REPUBBLICA ITALIANA
 
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 
 SEZIONE QUARTA PENALE
 
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
 Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente
 
 Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere
 
 Dott. FOTI Giacomo - Consigliere
 
 Dott. MAISANO Giulio - Consigliere
 
 Dott. IZZO Fausto - Consigliere
 
 ha pronunciato la seguente:
 
 SENTENZA/ORDINANZA

 

  
 sul ricorso proposto da:
 
 1) D.R. N. IL (OMISSIS);
 
 avverso SENTENZA del 09/01/2007 CORTE APPELLO di MILANO;
 
 visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
 
 udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. FOTI GIACOMO;
 
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Bua che ha concluso per il rigetto del ricorso;
 
 udito, per la parte civile, l'avv. Raffaelli che ha chiesto il rigetto del ricorso;
 
 udito il difensore avv. (Ndr: testo originale non comprensibile) che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
 
 
 
 

 

Fatto 

 



 

-1- Con sentenza del 4 giugno 2004, il Tribunale di Busto Arsizio ha assolto D.R. e R.A. dal delitto di omicidio colposo in pregiudizio di N.M., nonchè dal delitto di lesioni colpose in pregiudizio di M.C., commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ed ha respinto le richieste risarcitorie avanzate dalle parti civili.
 
 

Era accaduto che il (OMISSIS) il Consorzio intercomunale di servizi ambientali - "ACCAM" -, costituito da 25 comuni della provincia di Varese, al fine di provvedere, tra l'altro, alla raccolta, al trasporto, alla gestione di rifiuti solidi urbani o ad essi assimilabili, anche pericolosi, ed alla realizzazione di impianti per il loro smaltimento, aveva chiesto, come di consueto, alla "D. di D.R. & C. sas" di provvedere alla manutenzione dell'impianto, sito nella sede del consorzio; in particolare, alla pulizia della vasca destinata alla raccolta delle acque piovane e di quelle provenienti dal lavaggio delle pavimentazioni interne dell'intero impianto, acque che venivano poi immesse nella rete fognaria.
 
 

Per eseguire la manutenzione, la ditta D. aveva inviato i propri dipendenti, G.G.F. e S.S.B.A., i quali si erano portati sul posto a bordo di un'autocisterna predisposta per l'esecuzione del lavoro.
 
 

Presi accordi con C.P., dipendente del Consorzio, i due avevano intrapreso il lavoro richiesto, consistente nell'aspirazione dei fanghi contenuti nella vasca e nel lavaggio della stessa. Ad un certo punto, il G., avendo constatato che non tutta la fanghiglia era stata aspirata dalla pompa dell'autocisterna, chiesti al C. una scala ed un idrante, si era calato nella vasca per procedere ad un lavaggio più efficace.

Appena sceso, però, il G. aveva accusato un malore e lo stesso C., sceso a sua volta per aiutare il primo, si era sentito male ed aveva perso i sensi.

Anche N.M. e M.C., richiamati dalle grida di S.S., calatisi nella vasca, erano stati colti da analogo malessere.

Era, infine, intervenuto N.G. che, munitosi di autorespiratore, entrato nella vasca, era riuscito a far portare all'esterno le persone che, colte da malore, non erano riuscite ad uscirne.
 

Le conseguenze di quanto accaduto si erano poi rivelate particolarmente gravi per N.M., deceduto qualche giorno dopo presso l'ospedale di Busto Arsizio in conseguenza della broncopolmonite massiva dovuta dall'azione irritante svolta sull'albero tracheobronchiale dalle sostanze chimiche ingerite; meno gravi le conseguenze per gli altri soggetti coinvolti, M.C., pur ricoverato in ospedale in pericolo di vita, C.P. e G.G..
 

Di tali avvenimenti sono stati, quindi, chiamati a rispondere R.A., quale presidente dell'"ACCAM", e D.R., quale socio accomandatario della "D.".
 
 

Vari i profili di colpa contestati ai due imputati; in particolare, per quanto in questa sede interessa, al D. è stata contestata, oltre che una condotta genericamente connotata da negligenza, imprudenza ed imperizia, la violazione di specifiche norme cautelari.


