Cassazione Penale, Sez. 4, 24 maggio 2025, n. 19428 - Schiacciato dal crollo del muro durante il disarmo. Responsabilità del capo-cantiere e del datore di lavoro
- Datore di Lavoro
- Dirigente e Preposto
- Informazione, Formazione, Addestramento
- Valutazione dei Rischi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. BELLINI Ugo - Presidente
Dott. MARI Attilio - Consigliere
Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere
Dott. DAWAN Daniela - Consigliere
Dott. ANTEZZA Fabio - Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a R il Omissis
B.B. nato a C il Omissis
avverso la sentenza del 29/10/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO ANTEZZA;
udita la Procura generale, in persona del Sostituto Procuratore LUCIA ODELLO, nel senso del rigetto dei ricorsi;
udito l'avvocato SEBASTIANO MARCO PANELLA, del foro di Reggio Calabria, in sostituzione ex art. 102 cod. proc. pen., dell'avvocato GUIDO CONTESTABILE, del Foro di Palmi, in difesa di A.A., che insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso;
udito l'avvocato SEBASTIANO MARCO PANELLA in difesa di B.B., che insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso;
Fatto
1. La Corte d'Appello di Reggio Calabria, con la pronuncia indicata in epigrafe e per quanto rileva in questa sede, ha confermato la condanna, anche al risarcimento dei danni da reato, di A.A., capocantiere e preposto operante per la EFFESER Srl (di seguito anche: "EFFESER"), per l'omicidio colposo, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, di C.C., lavoratore ritenuto alle dipendenze di B.B. (ancorché senza regolare assunzione). Quest'ultimo, in parziale accoglimento dell'appello delle parti civili, è stato condannato al risarcimento dei danni conseguenza del medesimo reato (contestatogli ex art. 113 e 589 cod. pen.), dal quale è stato assolto in primo grado.
In particolare, C.C., per i giudici di merito, è deceduto a seguito di schiacciamento dovuto al crollo di un muro, la cui facciata esterna egli stesso stava provvedendo a disarmare, eseguito per contenere la fiumara Amendolea in cantiere allestito da "EFFESER" in adempimento di appalto affidatole dalla Provincia di Reggio Calabria (avente a oggetto il ripristino dell'officiosità idraulica della detta fiumara).
2. Avverso la sentenza, con atti distinti sono stati proposti ricorsi nell'interesse di A.A. e di B.B., fondanti sui motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
3. Nell'interesse di A.A. sono articolati tre motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce la violazione di legge quanto all'accertamento del nesso causale e della posizione di garanzia.
Si premette che la Corte territoriale avrebbe identificato la causa del crollo della facciata esterna del muro, determinante il decesso del lavoratore per schiacciamento, nella sua esecuzione non a regola d'arte. Il "sacco" del muro sarebbe stato riempito non con calcestruzzo "ciclopico" bensì con materiale inerte, tanto da esercitare una diversa spinta sulla parete tale da comportarne il cedimento. Ne conseguirebbe l'assenza di responsabilità in capo all'imputato, ancorché capocantiere e preposto e, in quanto tale, titolare di una posizione di garanzia a tutela dei lavoratori. Ciò in ragione dell'assenza in capo al ricorrente di compiti operativi o gestionali nella fase esecutiva dell'opera e, in particolare, nella scelta della tecnica di riempimento del "sacco" e dell'individuazione del relativo materiale. A.A., quindi, in tesi difensiva, nonostante il ruolo effettivamente rivestito di capocantiere e preposto, non sarebbe stato nelle condizioni di prevedere il pericolo imminente per l'incolumità del lavoratore.
3.2. La circostanza per cui il crollo sarebbe stato causato non da carenze nella valutazione dei rischi per i lavoratori bensì dall'esecuzione dell'opera in violazione delle regole dell'arte, nei termini già esplicitati nella sintesi del primo motivo, determinerebbe, per il secondo motivo di ricorso, l'insussistenza dell'aggravante di cui all'art. 589, comma secondo, cod. pen. Ne conseguirebbe la violazione di legge nella mancata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, in ragione della non operatività del raddoppio del relativo termine invece previsto, dall'art. 157, sesto comma, cod. pen., per l'ipotesi di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
3.3. Con il terzo motivo si censura la violazione dell'art. 62-b/s cod. pen.
Si deducono la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui sarebbero state ritenute insussistenti le circostanze attenuanti generiche, senza considerare l'incensuratezza dell'imputato e la sua posizione marginale nella causazione dell'evento, oltre che l'omesso necessario bilanciamento delle dette circostanze con l'accertata aggravante di cui all'art. 589, comma secondo, cod. pen.
4. Nell'interesse di B.B. sono proposti quattro motivi.
4.1. Con il primo motivo si deduce il difetto assoluto di motivazione in merito all'inammissibilità dell'appello proposto dalle parti civili, dedotta in sede di discussione dell'appello dalla difesa dell'attuale ricorrente.
