REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele - Presidente

Dott. FIGURELLI Donato - Consigliere

Dott. CUOCO Pietro - Consigliere

Dott. MAIORANO Francesco Antonio - rel. Consigliere

Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza



sul ricorso proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

V.S.;

- intimato -

e sul 2^ ricorso n. 22068/05 proposto da:

V.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA COL DI LANA 28, presso lo studio dell'avvocato PENNA CARLO, rappresentato e difeso dall'avvocato MARZIALE GIUSEPPE, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente al ricorso incidentale -

avverso la sentenza n. 1260/04 della Corte d'Appello di NAPOLI, depositata il 13/08/04 - R.G.N. 854/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/10/07 dal Consigliere Dott. Francesco Antonio MAIORANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

 

 

 
Fatto
 

 

Con ricorso alla Corte d'Appello di Napoli la Ferrovie dello Stato Spa proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Napoli con la quale era stata accolta domanda di V.S. ed accertata la natura di infortunio sul lavoro in relazione ai due incidenti occorsi in data 13/4/87 e 27/7/95 e riconosciuto per il primo il diritto al pagamento della somma L. 5.400.000 e per il secondo di L. 18.600.000.

Il lavoratore resisteva al gravame e proponeva appello incidentale per il pagamento dell'ulteriore somma di Euro 11.155,00 e la Corte d'Appello confermava la decisione sulla base delle seguenti considerazioni: quanto al primo infortunio, il ricorrente, inquadrato come operaio deviatore, 5^ livello, 2^ area, era presente nei reparto lamieristi nella sua qualità di componente RSA, delegato FILT CGIL, nell'impianto di (OMISSIS), quando venne raggiunto dai bagliori di una saldatrice sita a poca distanza e priva di schermi protettivi, subendo un edema oculare ed un deficit visivo con un danno permanente del 5-7%; il secondo infortunio invece si era verificato presso l'impianto Napoli smistamento, in quanto il lavoratore dopo avere inserito oli lubrificanti nei deviatori ferroviari si era ferito al palmo della mano: mentre apriva il rubinetto della fontana destinata al lavaggio dei lavoratori, urtava la mano contro una lingua metallica sporgente ivi applicata come stringi tubo; in conseguenza di ciò era stato sottoposta ad intervento chirurgico per ricollegare il nervo radiale del secondo dito della mano sinistra, con una menomazione permanente del 12%.

La presenza nel reparto lamieristi era giustificata dall'esigenza di svolgere la sua azione sindacale come membro della commissione interna e sussisteva la responsabilità delle Ferrovie per violazione dell'obbligo di sicurezza D.P.R. n. 547 del 1955, ex art. 59, comma 2, per la mancanza di schermi di protezione, anche se sussisteva una corresponsabilità del V. per avere lo stesso rivolto lo sguardo verso la saldatrice, pur essendo stato avvisato che tale condotta era pericolosa; il primo giudice aveva correttamente valutato tale responsabilità nella misura dell'80% e le conseguenze lesive del 9% risarcibile nella misura di L. 3.000.000 a punto e quindi il danno quantificato in L. 27.000.000, con un quota a carico della società di L. 5.400.000.

La dinamica del secondo infortunio era stata confermata dalla istruttoria espletata e palese era la violazione dell'obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c., trattandosi di una fascia stringi tubo scoperta e tagliente posta vicino ad una fontana in posizione tale che da potersi tagliare; la pericolosità era confermate dal fatto che pochi giorni dopo l'infortunio la società aveva provveduto ad asportare la fascia e poi ad eliminare la stessa fontana.

Il danno biologico subito dal lavoratore era stato valutato in una invalidità temporanea di 72 giorni, risarcibile nella misura di L. 50.000 al giorno, per complessive L. 3.300.000 con postumi permanente del 5% risarcibili nella misura di L. 3.000.000 a punto per l'importo complessivo di L. 18.600.000.