 
In particolare, del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, lett. f) - per non avere fornito ai propri dipendenti idonei dispositivi di protezione, avendoli dotati di semplici mascherine antipolvere invece che di maschere con autorespiratore - nonchè dell' art. 7, comma 2, lett. a) e b) dello stesso D.Lgs. - per non avere cooperato con il Consorzio all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro e per non avere coordinato gli interventi di protezione e prevenzione dei rischi cui erano esposti i lavoratori -.
 
 

Con la richiamata sentenza, il Tribunale di Busto Arsizio ha, dunque assolto i due imputati per non avere commesso il fatto.

In particolare, per quanto riguarda il D., il tribunale ha rilevato che a costui non avrebbe potuto rimproverarsi nè l'omessa formazione, in materia antinfortunistica, dei propri dipendenti, in specie con riguardo al G., nè la mancata predisposizione dei presidi antinfortunistici, quali mascherine ed autorespiratore, nè l'omessa vigilanza sui cantieri presso i quali i dipendenti prestavano la loro opera.

Lo stesso tribunale ha altresì ritenuto che gli infortuni in questione si erano verificati esclusivamente per colpa del G. che era entrato nella vasca di propria iniziativa senza assicurarsi dell'assenza di gas nocivi, senza preavvertire il D. e senza munirsi dei necessari mezzi di protezione (maschera con filtro con cintura di sicurezza, ovvero autorespiratore, tutti a sua disposizione).
 

 

 -2- Su appello proposto dal Procuratore Generale della Repubblica e dalle parti civili N.G., G.A., N. A., N.E. e M.C., la Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 9 gennaio 2007, in riforma della sentenza del tribunale di Busto Arsizio, ha dichiarato D.R. colpevole dei delitti di omicidio colposo e di lesioni personali colpose in pregiudizio, rispettivamente, di N.M. e M. C. e lo ha condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, nonchè al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore delle parti civili costituite, alle quali ha assegnato delle provvisionali. Con la stessa sentenza, la medesima corte ha dichiarato inammissibile l'appello proposto dal PG nei confronti di R.A. ed ha confermato la sentenza di primo grado in relazione all'appello proposto dalle parti civili nei confronti dello stesso R..
 

Nell'esporre le ragioni della decisione adottata, la corte territoriale ha, anzitutto, premesso che, ai fini della comprensione di quanto avvenuto, e quindi della verifica delle responsabilità, doveva porsi attenzione ad un particolare aspetto del fatto, rappresentato dalla discesa nella vasca da parte del G. senza la protezione di quella che i giudici del gravame hanno considerato l'unica idonea protezione dai pericolosi gas tossici prodotti dal materiale depositato nel fondo della vasca stessa, cioè l'autorespiratore.

Preso atto, quindi, della generale condivisione di tale premessa, non contestata dal giudice di primo grado nè dalle parti, la medesima corte ha affrontato i temi relativi al "se e chi" fosse il soggetto gravato dall'obbligo di evitare quel comportamento e se tale obbligo fosse stato, dal soggetto eventualmente individuato, concretamente adempiuto. In particolare, i giudici del gravame si sono chiesti se dell'azzardata e frettolosa discesa in vasca del G. dovesse esser chiamato a rispondere solo costui, ovvero anche altro soggetto, e chi.
 
 

A tale quesito quei giudici hanno risposto individuando tale soggetto in D.R., datore di lavoro del G..

Nella condotta di costui, la corte del merito ha rilevato specifici profili di colpa, di natura omissiva, rappresentati: dal non avere informato il dipendente dei rischi che comportava l'esecuzione dei lavori affidati, dal non avere tassativamente vietato allo stesso di entrare nella vasca teatro del mortale incidente e dal non avere messo a disposizione idonei dispositivi di protezione, nella specie, un autorespiratore.
 
