Tribunale Ferrara, Sez. Lav., 07 gennaio 2025, n. 227 - Licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Mobbing. Art. 2087 c.c.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI FERRARA
SEZIONE LAVORO
in persona della dott.ssa Alessandra De Curtis, giudice del lavoro, all'udienza di discussione del 29/10/2024 ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo, la seguente
SENTENZA
nella causa n. 75/2023 R.G. promossa
DA
- De.Ca. (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. ZA.GI., per procura come in atti; RICORRENTE
CONTRO
- Bi. SRL (C.F. (...)), corrente in Portomaggiore (FE), rappresentata e difesa dall'Avv. SO.IV. per procura come in atti, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in VIA (...) 40125 BOLOGNA;
RESISTENTE
OGGETTO: licenziamento per giustificato motivo oggettivo - mobbing - demansionamento - risarcimento del danno
CONCLUSIONI DELLE PARTI: si richiamano le conclusioni di cui agli atti introduttivi.
MOTIVAZIONE
1. Con ricorso depositato il 24/02/2023 De.Ca. conveniva in giudizio la società agricola Bi. S.r.l. esponendo di essere stata assunta con contratto a tempo indeterminato in data 1 giugno 2015 e di essere stata inquadrata al 4 livello CCNL Agricoltura Impiegati, per svolgere le mansioni di impiegata amministrativa.
In particolare, ella teneva i rapporti con gli istituti di credito, provvedendo ad effettuare bonifici, pagamenti di mutui, cambiali, verifica degli incassi. In ragione di ciò, a partire dall'inizio del 2017 le veniva corrisposta anche l'indennità di cassa.
Le sue mansioni, come quelle di tutto il personale, venivano svolte sia per la soc. Bi. s.r.l., sia per la società So. Soc. Coop. agricola, che detiene tutte le quote della prima.
Deduceva che a partire dall'anno 2020 si era venuta a creare una situazione di grave conflitto tra il Presidente di So., Da.Si., e il Presidente di Bi., Gi.Ma., il quale rivestiva anche il ruolo di Direttore generale e vice-Presidente di So..
A farne le spese il personale che Si. riteneva essere vicino a Ma.. In particolare, il dirigente creava un clima di ostilità soprattutto nei suoi confronti, in quanto a suo tempo era stata assunta proprio da Ma..
Questo quadro di forte ostilità si era concretizzato in diversi specifici episodi aggressivi ed umilianti, descritti nel ricorso, avvenuti il 1 aprile 2021, il 10 giugno 2021, il 16 agosto 2021. Seguiva un suo periodo di assenza per malattia e ferie. Al suo rientro in servizio, dal 4 novembre 2021, ella si era trovata senza preavviso trasferita nell'area ove si trovava la c.d. pesa, isolata dagli altri impiegati, privata delle chiavi di accesso e altresì delle sue mansioni che, a partire dal mese di dicembre, venivano assegnate all'impiegata Ar.Al. e ad una impiegata neoassunta, Em.Dr.. Ella era poi l'unica cui veniva richiesta l'esibizione del green pass con orario di inizio e fine validità ed era l'unica invitata a consumare il pasto al di fuori dello spazio mensa. In data 31 gennaio 2022 Si., confermando la riorganizzazione aziendale già messa in atto, la invitava a formulare una rinuncia scritta all'indennità di cassa, cosa che lei non faceva; quindi il 10 febbraio 2022 le veniva chiesto di firmare una raccomandata a mano della Bi., retrodatata al 1 gennaio, con cui le veniva comunicato che non avrebbe più ricevuto l'indennità; il suo rifiuto scatenava l'immediata reazione aggressiva e minacciosa del Si..
A causa di tali eventi la ricorrente era stata costretta a rivolgersi al Pronto Soccorso sia nel mese di maggio 2021, dopo l'inizio della "guerra psicologica" del Si., sia il 10 febbraio 2022, dopo l'ultimo episodio aggressivo, data a partire dalla quale si assentava dal lavoro per rivolgersi al Centro di Salute Mentale di Portomaggiore ed anche uno specialista di fiducia. Seguiva anche atto di querela del 16.3.2022.
Ciò nonostante, in data 15 luglio 2022 la odierna esponente, compiendo un enorme sforzo, comunicava di voler rientrare al lavoro a partire dal successivo 28 luglio; senonché l'azienda dapprima la collocava forzosamente in ferie e poi la licenziava con lettera in data 5 agosto 2022, con decorrenza dal successivo 12 agosto, per giustificato motivo oggettivo, dovuto ad una perdita di fatturato ed alla conseguente necessità di sopprimere la sua figura professionale, ma in realtà del tutto pretestuoso ed inesistente.
Alla luce di quanto sopra, deducendo l'illegittimità del licenziamento "per insussistenza dei presupposti del giustificato motivo oggettivo", chiedeva l'applicazione della tutela obbligatoria di cui all'art. 8 L. n. 604/1966 chiedendo la condanna di Bi. al pagamento di un'indennità risarcitoria in misura non inferiore a sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto quantificata in Euro 2.014,96.
Deduceva inoltre la violazione del dovere di tutela della personalità morale del lavoratore di cui all'art. 2087 c.c. realizzatasi attraverso la forma del mobbing, posto in essere dal vertice dell'impresa, in ottica di persecuzione psicologica tesa alla sua espulsione dall'impresa. Il mancato adempimento del descritto obbligo di protezione le aveva cagionato un danno alla salute apprezzabile tanto sul piano patrimoniale che su quello non patrimoniale, come da perizia medica allegata, quantificato in complessivi Euro 65.908,18.
Deduceva infine l'avvenuto demansionamento rispetto alle mansioni in precedenza svolte, corrispondenti al 4 livello di inquadramento del CCNL di riferimento. Ciò che le aveva provocato un ulteriore danno da dequalificazione professionale quantificato, tenendo conto della retribuzione mensile percepita e della durata dell'illegittimo demansionamento in Euro 15.000.
Chiedeva pertanto la condanna della controparte al risarcimento dei danni come sopra quantificati.
