Cassazione Penale, Sez. 4, 05 giugno 2025, n. 20947 - Caduta dall'alto del lavoratore. Annullamento della sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio nei confronti del datore di lavoro. Assolto il CSE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere
Dott. RANALDI Alessandro - Relatore
Dott. BRANDA Francesco Luigi - Consigliere
Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a L il Omissis
B.B. nata a V il Omissis
inoltre:
Parti civili
avverso la sentenza del 31/05/2024 della Corte d'Appello di L'aquila.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Alessandro Ranaldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo l'annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio alla Corte d'Appello competente;
udito il difensore, avvocato Cieri Fiorenzo del foro di Vasto, in difesa di B.B., che ha insistito per l'accoglimento del ricorso;
udito il difensore, avvocato Cappa Alessandra del foro di Vasto, in difesa di A.A., che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. Con sentenza del 31.5.2024, la Corte di appello dell'Aquila - su appello della difesa delle parti civili costituite - in riforma della sentenza di primo grado, che aveva assolto gli imputati dal reato loro ascritto per insussistenza del fatto, ha dichiarato A.A. e B.B. civilmente responsabili dell'omicidio colposo in danno di C.C.
1.1. La contestazione mossa agli imputati - l'A.A. nella qualità di datore di lavoro (legale rappresentante della Srl Edil Coin) e la B.B. in qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori (CSE) - è quella di aver cagionato colposamente la morte del C.C., il quale, perdendo l'equilibrio mentre era intento a lavorare in una delle palazzine in costruzione (contraddistinta come A4) ad un'altezza di circa m. 2,70 - per la realizzazione delle casseforme per le travi di orditura del penultimo solaio - precipitava nel vuoto e riportava lesioni gravi che ne determinavano il decesso (in Vasto il 19.6.2008; morte avvenuta in Pescara il 21.6.2008).
1.2. Il Tribunale di Vasto aveva assolto gli imputati dall'accusa, avendo accertato che il lavoratore, il giorno del fatto, discostandosi dalle disposizioni ricevute e dalla specifica formazione impartitagli, ed assumendo un'iniziativa non contemplata nel piano di lavoro di quella giornata, aveva dato causa all'evento, operando imprevedibilmente senza avvalersi dei dispositivi di sicurezza.
1.3. La Corte di appello ha ritenuto, invece, la responsabilità del datore di lavoro e del CSE, ritenendo che nel luogo ove era avvenuto l'infortunio i lavori fossero effettivamente in corso e riscontrando l'assenza di ponteggi per evitare cadute dall'alto, addebitando all'A.A. l'omessa predisposizione di apposite strutture prevenzionali e alla B.B. l'omessa verifica in ordine all'applicazione da parte delle imprese operanti nel cantiere delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento.
2. Avverso tale sentenza propongono distinti ricorsi per cassazione i difensori di A.A. e B.B.
3. Il ricorso nell'interesse di A.A. lamenta quanto segue.
I) Violazione di legge, per omessa assunzione delle prove dichiarative considerate decisive.
Si deduce la violazione dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., per non avere la Corte distrettuale rinnovato l'istruttoria dibattimentale mediante nuovo esame dei testi D.D., E.E., F.F. e G.G., le cui deposizioni erano state ritenute decisive dal primo giudice e che sono state rivalutate solo cartolarmente dai giudici di appello ai fini della riforma in peius, agli effetti civili, della sentenza appellata.
II) Violazione di legge e vizio di motivazione, per assenza di motivazione rafforzata, nonostante il ribaltamento in peius della decisione di primo grado, sia pure ai soli effetti civili, anche per il mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio".
III) Vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo e al nesso di causa.