Riporta quindi il giudice d'appello le contestazioni della società sul ruolo sindacale del V. all'interno dell'azienda, sulla ammissibilità o meno di una prova orale sul punto e quindi sulla legittimità della presenza del lavoratore nel reparto lamieristi, nonchè sulla colpa esclusiva, in ordine al primo infortunio, dello stesso lavoratore (perchè pur essendo stato avvisato di non guardare aveva effettuato un movimento della testa verso la fiamma improvviso ed imprevisto), idonea ad interrompere il nesso di causalità fra il comportamento omissivo della società ed il fatto e sull'obbligo del lavoratore di fornire la prova, che non era stata invece fornita, dell'inadempimento de datore di lavoro.

Indica poi la Corte d'Appello le ragioni del rigetto dell'appello principale, precisando che tali contestazioni erano infondate perchè la prova orale era ammissibile, in difetto di specifiche preclusioni e nel merito era risultato provato, con la deposizione F., che il V. dal 1987 era componente della commissione interna e quindi la sua presenza era giustificata con l'incarico sindacale dello stesso, confermato anche dalla esibizione dei verbali di riunione sindacale; peraltro non era stata vietata la mobilitò del lavoratore all'interno dell'azienda in modo da "rendere contrattualmente lesivo il comportamento del lavoratore".

Quanto alle misure di protezione, la corresponsabilità della società era data dal fatto che nessun rimedio antinfortunistico era stato predisposto (schermi di protezione), pur in presenza di una particolare pericolosità della lavorazione, e non era stato nemmeno "manifestato e/o applicato il divieto sostenuto dall'azienda- di accesso al reparto a tutti gli estranei".

Quanto alla ripartizione della responsabilità fra l'azienda ed il lavoratore, doveva rilevarsi che l'iniziativa di questi di porsi in una situazione di rischio non costituiva esimente per l'azienda perchè è onere del datore evitare i comportamenti lesivi del lavoratore salvo il caso di comportamenti dello stesso di "assoluta abnormità ed inopinabilità" in quanto la misura protettiva è destinata ad evitare rischi derivabili da comportamenti "prevedibili" sia sotto il profilo del normale rispetto della procedure, sia come attività "prospettabili in una ipotesi di normale accadimento".

Nella specie, il criterio della prevedibilità portava a ritenere che un lavoratore potesse avvicinarsi alle operazioni di saldatura, o rivolgere lo sguardo al bagliore della fiamma che ne scaturiva; non era quindi misura idonea l'astratto divieto di accedere al reparto la cui applicazione fosse affidata agli "occasionali suggerimenti di colleghi di lavoro".

Il suggerimento del collega di lavoro di non guardare verso la fiamma, disatteso dal V. rappresentava "senz'altro un'iniziativa che contribuisce in maniera rilevante alla verificazione dell'evento".

Corretta quindi era la distribuzione fra le parti del grado di colpa, che doveva essere confermata.

Per il secondo infortunio i margini di responsabilità dell'azienda erano più marcati: la posizione della fascia stringi tubo rispetto al collo della fontana rendeva perfettamente prevedibile il rischio di contatto in caso di uso della stessa ed il lavaggio era una attività che rientrava nelle usuali modalità della prestazione lavorativa. Per le medesime ragioni svolte in precedenza l'azienda doveva adottare misure idonee ad impedire l'evento.

Peraltro, il comportamento del lavoratore non era stato negligente ed il danno era conseguenza di un fatto del tutto normale, costituito dall'avvicinare la mano al collo della fontana dove c'era la sporgenza tagliente che aveva causato l'infortunio. La misura protettiva era costituita dalla eliminazione della fascia stringi tubo, cui l'azienda aveva provveduto tardivamente dopo il fatto. Sulla misura del danno le contestazioni erano generiche e non c'erano elementi per ritenere che ci fosse una duplicazione, anche parziale, del risarcimento. Entrambi gli appelli principale ed incidentale dovevano essere respinti.
 