 

In tema di nesso causale, i giudici del gravame, pur dopo avere dato atto della particolarità della fattispecie, rappresentata da un evento verificatosi ai danni di due soggetti - il M. e N. M. - non dipendenti della "D.", hanno tuttavia ritenuto la sussistenza del rapporto causale tra la condotta colposa attribuita all'imputato ed i tragici eventi oggetto del processo. Ciò sul rilievo che se il G., male istruito ed informato dall'imputato, non fosse sceso nella vasca, ovvero se fosse stato posto nelle condizioni di utilizzare un idoneo mezzo di protezione, nulla sarebbe accaduto.
 

 

-3- Avverso tale sentenza propone ricorso, per il tramite dei difensori, D.R. che deduce:
 

1) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, con riguardo alla condotta colposa di tipo omissivo attribuita all'imputato.
 
 

A tale proposito, premesso che la totale riforma della sentenza assolutoria di primo grado impone, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, un rigoroso esame ed una completa confutazione, da parte del giudice del gravame, delle ragioni poste dal primo giudice a sostegno della propria decisione, sostiene il ricorrente che tale metodica non è stata seguita dalla corte territoriale che avrebbe valorizzato, peraltro interpretandole in maniera difforme rispetto al giudice di primo grado, le dichiarazioni del G. ed avrebbe ignorato quelle rese da altri testi.
 
Ciò con riguardo ad ognuno dei temi oggetto d'esame: da quello della informazione e formazione del personale, a quello del controllo del rispetto, da parte dei lavoratori, delle norme di sicurezza.
 
 

2) Analogo vizio motivazionale e travisamento del fatto vengono dedotti con riguardo ai mezzi di protezione messi a disposizione del personale ed all'efficacia protettiva della maschera con filtro in dotazione al G. il giorno dell'incidente.
 
 

Sostiene il ricorrente che l'autorespiratore era a disposizione dei lavoratori, ove il ricorso allo stesso si fosse reso necessario, e che le ragioni della ritenuta inefficacia della maschera con filtro (il fatto che l'unico ad uscire indenne dalla vasca era stato, quel giorno, N.G. che aveva indossato l'autorespiratore e il contenuto dell'opuscolo illustrativo che specificava come le maschere con filtro non fossero in grado di proteggere dalla inalazione di tutte le sostanze chimiche presenti nella vasca) erano del tutto incongrue, atteso che nessuno di coloro che si erano calati nella vasca indossava maschera con filtro (G. e C. avevano indossato una semplice maschera antipolvere), di guisa che, la deduzione del giudice del gravame sarebbe incoerente rispetto ai fatti accertati; mentre il contenuto dell'opuscoletto illustrativo richiamato in sentenza era stato riportato solo in parte da quel giudice, il quale non ha considerato che esistevano anche maschere con filtro universale, cioè efficaci contro ogni tipo di sostanza chimica.
 
 

 

3) Violazione dell'art. 41 c.p., comma 2 e vizio di motivazione, con riguardo al nesso di causalità.
 
 

A tale proposito, rileva il ricorrente che la corte territoriale, nell'affrontare il problema del nesso causale tra gli eventi verificatisi e la condotta del G., non si è curata di valutare l'ipotesi che nello sviluppo della vicenda possa essersi verificata una interruzione del nesso causale rispetto alla predetta condotta; in particolare, i giudici del gravame non avrebbero considerato la possibilità che il malore del C., calatosi nella vasca privo di maschera, ed il successivo intervento del M. e di N.M. per salvare il C., fossero eventi eccezionali ed imprevedibili rispetto alla condotta imprudente del G., non a costui imputabili.

Problema che, invece, era stato affrontato dal giudice di primo grado, il quale aveva concluso che le successive condotte del C., del M. e del N. si erano poste come fattori eccezionali sopravvenuti rispetto alla serie causale innescata dalla condotta del G..

La stessa corte territoriale avrebbe anche, a giudizio del ricorrente, ricostruito i fatti lasciando intendere che il G. era rimasto nella vasca fino al sopraggiungere di N.G., laddove emergeva dagli atti, come ha evidenziato la sentenza di primo grado, che il G. era subito uscito dalla vasca aiutato dal C., di guisa che lo stesso N. ed il M. erano intervenuti per soccorrere non il G., bensì il C.; circostanza che indicherebbe la natura "eccezionale" della loro condotta rispetto a quella originaria del G..
 