2. Si costituiva in giudizio la Società Agricola Bi. S.r.l. resistendo alla proposta azione.
Eccepiva l'inammissibilità della domanda risarcitoria da mobbing e da demansionamento, non essendone stati descritti ed allegati compiutamente tutti i presupposti.
Contestava, comunque, la riconducibilità a Bi. dei tre episodi delle date 1 aprile 2020, 10 giugno 2021 e 10 febbraio 2022, mentre l'episodio del 16 agosto 2021, riguardante la contestazione di un addebito disciplinare, riguardava un fatto realmente accaduto.
Contestava anche il demansionamento, essendo la ricorrente stata addetta a mansioni equivalenti, che però non implicavano più il riconoscimento dell'indennità di cassa ed affermava la sussistenza del motivo oggettivo del licenziamento che risiedeva in una "accertata perdita di poco inferiore al milione di euro", sostenendo che l'azienda era impresa agricola di piccole dimensioni, sicché, applicandosi la disciplina di cui al D. Lgs. n. 23/2015, l'indennità poteva essere di importo pari ad una sola mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.
Evidenziava che la denuncia querela della lavoratrice era esitata nell'archiviazione del procedimento penale.
Deduceva che la ricorrente svolgeva le sue mansioni in modo negligente e che tra il 2017 ed il 2019, per sua dimenticanza, ometteva di eseguire ben 8 pagamenti di rate di mutui "Er." per ingente valore, ed in conseguenza a ciò, le erano addebitati interessi moratori per Euro 13.589.46. Somma che chiedeva porsi in compensazione in via di eccezione riconvenzionale.
3. Fallito il tentativo di conciliazione, l'istruttoria è consistita nell'esame dei testi indotti dalle parti e nell'espletamento di CTU medico legale.
All'udienza del 29.10.2024, a seguito di deposito di memorie autorizzate ex art. 429 c.p.c., la causa è stata discussa ed è stata decisa sulla base delle seguenti considerazioni.
4. Va anzitutto esclusa l'eccepita inammissibilità delle domande risarcitorie, posto che la ricorrente ha compiutamente descritto, anche dal punto di vista soggettivo, i fatti e gli atti che compongono le condotte asseritamente mobbizzanti, ivi compreso il demansionamento, e dunque la nocività dell'ambiente lavorativo, anche dal punto di vista temporale; quanto al nesso causale e il danno alla persona è stato fatto richiamo alla documentazione medica ed perizia medico legale allegate al ricorso (docc. 14, 15 e 29).
Sono peraltro sufficientemente chiari la causa petendi ed il petitum di entrambe le azioni risarcitorie.
5. La vicenda.
Prima di esaminare i profili in diritto delle domande svolte dalla parte ricorrente, si osserva come sia che sia stata raggiunta in punto di fatto la prova delle condotte lesive poste in essere dal dirigente di So., Da.Si. e, più in generale, il clima molto teso nel quale tali episodi si inscrivono.
Dall'istruttoria è infatti emerso che sullo sfondo della vicenda si colloca il forte contrasto insorto tra Da.Si., Presidente di So. e Gi.Ma., vicepresidente di So. e Presidente di Bi., che era giunto al suo momento culminante proprio nel 2021 tanto che l'atmosfera lavorativa era "difficile da affrontare" (v. dep. della collega Lo.Pr. ed anche quella di St.Ci., marito della ricorrente); il contrasto non è peraltro negato dalla società convenuta la quale ha prodotto dispositivo di sentenza del 10 febbraio 2023 che comprova che il conflitto è poi giunto alle vie legali, essendo nelle more il Ma. stato licenziato in tronco in data 12.10.2021 (v doc. 2 conv. nonché la sentenza di 2 grado dep. il 11.12.2023 e le dichiarazioni di Si. rese nel corso delle indagini preliminari conseguenti alla querela).
Questi i fatti specifici allegati dalla ricorrente:
Episodio del 1 aprile 2021: durante una normale procedura di configurazione dei computers aziendali, ella rivolgeva ai tecnici informatici una domanda inerente ad un programma da lei utilizzato; sentendo tale quesito il sig. Si., manifestava a tutti i presenti la propria insofferenza nei
confronti della ricorrente, aggredendola verbalmente, inveendo contro di lei davanti a tutti, colleghi ed i tecnici, dicendole che voleva "fare la sapientona", che era "una comunista, da licenziare".
L'episodio è stato ricordato dalla testimone Lo.Pr., impiegata di So.; pur non ricordando in dettaglio le parole precise, ha infatti riferito che nel corso di una riunione con dei tecnici informatici avente ad oggetto alcuni programmi da installare la Ca. fece una domanda e fu "trattata non bene", il Si. fu sgarbato e maleducato, con l'intento di sminuirla, rivolgendosi in tal modo solo nei suoi confronti.
Episodio del 10.6.2021: secondo quanto riportato in ricorso, Si. si recava presso l'ufficio della Ca. ed iniziava a inveire contro di lei, minacciandola; sbattendo con forza la mano sulla scrivania della ricorrente, gridava che l'avrebbe rovinata "con tutta la famiglia compresi i figli", che le avrebbe "mangiato la casa", le diceva di andare a "fanculo", che "non valeva nulla" e che ero uno "stipendio rubato" e che avrebbe dovuto "licenziarla immediatamente".
Anche questo fatto ha trovato riscontro testimoniale. La teste Lo.Pr. ha ricordato un episodio nel quale Si. sbatteva la mano ripetutamente sul tavolo della dipendente, protendendosi in modo aggressivo verso di lei, tanto da rompere il braccialetto che aveva al polso, cosa di cui lui più volte si lamentò nel medesimo contesto. Il senso delle frasi che proferiva il dirigente era quello che la Ca. non sapeva fare il suo lavoro. Il problema riguardava forse il pagamento di una fattura. Ha confermato il messaggio WhatsApp di sostegno che inviò alla collega quello stesso giorno (doc. 4 ric.), ove si legge: "Ciao De.. So benissimo che ora le parole sembrano tutte vane, ma sappi che mi dispiace moltissimo per quello che è successo oggi e da collega e da amica spero di rivederti presto. Per ora mi basta che tu sappia che ti voglio bene". Il tenore del forte messaggio di sostegno e conforto della collega dà la cifra della particolare aggressività delle azioni del Si..