 

Diritto
 

 

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la Rete Ferroviaria Italiana Spa fondato su due motivi: col primo si lamenta vizio di motivazione, per non avere il giudice considerato che per entrambi gli infortuni manca una prova diretta del fatto avendo il teste F. per il primo incidente precisato di non avere "visto il ricorrente mentre guardava la fiamma, ma ho solo sentito che diceva "che fiamma" ed il teste C. dichiarato "ho visto V. poco lontano da me che sanguinava da una mano ... non ho visto l'esatto momento in cui il V. si infortunava.

V. disse che s'era fatto male vicino alla fontana".

Entrambe le deposizioni quindi sono "de relato" per avere i testi appreso le modalità dell'incidente nemmeno da un terzo, ma direttamente dall'infortunato: l'attendibilità dei testi è quindi nulla, salvo che il giudice non abbia trovato validi riscontri, che nella specie non sussistono. Il giudice è libero di valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, ma deve indicare le ragioni della statuizione adottata; nella specie ha omesso di indicare gli elementi in base ai quali ritiene accertata la dinamica del sinistro.
 


Col secondo motivo si lamenta il vizio di omessa e contraddittoria motivazione, in ordine al primo infortunio, perchè non provata è la qualifica del V. di rappresentante sindacale ed in ogni caso perchè non era giustificata la sua presenza nel reparto lamieristi.

Entrando nel reparto e volgendo lo sguardo verso la fiamma ha assunto un rischio elettivo, a fronte del quale non si può imputare all'azienda di non avere adottato sistemi di sicurezza che sostanzialmente sarebbero senza confini, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 7792/98; 1331/99).

Nè si può imputare alla società di non avere vigilato sul rispetto del divieto d'accesso a quel reparto, sia perchè si trattava di un operaio esperto come il V. che necessariamente conosceva la pericolosità della lavorazione che ivi si svolgeva, sia perchè lo stesso era stato avvertito da un collega di non guardare perchè c'erano rischi per la salute.

Il divieto d'accesso non era quindi astratto e generico, come ritenuto dal giudice, ma concreto e puntuale. Anche se eventualmente fosse stato legittimato ad accedere al locale, il V. era quindi l'unico responsabile de fatto, che non poteva essere impedito da un ipotetico schermo protettivo.

L'erroneità della sentenza è ancor più evidente col secondo incidente perchè la circostanza che il comportamento non sia "dettato da una particolare negligenza" è solo un deduzione del giudice priva di ogni riscontro probatorio, come contestato dalla società in sede di merito.

Resiste il lavoratore con controricorso e ricorso incidentale fondato su un solo motivo, col quale si lamenta violazione degli artt. 2087 e 1227 c.c., e vizio di motivazione per avere il giudice attribuito all'istante l'80% della responsabilità in ordine al primo infortunio, mentre detta responsabilità ricade per intero sull'azienda per non avere predisposto idonee misure di sicurezza. Nessuna critica sostanziale è stata mossa avverso la quantificazione del danno, che va posto tutto a carico dell'azienda.



Entrambi i ricorsi sono infondati e vanno perciò rigettati.



I due ricorsi avverso la medesima sentenza vanno riunititi. I due motivi del ricorso principale vanno trattati congiuntamente perchè sono aspetti della medesima censura di vizio di motivazione su vari aspetti della vicenda (esistenza della prova diretta dei fatti, attendibilità dei testi "de relato", qualifica di sindacalista dell'infortunato, rischio elettivo, misure di sicurezza, ecc).

In proposito si osserva che la Corte ha già avuto occasione di affermare il principio di diritto, secondo cui "il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della "ratio decidendi", e cioè l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova" (Cass. n. 15693/04).