Peraltro, si sostiene ancora nel ricorso, il richiamo dei giudici del gravame al principio della "condicio sine qua non" non è accettabile, secondo il ricorrente, posto che il principio della equivalenza delle cause, fissato nell'art. 41, comma 1, è temperato dal successivo comma 2, che esclude il nesso causale ove l'evento sia stato determinato da una causa sopravvenuta, tale dovendosi intendere, secondo la stessa giurisprudenza di legittimità, non solo un processo causale del tutto autonomo ed indipendente, ma anche un processo non avulso dal precedente, ma caratterizzato da un percorso causale del tutto atipico, anomalo ed eccezionale; un evento che sia il frutto di un fattore eccezionale sopravvenuto, inseritosi nella sequenza originatasi dalla condotta dell'imputato.

Applicando tali principi al caso in esame, sostiene il ricorrente che, mentre rispetto alla condotta del G., imprudentemente entrato nella vasca senza indossare un idoneo mezzo di protezione delle vie respiratorie (condotta di cui il D. è stato ritenuto responsabile), poteva esser considerata conseguenza non anomala l'eventuale suo decesso, lo stesso non potrebbe dirsi con riguardo al malore avvertito dal C., il cui intervento in aiuto del G. era già da ritenersi quale fattore eccezionale sopravvenuto rispetto alla condotta di quest'ultimo, non essendo prevedibile che lo stesso potesse essere soccorso da un soggetto estraneo alla ditta "D." che non aveva alcun dovere di intervenire. Ulteriore interruzione del nesso causale si sarebbe verificata allorchè, uscito il G. dalla vasca, all'interno della stessa si sono calati il M. e N.M., la cui condotta ha dato avvio ad una serie causale del tutto autonoma, rispetto alla quale il malore del dipendente della "D." avrebbe costituito mera occasione;
 
 

4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 580 e 593 c.p.p.; con tale motivo il ricorrente ripropone le eccezioni di natura processuale sollevate davanti al giudice del gravame e da questi respinte.
 
 Con motivi aggiunti, contenuti nella memoria difensiva trasmessa alla cancelleria di questa Corte a mezzo fax in data 1.6.09, il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 133 c.p. ed il vizio di motivazione in punto di determinazione della pena in relazione all'omessa valutazione della condotta imprudente del N. e del M. ed alla mancata considerazione di altrui responsabilità concorrenti.
 
 
  

Diritto

 

 

Inammissibile il motivo di ricorso afferente le eccezioni di natura processuale proposte con il quarto motivo, in ragione della genericità dello stesso e della sua aspecificità rispetto alle argomentazioni poste dalla corte territoriale a fondamento della decisione di rigetto delle stesse, osserva, per il resto, la Corte che il ricorso è fondato, nei termini di seguito esposti.
 
 

1) Se il susseguirsi dei drammatici eventi oggetto di esame non presenta ragioni di contrasto, essendo stati tali eventi negli stessi termini ricostruiti dai giudici dei due gradi del merito, forti divergenze sono emerse tra i giudicanti nella valutazione delle emergenze probatorie, al punto che, come già osservato, nei confronti dell'imputato la corte del merito, pervenendo a conclusioni opposte rispetto a quelle cui era giunto il primo giudice, ha rilevato specifici profili di colpa, di natura omissiva, rappresentati: dal non avere egli informato i dipendenti dei rischi che comportava l'esecuzione dei lavori affidati, dal non aver loro tassativamente vietato l'ingresso nella vasca teatro del mortale incidente e dal non avere messo a disposizione idonei dispositivi di protezione, nella specie, un autorespiratore.