Si deduce che il giudice di appello non ha considerato che in primo grado era stato accertato che il cantiere era dotato, in ogni sua parte, dei ponteggi esterni nonché, nelle zone interne degli edifici, dei trabattelli mobili; inoltre, il giorno del fatto nel cantiere era presente il caposquadra/preposto, G.G.. La sentenza ha attribuito all'A.A. una responsabilità oggettiva di posizione, non cogliendo la differenza tra i ponteggi fissi esterni e le opere provvisionali mobili, entrambi presenti nel cantiere. Le opere provvisionali non possono che seguire lo sviluppo dei lavori stessi e la Corte di appello non ha svolto alcuna verifica in tal senso, non avendo accertato, alla data del 19.6.2008, lo sviluppo dei lavori del cantiere di cui si discute, per stabilire in quale area si doveva lavorare. I testi G.G. e F.F. avevano riferito che i lavori si dovevano svolgere su una diversa palazzina (contraddistinta come A3), nella quale, non a caso, erano posizionati sia i ponteggi fissi esterni, sia le opere provvisionali interne (trabattelli) atte a prevenire il rischio di caduta dall'alto. Inoltre, la Corte territoriale, con motivazione apodittica, riconduce la responsabilità dell'evento all'A.A., in ragione della sua qualità di datore di lavoro, nonostante costui avesse assolto a tutti i suoi obblighi e funzioni sotto il profilo della garanzia della sicurezza sul luogo di lavoro. Peraltro, neanche è stato considerato che nel cantiere di cui si discute era presente un preposto (G.G.) cui era demandata la vigilanza sull'esecuzione dei lavori in sicurezza. Manca la motivazione in merito al profilo soggettivo della colpa e difetta una valutazione anche in ordine alla sussistenza del nesso causale, non essendosi la Corte di appello confrontata con la sentenza di primo grado, che aveva affermato come il C.C. avesse assunto una iniziativa contraria al piano di lavoro previsto per quella giornata, omettendo di indossare lo specifico dispositivo di protezione di cui era regolarmente fornito.
3.1. È stata avanzata istanza di sospensione della provvisionale ex art. 612 cod. proc. pen.
4. Il ricorso nell'interesse di B.B. lamenta quanto segue.
I) Violazione di legge, per omessa assunzione delle prove dichiarative considerate decisive.
Si deduce la violazione dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., per non avere la Corte distrettuale rinnovato l'istruttoria dibattimentale mediante nuovo esame dei testi D.D., E.E., F.F. e G.G., le cui deposizioni erano state ritenute decisive dal primo giudice e che sono state rivalutate solo cartolarmente dai giudici di appello ai fini della riforma in peius, agli effetti civili, della sentenza appellata.
II) Violazione di legge e vizio di motivazione circa la responsabilità della ricorrente.
Si deduce l'errore della Corte distrettuale, per avere rinvenuto inesistenti omissioni in capo alla B.B. e per avere sminuito il comportamento assolutamente eccentrico ed imprevedibile del lavoratore, il quale aveva assunto un'iniziativa personale in una zona del cantiere ove non doveva essere effettuato nessun intervento. Il coordinatore per la sicurezza non aveva modo di accorgersi dell'omessa adozione delle misure precauzionali, essendo a lui devolute solo funzioni di alta vigilanza e dovendosi considerare che sul posto esisteva la figura del preposto e del responsabile di commessa.
III) Si deduce che per evidenziare la responsabilità della ricorrente la sentenza impugnata richiama le risultanze di un sopralluogo nel cantiere avvenuto il 21.11.2007, in cui la B.B. aveva riscontrato alcune difformità in materia di sicurezza e aveva ordinato la messa in sicurezza dei passaggi sulle travi del blocco A4, addebitandole l'omesso controllo sull'adempimento di tali prescrizioni. La motivazione sul punto è illogica, in quanto ha ravvisato un nesso di causalità tra il sopralluogo del novembre 2007 e l'evento, avvenuto il 21.6.2008, a distanza cioè di sette mesi dal sopralluogo. Rispetto al dato temporale, è evidente che la valutazione della Corte di merito è errata, poiché l'ordine di messa in sicurezza delle travi del 21.11.2007 non poteva che riferirsi alle travi di fondazione del blocco A4, diverse da quelle interessate dal sinistro. Inoltre, i ponteggi perimetrali agli edifici A3 e A4 risultavano perfetti, mentre le lavorazioni all'interno si effettuavano con una programmazione secondo un ordine stabilito. I giudici territoriali avrebbero dovuto distinguere i compiti che contraddistinguono il CSE da quelli del responsabile del cantiere (G.G.), quest'ultimo avente compiti più operativi e gestionali. Non rientra tra i compiti del CSE la verifica dei rischi specifici attinenti alle singole lavorazioni della ditta appaltatrice.
