La Corte di Cassazione ha già avuto modo di precisare che in caso di esecuzione di opere che possono comportare rischi di cadute "trovano applicazione sia la norma generale del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 10 - che, in riferimento a qualsiasi opera che esponga i lavoratori a rischi di caduta dall'alto, impone l'utilizzazione della cintura di sicurezza debitamente agganciata qualora non sia possibile disporre di impalcati di protezione o parapetti - sia l'art. 2087 cod. civ. - che impone l'adozione delle opportune misure antinfortunistiche in caso di situazioni non direttamente contemplate dalla normativa antinfortunistica, ogni volta in cui non sia accertata l'impossibilità di caduta degli operai da qualunque punto del piano di lavoro, per effetto di specifici apprestamenti (collocazione, a seconda dei casi, di tavole sopra le orditure e di sottopalchi) previsti dal D.P.R. n. 164, art. 70 per i lavori da eseguirsi su lucernai, tetti, coperture e simili - sia, infine, il citato D.P.R. n. 164 del 1956, art. 17, che impone all'imprenditore o alla persona da lui nominata di provvedere alla diretta sorveglianza dei lavori di montaggio e smontaggio delle opere provvisionali e quindi di impedire, quale destinatario delle norme antinfortunistiche, che i lavoratori operino prima che siano stati predisposti adeguati sistemi per garantire la loro sicurezza" (Cass. 6796/02).
"Nel caso di infortunio sul lavoro occorso a lavoratore edile operante su un tetto per sfondamento delle strutture su cui era appoggiato e conseguente caduta all'interno dell'edificio, è elemento sufficiente a determinare la responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio stesso - e quindi a giustificare l'azione di regresso esperita nei suoi confronti dall'INAIL - il mancato apprestamento di adeguate impalcature e ponteggi a norma del D.P.R. n. 164 del 1956, art.
16, in presenza di un'altezza di oltre due metri rispetto al suolo all'esterno dell'edificio, senza che possa invocarsi la non incidenza causale dell'inosservanza per il fatto che la caduta di fatto si sia realizzata per un'altezza minore (data la presenza di un solaio interno), se sia accertato che le impalcature e i ponteggi prescritti avrebbero consentito di operare in condizioni di maggiore stabilità e quindi di evitare la caduta" (Cass. n. 9673/03).
La mancata adozione di qualsiasi misura di sicurezza accertata dal giudice di merito è quindi elemento più che sufficiente a sorreggere la decisione, a prescindere dagli errori commessi dai lavoratori e quindi dal concorso di colpa del lavoratore per imperizia, negligenza ed imprudenza. Entrambi i motivi di ricorso vanno disattesi ed il ricorso rigettato, con condanna alle spese liquidate come in dispositivo.


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MERCURIO Ettore - Presidente -
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Consigliere -
Dott. CUOCO Pietro - Consigliere -
Dott. MAIORANO Francesco Antonio - rel. Consigliere -
Dott. DE RENZIS Alessandro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 

sul ricorso proposto da:
C.G., titolare dell'omonima ditta, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE MAZZINI 6, presso lo studio dell'avvocato VITALE ELIO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato TENTINDO FRANCESCO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA IV NOVEMBRE 144, rappresentato e difeso dagli avvocati TARANTINO CRISTOFARO, ANDREA ROSSI, giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ENRICO MITTONI, NARDI MANLIO, TRIOLO VINCENZO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 14/04 della Corte d'Appello di ANCONA, depositata il 12/02/04 r.g.n. 33/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/04/08 dal Consigliere Dott. Francesco Antonio MAIORANO;
udito l'Avvocato TENTINDO FRANCESCO;
uditi gli avvocati ROSSI ANDREA e TRIOLO VINCENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

 


Fatto

 

 

Con ricorso alla Corte d'Appello di Ancona, C.G. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro, emessa nei confronti di Ca.Sa., INPS, INAIL e Cattolica Assicurazioni con la quale era stato condannato al risarcimento del danno differenziale per un grave infortunio sul lavoro subito dal Ca. in data (OMISSIS) e quindi a pagare in favore dello stesso lavoratore la somma di Euro 360.648, 58 per danno biologico, Euro 3563,55 per inabilità temporanea, Euro 180.342,29 per danno morale, Euro 25.822,84 per danno alla vita di relazione ed Euro 2833,59 per rimborso spese; era stato altresì condannato in via di regresso al pagamento in favore dell'INAIL della somma di Euro 196.565,08 ed in favore dell'INPS delle somme di L. 99.467.476 e L. 114.170.000, oltre rivalutazione dal 1/4/89 ed interessi legali dal 9/1/95; mentre la Cattolica assicurazioni era stata condannata a rimborsare in favore del C. l'intero massimale di polizza pari a L. 100.000.000.