 

a) Quanto al primo punto, i giudici del gravame hanno rilevato come non vi fosse prova alcuna che il G. fosse stato informato della natura del materiale depositato nella vasca, nè del rischio per la salute che esso rappresentava. Mentre l'osservazione difensiva, secondo cui l'imputato non era a conoscenza del tipo di materiale in questione, non escludeva la responsabilità del D. che, attesa la sua posizione e la natura dell'azienda dallo stesso gestita, avrebbe dovuto accertarsene.

b) Quanto al secondo punto, gli stessi giudici, nel richiamare le dichiarazioni rese in dibattimento dal G., hanno rilevato che costui aveva fatto riferimento non ad un preciso e tassativo ordine dell'imputato di non scendere nella vasca, ma solo ad una mera "esortazione" in tal senso indirizzata al dipendente nell'unica occasione in cui il D. aveva presenziato alle operazioni di pulizia; mentre nessuno aveva mai avvertito il lavoratore che prima di scendere nella vasca avrebbe dovuto munirsi di un valido mezzo di protezione delle vie respiratorie.

c) Quanto agli strumenti di protezione messi a disposizione dei dipendenti, la corte del merito ha ricordato che il G. aveva riferito che per l'esecuzione dei lavori del tipo di quelli richiesti dalla "ACCAM" egli utilizzava una maschera munita di filtro, strumento dallo stesso utilizzato il giorno dell'incidente.
 
 

Hanno osservato, in proposito, gli stessi giudici che la maschera con filtro non forniva alcuna garanzia; convinzione dovuta, da un lato, alla constatazione che dalla vasca era uscito indenne solo N. G., che era munito di autorespiratore, dall'altra, al fatto che, secondo quanto risultava segnalato nell'opuscolo che illustra i mezzi di protezione antinfortunistica, le maschere con filtro non proteggono dall'inalazione di tutte le sostanze contenute nella vasca ed individuate in sede di analisi chimica. Non era, peraltro, neanche certo, a giudizio della corte territoriale, che nell'occasione in esame il G. avesse utilizzato una maschera con filtro invece che una semplice maschera antipolvere, ancor più inidonea a garantire la necessaria protezione.
 
 

2) Orbene, non v'è dubbio, ed è riconducibile nella normale dialettica processuale, che il giudice dell'impugnazione possa pervenire a decisioni del tutto contrastanti rispetto a quelle adottate dal giudice di primo grado; è, tuttavia, altrettanto certo che il secondo giudice, allorchè ribalti precedenti statuizioni, deve spiegare le ragioni del proprio dissenso rispetto alle conclusioni cui il primo giudice è pervenuto, dopo aver preso compiutamente in esame e sottoposto a critica analitica le argomentazioni poste da costui a sostegno della propria decisione.
 

Non sembra a questa Corte che ciò sia avvenuto nel caso di specie.

 

a) In realtà, quanto ai temi della informazione e della formazione del personale nonchè della congruità delle direttive impartite dall'imputato al personale dipendente, le conclusioni cui è pervenuto il giudice del gravame non si presentano supportate da un'analisi completa ed organica delle emergenze processuali nè da una critica adeguata ai diversi giudizi espressi nella sentenza di primo grado.
 

Ciò alla luce di quanto, su tali questioni, ha argomentato il primo giudice il quale, richiamando quanto emerso in sede di istruttoria dibattimentale, ha, anzitutto, rilevato come i testi escussi, tutti dipendenti della "D." - F., B. e lo stesso G. - avessero concordemente affermato che "i dipendenti D. erano stati espressamente istruiti a non entrare in alcuna circostanza nelle vasche non ancora completamente pulite, se non previa consultazione con lo stesso D.R. onde consentire a quest'ultimo di verificare con la committenza i rischi e le modalità dell'operazione", ed ancora, che "siffatte istruzioni erano state impartite ai dipendenti nel corso di apposite riunioni in tema di sicurezza, che venivano effettuate presso la D. - con la partecipazione dello stesso G. - fin dall'epoca precedente l'infortunio di cui trattasi". Dichiarazioni che il giudice di primo grado ha ritenuto credibili non solo perchè "tra loro assolutamente concordanti", ma anche perchè riscontrate dalla documentazione in atti (verbale della riunione del servizio di prevenzione e protezione dai rischi del 27.9.99 e procedura di servizio n. 2), dalla quale emergeva "che fin dal 27.9.1999 ai dipendenti - fra i quali il G. - erano state consegnate ed illustrate le procedure da osservare per i lavori concernenti vasche". Tali procedure, ha ancora specificato il primo giudice, prevedevano: "prima di disporre l'entrata assicurarsi che all'interno non esistano gas o vapori nocivi o una temperatura dannosa; -entrare prestando la massima attenzione solo dopo essersi muniti di cintura di sicurezza con corda di adeguata lunghezza; - qualora si fosse riscontrata la presenza di vapori o altro nocivi, utilizzare le apposite protezioni alla vie respiratorie".
 