IV) Si deduce l'erroneità dell'affermazione secondo cui il C.C. stava operando in un ambiente che non rispettava i minimi standard di sicurezza, essendo emerso dalle deposizioni testimoniali che i fabbricati A3 e A4 erano dotati di ponteggio fisso e che il C.C. si era discostato dalle direttive ricevute, operando in una zona ove non era previsto quel giorno il ponteggio mobile. Il CSE, in ogni caso, non è tenuto ad un puntuale controllo delle lavorazioni.
V) Vizio di motivazione circa la pronuncia di condanna oltre ogni ragionevole dubbio, per assenza di motivazione rafforzata.
4.1. È stata avanzata istanza di sospensione della provvisionale ex art. 612 cod. proc. pen.
5. Sono state depositate conclusioni scritte dal difensore delle parti civili.
Diritto
1. I proposti ricorsi sono fondati, sulla scorta delle seguenti considerazioni.
2. Occorre qui ribadire il principio enunciato da lungo tempo dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (sin da Sez. 1, n. 1381 del 16/12/1994 -dep. 1995, Felice, Rv. 201487-01), secondo il quale la decisione del giudice di appello, che comporti totale riforma della sentenza di primo grado, impone la dimostrazione dell'incompletezza o della non correttezza ovvero dell'incoerenza delle relative argomentazioni, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente dimostrazione che, sovrapponendosi in toto a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato ad elementi di prova diversi o diversamente valutati. Inoltre, il giudice di appello, allorché prospetti ipotesi ricostruttive del fatto alternative a quelle ritenute dal giudice di prima istanza, non può limitarsi a formulare una mera possibilità, come esercitazione astratta del ragionamento, disancorata dalla realtà processuale, ma deve riferirsi a concreti elementi processualmente acquisiti, posti a fondamento di un iter logico che conduca, senza affermazioni apodittiche, a soluzioni divergenti da quelle prospettate da altro giudice di merito.
In buona sostanza, la totale riforma della sentenza di primo grado impone al giudice di appello di raffrontare il proprio decisum, non solo con le censure dell'appellante, ma anche con il giudizio espresso dal primo giudice, che si compone sia della ricostruzione del fatto che della valutazione complessiva degli elementi probatori, nel loro valore intrinseco e nelle connessioni tra essi esistenti.
Sul tema in disamina la giurisprudenza della Suprema Corte ha elaborato il concetto di "motivazione rafforzata", per esprimere, con la forza semantica del lemma, il più intenso obbligo di diligenza richiesto al giudice di secondo grado nel caso di pronuncia di condanna in seguito ad assoluzione pronunciata dal primo giudice (Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, Marsili, Rv. 262907-01; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679-01)
Si tratta di giurisprudenza che è andata successivamente sviluppandosi alla luce della lettura della innovazione introdotta nel 2006 (art. 5 legge 20 febbraio 2006, n. 46) con la modifica dell'art. 533 cod. proc. pen. e l'introduzione del canone dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio". Si ritiene che esso implichi che, in mancanza di elementi sopravvenuti, la valutazione peggiorativa compiuta nel processo d'appello sullo stesso materiale probatorio acquisito in primo grado, debba essere sorretta da argomenti dirimenti, tali da rendere evidente l'errore della sentenza assolutoria, la quale deve rivelarsi, rispetto a quella d'appello, non più razionalmente sostenibile, per essere stato del tutto fugato ogni ragionevole dubbio sull'affermazione di colpevolezza. Perché possa dirsi rispettato il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio non è, dunque, più sufficiente una mera diversa valutazione caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo invece una forza persuasiva superiore, tale da far cadere "ogni ragionevole dubbio", in qualche modo intrinseco alla stessa situazione di contrasto. Ciò anche sulla scorta del principio secondo cui la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza, ma la mera non certezza della colpevolezza (Sez. 6, n. 40159 del 03/11/2011, Galante, Rv. 251066-01).
