imprudente deve ritenersi abnorme, e come tale idonea ad interrompere il rapporto di causalità.

2.3. Con il terzo motivo deduce violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

Lamenta il ricorrente che i giudici non hanno tenuto in alcuna considerazione il suo comportamento processuale, la buona biografia penale nonché le modalità dell'azione (avuto riguardo alla condotta imprudente del lavoratore).

2.4. Con il quarto motivo deduce inosservanza della legge penale processuale e vizio di motivazione, in relazione al diniego della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, avendo il ricorrente chiesto l'acquisizione di una consulenza redatta dall'architetto C.C., contenente una valutazione organica del DVR.

3. Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione orale, e le parti hanno formulato le conclusioni come in epigrafe indicate.
 

Diritto


1. Il ricorso è infondato.

2. All'analisi dei motivi è utile premettere che, secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, il 18 marzo 2021 B.B., dipendente della Sviluppo Mobili Catalano soc. coop., era impegnato nello scarico di merce giunta con un camion al magazzino in C.

Per scaricare la merce il rimorchio fu parcheggiato su una rampa che presentava una leggera pendenza, e che collegava gli uffici vendita con i magazzini dell'azienda, posti in un seminterrato.

Il dipendente salì da solo sul camion, posizionandosi all'interno cassone.

Per raggiungere i colli più alti si avvalse di una scala a pioli, posta nei pressi del bordo del cassone, e quindi in equilibrio precario, ove si consideri che il rimorchio fu parcheggiato sulla predetta rampa.

Nello scaricare i colli manualmente il B.B., ad un certo punto, perse l'equilibrio e cadde a terra da un'altezza di circa 1,70 m riportando delle gravissime lesioni che ne determinarono il decesso il successivo 21 marzo 2021.

A.A., responsabile del servizio prevenzione e protezione della Sviluppo Mobili Catalano soc. coop., è stato condannato per aver concorso nel cagionare la morte del dipendente, non avendo adeguatamente valutato il rischio relativo alla fase dell'immagazzinamento degli oggetti, per non aver previsto nel DVR precise modalità di intervento, ed infine per non aver in alcun modo preso in considerazione il magazzino in cui si verificò l'infortunio.

Più in particolare, nel DVR è mancata ogni valutazione del rischio riguardante lo specifico luogo di scarico della merce, dove le operazioni avvenivano con mezzo fermo in pendenza; ma, ancor più a monte, il magazzino di C non è stato preso in considerazione quale ambiente di lavoro.

I giudici di merito hanno altresì osservato che nel DVR è mancata la previsione della procedura da seguire per la movimentazione in sicurezza delle merci all'interno del mezzo di trasporto, nonché l'analisi del rischio di caduta.

Infine, è stata ritenuta del tutto insufficiente la procedura riportata al punto 2.6.11, poiché riguardante l'accesso sui mezzi e lo scarico della merce, ma priva della individuazione della zona dove posizionare i mezzi nelle operazioni di scarico.

3. Venendo ai motivi di ricorso, osserva innanzitutto il Collegio che, in presenza di una doppia conforme, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo e le motivazioni dei due provvedimenti si integrano a formare un corpo unico, con il conseguente obbligo per il ricorrente di confrontarsi in maniera puntuale con i contenuti delle due sentenze (Sez. 4, n. 26800 del 26/06/2024, Pottino, non mass.; Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 - 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 - 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 - 01; Sez. 1, n. 8868 del 26/6/2000, Sangiorgi, Rv. 216906 - 01).

3.1. Il primo motivo, con cui si deducono plurimi vizi di motivazione, è nel complesso infondato.

3.1.1. Più in particolare, il ricorrente lamenta il travisamento delle risultanze probatorie (anche per omissione) ovvero l'utilizzazione di una prova sulla base di una erronea ricostruzione del relativo "significante" (o contraddittorietà processuale).

Osserva il Collegio che allorquando viene dedotto un simile vizio, il giudice di legittimità è tenuto alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del dato probatorio, nei termini di una "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re- interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 5, n. 17301 del 09/04/2025, Steola, non mass.; Sez. 4, n. 11601 del 10/12/2024, dep. 2025, De Gregorio, non mass.; Sez. 4, n. 31668 del 03/07/2024, Zajsi, non mass.; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370 - 01).

