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PREPOSTI (artt. 4, 90, d. lgs. n. 626/1994; d.p.r. n. 547/1955, artt. 4, lett. c), 47, 2° e 3° comma, 5, 1° comma, 345, 346, ult. comma)

Il preposto è colui che nell’ambito dell’organizzazione aziendale sovrintende alle attività di un determinato gruppo di lavoratori. In ordine all’esecuzione e alla disciplina del lavoro, ai preposti sono conferiti i poteri gerarchici, necessari alla sorveglianza e al controllo del comportamento dei lavoratori, secondo le direttive impartite dai dirigenti o dai datori di lavoro.

Come per i dirigenti, anche l’individuazione dei preposti  va compiuta non in relazione alla qualifica rivestita ma piuttosto – per il c.d. principio dell’effettività - con riferimento alle reali mansioni svolte, che implicano l’assunzione di fatto di responsabilità connesse alla posizione di supremazia, che consentono di impartire ordini, istruzioni e direttive sul lavoro da eseguire.
Dunque, il preposto può essere chi esplica le mansioni di caposquadra (Cass. Pen. 6 luglio 1988, n. 7999, ISL, n. 2/2002, p. 6; Cass. Pen., sez. IV, 20 giugno 1998, n. 2277, CED Cassazione 1998; Cass. Pen. Sez. IV 28 maggio 1999, n. 6824, Ambiente e Sicurezza, n. 19, 2000, 62), o chi, dotato di maggiore esperienza e competenza tecnica, è posto di fatto nel ruolo di coordinare una specifica lavorazione, essendo a tal fine dotato di autonomia decisionale e di capacità di riferire in merito ai problemi insorti  (Cass. Pen. Sez. IV, 18 maggio 2001, n. 20145, in Ambiente e sicurezza sul lavoro, 2002, p. 7), od anche chi, pur non appartenendo  alla struttura aziendale, di fatto è preposto con effettivi poteri all’attività lavorativa (Cass. Pen. Sez. IV, 13 settembre 2001, n. 33548, in Ambiente e sicurezza, n. 19, 2001, p. 49).
Il preposto può anche essere un lavoratore inesperto (nel qual caso emergerebbe con evidenza la responsabilità concorrente del datore di lavoro per culpa in eligendo); quello che è giuridicamente rilevante è il fatto che si siano concretamente esercitati poteri di supremazia attraverso ordini e direttive normalmente osservate da parte dei lavoratori ( Cass. Pen. 5 febbraio 1997 n. 952, in DPL, n. 13/1997; Cass. Pen. Sez. IV, 23 luglio 1997, n. 7245, in DPL, n. 37/1997).

Per quanto attiene alle responsabilità addossabili al preposto in materia di sicurezza, vi sono innanzitutto quelle relative all’ obbligo di vigilanza e controllo, connesse alle dimensioni del luogo e dalle modalità di svolgimento del lavoro, le quali possono di fatto sminuire la possibilità di un controllo effettivo e costante su tutti i lavoratori contemporaneamente, fino ad arrivare ad escludere ogni responsabilità del preposto (Cass. Pen. Sez. III 5 aprile 2000 n. 4265, Ambiente e Sicurezza, n. 12/2000). A ben vedere, tuttavia, il vero compito del preposto resta quello di assicurarsi, personalmente e senza intermediazioni,  che i lavoratori eseguano le disposizioni di sicurezza loro impartite (Cass. Pen- Sez. IV, 12 gennaio 1998, n. 108, CED 177370). Il preposto non può limitarsi a disporre ma deve pretendere  l’osservanza delle disposizioni prevenzionistiche (Cass. Pen. Sez. IV 16 dicembre 1999, n. 14243, Ambiente e Sicurezza, n. 3/2000), avvalendosi di tutti i poteri coercitivi e disciplinari a sua disposizione (art. 4, 1° comma, lett. c), DPR n. 547/1955; art. 590, 1°, 2°, 3° comma Cod. pen.), ad esempio, per far utilizzare i dispositivi di protezione individuale (Cass. Pen. Sez. IV, 13 luglio 1990 n. 10272, in DPL n. 39/1990). Infatti, l’imprudenza del lavoratore non interrompe il nesso causale tra evento infortunistico e condotta colposa del preposto: il lavoratore deve essere  tutelato anche dai suoi stessi errori. Peraltro, rispetto al citato art. 4 lett. c) del DPR n. 547/1955, che impone al preposto di disporre ed esigere dal lavoratore l’osservanza delle misure di sicurezza, la responsabilità del preposto va oggi correttamente intesa alla luce di quanto dispone l’art. 4, 5° comma, lett. f) del D. Lgs. n. 626/1994, secondo il quale il preposto deve richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, visto il maggior coinvolgimento che i lavoratori hanno nell’ambito della nuova organizzazione della sicurezza, quali beneficiari ma anche quali responsabili (art. 5. d. lgs. n. 626/1994). La citata disposizione non modifica tuttavia il dovere di non tolleranza da parte del preposto così come ribadito dalla costante giurisprudenza di legittimità (cfr., Cass. Pen. Sez. III, 27 gennaio 1999, n. 1142, CED 212822).

Ad integrazione delle descritte funzioni di vigilanza e controllo, al preposto spetta anche il compito di segnalare carenze e richieste ai dirigenti e/o al datore di lavoro per la fornitura di attrezzature idoneee ad eliminare o ridurre i rischi specifici connessi all’attività lavorativa ed all’uso delle stesse attrezzature (Cass. Pen, Sez. IV, 3 ottobre 2001, n. 35819, ISL, n. 2/2002, p. 103; Cass. Pen. Sez. IV 30 maggio 2000, n. 6297, ISL, n. 2/2002, p. 105; Cass. Pen. Sez. IV 9 marzo 2001 n. 9862, Ambiente § Sicurezza sul lavoro, n. 7/8/2001, p. 491), esclusi ovviamente eventuali difetti strutturali: tutte le inidoneità originarie o sopravvenute di macchine ed impianti, non dovute a manomissioni successive, sono infatti addebitabili esclusivamente a datori di lavoro e dirigenti (cfr. Cass. Sez. Pen. III, 3 dicembre 1999 n. 13835, ISL, n. 3/2000, p. 148).