Il Ca., l'INAIL e l'INPS resistevano al gravame, ma la Corte d'Appello lo rigettava sulla base delle seguenti considerazioni: infondate erano le contestazioni sul preteso rischio elettivo che sarebbe stato assunto dal lavoratore con conseguente esclusione della responsabilità del datore di lavoro.

Secondo consolidati principi giurisprudenziali le norme in tema di prevenzione degli infortuni erano dirette alla tutela del lavoratore per incidenti dovuti non solo a sua disattenzione, ma anche imperizia, negligenza ed imprudenza, per cui il datore nel caso di omissione di idonee misure protettive era sempre responsabile, salvo il caso che la condotta dei lavoratore assumesse i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, o comunque fosse atipica o eccezionale in modo da porsi come causa esclusiva dell'evento (Cass. 13690/00; 12253/03; 14645/03).

Nella specie, con la CTU si era accertato che la copertura del tetto dello stabilimento da cui era caduto il Ca. ed un altro operaio era costituita da travi distanti fra loro m. 1,80 disposte longitudinalmente per la lunghezza del capannone e, fra l'una e l'altra, da lastre in eternit ricurve, a schiena d'asino della portanza di kg 40/50 per ciascun metro quadro.

Gli operai dovevano eseguire su quel tetto una gabbia di Faraday con un tondino di ferro, che doveva essere disposto anche in senso trasversale rispetto alle travi, agganciato con dei morsetti, e quindi avevano sistemato una tavola fra una trave e l'altra su cui avevano poggiato un rotolo di tondino d'acciaio da srotolare del peso di circa kg 46; ad un certo punto, "il tondino si era sfilato dal morsetto" ed il teste R., secondo il suo racconto, lo stava "rimettendo a posto".

Per tale motivo, afferma il teste, "mi trovavo di spalle agli altri due e ...non sono in grado di precisare la dinamica dell'incidente.

Io vidi solo di sfuggita che i due erano saliti sulla tavola" che si rompeva unitamente all'eternit di copertura.

Secondo il racconto dell'altro teste F.: "vedevo l'eternit rompersi e contemporaneamente venire giù dal tetto due persone, una tavola di legno ed un rotolo è il tondino in acciaio...uno dei due cadeva orizzontalmente e sul dorso per terra ..l'altro in piedi ...seguito dalla tavola in legno che cadeva sopra di lui..".

Secondo i rilievi di carabinieri il varco aperto nell'eternit era di circa un metro per due.

Non erano state accertate le ragioni per le quali i due fossero saliti insieme sulla tavola, ma dalla ricostruzione dei fatti era possibile dedurre le seguenti prove logiche: stando sulle travi in cemento non era possibile cadere, a meno che non si volesse irragionevolmente ipotizzare che entrambi fossero tanto sbilanciati verso il centro della voltina in eternit da esercitarvi una forte pressione; entrambi erano caduti dal medesimo punto di rottura, con la tavola ed il tondino e quindi si trovavano sulla tavola al centro della lastra di eternit; il teste R., sia pure di sfuggita, aveva visto che i due erano saliti sulla tavola portatondino; la medesima circostanza era stata confermata nella narrativa dell'atto introduttivo.

Accertato in questo modo il fatto, doveva essere valutata la prevedibilità dell'evento.

Il comportamento dei lavoratori era prevedibile nella situazione nella quale operavano, stante da una parte la necessità di percorrere la copertura in senso trasversale rispetto alle travi e dall'altra la lunghezza del percorso sicuro, che era quello di risalire le travi stesse fino al perimetro del tetto per poi discendere sul camminamento successivo; era quindi un comportamento spontaneo per l'operatore abbreviare il percorso ed attraversare la lastra in eternit.

Abbastanza prevedibile era anche il fatto che sorgessero dei problemi mentre si svolgeva il rotolo di tondino, come di fatto è poi accaduto, e che sorgesse la necessità di salire sulla tavola per il breve tempo necessario per eliminare l'inconveniente.