Il giudice di primo grado, a dire del ricorrente, avrebbe escluso la responsabilità di B.B. in forza di tre argomentazioni: 1) l'impossibilità di argomentare la responsabilità dalla presunta qualifica di datore di lavoro, non essendo configurabile una mera responsabilità di posizione; 2) l'assenza di causalità tra l'evento morte e la condotta contestata in termini di omessa predisposizione di alcuna documentazione sulla sicurezza; 3) l'assenza della c.d. "causalità della colpa". L'appello non si sarebbe però confrontato con le ragioni sottese alla sentenza di primo grado, con conseguente inammissibilità dell'impugnazione che la Corte avrebbe dovuto dichiarare. Evidenzia il ricorrente, al fine di argomentare l'inammissibilità dell'appello come dedotta in sede di discussione del gravame, che l'impugnazione non avrebbe colto le argomentazioni della sentenza gravata. In particolare, le parti civili si sarebbero limitare ad argomentare quanto segue. "A seguire il ragionamento del Giudice di prime cure si arriverebbe all'assurdo per cui il datore di lavoro che sarebbe sprovvisto, come in questo caso, di qualsiasi documento sulla sicurezza, andrebbe sempre esente da pena, perché, non avendo predisposto alcun documento sulla sicurezza, manca la regola cautelare, da indicarsi proprio nello stesso documento, violando la quale scatterebbe la sua responsabilità".
4.2. Con il secondo motivo si deduce il difetto di correlazione tra l'imputazione e la sentenza, in violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., peraltro con motivazione contraddittoria, manifestamente illogica e finanche omessa in merito all'assunta mancata formazione e informazione del lavoratore.
La difesa evidenzia che l'imputazione avrebbe individuato in D.D., amministratore dell'appaltatrice EFFESER Srl, il datore di lavoro dell'infortunato e in B.B. il socio di Ormich Srl, stipulante con la prima un contratto di "nolo a freddo", e attribuito a B.B. l'omessa predisposizione di alcuna documentazione sulla sicurezza. Nonostante ciò, l'attuale ricorrente sarebbe stato invece ritenuto responsabile per aver, quale datore di lavoro della persona offesa, omesso la formazione e l'informazione dell'infortunato oltre che attività di coordinamento.
4.3. Con il terzo motivo, sviluppando un profilo di censura anticipato nella parte finale dell'articolazione del secondo motivo, si deduce la violazione dell'art. 63, comma 3-bis cod. proc. pen., per aver ribaltato la sentenza assolutoria di primo grado, ancorché ai soli effetti civili, senza procedere alla rinnovazione dell'istruttoria e per l'assenza di una c.d. "motivazione rafforzata".
Per il ricorrente, letteralmente: "se la prova su cui si fonda il diverso ragionamento del giudice d'appello sulla responsabilità di B.B. è la consulenza tecnica del P.M., il tecnico nominato dall'accusa in primo grado doveva essere nuovamente escusso in appello, onde consentire al ricorrente il necessario contraddittorio sul novum ritenuto decisivo dal giudice di secondo grado". A ciò si aggiungerebbero, sempre in tesi difensiva, l'assenza dell'esplicitazione del dato processuale sotteso alla ritenuta violazione da parte di B.B. degli obblighi in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e l'assenza di una forza persuasiva della sentenza d'appello maggiore rispetto a quella di primo grado.
4.4. Con il quarto motivo si deducono violazione di legge e vizio cumulativo di motivazione quanto all'accertamento del nesso causale oltre che in merito alla "causalità della colpa".
La Corte territoriale, a dire del ricorrente, avrebbe identificato la causa del crollo della facciata esterna del muro, determinante il decesso del lavoratore per schiacciamento, nella sua esecuzione non a regola d'arte. Ne conseguirebbe, sempre in tesi difensiva, l'assenza di responsabilità in capo all'imputato. A ciò si aggiungerebbe il vizio motivazionale in merito alla c.d. causalità della colpa. I giudici di merito si sarebbero limitati alla mera individuazione della regola cautelare violata senza procedere alla necessaria verifica della concretizzazione del relativo rischio e, in particolare, senza spiegazione in merito all'efficacia salvifica del c.d. comportamento alternativo lecito. Ciò, peraltro, in evidente contraddizione con la ritenuta responsabilità del capocantiere e preposto per la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
5. La Procura generale e le difese dei ricorrenti hanno discusso, concludendo nei termini di cui in epigrafe.
Diritto
1. Il ricorso proposto nell'interesse di A.A. e quello proposto dalla difesa di B.B. sono, rispettivamente, inammissibile (il primo) e, nel complesso, infondato (il secondo).
2. Le prime due censure del ricorso di A.A. sono suscettibili di trattazione congiunta, in ragione della connessione delle sottese questioni, e si appuntano sull'accertata sussistenza di nesso causale e posizione di garanzia (motivo primo) oltre che sulla (conseguente) mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (motivo secondo).
La causa del crollo del muro di contenimento della fiumara, comportante il decesso del lavoratore per schiacciamento, in tesi difensiva, sarebbe stata individuata dai giudici di merito nella presenza di errori nella sua costruzione, peraltro non prevedibili da parte dell'imputato, e non in carenze nella valutazione dei rischi per i lavoratori. Dalla ritenuta esecuzione dell'opera in violazione delle regole dell'arte, quale causa della morte del lavoratore, determinerebbe altresì l'insussistenza dell'aggravante di cui all'art. 589, comma secondo, cod. pen. Ne conseguirebbe quindi l'intervenuta prescrizione del reato, invece non rilevata dai giudici di merito, in ragione della non operatività del raddoppio del relativo termine invece previsto, dall'art. 157, sesto comma, cod. pen., per l'ipotesi di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
2.1. Le doglianze in esame sono inammissibili in ragione del mancato confronto con la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata e della conseguente manifesta infondatezza delle dedotte violazioni di legge (per l'inammissibilità del motivo di ricorso che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso, ex plurimis: Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, Amato, tra le recenti; Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, Della Fazio, Rv. 286468 - 01; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo).
