Categoria: Cassazione penale
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 Cassazione Penale, Sez. 4, 26 gennaio 2011, n. 2565 - Pericolosa operazione di spegnimento del fuoco consentita dal datore di lavoro

 

 

Responsabilità di un datore di lavoro per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia, e violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 374 e 358, nonché del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, art. 35, comma 1, e art. 37, ed in particolare: per non aver mantenuto in buono stato di conservazione ed efficienza in relazione alle necessità della sicurezza del lavoro una macchina rifilatrice; nel non aver impedito che nel punto ove era installata la macchina stessa - luogo presentante pericolo di incendio per la presenza di polveri di legno generate dall'attività di taglio - detta macchina desse luogo, durante il suo utilizzo, alla produzione di scintille; nell'avere messo a disposizione dei lavoratori la macchina sopra menzionata inadeguata al lavoro da svolgere, consistente nel taglio di legni particolarmente duri, in quanto priva di idoneo impianto di raffreddamento del disco rotante da taglio e comunque utilizzata a velocità eccessivamente elevata e quindi generante sviluppo di calore; nell'avere omesso di informare il lavoratore K.Q. M. sui rischi cui era esposto durante l'uso delle attrezzature da lavoro con particolare riferimento al rischio di incendio derivante dal taglio praticato con la macchina suddetta; nel non aver adottato le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi; nel non aver preso le misure appropriate affinché solo i lavoratori che avevano ricevuto adeguate istruzioni (tra i quali non vi era K.Q. M.) accedessero nei pressi della macchina rifilatrice e del silos di raccolta della segatura ad essa pertinente, zona ove era in atto un principio di incendio e che quindi esponeva i lavoratori ad un rischio grave e specifico.

 

Così, era accaduto che il lavoratore K.Q. M., dopo che la macchina rifilatrice era stata utilizzata per il taglio di legni particolarmente duri, ed aveva provocato un principio di incendio sviluppatosi per il contatto fra la segatura e le scintille prodotte dalla macchina, era intervenuto per spegnere il fuoco e, resosi conto che le fiamme si erano propagate sino all'interno del silos di raccolta della segatura prodotta dalla macchina, si era affacciato dalla botola di ispezione del silos per gettarvi acqua mediante un tubo di gomma collegato all'impianto idrico - tubo di cui si era munito con il consenso della stessa V. la quale aveva assentito a che il K. ponesse in atto la descritta operazione di spegnimento del fuoco - e quindi, entrato nel silos, era stato investito da una improvvisa fiammata così procurandosi le lesioni personali giudicate guaribili i 64 giorni.

 

Condannata in primo e secodo grado, l'imputata ricorre in Cassazione - Rigetto.

 

"Quanto alla condotta del lavoratore, è sufficiente ricordare il consolidato orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme (Sez. 4a, Sentenza n. 40164 del 03/06/2004 Ud. - dep. 13/10/2004 - Rv. 229564, imp. Giustiniani); orbene, nel caso di specie non può certo definirsi abnorme il comportamento dell'operaio infortunatosi, giacché deve definirsi imprudente il comportamento del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - oppure rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro".

 

"Se é vero, poi, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, mette conto tuttavia sottolineare che l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza".

 

"Quanto, infine, al corso di formazione cui, secondo la ricorrente, avrebbe partecipato l'operaio, la testimonianza sollecitata dall'imputata avrebbe al più potuto fornire la prova dell'avvenuto svolgimento del corso e della partecipazione dell'operaio al corso stesso, ma non la prova della corretta informazione all'operaio: circostanza questa che la Corte ha escluso con motivazione non illogica laddove ha sottolineato che proprio le modalità dell'infortunio apparivano tali da indurre ad escludere che vi fosse stata un'adeguata formazione ed informazione."


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ili .mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere

Dott. D'ISA Claudio - Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) V.M.P. N. IL ***;

avverso la sentenza n. 14667/2006 CORTE APPELLO di TORINO, del 20/11/2009;

 

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

 

udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del   03/11/2010  la   relazione fatta   dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;

 

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IACOVIELLO Francesco che ha concluso per l'ammissibilità del ricorso.