Subito dopo il fatto la Ca. chiamava il marito St.Ci. che ha riferito che la moglie al telefono era disperata, piangeva e chiedeva di andare da lei. Il teste ha riferito di essere rimasto lì in attesa di chiarire la situazione, mentre Si. era nella sala riunioni con Ma. e la Pr.. Poi Si. lo aveva ricevuto nell'ufficio adiacente. Il dirigente gli disse che era stato "un momento di rabbia" legato al cambiamento dei rapporti con Ma., facendogli vedere il braccialetto rotto, e dicendo che il problema riguardava il pagamento fatto ad un contoterzista su disposizione di Ma., che lui, invece, non voleva che venisse effettuato. Anche mentre parlava con Ci., Si. continuava a mantenere toni alterati ed a ripetere che lui era il Presidente e solo a lui spettavano le decisioni relative alle scelte aziendali.
La teste Ar.Al. ha riferito di essere presente all'episodio, lavorando nella stessa stanza con la Ca., ma si è limitata a riferire che Si. era molto arrabbiato, non ricordando né le frasi minacciose né il braccialetto rotto. Ha dichiarato che Ca. e Si. non avevano mai avuto un buon rapporto, poiché la dipendente non rispettava le scadenze e si dimenticava le cose.
La deposizione della Al. non è particolarmente attendibile, poiché, come da lei dichiarato, a partire da gennaio 2022 è subentrata nelle mansioni in precedenza svolte dalla ricorrente ed al momento della deposizione, oltre ad essere dipendente di So., era anche Vicepresidente di Bi. (v. visura CCIAA doc. 2 ric.); la teste, poi, confonde l'arrabbiatura di tale episodio con quella relativa ad un'altra vicenda che si colloca nel successivo mese di luglio (si v. il successivo episodio).
Episodio del 16 agosto 2021: si tratta della ricezione da parte della Ca. di una lettera di "richiamo ufficiale" a firma del Si., di data 2.8.2021 (doc. 6), con la quale le veniva contestato di avere chiuso a chiave, senza esserne autorizzata, i libri sociali ed i documenti nell'armadietto nella giornata del 13.7.2021, impedendo al dirigente di accedervi.
Va precisato che il fatto è avvenuto il giorno dopo che Ma. era stato estromesso dalla carica rivestita in So., essendo stati nominati i nuovi organi amministrativi, mentre le cariche di Bi. venivano modificate solo in data 13.9.2021. La circostanza trova conferma nelle visure delle due società (doc. 2 e 3 ric.), ove si legge che Ri.Fi. assume il ruolo di Vice Presidente del C.d.A. di So. con atto di nomina del 12.7.2021, e in data 13.9.2021 diviene Presidente del C.d.A. di Bi. Soc. Agricola S.r.l.
Si tratta inoltre di rimprovero scritto, dunque avente natura disciplinare, adottato senza preventiva contestazione dell'addebito, così da non consentire alla lavoratrice di potersi giustificare (così come previsto dall'art. 7 Statuto Lavoratori).
Seguiva poi una pausa dovuta ad un infortunio sul lavoro e, secondo quanto riferito dal teste Ci., ad un successivo periodo di ferie imposte dall'azienda. Al rientro al lavoro nel mese di novembre 2021, la Ca., senza alcun preavviso, si trovava collocata presso altra postazione sita all'entrata ed isolata rispetto agli altri impiegati e dove si trovava anche la pesa, per svolgervi mansioni diverse e di livello inferiore a quello a lei attribuito sin dall'assunzione (circa il demansionamento, si rimanda nel dettaglio a quanto si osserverà al infra al paragrafo 8) e privata della possibilità di accedere con le proprie chiavi, in quanto era stata nel frattempo cambiata la serratura (v. dep. Ci.). La serratura era stata sostituita perché nel frattempo Ma. era stato licenziato e non aveva riconsegnato le chiavi (v. dep. Al.); alla ricorrente non fu mai fornita la copia delle nuove chiavi e "quando lei arrivava qualcuno doveva esserci per poterla fare entrare" (dep. Pr.).
Lo stesso giorno del suo rientro al lavoro, Si., nel corso di un incontro in cui erano presenti anche Fi. e la Al., chiedeva alla lavoratrice di rinunciare per iscritto all'indennità di cassa, dato che non doveva più svolgere le sue precedenti mansioni (dep. Ci., Al., Pr.).
Di lì a poco, infatti, tra dicembre 2021 /febbraio 2022, veniva assunta la nuova impiegata Em.Dr., che iniziava a svolgere le mansioni in precedenza appartenute all'Al., mentre quest'ultima iniziava a ricoprire quelle che erano appartenute alla Ca., ivi comprese quelle che comportavano il riconoscimento dell'indennità di cassa. Tutti i testi (Ci., Al., Pr. e Fi.) hanno confermato la circostanza. Con riferimento alle mansioni che erano appartenute alla ricorrente, Ar.Al. ha
dichiarato: "Io registravo le fatture, la prima nota contabile, mentre lei (De.Ca. n.d.r.) si occupava delle banche, quindi delle scadenze e dei pagamenti, degli incassi, tutta la gestione delle banche" gestiva quindi anche la cassa (dep. Pr.).