2.2. Come sintetizzato nella precedente ricostruzione del fatto processuale, C.C., per i giudici di merito, è deceduto a seguito di schiacciamento dovuto al crollo di un muro, la cui facciata esterna egli stesso stava provvedendo a disarmare, eseguito per contenere la fiumara Amendolea in cantiere allestito da "EFFESER" in adempimento di appalto affidatole dalla Provincia di Reggio Calabria (avente a oggetto il ripristino dell'officiosità idraulica della detta fiumara).
Circa la situazione di contesto caratterizzante il sinistro, i giudici di merito, sul punto in termini di c.d. "doppia conforme", evidenziano che presso il cantiere, presenti anche A.A. e B.B., lo stesso giorno del decesso (il 13 dicembre 2012) l'infortunato ha espletato la propria attività lavorativa di disarmo della facciata esterna del muro. Sono state in particolare eliminate le casseforme aventi la funzione di supportare il muro c.d. "a sacco" durante la fase di riempitura con il calcestruzzo e suo consolidamento. La detta attività è ritenuta posta in essere in esecuzione di un contratto (ancorché formalmente di solo "nolo a freddo") concluso, in data 1 ottobre 2012, tra l'appaltatrice ("EFFESER") e B.B. quale ditta individuale (nonostante già formalmente cancellata), cui è poi seguito, il successivo 3 ottobre, altro contratto con Ormich Srl, della quale era socio il citato B.B. (ciò in vista dell'obiettivo imposto all'appaltatore di terminare la specifica opera entro il giorno 17 dello stesso mese).
2.3. Orbene, quanto alla dinamica del sinistro e alle annesse responsabilità, i giudici di merito, anche argomentando dalle conclusioni del consulente della difesa, differentemente dalle prospettazioni del ricorrente che, come detto, non confronta il proprio dire con la ratio decidendi, ritengono accertati il crollo del muro (cui è conseguito l'evento morte per schiacciamento), in forza del concorrere di più fattori causali, nonché la gestione del relativo rischio in capo al ricorrente, quale capocantiere e preposto, e la "causalità della colpa" in relazione alla violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (ancorché concorrente con quella accertata in capo a B.B.).
Il riferimento è, in primo luogo, all'eseguito disarmo, da parte dell'infortunato, della parete esterna del "muro a sacco" dopo meno di 24 ore dal precedente getto di calcestruzzo, anzi, addirittura sostanzialmente in concomitanza con il getto di copertura, quindi prima della sua maturazione (che sarebbe avvenuta solo il ventottesimo giorno successivo al getto).
Con quanto innanzi, come detto e per quanto esplicitato dall'apparato motivazionale della sentenza impugnata, hanno concorso nella seriazione causale dell'evento alti due fattori.
Trattasi, in primo luogo, dell'esecuzione del muro non a regola d'arte, in ragione dell'avvenuto riempimento del "sacco" non con calcestruzzo "ciclopico"; bensì con altra tipologia di materiale sciolto e con inerte, tanto da esercitare una diversa spinta sulla parete e da escludere la "funzione di collaborazione" che invece avrebbe svolto il detto calcestruzzo ciclopico.
Si è aggiunta l'esecuzione contemporanea delle due dette attività lavorative: il getto per l'esecuzione della copertura finale e il disarmo della parete esterna. Ciò in spregio delle specifiche prescrizioni tanto dal Piano operativo di sicurezza ("POS"), relativo allo specifico cantiere in oggetto, quanto al Piano di sicurezza e coordinamento ("PSC"), predisposto dall'appaltatrice per la prevista presenza di più imprese nel cantiere.
È stato sul punto evidenziato dalla Corte d'Appello che il POS e il PSC predisposti da "EFFESER", appaltatrice dei lavori di ripristino dell'officiosità idraulica della fiumara, avevano soppesato i rischi connessi al disarmo anticipato delle carpenterie, anche rispetto a verifica e controllo dell'avvenuta maturazione del getto, e allo svolgimento di attività contemporanee interferenti. Il PSC, in particolare, tra le prescrizioni esecutive, disponeva di ""controllare i tempi di maturazione dei getti, per consentire corrette operazioni di disarmo (anche in relazione alle condizioni atmosferiche)"". Era altresì prescritta l'interdizione del passaggio nella zona interessata durante il getto di calcestruzzo. La versione più aggiornata del POS prendeva inoltre espressamente in considerazione il rischio di collassi di strutture durante il disarmo delle carpenterie, prescrivendo durante tale fase "indispensabile la presenza di un preposto con specifica competenza in materia al fine di valutare prontamente la presenza di eventuali sintomi di crolli o cedimenti repentini delle strutture e di disporre i conseguenti interventi di rinforzo delle armature provvisorie o l'evacuazione immediata della zona".
All'esito dunque, con motivazione non sindacabile in sede di legittimità in quanto coerente e non manifestamente illogica, è stata accertata dai giudici di merito la responsabilità, in merito al decesso del lavoratore, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, di A.A., capocantiere della "EFFESER" e preposto ex art. 19 D.Lgs. n. 81 del 2008, oltre che, ai soli effetti civili, di B.B., datore di lavoro della persona offesa.
