• Mobbing

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI PERUGIA

SEZIONE LAVORO

 

Il Tribunale, in persona del Giudice del Lavoro dott. Alessio Gambaracci, nella causa civile iscritta al n. 1515/04 Ruolo G. Lav. Prev. Ass., promossa da

Fa.Lu. (avv.ti Gi.Fa. e Gi.Fa.)

contro

Azienda ospedaliera di Perugia (avv.ti Ba.Re. e Li.Ca.) ha emesso e pubblicato, ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., all'udienza del 17.9.2010, leggendo la motivazione ed il dispositivo, facenti parte integrante del verbale di udienza, la seguente

SENTENZA

 

  

 

 

 

FattoDiritto

 

Alcuni dei fatti lamentati dal ricorrente (demansionamento e mobbing) costituirebbero - se davvero verificatisi - illeciti permanenti, sicché la giurisdizione va determinata in relazione al momento di cessazione della permanenza. In ragione di ciò e considerato che, secondo il ricorrente, egli sarebbe stato demansionato a partire dal giugno 2002 e sarebbe stato vittima di condotte vessatorie quantomeno sino al giugno 2003, per tali aspetti la controversia rientra interamente nella giurisdizione del Giudice ordinario.

 

Discorso diverso va fatto per il riconoscimento del diritto a differenze retributive e contributive connesse all'asserito espletamento di mansioni superiori.

 

Invero, in questo caso i diritti azionati riguardano la controprestazione di attività lavorative rese nel corso del tempo, ognuna delle quali - isolatamente considerata - integra compiutamente il fatto costitutivo del diritto alla retribuzione e di quello alla contribuzione.

Rientrano pertanto (ex art. 69 D.Lgs. n. 165/01) nella giurisdizione del Giudice amministrativo le pretese alle richieste differenze per prestazioni rese sino al 30.6.1998, mentre appartengono alla giurisdizione del Giudice ordinario le pretese riferibili al periodo successivo.

 

Il ricorso non è nullo, sebbene non vi si rinvenga espressa quantificazione monetaria dei diritti azionati.

 

Premesso che la questione può riguardare soltanto la domanda concernente le differenze retributive e previdenziali, poiché le richieste risarcitorie aprono la via ad una valutazione equitativa, si osserva che per la validità della domanda è sufficiente che l'attore precisi il titolo della pretesa fatta valere, ove da esso sia poi possibile desumere, senza difficoltà di natura giuridica, l'entità delle relative pretese economiche.

 

Nel caso di specie, il titolo fatto valere è unicamente quello dello svolgimento di mansioni superiori, sicché il quantum sarebbe agevolmente calcolabile da tecnici in ragione della differenza fra retribuzione percepita dal ricorrente e retribuzione alla quale avrebbe avuto diritto - a parità di prestazioni - un lavoratore inquadrato nella categoria superiore.

 

Il ricorso è invece inammissibile (nella parte in cui attiene a questioni rientranti nella giurisdizione dell'AGO) laddove vi si chiede la condanna della convenuta al pagamento di differenze contributive.

Tali differenze non potrebbero infatti essere versate se non all'Istituto previdenziale, che processualmente è terzo.

 

E' infondata l'eccezione di nullità della memoria difensiva della resistente, senza che abbia in contrario alcun rilievo il fatto che in tale memoria sono stati riportati brani tratti da documenti la cui produzione non era ammissibile. Nell'ambito della memoria quei brani valgono infatti come qualunque altra deduzione e quindi non possono viziare l'atto in cui sono inseriti.

 

Altra questione, irrilevante ai fini della validità della memoria, è quella della prova di tali deduzioni.

 

Quanto al merito, è infondata la domanda connessa all'affermato espletamento di mansioni superiori.

E' invero noto che, ove il lavoratore affermi di svolgere o di aver svolto mansioni corrispondenti ad una qualifica superiore, egli ha l'onere di dedurre e dimostrare quali siano tali mansioni e per quanto tempo sono state da lui esercitate, quali siano le disposizioni (anche contrattuali, individuali o collettive) che legittimano la sua richiesta, nonché la coincidenza fra le proprie mansioni e quelle caratterizzanti, secondo le medesime disposizioni, la qualifica superiore reclamata.

In particolare, quando sia prevista una medesima attività di base per distinte qualifiche, in scala crescente, a seconda che tale attività sia svolta in maniera più o meno complessa, il fatto costitutivo della pretesa del lavoratore che richieda la qualifica superiore, il cui onere di allegazione e di prova incombe sullo stesso lavoratore, non è solo lo svolgimento della suddetta attività di base, ma anche l'espletamento delle più complesse modalità di prestazione, alle quali la declaratoria contrattuale collega il superiore inquadramento (cfr. Cass. 12092/04 e 11925/03).

Inoltre, il lavoratore ha il preciso onere di effettuare - in relazione alle mansioni espletate - una specifica comparazione fra la declaratoria della qualifica posseduta e quella della qualifica rivendicata. In breve, non basta dire (come efficacemente afferma Cass. 8025/03): questi sono i compiti, questa è la disposizione contrattuale invocata, ma occorre esplicitare, e poi rendere evidente sul piano probatorio, la gradazione e l'intensità (per responsabilità, autonomia, complessità, coordinamento, ecc.) dell'attività corrispondente al modello contrattuale invocato, rispetto a quello attribuito, trattandosi di livelli di valore inclusi in un particolare sistema professionale a carattere piramidale.

