REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di TRIESTE,

Collegio lavoro, costituita come segue:

dott. Alberto DA RIN Presidente

dott. Mario PELLEGRINI Consigliere

dott. Lucio BENVEGNU" Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nel procedimento in grado di appello iscritto al n. 157/2007 R.G. proposto con ricorso depositato il 10.5.2007

Da L. C. con l'avv. Domenico Lobuono appellante

contro

U. S.p.a. in persona dell'amministratore delegato G. G. con gli avv. Costanzo Brovida e Roberto Marion appellata

 

CONCLUSIONI DELL'APPELLANTE: In totale riforma della sentenza impugnata, accertare e dichiarare la responsabilità della convenuta U. S.p.a. nella causazione del danno riportato dalla signora L. C. sul posto di lavoro e per l'effetto condannare la stessa U. S.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore a risarcire il danno riportato dalla signora L. C. condannandola al pagamento della somma di Euro 50.000,00 o della diversa somma maggiore o minore anche equitativamente determinata che sarà accertata in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria; condannare la società convenuta U. s.p.a. in persona del legale rappresentante in carica alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

 

CONCLUSIONI DELL'APPELLATA: rigettare il ricorso in appello e confermare integralmente la sentenza di I grado, con il favore delle spese del grado d'appello.
 

 

 

Fatto

 

 

Con ricorso depositato il 4.9.2004 L.C. si rivolgeva al Tribunale di Trieste, Giudice del lavoro, esponendo di avere lavorato per la convenuta in quel di Muggia come commessa dall'aprile 2001 al mese di settembre 2002 quando aveva rassegnato le dimissioni dal lavoro, di avere subito vessazioni reiterate da parte di un collega di lavoro che le avevano causato delle patologie e l'avevano indotta a rassegnare le dimissioni.

Descriveva l'interessata quanto occorsole e si richiamava al dettato degli artt. 2087 e 2049 cc. notando la responsabilità datoriale e concludendo come esposto in atti.

Si costituiva in giudizio la società convenuta contestando ogni pretesa di controparte e riferendo quella che, a suo dire, era la realtà dei fatti nonché concludendo come riferito in I grado.

La causa veniva istruita per via documentale e con il ricorso all'audizione di alcuni testimoni e decisa con la sentenza n. 84/2007 del Tribunale di Trieste.

Avverso detta decisione proponeva rituale e tempestivo appello la ricorrente esponendo fatti e temi del contendere ed affidandosi a due motivi di doglianza. Notava dunque l'appellante che la decisione assunta dal Tribunale di Trieste era errata dato che aveva mal valutato le prove assunte ed il loro valore e significato. Si doleva poi l'appellante dell'avvenuto addebito a lei stessa delle spese del giudizio e concludeva poi come esposto in premessa.

Si costituiva anche in questo grado del giudizio la società U. notando l'infondatezza dell'appello e replicando allo stesso e chiedendo indi l'accoglimento delle conclusioni su trascritte.

All'udienza del giorno 8.4.2010 la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo letto in tale occasione e qui di seguito riportato.

 

 

Diritto

 

 

L'appello qui proposto non è fondato e va quindi respinto.

 

Va premesso che sino dal ricorso introduttivo di I grado (vedi a pag. 1 del ricorso dd. 2/4.9.2004) la C. espose di essere stata vittima di "pesanti ripetute vessazioni...continui rimproveri immotivati, umiliazioni...continui spostamenti...ed altri comportamenti simili..." quindi una serie di atti persecutori ma che poi, in concreto, gli episodi erano stati uno solo, quello del 20.2.2002 cui sempre si è riferita in modo dettagliato l'attrice.

Va inoltre posto in risalto il fatto che lo spostamento di reparto nel periodo interessato e cioè dal novembre 2001 al febbraio 2002, stando alle stesse espressioni della ricorrente di cui alla nota dd. 23.2.2002 (doc. 4 dell'attrice)fu uno solo (e si concretò nel passaggio dal settore dei piccoli a quello dei grandi elettrodomestici in fatto).