Quanto al capocantiere e preposto, i giudici di merito hanno fatto perno sulle già innanzi evidenziate previsioni del POS e del PSC, in merito alle operazioni di disarmo solo all'esito del consolidarsi del calcestruzzo e alla presenza del preposto, prevista come necessaria durante il disarmo. La detta presenza era difatti finalizzata alla gestione del rischio connesso all'eventuale collasso della struttura durante il disarmo, comunque da eseguirsi non contestualmente al riempimento del "sacco". Attività, quest'ultima, da eseguirsi comunque previa interdizione dell'accesso ai luoghi ove, invece, si era venuta a trovare la persona offesa in quanto intenta a disarmare la facciata esterna del muro. Sono state altresì valorizzate le violate disposizioni di cui all'atto di nomina del preposto. Per queste ultime, in particolare, come letteralmente evidenziato dalla sentenza impugnata, il preposto aveva il compito dì ""sovraintendere e vigilare sull'osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza";" ""verificare che soltanto i lavoratori adeguatamente istruiti accedessero"" alle zone di esposizione a rischi gravi e specifici, oltre che ""informare il più presto possibile ì lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave o immediato"".
Trattasi di prescrizioni considerate dalla sentenza impugnata, con la quale il ricorrente non confronta il proprio dire, volte a gestire il rischio di schiacciamento derivante dalla caduta del muro e il cui rispetto, anche alternativo, all'esito di una valutazione ex ante, per i giudici di merito avrebbe evitato l'evento (morte del lavoratore), con conseguente accertamento anche della c.d. "causalità della colpa", in ragione dell'individuato comportamento alternativo lecito.
3. Il terzo motivo di ricorso proposto nell'interesse di A.A. è inammissibile per manifesta infondatezza, al netto dell'aspecificità della dedotta manifesta illogicità motivazionale, solo prospettata ma non compiutamente articolata, e della sua intrinseca illogicità, laddove deducente l'errore nel mancato bilanciamento con l'aggravante di cui all'art. 589, comma secondo, cod. pen. di circostanze attenuanti generiche invece ritenute insussistenti.
La Corte territoriale ha esplicitato l'iter logico-giuridico sotteso alla ritenuta insussistenza delle circostanze attenuanti generiche (paragrafo 5.8 di pag. 13) evidenziando, per quanto rileva in considerazione della censura mossa, l'insussistenza di elementi positivamente valutabili a riguardo. Non essendo peraltro apprezzabile, di per sé, differentemente da quanto argomentato dal ricorrente, la mera incensuratezza dell'imputato, per espresso disposto di cui all'art. 62-bis, ultimo comma, cod. pen. Quanto innanzi mostra altresì la corretta applicazione dei principi governanti la materia per cui l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto ma richiede elementi, di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego del riconoscimento delle stesse (ex plurimis, Sez. 7, n. 21018 del 05/04/2023, Amato; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590 - 01, nonché la conforme Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, Stelinato, Rv. 195339 - 01). Il loro riconoscimento è difatti oggetto di un giudizio di fatto che presuppone l'emersione ovvero l'allegazione di elementi idonei a fondare l'invocata mitigazione sanzionatoria, la cui assenza ne legittima il diniego da parte del giudice di merito che, allo scopo di giustificarlo, non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti ovvero rilevabili dagli atti, essendo sufficiente il riferimento agli elementi ritenuti decisivi o, in ogni caso, rilevanti ovvero l'insussistenza di elementi positivamente apprezzabili (ex plurimis: Sez. 7, n. 21018 del 05/04/2023, Amato, cit.; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 - 01).
4. Il ricorso proposto nell'interesse di B.B., come anticipato, è, nel complesso, infondato.
4.1. Il primo motivo, deducente il difetto assoluto di motivazione in merito all'inammissibilità per genericità dell'appello proposto dalle parti civili prospettata, in sede di discussione dell'appello, dalla difesa dell'attuale ricorrente, manifesta la sua infondatezza in ragione dell'intervenuto accoglimento del detto appello, necessariamente presupponente la sua ritenuta ammissibilità. Il giudice di secondo grado, difatti, ha ritenuto l'appello tutt'altro che generico tanto da accoglierne i motivi di censura articolati in merito alla sentenza impugnata.
A quanto innanzi deve aggiungersi, quale ulteriore ragione d'inammissibilità per manifesta infondatezza della censura, che dal confronto delle ragioni d'appello della parte civile con l'apparato motivazionale dalla sentenza di primo grado, come sintetizzati dallo stesso ricorrente, necessario per lo scrutinio di ammissibilità del mezzo d'impugnazione, emerge ictu oculi il confronto delle prime con il secondo.
Il giudice di primo grado, a dire del ricorrente, avrebbe escluso la responsabilità di B.B. in forza di tre argomentazioni: 1) l'impossibilità di argomentare la responsabilità dalla presunta qualifica di datore di lavoro, non essendo configurabile una mera responsabilità di posizione; 2) l'assenza di causalità tra l'evento morte e la condotta contestata in termini di omessa predisposizione di alcuna documentazione sulla sicurezza; 3) l'assenza della c.d. "causalità della colpa". Le parti civili, per quanto riportato nello stesso ricorso di B.B., hanno criticato il ragionamento del giudice laddove sostengono che esso condurrebbe, a loro dire, alla conclusione manifestamente illogica per cui "il datore di lavoro sprovvisto, come in questo caso, di qualsiasi documento sulla sicurezza, andrebbe sempre esente da pena, perché, non avendo predisposto alcun documento sulla sicurezza, manca la regola cautelare, da indicarsi proprio nello stesso documento, violando la quale scatterebbe la sua responsabilità".