Non avendo poi la ricorrente spontaneamente dato seguito alla richiesta del Si. di rinuncia formale all'emolumento, in data 10.2.2022 la ricorrente venne chiamata dalla Pr. nel suo ufficio con la richiesta di firmare la lettera di revoca dell'affidamento della responsabilità della cassa, con decorrenza retroattiva dal 1 gennaio (doc. 12 ric.). Sul punto la Pr. ha dichiarato: "Ricordo il giorno in cui era rientrata nel pomeriggio, perché quel giorno era l'orario pomeridiano, io avevo ricevuto la lettera firmata dal datore di lavoro per togliere l'indennità di cassa, quindi per la rinuncia all'indennità di cassa, il mio compito era quello di farla firmare anche alla dipendente e quindi in quell'occasione la chiamai nel mio ufficio. ... Lei ha preso su la sua... la lettera, e ha detto che ci pensava, la leggeva... Però poi non me l'ha ridata firmata. ... Quel giorno c'era anche il presidente, il signor Si., mi chiese se l'aveva firmata". La teste non ebbe modo di vedere cosa sarebbe accaduto successivamente. La Pr. ha però ricordato di avere visto arrivare, ad un certo punto, il marito della Ca. dopodiché la Ca. si presentava nel suo ufficio: "Poi dopo la signora Ca., mentre si stava mettendo il cappotto, è venuta nel mio ufficio dicendomi che andava a casa perché non si sentiva bene e anche in quell'occasione era stata maltrattata dal signor Si.. ... evidentemente stava poco bene ... era turbata. Mi ha detto "Mi sono riprese delle palpitazioni.", e quindi l'ho vista che non stava bene".
Dunque alla sua risposta negativa Si., evidentemente, si era recato nell'ufficio della Ca., ormai distanziato dalle altre impiegate. La deposizione del teste St.Ci. colma la lacuna, avendo riferito che la moglie lo chiamò dicendole che era stata appena minacciata dal Si.: "dopo poco, è arrivato il signor Si. e dopo aver chiesto alla Pr. se aveva firmato il foglio è andato nel suo ufficio e anche lì l'ha minacciata come mai non l'avesse firmato e che se non lo firmava le faceva un culo, mimando il gesto, perché era lui che comandava e lei doveva fare quello che diceva".
A seguito dell'episodio, a causa del grave turbamento emotivo, la ricorrente si rivolgeva subito al Pronto Soccorso, ove le venivano somministrati dei calmanti (dep. Ci.; v. il referto di P.S. del 10.2.2022 doc. 13).
Seguiva un'assenza per malattia, a seguito della quale la ricorrente non riusciva più a riprendere servizio, poiché, dapprima veniva messa nuovamente in ferie, e, successivamente, giungeva il suo licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
6. Il mobbing.
Tali essendo i fatti sin qui descritti ed avuto riguardo alla fattispecie dedotta dalla parte ricorrente, si deve ricordare in punto di diritto che, secondo l'orientamento consolidato nella giurisprudenza, accolto anche dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 359/2003, n. 22/2006 e 238/2006), per mobbing deve intendersi una molteplicità di condotte commissive od omissive protratte nel tempo, estrinsecantesi sia in condotte materiali sia in atti giuridici veri e propri, di per sé stessi anche leciti o giuridicamente irrilevanti, che riguardate unitariamente hanno come effetto la persecuzione e/o la emarginazione del lavoratore, sino in taluni casi a giungere alla estromissione di quest'ultimo dall'organizzazione.
A detti requisiti (condotta datoriale, danno alla persona, nesso causale tra la prima ed il secondo) si aggiunge, secondo l'orientamento della Suprema Corte delineatosi nel tempo (v. Cass. Civ. Sez. Lav. 10.1.2012 n. 87; Consiglio di Stato 12.3.2012 n. 1388; Consiglio di Stato sez. VI, 15.6.2011 n. 3648; Cass. Sez. Lav. 31.5.2011 n. 12048; Cass. Sez. Lav. 26 marzo 2010, n. 7382; Cass. Sez. Lav. 17.2.2009 n. 3785; n. 22893 del 2008; Cass. Sez. Lav. 9.9.2008 n. 22858) anche l'elemento soggettivo, cioè l'unificazione delle condotte nell'ambito di un unico obiettivo, consistente in un intento persecutorio che come già detto può assumere diversi livelli (finalità offensive e persecutorie, di emarginazione o di espulsione dall'azienda). L'intenzione persecutoria, poi, può senz'altro essere provata mediante ricorso ad un quadro indiziario, purché però, per regola generale desumibile dall'art. 2729 c.c., si tratti di indizi gravi, precisi e concordanti, univocamente cospiranti nel senso della presenza di una volontà di emarginare il dipendente.
La Cassazione in epoca più recente ha ribadito che l'intento vessatorio è elemento caratterizzante la fattispecie: "Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi" (Cass. Civ. Sez. L, Sentenza n. 17698 del 06/08/2014, Rv. 631986). "Ai fini della configurabilità di una ipotesi di "mobbing", non è condizione sufficiente l'accertata esistenza di una dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione" (Cass. Sez. L - , Ordinanza n. 10992 del 09/06/2020, Rv. 657926 - 01).
Non vi è dubbio che nei fatti, per come emersi in sede istruttoria, la ricorrente sia stata vittima di condotte vessatorie di tipo verticale, da parte di uno suo diretto superiore, quantomeno per 10 mesi (da cui va tutt'al più detratta l'assenza della malattia per l'infortunio, ma non certo le assenze determinate dalle ferie imposte forzatamente, costituenti un ulteriore tassello delle condotta mobbizzante); condotte idonee certamente a mortificare la sua personalità e la sua dignità, essendo palese che l'intento del Si. fosse quello di sbarazzarsi della dipendente, dato che ella risultava schierata, ai suoi occhi, dalla parte del Ma. che, peraltro, l'aveva assunta. La piena conferma di ciò si ricava dal seguente messaggio WhatsApp inviato da tale "Davide" (corrispondente al nome di Si.): "E 2 Chi sarà il 3??? Giralo al tuo salvagente sindacato". Non è chiaro a chi il messaggio sia stato inviato, ma è verosimile, se si pone mente al fatto che Ma. era stato licenziato ad ottobre 2021 e dunque la Ca. era, appunto, la seconda.
Va comunque precisato che la fondatezza delle ragioni di licenziamento per giusta causa intimato nei confronti del Ma., accertata con sentenza, nulla toglie all'antigiuridicità della condotta adottata nei confronti della Ca., semplice dipendente con mansioni esecutive.