Questo perché, affermando come esistenti fatti certamente non esistenti, ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti, il travisamento realizza un errore di natura percettiva, non valutativa, tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice.

Il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155 - 01; Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018 - 01; Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837 - 01).

Inoltre, la fonte di prova travisata deve essere connotata dall'ulteriore requisito della decisività.

Permane, al contrario, la non deducibilità con il ricorso del travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 - 01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 - 01).

Ciò posto, osserva il Collegio che, pur richiamandosi la nozione di travisamento, il ricorso in realtà sollecita una non consentita rilettura del valore dimostrativo degli elementi di prova, nella parte in cui afferma che il DVR conteneva sia la valutazione dei rischi derivanti dalla manipolazione manuale degli oggetti, sia la valutazione dei rischi derivanti dall'immagazzinamento di oggetti (p. 2 ricorso).

Ma, come anticipato, i giudici di merito hanno analizzato le previsioni esistenti e le hanno ritenute, sotto diversi profili, del tutto insufficienti per cautelare i rischi presenti sul luogo di lavoro (pp. 8 e ss. sentenza del Tribunale; pp. 3 - 4 sentenza impugnata).

Il ricorrente, quindi, sollecita in realtà la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione a quella dei giudici di merito laddove, come detto, ciò non è consentito, nemmeno quando è eccepito il travisamento della prova.

Il travisamento, infatti, non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensì lo strumento per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento.

Né sembra al Collegio che il dedotto travisamento rivesta il connotato della decisività, solo genericamente dedotto dal ricorrente: quest'ultimo, pur essendone onerato, non indica le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035).

Deduzione ancor più necessaria ove si consideri che nel DVR non erano in alcun modo presi in considerazione gli specifici rischi derivanti dall'eseguire i lavori di scarico nei pressi del magazzino in cui poi si è verificato l'infortunio mortale, né erano presenti attrezzare validamente utilizzabili per eseguire in sicurezza le operazioni di scarico, senza la necessità di ricorrere alle scale (p. 3 sentenza impugnata).

3.1.2. Quanto al mancato esame della consulenza di parte, che il ricorrente, disattesa la richiesta di rinnovazione, ha inteso far propria come memoria, va ribadito il principio per cui, una volta ammesso il rito a prova contratta, il contenuto di una consulenza, cui deve riconoscersi attitudine probatoria, può entrare a far parte del patrimonio conoscitivo del processo solo attraverso l'esercizio dei poteri di integrazione previsti dalla legge processuale (ad es.,artt. 441, comma 5 e 603, comma 3, cod. proc. pen.).

In mancanza, non si può ricorrere all'art. 121 cod. proc. pen., essendo la memoria, per sua natura, diretta ad analizzare il significato di elementi di prova già acquisiti (Sez. 2, n. 40272 del 12/09/2024, Caruso, non mass.; Sez. 1, n. 33435 del 30/03/2023, Abbate, Rv. 285017 - 01; Sez. 2, n. 10968 del 18/12/2018, dep. 2019, Picchiottino, Rv. 275769 - 01; Sez. 1, n. 29845 del 19/06/2018, dep. 2019, Raeli, Rv. 276494 - 01).

Da tali arresti si desume, argomentando a contrario, che (anche) nel rito a prova contratta nessun problema di utilizzabilità si pone per la consulenza che abbia carattere ricognitivo o valutativo del materiale probatorio già in atti, come sembra riconoscere la stessa Corte territoriale (p. 1).

Ma, osserva il Collegio, in virtù del dovere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, l'omesso esame, da parte del giudice di merito, di una memoria difensiva può essere dedotto in sede di legittimità come vizio di motivazione purché si rappresenti puntualmente la concreta idoneità scardinante dei temi della memoria pretermessa rispetto alla pronunzia avversata, evidenziando il collegamento tra le difese della memoria e gli specifici profili di carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità argomentativa della sentenza impugnata (Sez. 5, n. 17798 del 22/03/2019, C., Rv. 276766 - 01).

Si è, invero, condivisibilmente chiarito che la Corte di cassazione non può arrestarsi al dato formale della mancanza dell'espressa menzione e considerazione della memoria nella sentenza di merito, ma che debba operare un accertamento concreto in ordine alla capacità del dato esaltato nella memoria e trascurato nella sentenza di mettere in discussione la completezza logica o l'univocità del percorso argomentativo della sentenza impugnata, oltre che soppesare la consistenza intrinseca della memoria stessa, onde neutralizzare la portata scardinante in presenza di enunciati difensivi ripetitivi ovvero estranei al thema decidendum.