 

Orbene, a fronte di esami testimoniali così rilevanti ai fini della decisione, espressamente richiamati dal primo giudice, anche attraverso la indicazione delle pagine di riferimento dell'incartamento processuale, ed a fronte dei citati e non meno significativi documenti, con indicazione anche della data della relativa acquisizione in atti, il giudice del gravame è pervenuto alla contestata decisione senza raccordarsi con tali elementi probatori e con le valutazioni espresse dal primo giudice, sia pure per contestarne i contenuti o la credibilità, ovvero proponendo una diversa interpretazione e valutazione di tali elementi probatori.
 
 

In realtà, il giudice del gravame li ha del tutto ignorati. Egli ha trascurato persino di considerare e di risolvere il contrasto tra i due giudicanti in ordine alla interpretazione delle dichiarazioni rese dal G. ed alla valutazione delle stesse, laddove, a fronte di quanto argomentato dal primo giudice circa le indicazioni fornite dal teste - e dagli altri testi escussi - in ordine alle precise direttive impartite dal D. in materia di sicurezza e di interventi sulle vasche, il giudice del gravame ha fornito di tali acquisizioni probatorie una sintesi incerta vaga ed una opposta valutazione, senza confrontarsi con quanto sostenuto dal primo giudice.
 
 

Di guisa che, la conclusione cui è pervenuta la corte territoriale, secondo cui l'imputato aveva violato l'obbligo di formare e di informare i dipendenti dei rischi connessi ai lavori di pulizia delle vasche e di non avere decisamente vietato agli stessi l'ingresso nelle vasche stesse, traendo da ciò argomento per ritenere la sussistenza del relativo profilo di colpa, è stato il frutto di una incompleta ed incoerente valutazione degli elementi probatori in atti e di un totale disimpegno del giudice del gravame rispetto a quanto su tali questioni aveva argomentato il primo giudice.

 

 

b) A conclusioni non diverse si giunge con riguardo al tema della fornitura ai lavoratori, da parte dell'imputato, di adeguati strumenti di protezione.
 

Anche a tale proposito, il giudice di primo grado è intervenuto rilevando come, attraverso le dichiarazioni testimoniali del F., del B., dello stesso G. e di altro dipendente, a nome G., fosse stato "accertato che sul mezzo d'opera erano presenti maschere con filtro e presso la sede D. erano disponibili maschere con autorespiratore, che potevano essere portate sul luogo dell'intervento dallo stesso D. o da un dipendente qualora se ne fosse presentata la necessità all'esito dei prescritti accertamenti preventivi", e come, ancora dalle dichiarazioni del B. e del G., fosse "emerso che D.R., il quale eseguiva personalmente per la prima volta gli interventi commissionati alla propria impresa incaricandone i dipendenti solo in successive occasioni, compiva quotidianamente il giro dei cantieri aperti e riprendeva anche aspramente gli addetti sorpresi a trasgredire le prescrizioni antinfortunistiche". Anche con riguardo a tali dichiarazioni, il giudice di primo grado ha curato la indicazione delle pagine di riferimento dell'incartamento processuale.