Nessuno di tali vizi viene però di fatto denunciato, in quanto questo mezzo d'impugnazione si risolve nel proporre una diversa lettura delle prove acquisite: innanzi tutto si rileva che le deposizioni riportate in ricorso, relative ai due infortuni sono state rese da testi presenti al fatto e che come tutti i testimoni oculari hanno percepito, dal loro punto di vista, una parte della vicenda; non è quindi condivisibile la qualificazione loro attribuita dal ricorrente di testi "de relato ex ore actoris" (assolutamente inattendibili), perchè il primo non ha percepito l'attimo in cui il V. guardava verso la fiamma ossidrica, ma ha sentito l'esclamazione "che fiamma" di colui che ha subito l'offesa all'occhio (tanto grave da determinare danni permanenti sia pure di modesta entità), oppure perchè il secondo non ha guardato mentre il ricorrente si lavava le mani alla fontana dove c'era il lamierino tagliente (subito dopo rimosso dall'azienda) ma ha visto l'infortunato con la mano sanguinante nei pressi della medesima fontana. Il primo quindi ha sentito l'esclamazione conseguente all'offesa all'occhio ed il secondo ha visto le immediate conseguenze dell'infortunio un attimo dopo che lo stesso si era verificato; non si può quindi nemmeno parlare di immediato con questo, che pure è un principio di prova, ma di testi oculari che hanno sentito e visto una parte della vicenda accaduta in loro presenza, per cui non sono giustificate le critiche mosse alla sentenza per la valutazione di questi elementi di prova sulla dinamica dei due infortuni.

 

Per quanto riguarda la qualifica del V. di rappresentante sindacale, cui è legata la giustificazione della sua presenza nel reparto lamieristi, si osserva che la critica è generica e quindi inidonea a superare gli accurati accertamenti che ha fatto il giudice di merito, sia a mezzo della prova per testi (deposizione F., secondo cui il V. era componente dell'esecutivo della commissione interna e per tale ragione era spesso presente nel reparto dove era avvenuto l'infortunio) che documentale (verbali di riunioni sindacali).

 

Altrettanto generiche sono le altre censure, quanto al primo infortunio, in ordine alla pretesa impossibilità di adottare idonee misure di protezione o sul divieto di accesso ai locali che secondo l'accertamento del giudice di merito non c'era o non veniva fatto rispettare, quanto al secondo infortunio sulla negligenza del lavoratore.
 


In ordine alla valutazione sulla percentuale della responsabilità per il primo infortunio, si osserva, anche con riferimento al ricorso incidentale, che la decisione è ampiamente motivata sia in relazione alla iniziativa del dipendente (che non costituisce una esimente per il datore di lavoro, salvo il caso di comportamenti abnormi del lavoratore), sia all'obbligo di adottare misure protettive destinate ad evitare rischi da comportamenti prevedibili e che "siano prospettabili in una ipotesi di normale accadimento" (fra cui rientra anche la possibilità che una persona possa rivolgere lo sguardo verso la fiamma ossidrica) sia infine sulla inidoneità delle misure adottate ed alla prevalente responsabilità dello stesso lavoratore, per cui corretta appare "la distribuzione del grado di colpa fra le parti, definita dal primo giudice".

 

Altrettanto completa e congrua è la motivazione relativa alla responsabilità per il secondo infortunio per la posizione della fascia stringi tubo, per cui è prevedibile il rischio di contatto con la stessa in caso di uso della fontana, rientrando l'operazione di lavaggio nelle usuali modalità della prestazione lavorativa, per cui il danno appare conseguente ad un normale movimento costituito dall'avvicinare la mano al collo della fontana, col rischio di urtare contro la sporgenza tagliente; così come adeguata è la motivazione sul dovere del datore di eliminare la situazione di pericolo, cui aveva tardivamente ottemperato, non superata dalle generiche censure mosse sul punto.



Entrambi i ricorsi vanno quindi rigettati. Spese compensate.


 

P.Q.M.
 

 

LA CORTE Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa fra le parti le spese di lite.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2007.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2007