Il tentativo dell'Al. di attribuire le ragioni delle condotte poste in essere dal Si. e, in ultima analisi, dell'espulsione della Ca. dall'organizzazione aziendale a sue incapacità ed alla sua inidoneità ad espletare le mansioni originariamente assegnate alla lavoratrice, non appare meritevole di alcuna considerazione, in primo luogo perché generiche e non confermate, ed in secondo luogo perché l'azienda non ha mai intrapreso un regolare procedimento disciplinare per scarso rendimento o per gravi mancanze nello svolgimento delle mansioni (si consideri, ad esempio, l'accusa di avere omesso il pagamento di alcune rate di un mutuo, di cui all'eccezione riconvenzionale) e, soprattutto, essendo il licenziamento fondato sul motivo oggettivo della soppressione del posto della dipendente per gravi perdite.
Si può dire che delle condotte vessatorie e disagio subito manifestato dalla ricorrente fossero sostanzialmente a conoscenza quantomeno tutti gli impiegati di So. e Bi., che lavoravano nel medesimo stabile, tutti a distanza ravvicinata, come emerso dall'istruttoria orale, tranne che per la postazione di lavoro poi assegnata alla ricorrente, che si trovava più distanziata. Pertanto, è assai verosimile che ne fosse a conoscenza anche colui che è rimasto Presidente del C.d.A. di Bi. sino al 21.9.2024, Gi.Ma., peraltro personalmente presente in azienda in occasione dell'episodio aggressivo del 10.6.2021.
Ma vi è prova che anche altro personale fosse a conoscenza dei problemi vissuti dalla lavoratrice, come la dipendente di So., con mansioni di trattorista, Sp.Da., la quale ha ricordato di avere visto la Ca. "molto giù", dopo il suo cambio di postazione di lavoro; alla sua richiesta delle ragioni, la collega le disse piangendo che era stata umiliata ed aggredita verbalmente dal Si., il quale l'aveva minacciata che le avrebbe "mangiato la casa" riferendo l'episodio del braccialetto.
Il Si. era aduso ad atteggiamenti aggressivi idonei a provocare disagio tra i dipendenti, il che suffraga ulteriormente la piena veridicità della vicenda per come sopra ricostruita. La teste Sp. ha infatti riferito che, nella stessa epoca, Si. ha avuto atteggiamenti aggressivi anche con lei e con altri dipendenti (tali Ro.Ca. e Ba.Ve.). Problematiche di analoga natura vengono riportate da alcuni articoli di stampa locale dei mesi settembre e ottobre 2023, prodotti da parte ricorrente.
Risultano poi ampiamente provati la lesione della personalità morale e della salute della ricorrente ed il nesso eziologico con le condotte accertate.
La ricorrente ha infatti prodotto referti di Pronto Soccorso (docc. 13 e 14) e certificati medici che attestano che i suoi problemi di salute sono insorti a maggio del 2021, sono proseguiti nella stessa epoca in cui si sono verificati i fatti e ad anche oltre (doc. 16). Nei documenti si legge, tra l'altro: "episodio presincopale di verosimile origine vasovagale", "stato di agitazione psicomotoria con polipnea e pianto profuso... crisi d'ansia reattiva ad aggressione", "crisi di pianto con attivazione dell'ansia, reattivamente alle difficoltà interpersonali lavorative vissute quotidianamente"; risulta che la ricorrente abbia sofferto di insonnia, inappetenza, attacchi di panico, con peggioramento della sintomatologia proprio in connessione con l'episodio del 10.2.2022. Si osserva, tra l'altro che la Ca., in precedenza non nota ai servizi psichiatrici, ha iniziato un regolare rapporto di cura con specialista psichiatra l'8 febbraio 2022, due giorni prima dell'ultima aggressione.
La Consulenza Tecnica medico legale disposta dal Tribunale, svolta con l'ausilio di specialista in psichiatria, anche sulla base della documentazione clinica prodotta, riporta le seguenti considerazioni tecniche finali: "La sig.ra Ca. ha, ... manifestato il progressivo strutturarsi di uno stato di sofferenza psichica appartenente allo spettro ansioso-depressivo riferibile per caratteristiche cliniche ai Disturbi dell'Adattamento, tuttora sussistente", ciò in risposta agli eventi stressanti cui è stata sottoposta. "... il quadro psicopatologico presentato dalla sig.ra Ca. appare definibile nell'ambito dei disturbi dell'adattamento ed in particolare quale Disturbo dell'Adattamento con Ansia ed Umore Depresso Misti Moderato-Grave, il cui andamento ha assunto caratteristiche di cronicità in risposta all'evento traumatico patito che si dimostra idoneo anche in termini di conseguenze protratte a sostenere un ruolo eziopatogenetico relativo alla condizione morbosa descritta".
Si sottolinea come le risultanze della CTU non siano state fatte oggetto di osservazioni critiche da parte dei CTP nominati dalle parti.
Non v'è dubbio che il danno alla salute patito dalla ricorrente sia direttamente imputabile alla Bi. S.r.l., ai sensi dell'art. 2087 c.c., configurandosi nella fattispecie un unico centro di imputazione di interessi con la Soc. Coop. So. che ne possiede l'intero capitale sociale e di cui era dirigente Si., il quale a far data dal 6.10.2021 era divenuto anche procuratore speciale della prima. Attraverso l'istruttoria orale e documentale è emerso che la Ca. lavorava indifferentemente per So. e per Bi., come anche gli altri impiegati, così realizzandosi quella codatorialità che comporta l'estensione della responsabilità di Bi. anche per le condotte del dirigente So..
Ad ogni bon conto la S.r.l. la convenuta è direttamente responsabile, posto che il Presidente del C.d.A., Gi.Ma. non solo era a piena conoscenza di quanto stava accadendo, ma era il soggetto che, unitamente all'altro dirigente, aveva determinato il clima fortemente stressogeno in cui viveva l'azienda nel 2021/2022 e nel quale sono maturate le condotte aggressive da parte del Si..