 

c) Quanto al tema dell'efficacia delle maschere con filtro, normalmente in dotazione e presenti sul mezzo d'opera al momento dell'incidente, secondo quanto riferito dai testi escussi, esso è stato affrontato dal giudice del gravame in termini generici e non coerenti. Il giudizio di inefficacia, nel caso concreto, di tale tipo di maschera, in ragione della ritenuta incapacità della stessa di proteggere l'operatore dalla inalazione di tutte le sostanze presenti nella vasca, è stato, invero, espresso da quel giudice senza tenere in considerazione, evidentemente anche per contestarlo, quanto riferito in merito dal teste F. (le cui dichiarazioni, sul punto, sono state riportate nel ricorso) in ordine alla presenza sull'automezzo della "D." di maschere munite di filtro universale, così dette perchè capaci di proteggere da ogni tipo di sostanza chimica, da "..più o meno tutti i tipi di gas e i vapori esistenti...quello universale va bene per tutto diciamo".
 
 

Tali precisi richiami e riferimenti testimoniali, pure rilevanti ai fini dell'accertamento della responsabilità dell'imputato, sono stati ignorati dalla corte territoriale che, anche sotto tale profilo, ha ritenuto di individuare nella condotta dell'imputato gravi omissioni, per non avere messo a disposizione dei dipendenti gli strumenti più idonei a prevenire possibili infortuni, individuando un ulteriore profilo di colpa nei confronti dell'imputato, senza confrontarsi in alcun modo con i dati fattuali sopra richiamati e con le argomentazioni ed i giudizi espressi dal primo giudice.
 
 

3) Anche il tema del nesso causale è stato affrontato dalla corte territoriale in termini del tutto apodittici ed incoerenti.
 

La valutazione del rapporto causa effetto, nei termini intesi dalle norme penali di riferimento, invero, non può porsi, come fa il giudice del merito, tra la mancanza di precisi divieti ai lavoratori di calarsi nella vasca privi di autorespiratore e la decisione delle due vittime di scendere nella vasca per soccorrere il C. che, a sua volta, aveva portato soccorso al G.. L'esame, in realtà, avrebbe dovuto riguardare la possibilità che nel complessivo e complesso sviluppo della vicenda possano essere intervenuti fattori determinanti, ulteriori, eccezionali ed imprevedibili, rispetto alla condotta iniziale del G., pure attribuita alle ritenute condotte omissive e colpose dell'imputato, quali potrebbero teoricamente ritenersi gli interventi delle due vittime ( M. e N.) diretti a soccorrere il C., mentre il G. era già in salvo.
 
 

Quali, peraltro, li aveva, sia pure indirettamente, ritenuti il primo giudice, laddove ha sostenuto che al G., ritenuto l'unico responsabile dell'incidente, in ragione della violazione, da parte dello stesso, delle norme di sicurezza, non poteva farsi carico del drammatico sviluppo degli eventi, il cui concitato svolgersi doveva ritenersi eccezionale ed imprevedibile e non rientrante nell'ambito della iniziale violazione, da parte del G., delle predette norme.
 
 

Anche tale preciso riferimento avrebbe dovuto indurre il giudice del gravame, giunto a conclusioni del tutto diverse, ad approfondire il tema della causalità, a contestare le osservazioni del primo giudice, viceversa sostanzialmente ignorate.
 
 

 

4) Orbene, su ognuna delle questioni centrali della vicenda processuale il giudice del gravame è pervenuto a decisioni non solo basate su un incompleto ed incoerente esame degli atti processuali, ma altresì per nulla raccordate, sia pure per smentirle, con le diverse valutazioni ed ai conseguenti diversi giudizi espressi dal primo giudice, la cui pertinenti osservazioni sono state sostanzialmente ignorate.
 

Fondate, quindi, nei termini sopra specificati, sono le censure proposte dal ricorrente, ed inevitabile l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano, che, alla luce del complessivo contesto probatorio, procederà a riesaminare la vicenda processuale, ovviamente confrontandosi con le valutazioni e con i giudizi espressi dal primo giudice. La stessa corte territoriale provvedere al regolamento delle spese tra le parti.
 
 

Non possono essere esaminati e motivi aggiunti, perchè trasmessi a mezzo fax e non depositati ritualmente.
 

 

 P.Q.M.
 

 

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano cui demanda anche il regolamento delle spese tra le parti.
 
Così deciso in Roma, il 11 giugno 2009.
 
Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2009