La concreta idoneità scardinante dei temi della memoria pretermessa dalla pronuncia avversata - in ossequio al dovere di specificità del ricorso per cassazione ribadito da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823 - dev'essere oggetto di specifica rappresentazione da parte del ricorrente.

Non è dunque sufficiente - come è accaduto nel caso in esame - che nel ricorso ci si dolga della circostanza che il giudice di merito abbia trascurato una memoria, ma occorre che tale omissione venga tradotta in specifiche doglianze che ne evidenzino l'idoneità a porre in discussione la completezza, l'univocità e la razionalità della motivazione.

3.1.3. Quanto al mancato esame dei motivi nuovi, è costante in giurisprudenza l'affermazione secondo cui non comporta automatica nullità della sentenza di appello l'omessa motivazione in ordine ai motivi nuovi ritualmente depositati dall'appellante, dovendo il giudice di legittimità valutare se non si tratti di motivi manifestamente infondati o altrimenti inammissibili o comunque non concernenti un punto decisivo, oppure se la motivazione della sentenza impugnata non contenga argomentazioni e accertamenti che risultino incompatibili con tali motivi o siano tali da consentire alla Corte stessa di procedere ad una integrazione della motivazione sulla base degli argomenti posti a fondamento delle sentenze di primo e di secondo grado (Sez. 5, n. 42450 del 13/09/2024, Papini, non mass.; Sez. 2, n. 31278 del 15/05/2019, E., Rv. 276982 - 01; Sez. 3, n. 10156 del 01/02/2002, Poggi, Rv. 221114 - 01).

Nella specie, i motivi nuovi ripercorrono le osservazioni svolte nella consulenza, offrendo una lettura delle prescrizioni contenute nel DVR espressamente disattesa dalla Corte territoriale (pp. 3 e 4), in relazione all'analisi dei punti 2.6.6 e 2.6.11, le cui prescrizioni sono state ritenute, come accennato, del tutto insufficienti nel regolamentare le operazioni di movimentazione e scarico ad altezze inferiore inferiori ai 2 metri, come quelle in occasione delle quali si è verificato l'infortunio.

Infine, la Corte di appello ha espressamente indicato le ragioni per le quali nel valutare l'addebito non è possibile prendere in considerazione le prescrizioni del 2018 (p. 4 sentenza impugnata), diversamente da quanto sostenuto con i motivi nuovi: dunque sotto questo profilo la motivazione è esente dai vizi denunciati.

3.2. Il secondo motivo, con cui si deduce l'abnormità della condotta del lavoratore, è manifestamente infondato.

Secondo un consolidato orientamento di questa Corte regolatrice, la condotta colposa del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo solo quando esorbiti dalle mansioni affidate al lavoratore oppure sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237 - 01; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748 - 01; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017 - 01).

Non è questo, all'evidenza, il caso di specie: al momento dell'infortunio il B.B., pur tenendo una condotta imprudente, stava svolgendo mansioni riconducibili al ruolo da lui normalmente ricoperto nell'ambito del ciclo produttivo, e la situazione non ricopriva i caratteri di imprevedibilità, eccezionalità ed eccentricità del rischio richiesti dalla giurisprudenza per l'interruzione del nesso di causalità.

D'altra parte, si è già detto della insufficienza delle previsioni contenute nel DVR, relativo al rischio di caduta degli oggetti ed alla movimentazione in sicurezza delle merci all'interno dei mezzi di trasporto (pp. 9 e 10 sentenza del Tribunale; p. 3 sentenza impugnata).

Ai divieti, laddove presenti, non si accompagnava alcuna indicazione su come operare in sicurezza (cfr., in ordine all'insufficienza di un mero divieto, Sez. 4, n. 1036 del 10 dicembre 2015, Bignotti, non mass.).

Né l'omissione del preposto, presente sul luogo del fatto, può considerarsi causa sopravvenuta idonea ad interrompere la catena causale, trattandosi, al limite di una ulteriore condotta colposa che ha contribuito a determinare l'evento: in tema di infortuni sul lavoro, ciascun garante risulta per intero destinatario dell'obbligo di impedire l'evento fino a che non si esaurisca il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia (Sez. 4, n. 928 del 28/09/2022, dep. 2023, Bocchio, Rv. 284086 - 01; Sez. 4 n. 6507 dell'11/01/2018, Caputo, Rv. 272464 - 01; Sez. 4, n. 46849 del 03/11/2011, Di Carlantonio, Rv 252149 - 01).