6.1 Procedendo alla quantificazione del danno alla persona risarcibile, si rileva quanto segue. L'attuale assetto della giurisprudenza di legittimità, risultante dalla nota sentenza 11.11.2008 n. 26972 delle Sezioni unite, può essere così brevemente schematizzato e tipizzato: oltre al risarcimento del danno patrimoniale, spetta al danneggiato il ristoro di quei danni non patrimoniali (tra i quali il biologico ed il morale) che corrispondono alla lesione di interessi tutelati dalla Costituzione, o da norme di legge, ovvero ancora da convenzioni internazionali alle quali lo Stato italiano abbia dato esecuzione. In particolare, la Carta di Nizza, contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia con L. 2.8.2008 n. 190, riconosce piena tutela alla dignità umana (art. 1) ed all'integrità fisica e psichica della persona (art. 3), stabilendo il diritto del lavoratore a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose (art. 31). Quindi il danno alla salute, in virtù delle fonti di rilievo internazionale e comunitario ed anche di quanto previsto dell'art. 32 Cost. deve trovare piena tutela.
L'art. 2087 c.c. conferisce al lavoratore un vero e proprio diritto soggettivo alla sicurezza che trova la sua fonte, al pari del correlativo obbligo, negli artt. 32 e 41 della Costituzione, facendo confluire nella disciplina del rapporto di lavoro i principi costituzionali in materia di tutela della salute e della persona umana. Per la sua portata generale l'art. 2087 c.c. è considerata norma di chiusura del sistema di prevenzione, volta a supplire alle lacune di una disciplina che non può non prevedere ogni fattore di rischio e nei confronti del quale ha una funzione generale e sussidiaria di adeguamento al caso concreto.
Come detto, la ricorrente è stata sottoposta a consulenza tecnica medico legale volta ad accertare se sia affetta dalla patologia dedotta, se sia ravvisabile un danno biologico (temporaneo ed eventualmente permanente) e se la malattia si ponga in nesso causale con l'ambiente di lavoro. La risposta al quesito è quella sopra richiamata.
Attraverso la perizia è stato accertato che la lesione alla salute psicofisica della ricorrente si è tradotta in primo luogo in una invalidità permanente, quantificata in una percentuale pari al 11%. E' stato poi riconosciuto un periodo una inabilità temporanea parziale al 25% pari a giorni 120 (centoventi), rapportabili al periodo di massima acuzie sintomatologica.
Procedendo al calcolo, si farà riferimento ai parametri delineati nelle Tabelle di Milano aggiornate al 2024, tenuto conto dell'età della danneggiata, pari ad anni 52.
Il sistema delle Tabelle di Milano si basa su una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente alla lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale, nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali, nonché del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di "dolore", "sofferenza soggettiva", in via di presunzione, in riferimento ad un dato tipo di lesione, vale a dire la liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di:
- c.d. danno biologico "standard",
- c.d. personalizzazione - per particolari condizioni soggettive - del danno biologico;
- c.d. danno morale.
Si arriva così ad una quantificazione del danno non patrimoniale permanente pari ad Euro 28.630,00.
Se deve poi aggiungere il danno da inabilità temporanea, inclusiva delle componenti del "danno biologico" (ora definito "danno dinamico-relazionale") e del c.d. "danno morale temporaneo" (ora definito "danno da sofferenza soggettiva interiore"), corrispondente nella fattispecie al periodo di massima sofferenza psichica patita dalla ricorrente, quantificata nel 25% della inabilità totale. Nelle Tabelle, per ogni giorno di inabilità temporanea totale viene attribuito un valore pari ad Euro 115,00.
Il danno risarcibile a tale titolo viene dunque quantificato in complessivi Euro 3.450,00.
Il complessivo danno non patrimoniale viene quindi liquidato in complessivi Euro 32.812,00, in moneta attuale, somma sulla quale decorreranno la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, previa devalutazione della somma alla data del 12.8.2022, sino al saldo effettivo.
7. Il licenziamento.
Nella memoria autorizzata ex art. 429 c.p.c. depositata il 18.10.2024, parte ricorrente ha denunciato la natura ritorsiva del licenziamento, deducendone per la prima volta la nullità e chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro. In via subordinata ha chiesto la tutela obbligatoria insistendo sul riconoscimento dell'indennità quantomeno pari a 6 mensilità.
La prima domanda non può essere accolta, in quanto è nuova e proposta tardivamente. Invero, trattasi di un'ulteriore prospettazione dei fatti che comporta la deduzione di una diversa causa petendi, un diverso tema di indagine e di decisione, ne' tale nullità può essere rilevata dal giudice, ex art. 1421 cod. civ., poiché il principio della rilevabilità d'ufficio, in ogni stato e grado, della nullità deve essere coordinato con i principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 2363 del 17/02/2003, Rv. 560544 - 01; Cassazione civile sez. lav., 28/09/2015, n.19142).
Sotto il profilo normativo, avuto riguardo all'epoca di assunzione della ricorrente, con contratto in data 29 maggio 2015 e con decorrenza dal 1.6.2015, la nuova domanda implicherebbe infatti l'applicazione della tutela reale forte di cui all'art. 2 D. Lgs. n. 23/2015, mentre la domanda introdotta con il ricorso implica l'applicazione dell'art. 3 della medesima legge, essendo escluso che la fattispecie rientri nell'ambito dell'art. 8 L. n. 604/1966.
Il cambio di prospettiva operato dalla parte ricorrente nella memoria finale è comprensibile se si pone mente alla vicenda per come allegata e provata nel corso dell'istruttoria in relazione alle domande risarcitorie per mobbing e demansionamento, ma sul piano processuale non è possibile sovrapporre le prime due azioni con quella di impugnazione del licenziamento, del tutto
autonoma rispetto alla prime due domande. L'impugnativa è stata originariamente introdotta solo come azione di tutela obbligatoria per insussistenza degli estremi del licenziamento per giustificato motivo, causa petendi affatto diversa rispetto all'azione di nullità del licenziamento perché discriminatorio o ritorsivo.