Nella fattispecie, in ricorso sono state elencate le mansioni che il ricorrente avrebbe svolto, ma in tale atto non è stata effettuata la necessaria, specifica, comparazione fra tali mansioni e quelle contrattuali, sicché è precluso in radice l'accoglimento della relativa domanda.

Quanto all'asserito demansionamento, il testimoniale non ha apportato elementi significativi a favore della tesi del ricorrente.

Solo alcuni dei testi hanno invero riferito di un depauperamento qualitativo (avvenuto dopo il rientro del ricorrente nel Day Hospital), delle mansioni precedentemente da lui svolte, ma le relative deposizioni non sono decisive, poiché riportano ciò che ai medesimi testi disse in proposito lo stesso Fa. (teste Bi.), ovvero opinioni personali, non ancorate a fatti specifici (teste Ro.).

E' invece certo che, dopo il ricordato rientro, il lavoro dell'attore diminuì quantitativamente, in ragione della presenza di altro infermiere che in precedenza non c'era, ma una riduzione quantitativa del lavoro non comporta di per sé demansionamento.

 

Quanto infine al mobbing, si osserva anzitutto che nella prospettazione del ricorrente i lamentati comportamenti vessatori sarebbero stati integrati anche dal denunciato demansionamento, sicché quanto accertato circa la mancanza di prove del demansionamento rileva anche in punto di mobbing.

Per il resto, i comportamenti persecutori dell'Azienda ospedaliera si sarebbero manifestati tramite due procedimenti disciplinari (contestazioni dell'11.4.2002 e del 23.6.2003) e tramite un trasferimento (aprile 2002) dalla Clinica neurologica all'Istituto di Radiologia.

 

Orbene, si ritiene che i fatti denunciati non siano tali - nemmeno astrattamente - da integrare un'ipotesi di mobbing e per rendere ragione di questo convincimento è necessario richiamare anzitutto le nozioni di fondo relative al fenomeno in esame.

Il terrore psicologico sul posto di lavoro, o mobbing, consiste in una comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da una o più persone generalmente contro un singolo individuo, che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa, e qui costretto a restare da continue attività ostili, svolte per un lungo periodo di tempo e connotate da elevata frequenza.

A causa dell'alta frequenza e della lunga durata, il comportamento ostile può dar luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali.

 

Partendo da questa definizione, fondamentale negli studi sul mobbing, si possono enucleare alcuni concetti rilevanti anche nella fattispecie, a cominciare dal fatto che la violenza psicologica in cui si sostanzia il mobbing può produrre danni (psicologici, psicosomatici e sociali) a condizione che venga attuata per un prolungato periodo di tempo e con elevata frequenza. D'altra parte, per aversi mobbing è necessario che la violenza psicologica esercitata sulla vittima sia intenzionale, sistematica e contraria ai principi etici.

 

Non integrano quindi il fenomeno semplici tensioni ambientali, occasionali dissapori o conflitti, episodi di reazione avverso fatti ingiusti compiuti dalla presunta vittima ed in genere tutte le situazioni di disagio che è dato registrare negli ambienti di lavoro, ma nelle quali non ricorrono congiuntamente le condizioni in discorso.

Ciò premesso, si osserva che nella fattispecie ai tre episodi lamentati hanno fatto seguito altrettanti provvedimenti favorevoli al ricorrente: un procedimento disciplinare è stato archiviato, in un altro la sanzione è stata annullata dalla stessa Amministrazione e, pochi mesi dopo il trasferimento del 2002, il ricorrente è stato riassegnato al Day Hospital di Neurologia.

 

Non può dunque dirsi che gli asseriti comportamenti vessatori siano stati sistematici.

 

Inoltre, e soprattutto, tali comportamenti si sarebbero manifestati nell'arco di un anno all'incirca, dando luogo ai tre episodi specifici sopra menzionati, sicché - anche se Fa. fosse stato davvero vittima di comportamenti persecutori - le attività ostili si sarebbero manifestate con una frequenza tutt'altro che elevata.

 

Non si verte dunque, nemmeno astrattamente, in un'ipotesi di mobbing, il che esonera dal verificare se le determinazioni della datrice di lavoro, ritenute vessatorie dal ricorrente, fossero giustificate o meno.

 

In definitiva il ricorso, nella parte in cui è ammissibile, è infondato in tutte le sue articolazioni e va respinto.

 

Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio.

 

 

P.Q.M.

 

 


Definitivamente pronunciando:

- dichiara il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario quanto alle domande per differenze retributive e contributive riguardanti periodi di lavoro anteriori al 1 luglio 1998;

- dichiara inammissibile la domanda per differenze contributive riguardante periodi di lavoro posteriori al 30 giugno 1998;

- respinge per il resto il ricorso;

- compensa fra le parti le spese di lite.

Così deciso in Perugia il 17 settembre 2010.

Depositata in Cancelleria il 17 settembre 2010.