Il comportamento tenuto dai lavoratori non era inevitabile, ma era connaturale al tipo di lavoro da svolgere e spontaneo per ridurre la laboriosità dell'operazione e risparmiare fatica; non era quindi ravvisabile abnormità, inopinabilità dell'operazione posta in essere ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo da svolgere, nè atipicità ed eccezionalità.

Non sussistevano quindi le condizioni per escludere la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., mentre non era stato nemmeno contestato un eventuale concorso di colpa.

In fatto, nessuna misura precauzionale era stata adottata (mentre sarebbe stata sufficiente la semplice cintura d'ancoraggio per evitare la caduta) e nessuna prova era stata addotta per dimostrare che fossero state date ai lavoratori adeguate informazioni sulla inadeguatezza strutturale delle lastre di eternit; le raccomandazioni che secondo l'assunto sarebbero state fatte al capo operaio, poi deceduto, non erano state confermate da nessuno, mentre il C. non era presente in cantiere al momento dell'incidente e non aveva effettuato alcuna sorveglianza.

Il datore di lavoro, in caso di omissione delle misure di sicurezza era interamente responsabile dell'infortunio e non poteva invocare il concorso di colpa del danneggiato (Cass. 5024/02; 10706/02).
Infondate erano anche le censure sulla quantificazione del danni che erano gravissimi (e tutti dettagliatamente indicati) con postumi permanenti del 75%, con un residuo di validità biologica del 25% in relazione all'integrità psichica, degli arti superiori e cardio respiratoria; compromessa in invece era la capacità lavorativa specifica, la vita di relazione, la funzione estetica e sessuale.

Nessuna censura specifica e tecnica era stata proposta in merito; le sole difese proposte dal C. riguardavano l'attività di allenatore e quella di barista espletate dall'infortunato: la prima però era un'attività di tipo ricreativo, che non richiedeva alcun impegno fisico, e la seconda consisteva in una saltuaria presenza nel bar della madre.
Infondata era la censura che la rivalutazione sarebbe stata concessa su somme già rivalutate, perchè dalla motivazione della sentenza emergeva che la stessa era stata concessa solo con decorrenza dalla sentenza. Le prove chieste in grado d'appello non erano ammissibili, in parte perchè irrilevanti in presenza delle circostanze sicuramente già accertate ed in parte perchè tardive.

Non erano necessari nuovi accertamenti tecnici e la sentenza doveva essere confermata.

 

Diritto

 

 

E' domandata ora dal C. la cassazione di detta pronuncia con due motivi: col primo si lamenta violazione dell'art. 2087 c.c. e vizio di motivazione, per avere il giudice ritenuto che il comportamento del lavoratore non fosse abnorme, eccezionale o imprevedibile, ma anzi altamente prevedibile, senza nemmeno considerare l'esperienza del lavoratore, che era stata adeguatamente messa in luce nel ricorso in appello.

La motivazione è illogica e contraddittoria, perchè si afferma che l'attraversamento trasversale dei camminamenti fosse dettato dalla volontà di risparmio di tempo e fatica e poi si riconosce che il lavoratore era stipendiato in maniera fissa.
Ulteriore vizio di motivazione è dato dall'omessa considerazione di un elemento probatorio acquisito di carattere decisivo, cioè che, in precedenza, non si era verificato un attraversamento trasversale delle lastre di eternit in un intervento di circa tre mesi prima.

Il giudice inoltre ha ritenuto che sia normale che non uno, ma due operai siano saliti contemporaneamente sulla tavola per srotolare il tondino; il fatto era assolutamente imprevedibile e quindi la sentenza deve essere cassata.


Col secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 2087 e 1227 c.c., art. 42 c.p. e D.P.R. n. 547 del 1955, art. 6 e D.P.R. 7 luglio 1956, n. 164, artt. 10, 16 e 70 e vizio di motivazione per avere il giudice escluso il concorso di colpa dei lavoratori e ritenuto invece che la mancata adozione delle misure di sicurezza, generiche e specifiche, comporti di per sè l'impossibilità giuridica di configurare un concorso di colpa del lavoratore.

Anche se l'obbligo statuito dall'art. 2087 c.c. non esime il datore di lavoro da responsabilità pur in presenza di condotte imprudenti del lavoratore, non si può affermare l'assoluta irrilevanza del concorso colposo del dipendente ai sensi dell'art. 1227 c.c., quanto meno per ridurre la quantificazione del danno in misura proporzionale alla colpa del lavoratore (Cass. 6377/03).