Tanto premesso in diritto, alla luce di quanto osservato nei due paragrafi che precedono, appare palese l'insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, intimato per "una consistente perdita, di poco inferiore al mezzo milione di euro" a carico di Bi., come da bilancio di esercizio del 31.12.2021, nella misura in cui il reale motivo era in realtà quello di liberarsi della lavoratrice, in quanto dipendente legata al Ma..
A riprova di quanto sopra sta l'assunzione avvenuta tra gennaio e febbraio 2022 della nuova impiegata Em.Dr. che ha preso in carico le mansioni di Al., la quale, a sua volta, ha preso il posto della Ca. (v. dep. Al., Fi. e Pr.).
Il motivo dedotto è pertanto pretestuoso, poiché la nuova organizzazione del lavoro non è in alcun modo ricollegabile alla lamentata perdita registrata nel bilancio e non aveva in realtà affatto determinato la soppressione della posizione lavorativa della ricorrente.
L'accertata insussistenza del fatto rende superfluo indagare se sia stato regolarmente assolto dal datore di lavoro l'obbligo di repechage, ma quand'anche si fosse di diverso avviso, non può non attribuirsi rilievo alla circostanza che, essendo le prestazioni della ricorrente utilizzate indifferentemente da entrambe le società, So. e Bi., la convenuta avrebbe dovuto dimostrare di non potere ricollocare la dipendente nemmeno nella compagine lavorativa della società controllante, cosa che non ha fatto.
7.1 Si è già detto che nella fattispecie deve trovare applicazione l'art. 3 D. Lgs. n. 23/2015 e che risulta accertata l'insussistenza del fatto posto a fondamento del recesso unilaterale.
Ciò premesso, si osserva che nelle more del procedimento, prima del deposito delle memorie ex art. 429 c.p.c., è intervenuta sentenza della Corte Costituzionale n. 128 del 16 luglio 2024, la quale ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), nella parte in cui non prevede che si applichi anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore".
Nondimeno, non avendo parte ricorrente formulato domanda di applicazione della tutela reale attenuata di cui al comma 2, limitando la domanda alla tutela obbligatoria, si ritiene che debba farsi necessariamente riferimento all'art. 3 comma 1, secondo il quale "nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale (di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio), in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità".
Si deve tuttavia escludere che nella fattispecie si applichi il successivo art. 9, il quale prevede che per le piccole imprese che non raggiungono i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, commi 8 e 9, non si applica l'articolo 3, comma 2, e l'ammontare delle indennità e dell'importo previsti dall'articolo 3, comma 1, è dimezzato.
Premesso che - come noto - è onere del datore di lavoro dimostrare la insussistenza del requisito dimensionale (Cass. Sez. L -, Sentenza n. 9867 del 19/04/2017, Rv. 643760 - 01), e ricordato quanto sopra evidenziato in merito alla codatorialità del rapporto di lavoro della Ca., non può farsi riferimento esclusivamente al numero di dipendenti della parte convenuta e non risulta quale fosse il numero dei dipendenti di So. all'epoca del licenziamento; si osserva altresì che parte ricorrente ha prodotto visura CCIAA (doc. 3), dalla quale emerge che per l'anno 2021 il valore medio dei dipendenti di So. era pari a 43.
Ciò posto, si ritiene che l'indennità dovuta alla ricorrente debba essere quantificata in 10 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, così graduata alla luce degli anni di anzianità di servizio (7 anni) ed al comportamento delle parti, con particolare riguardo alla parte datoriale, come sopra accertato.
Sulla somma dovuta decorreranno la rivalutazione monetaria ed interessi legali dal giorno del licenziamento illegittimo sino al saldo effettivo.
8. Il demansionamento.
Quanto infine al demansionamento, si osserva che è stata raggiunta prova sufficiente che esso si è realizzato nel mese di novembre 2021.
Dall'istruttoria (dep. Ci., Fi., Al., Pr.) è risultato che prima la Ca. si occupava sia per Bi. che per So. (in forza di contratti di service intercorrenti tra le due società) dei pagamenti e relative scadenze, teneva i rapporti con le banche Un., Bn. e Mo.Pa. e registrava gli incassi, sotto le direttive di Ma. o di Si.; si occupava anche delle cambiali. Per tale attività percepiva anche l'indennità di cassa.
Successivamente al suo rientro in servizio, dopo malattia e le ferie, alla ricorrente sono state invece affidate le mansioni di front office e controllo green pass, di centralinista, aggiornamento scadenziari e registrazione delle prime note contabili (quest'ultima mansione solo sino all'arrivo di Em.Dr., avvenuto poco dopo).
Detta attività doveva essere svolta in un altro ufficio, distanziato dagli altri e dove veniva trasferito il computer della ricorrente, situato nello stesso ambiente ove si trovava la c.d. pesa e transitavano i camion e dove si espletavano anche i controlli e le analisi dei cereali da stoccare. Ufficio mai utilizzato dalle altre impiegate, nel si appoggiava solo il Ma. quando era presente in azienda.
Alla luce dell'esame delle declaratorie prodotte dalla ricorrente (doc. 1), si ritiene che le mansioni in precedenza svolte rientrano nel 4 livello CCNL Agricoltura Impiegati, mentre quelle assunte successivamente rientrano senza dubbio nel 5 livello.
Secondo le declaratorie, infatti, appartengono alla 4 categoria "gli impiegati che, sotto la guida del datore di lavoro o dei loro superiori, eseguono le istruzioni per il disbrigo di operazioni contabili, amministrative, commerciali e simili, nonché per il disbrigo delle operazioni colturali e di lavorazione o di commercializzazione dei prodotti.
Profili
Addetti ai servizi amministrativi, commerciali o ai reparti Operatori CED Disegnatori tecnici
Magazzinieri, anche di aziende vitivinicole, cioè gli impiegati cui è affidato il coordinamento delle attività del magazzino, con la tenuta dei libri di carico e scarico e che rispondono della buona conservazione di merci, prodotti, macchine, utensili e di quant'altro occorrente ai bisogni dell'azienda; su disposizioni impartite direttamente dal datore di lavoro o da impiegati gerarchicamente superiori, provvedono alla ripartizione, distribuzione e spedizione di quanto loro affidato e alla relativa registrazione contabile/amministrativa".