4.2. Con il secondo motivo si deduce il difetto di correlazione tra l'imputazione e la sentenza, in violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., peraltro con motivazione contraddittoria, manifestamente illogica e finanche omessa in merito all'assunta mancata formazione e informazione del lavoratore.
4.2.1. La difesa evidenzia che l'imputazione avrebbe individuato in D.D., amministratore dell'appaltatrice EFFESER Srl, il datore di lavoro dell'infortunato e in B.B. il socio di Ormich Srl, stipulante con la prima un contratto di "nolo a freddo", e attribuito a B.B. l'omessa predisposizione di alcuna documentazione sulla sicurezza. Nonostante ciò, l'attuale ricorrente sarebbe stato invece ritenuto responsabile per aver, quale datore di lavoro della persona offesa, omesso la formazione e l'informazione dell'infortunato oltre che attività di coordinamento.
4.2.2. Le doglianze non colgono nel segno, in ragione degli effetti solo civili del presente giudizio di legittimità quanto alla posizione di B.B. che sono da valutarsi in relazione alle conseguenze sul piano della stessa identificazione dell'illecito a cui connettere l'obbligo risarcitorio.
4.2.3. Il tema della correlazione tra l'imputazione e la sentenza, come ribadito di recente da Sez. 4, n. 18366 del 17/01/2024, T., Rv. 286379 - 01, ha interessato non solo la giurisprudenza di legittimità e quella costituzionale (tra cui: Corte cost., n. 103 del 2010; Corte cost. 192 del 2020) ma anche quella sovranazionale, in relazione tanto alla necessità di assicurare la conformità del diritto interno al diritto dell'Unione Europea sull'interpretazione dell'art. 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13/UE, relativo all'obbligo d'informare l'imputato in tempo utile che i fatti di reato sono stato o possano essere riqualificati, quanto al profilo delle garanzie difensive riconosciute dall'art. 6, paragrafi 1 e 3, lett. a) e b), CEDU (ex plurimis, limitando i riferimenti agli stessi esplicitati dalla citata Sez. 4, n. 18366 del 17/01/2024: Corte di giustizia UE, sentenza 9 novembre 2022, BK, C-175/22; Corte EDU, 25.3.1999, Pellissier e sassi c. Francia; Corte EDU, 1.3.2002, Dallos c. Ungheria; Corte EDU, 20.4.2006; I.H. c. Austria; Corte EDU, 11.12.2007, Drassich c. Italia).
Nella giurisprudenza di legittimità si è consolidato il principio per cui l'immutazione del fatto di rilievo, ai fini della violazione del principio di cui all'art. 521 cod. proc. pen. (anche quanto ai soli effetti civili), è solo quella che modifica radicalmente la struttura della contestazione, in quanto sostituisce il fatto tipico, il nesso di causalità e l'elemento soggettivo del reato e, per conseguenza di essa, l'azione realizzata risulta completamente diversa da quella contestata, al punto tale da essere incompatibile con le difese apprestate dall'imputato per discolparsene (così, Sez. 4, n. Sez. 4, n. 18366 del 17/01/2024, cit., e la giurisprudenza d,a essa ripresa, in particolare: Sez. 2, n. 10989 del 28/02/2023, Rv. 284427 - 01; Sez. 6, n. 35120 del 13/06/2003, Conversano, Rv. 226654 -01; Sez. 1, n. 6302 del 14/04/1999, Rv. 213459 - 01).
Più nel dettaglio, seguendo l'iter logico-giuridico di Sez. 6, n. 5772 del 28/01/2020, Bevilacqua, Rv. 278212 - 01, deve evidenziarsi che la funzione dell'imputazione, intesa come una sorta di "contenitore" è quella di delimitare l'oggetto delle prove da assumere nel giudizio, il thema probandum (art. 187, comma 1, cod. proc. pen.), e, nel contempo, di circoscrivere i confini entro i quali al giudice è consentita la delibazione finale. Le vicende dell'imputazione sono regolate nel codice in relazione a eventuali sue modifiche o integrazioni, ed è certo come la parametrazione della struttura dell'imputazione, cioè del suo "contenuto", finisca all'evidenza per condizionare la funzione stessa dell'istituto, dunque del suo "contenitore". In tale ottica è stato affermato dalla sentenza da ultimo citata che nell'imputazione convivono due profili strettamente connessi tra loro, la descrizione di un fatto, di una vicenda umana attribuita a un soggetto determinato, che si lega all'indicazione di una o più norme di diritto penale sostanziale. Sicché, l'accadimento umano non viene delineato in "forma libera" ma deve seguire la struttura della disposizione incriminatrice, nel senso che, intanto il fatto umano acquista una rilevanza come oggetto di una imputazione penale, in quanto nello stesso siano riconoscibili gli elementi costitutivi della fattispecie astratta descritta in quella norma. Nell'imputazione, dunque, coesistono, in stretta simbiosi, fatto e diritto, concretezza della vicenda fattuale e astrattezza della disposizione giuridica, o, come efficacemente sintetizzato da autorevole dottrina ed evidenziato dalla citata sentenza "Bevilacqua", un giudizio di fatto e un giudizio di valore. La norma generale diventa parametro, una sorta di criterio di raffronto, per la descrizione dell'accadimento umano che, nella sua delineazione, si modella sulla disposizione di legge. I fatti oggetto dell'addebito, tratteggiati nell'imputazione, finiscono per ricalcare la struttura della norma penale di riferimento, riproponendo, a livello empirico, la rappresentazione di tutti gli elementi costitutivi delle fattispecie astratta: la condotta, l'evento (nei reati materiali), il nesso di causalità, nonché l'elemento psicologico che sorregge l'azione o l'omissione.