La sentenza è errata nella parte in cui ha ritenuto che la condotta dei lavoratori non fosse nè avventata, nè imprudente.

 

L'attraversamento trasversale della copertura in eternit era stata una autonoma iniziativa dei lavoratori al fine di ridurre la laboriosità dell'operazione e quindi la sentenza deve essere cassata, con rimessione ad altro giudice per la relativa valutazione.

I motivi sono illustrati con memoria. Resistono con controricorso INPS ed INAIL.

 

Il ricorso è infondato.

 

I due motivi vanno trattati congiuntamente perchè riguardano due aspetti della medesima censura, per non avere il giudice affermato la colpa esclusiva o concorrente dell'infortunato.
In proposito si osserva che La Corte ha ripetutamente affermato il principio di diritto secondo cui "la responsabilità del datore di lavoro in relazione al precetto stabilito dell'art. 2087 c.c., nel caso di danno alla salute del lavoratore è esclusa soltanto se il danno è provocato da una condotta di quest'ultimo del tutto atipica ed eccezionale rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, in modo da porsi come causa esclusiva dell'evento dannoso" (Cass. 7127/07).
"Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare invece l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, in opinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferita al procedimento lavorativo tipico ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa non doveva nemmeno consentire che gli operai salissero sul tetto senza l'adozione di preventive misure di sicurezza.

La Corte in proposito ha già precisato che in caso di esecuzione di opere che possono comportare rischi di cadute "trovano applicazione sia la norma generale del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 10 - che, in riferimento a qualsiasi opera che esponga i lavoratori a rischi di caduta dall'alto, impone l'utilizzazione della cintura di sicurezza debitamente agganciata qualora non sia possibile disporre di impalcati di protezione o parapetti - sia l'art. 2087 cod. civ. - che impone l'adozione delle opportune misure antinfortunistiche in caso di situazioni non direttamente contemplate dalla normativa antinfortunistica, ogni volta in cui non sia accertata l'impossibilità di caduta degli operai da qualunque punto del piano di lavoro, per effetto di specifici apprestamenti (collocazione, a seconda dei casi, di tavole sopra le orditure e di sottopalchi) previsti dal D.P.R. n. 164, art. 70 per i lavori da eseguirsi su lucernai, tetti, coperture e simili - sia, infine, il citato D.P.R. n. 164 del 1956, art. 17, che impone all'imprenditore o alla persona da lui nominata di provvedere alla diretta sorveglianza dei lavori di montaggio e smontaggio delle opere provvisionali e quindi di impedire, quale destinatario delle norme antinfortunistiche, che i lavoratori operino prima che siano stati predisposti adeguati sistemi per garantire la loro sicurezza" (Cass. 6796/02).
"Nel caso di infortunio sul lavoro occorso a lavoratore edile operante su un tetto per sfondamento delle strutture su cui era appoggiato e conseguente caduta all'interno dell'edificio, è elemento sufficiente a determinare la responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio stesso - e quindi a giustificare l'azione di regresso esperita nei suoi confronti dall'INAIL - il mancato apprestamento di adeguate impalcature e ponteggi a norma del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16, in presenza di un'altezza di oltre due metri rispetto al suolo all'esterno dell'edificio, senza che possa invocarsi la non incidenza causale dell'inosservanza per il fatto che la caduta di fatto si sia realizzata per un'altezza minore (data la presenza di un solaio interno), se sia accertato che le impalcature e i ponteggi prescritti avrebbero consentito di operare in condizioni di maggiore stabilità e quindi di evitare la caduta" (Cass. n. 9673/03).
La mancata adozione di qualsiasi misura di sicurezza accertata dal giudice di merito è quindi elemento più che sufficiente a sorreggere la decisione, a prescindere dagli errori commessi dai lavoratori e quindi dal concorso di colpa del lavoratore per imperizia, negligenza ed imprudenza. Entrambi i motivi di ricorso vanno disattesi ed il ricorso rigettato, con condanna alle spese liquidate come in dispositivo.

 

 

P.Q.M.

 

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese nei confronti di INPS ed INAIL, che liquida per ciascuno dei suddetti Istituti in Euro 22,00 oltre ad Euro 3000,00 per onorario, oltre accessori.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2008