Appartengono invece alla 5categoria "gli impiegati che esplicano mansioni non richiedenti una particolare preparazione tecnica e/o amministrativa e/o commerciale.
Profili
Addetti a semplici mansioni di segreteria - addetti alle spedizioni - terminalista CED addetto all'acquisizione dei dati".
Appare dunque palese che le circostanze di cui sopra rientrino tra le condotte mobbizzanti, in quanto prive di giustificazione e pertanto chiaramente punitive e finalizzate all'isolamento della lavoratrice. Sotto tale profilo il demansionamento, in quanto facente parte del mobbing, da luogo al risarcimento del danno non patrimoniale come sopra liquidato al par. 6.
La ricorrente non invece fornito alcuna prova del danno ulteriore da dequalificazione professionale, avente natura patrimoniale, per come dedotto e quantificato in ricorso. Secondo la giurisprudenza, "In tema di dequalificazione professionale, il giudice del merito, ... può desumere l'esistenza del relativo danno - avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore - e determinarne l'entità, anche in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla
durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto" (Sez. L - , Ordinanza n. 19923 del 23/07/2019, Rv. 654787 - 02).
Nel caso in esame potrebbe tutt'al più riconoscersi il mancato guadagno da perdita dell'indennità di cassa, ma solo per il periodo dal 1 gennaio al 10 febbraio 2022, posto che successivamente la ricorrente, rimasta assente, non ha più in concreto esercitato l'attività di cassa e le responsabilità connesse cui è collegato l'emolumento.
Pertanto la domanda sul punto deve essere respinta, non essendo stato dedotto alcun elemento concreto a sostegno di un diverso danno patrimoniale.
9. Va infine respinta l'eccezione di compensazione riconvenzionale.
Secondo la convenuta, la ricorrente svolgeva le sue mansioni in modo negligente e tra il 2017 ed il 2019 poiché per sua dimenticanza, ometteva di eseguire ben 8 pagamenti di rate di mutui "Er." per ingente valore, ed in conseguenza a ciò, erano stati addebitati alla società interessi moratori per Euro 13.589.46. Somma che chiedeva porsi in compensazione in via di eccezione riconvenzionale.
Sul punto si osserva in primo luogo che il fatto da cui scaturirebbe il credito è stato genericamente descritto, né la documentazione allegata consente di meglio comprendere con chiarezza quali sarebbero i profili di inadempienza della ricorrente. Non è stato in particolare allegato e dimostrato che la ricorrente avesse ricevuto disposizione dai superiori di provvedere al pagamento delle rate in scadenza, non potendo escludersi che la lavoratrice avesse ricevuto dal superiore gerarchico disposizione contraria. Tale ipotesi non può essere esclusa, dal momento che, se fosse vero il contrario, il datore di lavoro avrebbe proceduto a segnalare tempestivamente la grave mancanza alla dipendente, magari procedendo alla contestazione disciplinare dell'addebito, cosa che non ha fatto.
In ogni caso, la deposizione della testimone Al. sul punto è generica e non è da sola sufficiente a provare la fondatezza dell'eccezione, posto che - come già detto - al momento della deposizione il ruolo rivestito dalla testimone non è più neutro, rivestendo ella la qualifica di vice presidente di Bi..
10. In conclusione, il ricorso si ritiene in buona parte fondato.
Le spese di lite seguono la parziale reciproca soccombenza e vengono compensate per A, mentre i restanti % devono essere posti a carico della parte convenuta.
Sono liquidate, per l'intero, come in dispositivo, applicando i parametri medi di cui al D.M. n. 55/2014, tenuto conto del valore indeterminabile e di media complessità della causa.
Le spese per l'espletamento della CTU medico legale e quelle di fonoregistrazione e successiva trascrizione, già liquidate in corso di causa, vengono definitivamente poste a carico della parte convenuta, trattandosi di attività istruttoria da cui sono sfociati i capi di condanna.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza disattesa e respinta,
1) accerta e dichiara la illegittimità del licenziamento intimato da Bi. S.r.l. nei confronti di De.Ca. con lettera in data 5.8.2022 e, per l'effetto, visto l'art. 3 D. Lgs. n. 23/2015, esclusa l'operatività del successivo art. 9, dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento (con decorrenza dal 12.8.2022) e condanna la datrice di lavoro al pagamento in favore della ricorrente di un'indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, pari a 10 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali dal giorno del licenziamento illegittimo al saldo effettivo;
2) accerta e dichiara la responsabilità di Bi. per violazione dell'art. 2087 c.c. per il danno all'integrità psicofisica della lavoratrice in conseguenza dei comportamenti pregiudizievoli subiti nell'ambiente di lavoro nel periodo da aprile 2021 agosto 2022 e, per l'effetto, condanna la società convenuta al risarcimento del danno non patrimoniale quantificato il complessivi Euro 32.812,00 in moneta attuale, oltre alla rivalutazione monetaria ed interessi legali, previa devalutazione della somma alla data del 12.8.2022, sino al saldo effettivo;
3) rigetta la domanda della ricorrente di risarcimento del danno professionale da demansionamento;
4) rigetta la domanda riconvenzionale promossa da Bi. S.r.l. contro la ricorrente;
5) condanna Bi. S.r.l a rifondere alla ricorrente i 3/4 delle spese di lite che liquida, per l'intero, in complessivi Euro 11.327,00 oltre al 15% sul compenso per spese forfettarie, ad Euro 259,00 per contributo unificato, oltre ad IVA e CPA come per legge; dichiara compensato il restante 1/4 delle spese;
6) pone definitivamente a carico della società convenuta le spese di fonoregistrazione e trascrizione nonché quelle di CTU medico legale, come già liquidate in corso di causa.
Fissa il termine di giorni 60 per il deposito della motivazione. Così deciso in Ferrara il 29 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 7 gennaio 2025.
Data udienza 29 ottobre 2024