3. Al suddetto orientamento giurisprudenziale in tema di "motivazione rafforzata" si è, poi, aggiunta l'elaborazione che, spostando l'analisi sulle ragioni istruttorie della diversa decisione di appello, ha statuito in ordine all'esigenza che, qualora l'overturning pregiudizievole per l'imputato si basi (anche) su una diversa valutazione di prove dichiarative decisive assunte dal primo giudice, incombe sul giudice di appello l'obbligo, prima di decidere, di rinnovare ex art. 603 cod. proc. pen. l'istruttoria dibattimentale, in maniera tale da poter apprezzare dalla viva voce dei dichiaranti, nel contraddittorio dibattimentale, il senso e la portata delle loro dichiarazioni.
Si tratta dell'ormai noto orientamento di questa Corte di legittimità, secondo cui la previsione contenuta nell'art. 6, par. 3, lett. d) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU - che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne - implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all'esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487-01), e ciò anche qualora l'imputato abbia optato per il rito abbreviato (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269787-01).
Tale insegnamento della Corte di legittimità ha trovato piena attuazione legislativa nella riforma introdotta dalla legge n. 103/2017 (entrata in vigore il 3.8.2017), con la quale, tra l'altro, all'art. 603 cod. proc. pen. è stato aggiunto il comma 3-bis: "Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale"; previsione normativa rimasta sostanzialmente immutata con la modifica introdotta dal D.Lgs. 150/2022, salva la precisazione per cui l'esigenza della rinnovazione è limitata alle sole prove dichiarative "assunte in udienza nel corso de! giudizio dibattimentale di primo grado o all'esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli articoli 438, comma 5, e 441, comma 5".
L'interpretazione letterale della norma non lascia adito a dubbi di sorta: l'appello del pubblico ministero (e della parte civile) basato su censure che attengono alla valutazione della prova dichiarativa, impone al giudice del gravame di disporre la rinnovazione della relativa istruttoria dibattimentale, e quindi di dare nuovo sfogo all'esame dibattimentale dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni controverse, decisive ai fini della ricostruzione del fatto e della decisione.
Ciò vale anche qualora il giudice di appello abbia riformato la sentenza assolutoria resa in primo grado e condannato l'imputato - come nel caso - ai soli effetti civili, poiché la regola processuale posta dall'art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen. configura una garanzia fondamentale dell'ordinamento, la cui violazione qualifica la sentenza come emessa al di fuori dei casi consentiti dalla legge (cfr. Sez. 6, n. 14062 del 16/03/2021, A., Rv. 281661 - 01).
4. A tali coordinate ermeneutiche e normative non si è conformata la Corte territoriale, la quale, nel caso in esame, in evidente violazione del comma 3-bis dell'art. 603 cod. proc. pen., a fronte di una sentenza di primo grado che aveva assolto gli imputati sulla base di una complessiva valutazione delle prove dichiarative, tra cui, principalmente, quelle rese dai testi E.E., F.F., G.G. e D.D., ha riformato la sentenza assolutoria di primo grado senza procedere ad alcuna rinnovazione istruttoria e valutando diversamente le deposizioni rese dai suddetti testi.