Di conseguenza, prosegue sul punto la Suprema Corte, per assolvere alla sua funzione l'imputazione deve necessariamente contenere una esposizione fattuale accurata, in maniera tale da rendere l'oggetto dell'addebito, sul quale si sviluppa l'ordito del processo penale, il fatto unico, singolare, del quale, l'imputato è chiamato a rispondere. L'essenzialità degli elementi che individuano quel fatto permette di distinguere il singolo accadimento dagli altri, che pure potrebbero rientrare nella descrizione della vicenda umana, se tale descrizione fosse generica, e consente di evitare quella sostituzione di elementi che finirebbe per legittimare il passaggio da un fatto ad un altro fatto.
Seguendo tale impostazione, nella giurisprudenza di legittimità si è detto che la nozione di "fatto", di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., va intesa come l'accadimento di ordine naturale dalle cui connotazioni e circostanze soggettive e oggettive, geografiche e temporali, poste in correlazione fra loro, vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica. Sicché, la violazione del principio postula una modificazione - nei suoi elementi essenziali - del fatto, inteso come episodio della vita umana, originariamente contestato (così, tra le tante, Sez. 1, n. 13408 del 14/02/2008, Benedetti, Rv. 239903 - 01; Sez. 2, n. 45993 del 16/10/2007, Cuccia, Rv. 239320 - 01). Questo principio di diritto è stato, poi, ulteriormente puntualizzato nel senso per cui, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione, di cui all'art. 521 cod. proc. pen., deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (così Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv. 239866 - 01; conf., in seguito, Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di Guglielmi, Rv. 257278 - 01; Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucerà, Rv. 254419 - 01; Sez. 5, n. 17393 del 22/03/2005, Corbelli, Rv. 231771 -01).
Tale impostazione più "sostanzialistà", prosegue sul punto Sez. 6, n. 5772 del 28/01/2020, cit., tesa a valorizzare gli interessi processuali in gioco, è stata, più di recente, attenuata, nel senso che si è condivisibilmente precisato che la non corrispondenza tra il fatto contestato e quello che emerge dalla sentenza rileva quando si verifichi una trasformazione o sostituzione delle condizioni che rappresentano elementi essenziali costitutivi dell'addebito, e non già quando il mutamento riguardi profili marginali, non essenziali per l'integrazione del reato, e sui quali l'imputato abbia avuto modo di difendersi nel corso del processo (in questo senso anche Sez. 2, n. 17565 del 15/03/2017, Beretti, Rv. 269569 -01). Da tanto si è ragionevolmente dedotto che sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui il giudice d'appello, a fronte di una originaria contestazione di un reato colposo, condanni l'imputato per un reato doloso, trattandosi di fatto significativamente diverso da quello contestato con l'originaria imputazione, in specie nel mutato elemento psicologico, con conseguente difetto della concreta possibilità di esercizio dei correlati poteri difensivi dell'imputato (Sez. 6, n. 2979 del 15/01/2019, Mauro, Rv. 274931 -01).
4.2.4. Orbene, alla luce degli illustrati criteri ermeneutici devono escludersi nella specie la dedotta violazione del principio di correlazione tra il fatto contestato e quello che emerge dalla sentenza impugnata oltre che il dedotto vizio motivazionale.
4.2.5. In primo luogo, l'imputazione contesta a B.B., ex art. 113 e 589 cod. pen., il reato di omicidio colposo di C.C., specificando la condotta materiale in termini di omessa adozione della documentazione che proprio al datore di lavoro compete predisporre per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, mostrandosi così sufficientemente chiara quanto a condotta, peraltro ascritta proprio a chi avrebbe dovuto gestire il rischio concretizzatosi, evento e nesso causale.
4.2.6. A quanto innanzi deve altresì aggiungersi che anche il processo di primo grado, circa la posizione di B.B., è stato impostato, nel contraddittorio con l'imputato e la sua difesa, nell'ottica dell'accertamento, in conformità all'imputazione, della sussistenza in capo all'attuale ricorrente dell'obbligo di gestione del rischio quale sostanziale datore di C.C., pur trattandosi di assunzione priva di qualsiasi formalità.