3.3. Il terzo motivo, riguardante il diniego delle attenuanti generiche, è inammissibile.

La valutazione in esame, infatti, è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità (pp. 6 - 7 sentenza impugnata), poiché fondata sulla assenza di elementi positivi di valutazione nonché di ogni iniziativa volta ad elidere od attenuare le conseguenze del reato.

I giudici di merito, sottolineando come la pena irrogata fosse già coincidente con il minimo edittale, hanno inoltre ritenuto che il comportamento processuale, che il ricorrente ha prospettato a sostegno della richiesta, fosse sostanzialmente un dato neutro.

Si tratta di una motivazione che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Carillo, Rv. 275509 - 03; conf., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv. 242419 - 01), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02; conformi, Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Pettinelli, Rv. 271269 -01; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163 - 01; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244 - 01).

La decisione impugnata, quindi, si rivela aderente al consolidato orientamento secondo cui la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 3, n. 1226 del 18/11/2024, dep. 2025, Rizzo, non mass.; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737 - 01).

3.4. Il quarto motivo è infondato.

La rinnovazione dell'istruttoria in appello è uno strumento finalizzato all'integrazione totale o parziale del quadro probatorio del giudizio di primo grado e quindi all'acquisizione di ulteriore materiale utilizzabile ai fini della decisione.

Secondo il pacifico e costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, trattasi di un istituto eccezionale, dovendo presumersi la completezza dell'istruzione dibattimentale di primo grado.

A tale integrazione può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti (art. 603, comma 1, cod. proc. pen.), avuto riguardo non solo alle risultanze già acquisite, ma anche sulle prospettive di riforma della sentenza impugnata correlate all'assunzione della nuova prova richiesta.

La disciplina subisce, ovviamente, un adattamento in ragione del rito prescelto: secondo il costante insegnamento della Corte di cassazione, infatti, nel giudizio abbreviato d'appello le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice d'ufficio nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (cfr., Sez. 2, n. 30776 del 10/05/2023, Chionna, Rv. 284947 - 01; Sez. 2, n. 5629 del 20/11/2021, dep. 2022, Granato, Rv. 282585 - 01; Sez. 6, n. 51901 del 19/09/2019, Graziano, Rv. 278061- 01).

Proprio dalla presunzione di completezza è stato tratto l'ulteriore principio, anch'esso consolidatosi nel tempo, secondo il quale il giudice d'appello ha l'obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo (Sez. 4, n. 9180 del 07/02/2024, D'Agostino, non mass.; Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, dep. 2014, Coppola, Rv. 259893 - 01).

Nella specie la Corte territoriale, pur non essendovi tenuta, ha indicato con ordinanza le ragioni per le quali ha ritenuto non necessaria l'attività di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (come ricorda anche il ricorrente: p. 9 ricorso), poi sviluppandole in sentenza: alcuni dei quesiti demandati al consulente di parte, infatti, erano relativi ad apprezzamenti riservati all'organo giurisdizionale; altri, invece, introducevano valutazioni - come quelle relative alle procedure e previsioni contenute od omesse del DVR - poi espressamente analizzate dalla Corte, e disattese nei termini poco sopra illustrati.

Pertanto, non sono rilevabili, nella motivazione della sentenza impugnata (né prospettate in ricorso), lacune o manifeste illogicità concernenti punti di decisiva rilevanza, cui si sarebbe potuto porre rimedio con l'assunzione della prova in appello.

D'altra parte, è principio altrettanto pacifico, cui il Collegio intende dare continuità, quello secondo il quale con il ricorso per cassazione può essere censurata la mancata assunzione in appello, in sede di giudizio abbreviato non condizionato, di prove richieste dalle parti solo qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (cfr., Sez. 4, n. 10481 del 31/01/2024, Oliveira, non mass.; Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577; Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, Giampà, Rv. 271163; Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Pircher, Rv. 265323 - 01; Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, PR., Rv. 261799 - 01).

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'art. 616cod. proc. pen.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2025.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2025.