Va aggiunto che non è stato neanche rispettato il principio, dianzi enunciato, della motivazione rafforzata, avendo la Corte territoriale offerto un percorso argomentativo carente e apodittico, sia con riferimento alla questione attinente alla prospettata iniziativa autonoma del lavoratore nell'esecuzione della lavorazione da cui è derivato l'infortunio, questione da cui dipende la valutazione sulla necessaria presenza o meno, nell'area di lavoro in disamina, del trabattello, con inevitabili ripercussioni sulla posizione di responsabilità degli imputati, e principalmente del datore di lavoro; sia con riguardo all'erroneo riferimento fatto dai giudicanti, quanto alla dinamica dell'infortunio, alla mancanza di ponteggi fissi, evidentemente irrilevanti nel caso di specie, trattandosi di incidente addebitato ai prevenuti in ragione della accertata assenza di un ponteggio (non fisso ma) mobile.
5. La motivazione della sentenza impugnata appare illogica, contraddittoria ed erronea in diritto con particolare riferimento alla posizione del CSE B.B., essendo stata attribuita a tale figura una posizione di responsabilità incompatibile con la relativa posizione di garanzia desumibile dalla normativa antinfortunistica ed eccentrica rispetto a quanto concretamente accertato.
I giudici territoriali hanno dato rilevanza al sopralluogo operato dal CSE il 21.11.2007, durante il quale erano state riscontrate delle difformità in materia di sicurezza, per cui la B.B. aveva ordinato la messa in sicurezza dei passaggi sulle travi del blocco A4.
Secondo la Corte territoriale - in sintesi - l'incidente sarebbe addebitabile al CSE che non avrebbe controllato il rispetto delle prescrizioni imposte all'impresa edile all'indomani del sopralluogo. Tuttavia, al di là del fatto che non risulta compiutamente accertato che quelle prescrizioni non fossero state rispettate, è appena il caso di rilevare che da tali argomentazioni non è dato comprendere come si sia ravvisato il nesso di causalità tra il sopralluogo del 21.11.2007 e l'incidente del 19.6.2008. L'incidente, infatti, è avvenuto a distanza di diversi mesi dal sopralluogo "incriminato" ed in presenza, quindi, di una situazione di cantiere completamente diversa da quella riscontrata, all'epoca, dal CSE, il quale, fra l'altro, alla data del 21.11.2007 aveva valutato una situazione di rischio "basso" rispetto alle riscontrate inadempienze.
La motivazione è anche contraddittoria là dove, da una parte, afferma il noto principio per cui al CSE sono attribuite prevalentemente funzioni di alta vigilanza, che si esplicano prevalentemente mediante procedure e non poteri-doveri di intervento immediato, attinenti alla generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, mentre non rientrano fra i suoi compiti il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto) (cfr., fra le tante, Sez. 4, n. 24915 del 10/06/2021, Paletti, Rv. 281489 - 01); dall'altra, gli imputa l'omesso controllo di una lavorazione comportante un rischio specifico dell'impresa, fra l'altro in presenza del capocantiere/preposto (G.G.) cui era demandato il controllo delle lavorazioni, quindi in assenza di una situazione di rischio interferenziale e, comunque, senza offrire alcuna argomentazione tesa a dimostrare che il CSE fosse a conoscenza della lavorazione messa in atto dal lavoratore infortunato e avesse avuto la possibilità di intervenire in presenza di una situazione di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile.
6. Le superiori considerazioni impongono l'annullamento della sentenza impugnata: senza rinvio, per non aver commesso il fatto, nei confronti di B.B., stante l'evidente estraneità della stessa all'incidente mortale per cui si procede; con rinvio nei confronti di A.A., la cui posizione di responsabilità quale parte datoriale del lavoratore deceduto dovrà essere adeguatamente vagliata dal giudice civile competente per valore in grado di appello, il quale provvederà anche alla regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Rimangono assorbite le istanze proposte dagli imputati ai sensi dell'art. 612 cod. proc. pen. per la sospensione dell'esecuzione delle condanne civili, condanne evidentemente annullate dalla presente decisione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di B.B. per non aver commesso il fatto.
Annulla la medesima sentenza nei confronti di A.A. e rinvia, per nuovo giudizio, al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 30 aprile 2025.
Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2025.