La sentenza di primo grado difatti individua in B.B. il datore di lavoro della persona offesa, che ha prestato la propria attività lavorativa nel cantiere della EFFESER sulla base di un contratto, ancorché formalmente di nolo a freddo, e fa riferimento alla mancata predisposizione della documentazione sulla sicurezza che a B.B. competeva predisporre. Nel corso del giudizio di primo grado, nel contraddittorio delle parti sul punto, è stata accertata la posizione di garanzia in capo a B.B. sulla quale si diffonde la relativa sentenza, sul punto ripresa da quella d'appello, che argomenta anche dalla valutazione della testimonianza del padre della persona offesa, assunta in dibattimento, quanto ai rapporti tra infortunato, quale lavoratore alle dipendenze, e B.B., quale sostanziale datore di lavoro. Il giudice di primo grado, difatti, assolve B.B., pur ritenendolo datore di lavoro e pur nell'assenza della predisposizione della documentazione sulla sicurezza, dichiarando di fare proprie le argomentazioni della difesa. In merito rileva, in particolare, quanto argomentato a pag. 69 della sentenza di primo grado, ove si evidenzia che B.B., come riferito dal teste D.D. (padre della persona offesa) "era datore di lavoro dell'operaio che prestava la sua manodopera nell'interesse della EFFESER... in forza di un contratto di nolo a freddo siglato tra tale impresa e la ditta individuale B.B., nonché con la Ormich di E.E.
...". Il giudice di primo grado, ritenuta la posizione di garanzia in capo a B.B. e accertata la condotta contestata, esclude la responsabilità dell'imputato asserendo, sostanzialmente al fine di escludere la c.d. "causalità della colpa", che "la circostanza che il B.B. fosse datore di lavoro dell'D.D. non comporta automaticamente non implica automaticamente la sua responsabilità per la morte del lavoratore, giacché altrimenti ci troveremmo davanti ad una responsabilità "da posizione"".
La Corte territoriale, come emerge diffusamente dal tessuto argomentativo della sentenza impugnata, sulla base dei medesimi elementi fattuali sottesi alla decisione di primo grado, quindi valutati nel contraddittorio delle parti in entrambi i gradi di merito, ritiene la responsabilità (agli effetti civili) di B.B. per l'evento occorso al lavoratore con motivazione non sindacabile in sede di legittimità, in quanto coerente e non manifestamente illogica, con la quale peraltro il ricorrente non confronta il proprio dire. I giudici d'appello, confrontandosi con la sentenza dì primo grado, muovono dall'accettata posizione di garanzia sostanzialmente assunta dall'attuale ricorrente quale gestore del rischio, perché datore di lavoro in termini sostanziali cui competeva dunque la predisposizione della documentazione in materia di sicurezza, contestata e accertata come non predisposta. All'esito, la Corte territoriale evidenzia quali conseguenze della detta omessa predisposizione della documentazione di cui innanzi, l'omessa informazione e formazione del lavoratore circa i rischi specifici effettivamente concretizzatisi nella fattispecie, proprio in quanto rischi non preventivamente individuati dal prevenuto per l'omessa predisposizione della documentazione. In tali termini, diversamente dal giudice di primo grado, si focalizza, all'esito di una valutazione ex post, il comportamento alternativo lecito nell'ottica dell'accertamento della "causalità della colpa", invece sostanzialmente esclusa all'esito del primo grado di merito.
Non si è dunque verificata nella specie la dedotta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza in ragione dell'assenza di radicale mutamento, negli aspetti costitutivi essenziali, del fatto, quanto a condotta, evento e nesso causale, e delle regole cautelari che si ritengono violate, e, quindi, dell'assenza di incertezza sull'oggetto dell'imputazione e di un reale pregiudizio dei diritti della difesa.
4.3. I motivi terzo e quarto, suscettibili di trattazione congiunta in ragione della connessione di talune delle sottese questioni, sono infondati, complessivamente considerati al netto di taluni profili d'inammissibilità.
4.3.1. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell'art. 63, comma 3-bis cod. proc. pen., per aver ribaltato la sentenza assolutoria di primo grado, ancorché ai soli effetti civili, senza procedere alla rinnovazione dell'istruttoria e per l'assenza di una c.d. "motivazione rafforzata"; ciò al netto dell'aspecificità del primo dei due profili di censura per mancata individuazione dell'atto istruttorio la cui rinnovazione sarebbe stata omessa, se non in termini meramente ipotetici con riferimento all'escussione del consulente dell'accusa.
Connessa al prospettato difetto di motivazione rafforzata risulta poi la doglianza di cui al quarto motivo. Con essa si deducono violazione di legge e vizio cumulativo di motivazione quanto all'accertamento della "causalità della colpa" e del nesso causale. Profilo, quest'ultimo, caratterizzato dalle medesime ragioni d'inammissibilità già evidenziate (nei precedenti paragrafi 2.1, 2.2. e 2.3) con riferimento al primo motivo dedotto nell'interesse di Santo A.A., la cui articolazione sostanzialmente è ricalcata dalla censura in esame.
4.3.2. Si deduce l'errore nel quale sarebbe incorso il giudice d'appello nel riformare la sentenza assolutoria, ancorché ai soli effetti civili, senza procedere alla necessaria rinnovazione dell'attività istruttoria. Così operando, la Corte territoriale avrebbe sostanzialmente disatteso il principio di cui a Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini, Rv. 281228 - 01. Per la Suprema Corte il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è tenuto, anche d'ufficio, a rinnovare l'istruzione dibattimentale (ciò anche successivamente all'introduzione del comma 3-bis dell'art. 603 cod. proc. pen., a opera dalla legge 23 giugno 2017, n. 103).