Va ancora riscontrato che la ricorrente nel periodo in cui era alle dipendenze del preteso suo vessatore, certo G. e cioè dal 21.11.2001, ebbe a lavorare per pochi giorni e cioè per parte del mese di novembre, parte di dicembre, parte di gennaio e parte di febbraio con un periodo di malattia: quindi si trattò di un periodo limitato e ridotto con meno occasioni di incontro e scontro (vedi i fogli di presenza dimessi dall'appellata sub 2).

Pacifico, costante e risaputo l'orientamento della prassi per cui in tema di mobbing il contegno vessatorio ha da essere reiterato e ripetuto nel tempo sì da dimostrare un qualche intento persecutorio; qui già con tali dati le cose non risultano rispondere ai canoni elaborati dalla prassi sul tema per la sporadicità delle occasioni di contatto fra l'addetta ed il G. (vedi al riguardo Cass. 3785/2009 per la quale il mobbing è costituito da una molteplicità di atti persecutori illeciti o anche leciti singolarmente posti in essere in modo miratamene sistematico o prolungato nei confronti della vittima).

Sulle prove assunte si osserva quanto alla teste S. che la stessa è assai poco credibile atteso che ha narrato di una serie di colloqui di rimprovero dell'attrice, serie dì cui la stessa ricorrente per vero non ha fatto cenno, ha abbandonato sinanco il lavoro poco dopo (nel mese seguente all'arrivo come capo del G., quindi a dicembre 2001) ed ha escluso e detto di non ricordarsi ad es. di avere presenziato (vedi il capitolo 9 del ricorso di I grado attoreo) ad un colloquio svoltosi a fine gennaio 2002, nonché ha ammesso di avere saputo quanto detto sul trattamento subito dall'attrice solo tramite colloqui con i colleghi e non quindi in modo diretto. Il precedente capo direttore, il G., oltre che essere legato affettivamente alla S. era persona cui erano vicini altri addetti che lasciarono l'impresa dopo le sue dimissioni (testi G. e M.).

 

Risulta anzi che le dimissioni di vari addetti avvennero dopo che il G. lasciò U. (teste C.) ma non certo per il contegno del G..

 

Le stesse testimoni udite sugli allegati intenti persecutori del G. nulla hanno poi riferito di concreto ed effettuale: la teste M. ha riferito delle sue dimissioni come connesse a cause solo personali, in merito a voci raccolte sul posto di lavoro, di ricordarsi poco delle vicende dell'attrice, di non rammentare di doglianze particolari della stessa per qualche episodio lavorativo, riferendo solo di un maggiore spirito di corpo ed unitario in essere nella precedente gestione G..

La teste C. ha escluso di avere ricevuto lamentele da parte dell'attrice in merito al lavoro, il teste C. ha esposto che l'attrice pretendeva di possedere delle nozioni tecniche che in realtà non facevano parte del suo bagaglio di conoscenze e che vi erano state lamentele dei clienti sull'operato della C. stessa.

 

La teste M. infine ha giustificato le sue dimissioni dal lavoro come dovute a ragioni personali e di non avere visto nulla quanto ai rapporti fra il G., preteso persecutore, e la ricorrente; nessun altro elemento poi ha aggiunto la deposizione del teste F. se non in merito alla lamentele dei clienti riferite al teste e dal C. e dal G. mentre quella del G. stesso smentisce le tesi ed allegazioni della ricorrente.

Quindi un quadro probatorio del tutto carente ed inidoneo a suffragare le tesi dell'attrice C..

 

Quanto alle spese, di fronte alla palese infondatezza della domanda il Tribunale ha fatto ricorso, come corretto, al principio di cui all'art. 91 c.p.c. in punto soccombenza; non diverso può essere in questo grado l'esito della decisione in punto spese del giudizio.
 

 

 

P.Q.M.

 

 

La Corte di Appello di TRIESTE definitivamente pronunciando, così decide:

respinge l'appello proposto da L. C. e, per l'effetto, conferma integralmente la sentenza n. 84/2007 del 31.1.2007 del Tribunale di Trieste.

Condanna L. C. a pagare le spese del grado, liquidate in Euro 2.500, 00 di cui Euro 1.700,00 per onorari, oltre accessori di legge e spese generali.

Trieste,8.4.2010

Depositata in data 3 MAG 2010