4.3.3. In merito deve premettersi che, fermo restando il principio di cui innanzi e nel solco interpretativo tracciato dalle citate Sezioni Unite, la Suprema Corte ha chiarito, ribadendolo in più circostanze, che il giudice che procede alla reformatio in peius della sentenza di primo grado (anche ai soli effetti civili) non è tenuto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nel caso in cui si limiti a una diversa valutazione in termini giuridici di circostanze di fatto non controverse, senza dunque porre in discussione le premesse fattuali della decisione riformata (ex plurìmis, Sez. 4, n. 31541 del 22/06/2023, Lazzari, Rv. 284860 - 01, nonché la successiva Sez. 2, n. 3129 del 30711/2023, dep. 2024, Casoppero, Rv. 285826 - 01).
Ne consegue che la verifica della correttezza del modus operandi del giudice d'appello, caratterizzato della non operata rinnovazione dell'attività istruttoria, necessita del raffronto dell'iter logico-giuridico sotteso alla sentenza d'appello con l'apparato motivazionale fondante la sentenza di primo grado. Ciò al fine di verificare se la diversa decisione assunta dalla Corte territoriale fondi su premesse fattuali diverse da quelle sottese alla sentenza di primo grado, con conseguente necessità dì una previa rinnovazione della relativa attività istruttoria.
4.3.4. Premessa la dinamica del sinistro e la relativa situazione di contesto, come emergenti dalle sentenze di merito e nei termini già esplicitati nella trattazione delle prime due censure proposte nell'interesse di santo A.A. (precedenti paragrafi 2.2. e 2.3), deve in questa sede evidenziarsi che le opposte decisioni di merito in ordine alla posizione di B.B., fondano sulla medesima ricostruzione fattuale, come emerge da quanto già esplicitato nella trattazione del secondo motivo dedotto dal citato B.B. (paragrafi 4.2.4 e 4.2.5).
Si è difatti già evidenziato che il giudice di primo grado, ricostruita la dinamica del sinistro, assolve B.B., pur ritenendolo datore di lavoro e pur nell'assenza della predisposizione della documentazione sulla sicurezza. Ritenuta la posizione di garanzia in capo all'imputato e accertata la condotta contestata, si esclude la responsabilità dell'imputato asserendo, sostanzialmente al fine di ritenere non accertata la c.d. "causalità della colpa", che "la circostanza che il B.B. fosse datore di lavoro dell'D.D. non comporta automaticamente non implica automaticamente la sua responsabilità per la morte del lavoratore, giacché altrimenti ci troveremmo davanti ad una responsabilità "da posizione"".
La Corte territoriale, come emerge diffusamente dal tessuto argomentativo della sentenza impugnata, sulla base dei medesimi elementi fattuali sottesi alla decisione di primo grado, ritiene la responsabilità (agli effetti civili) di B.B. per l'evento occorso al lavoratore muovendo dall'accettata posizione di garanzia sostanzialmente assunta dall'attuale ricorrente quale gestore del rischio, perché datore di lavoro in termini sostanziali cui competeva dunque la predisposizione della documentazione in materia di sicurezza, accertata come non predisposta.
All'esito, la Corte territoriale evidenzia quali conseguenze della detta omessa predisposizione della documentazione di cui innanzi, quindi della totale omessa valutazione e gestione del rischio, l'omessa informazione e formazione del lavoratore circa gli specifici rischi da crollo del muro effettivamente concretizzatisi nella fattispecie, proprio in quanto rischi non preventivamente individuati dal prevenuto, per l'omessa predisposizione della documentazione, e quindi non gestiti.
In tali termini, diversamente dal giudice di primo grado, si focalizza, all'esito di una valutazione ex post, il comportamento alternativo lecito nell'ottica dell'accertamento della "causalità della colpa", invece sostanzialmente esclusa all'esito del primo grado di merito.
4.3.5. Dal raffronto degli apparati motivazionali sottesi alle due sentenze emerge quindi che il ribaltamento in appello della sentenza assolutoria, ancorché ai soli effetti civili, fonda nella differente valutazione in termini giuridici delle stesse premesse fattuali della decisione riformata, emergenti peraltro dai medesimi elementi probatori, con la conseguente non necessaria rinnovazione istruttoria. Trattasi altresì di ribaltamento supportato dall'evidenziata motivazione rafforzata che si confronta in termini critici e specifici con le ragioni opposte della sentenza riformata in termini maggiormente persuasivi, come emergenti dall'esposta motivazione non sindacabile, in questa sede in quanto coerente e non manifestamente illogica, con la quale il ricorrente non confronta il proprio dire anche laddove sindaca l'accertata responsabilità nonostante la presenza di altri garanti, tra cui A.A. Rileva difatti in merito ribadire il principio di diritto, cui si è conformato il giudice di merito ma non il ricorrente, per il quale in tema di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, ciascuno dei titolari della posizione di garanzia, ove ve ne siano più d'uno, è destinatario, per intero, dell'obbligo di tutela imposto ex lege, sicché l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile a ogni singolo gestore del rischio (ex plurimis, tra le più recenti, Sez. 4, n. 10460 del 2/01/2025, Andrulli, Rv. 287550 -01).
5. In conclusione, al rigetto del ricorso consegue la condanna di B.B. al pagamento delle spese processuali mentre alla ritenuta inammissibilità del ricorso proposto nell'interesse di Santo A.A. segue la condanna di quest'ultimo al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. e valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso proposto da A.A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Rigetta il ricorso di B.B. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma l'8 aprile 2025.
Depositata in Cancelleria il 24 maggio 2025.