 

 

 

Fatto

 

V.M.P. veniva tratta a giudizio dinanzi al Tribunale di Ivrea per rispondere del reato di lesioni personali colpose di cui all'art. 583 c.p., comma 1. n. 1, e art. 590 c.p., per avere cagionato al dipendente K.Q.M. lesioni personali, per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia, e violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 374 e 358, nonché del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, art. 35, comma 1, e art. 37, ed in particolare: per non aver mantenuto in buono stato di conservazione ed efficienza in relazione alle necessità della sicurezza del lavoro una macchina rifilatrice; nel non aver impedito che nel punto ove era installata la macchina stessa - luogo presentante pericolo di incendio per la presenza di polveri di legno generate dall'attività di taglio - detta macchina desse luogo, durante il suo utilizzo, alla produzione di scintille; nell'avere messo a disposizione dei lavoratori la macchina sopra menzionata inadeguata al lavoro da svolgere, consistente nel taglio di legni particolarmente duri, in quanto priva di idoneo impianto di raffreddamento del disco rotante da taglio e comunque utilizzata a velocità eccessivamente elevata e quindi generante sviluppo di calore; nell'avere omesso di informare il lavoratore K.Q. M. sui rischi cui era esposto durante l'uso delle attrezzature da lavoro con particolare riferimento al rischio di incendio derivante dal taglio praticato con la macchina suddetta; nel non aver adottato le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi; nel non aver preso le misure appropriate affinché solo i lavoratori che avevano ricevuto adeguate istruzioni (tra i quali non vi era K.Q. M.) accedessero nei pressi della macchina rifilatrice e del silos di raccolta della segatura ad essa pertinente, zona ove era in atto un principio di incendio e che quindi esponeva i lavoratori ad un rischio grave e specifico; la dinamica dell'infortunio era stata così descritta nel capo di imputazione: il lavoratore K.Q. M., dopo che la macchina rifilatrice era stata utilizzata per il taglio di legni particolarmente duri, ed aveva provocato un principio di incendio sviluppatosi per il contatto fra la segatura e le scintille prodotte dalla macchina, era intervenuto per spegnere il fuoco e, resosi conto che le fiamme si erano propagate sino all'interno del silos di raccolta della segatura prodotta dalla macchina, si era affacciato dalla botola di ispezione del silos per gettarvi acqua mediante un tubo di gomma collegato all'impianto idrico - tubo di cui si era munito con il consenso della stessa V. la quale aveva assentito a che il K. ponesse in atto la descritta operazione di spegnimento del fuoco - e quindi, entrato nel silos, era stato investito da una improvvisa fiammata così procurandosi le lesioni personali giudicate guaribili i 64 giorni.

 

All'esito del giudizio, il Tribunale condannava l'imputata, previa concessione delle attenuanti generiche valutate equivalenti all'aggravante ed alla recidiva contestate, alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

 

Proponeva gravame la difesa dell'imputato e la Corte d'Appello di Torino confermava l'impugnata sentenza.

 

La Corte distrettuale, in risposta alle deduzioni dell'appellante, e per la parte che in questa sede rileva, disattendeva l'assunto difensivo - circa l'asserita abnormità ed imprevedibilità della condotta del lavoratore - evidenziando che:

a) il comportamento, pur avventato, ma non esorbitante del lavoratore, non può essere invocato come imprevedibile dal datore di lavoro che non abbia adempiuto a tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza, atteso che le norme sulla prevenzione mirano a tutelare l'incolumità fisica dei lavoratori anche con riferimento ad eventuali imprudenze e disattenzione degli stessi lavoratori, secondo i principi enunciati in materia dalla Cassazione;

b) nella concreta fattispecie, il lavoratore aveva tentato lo spegnimento di un incendio - che costituiva un rischio specifico dell'attività e quindi tale da dover essere puntualmente valutato da parte del datore di lavoro - con modalità non idonee in quanto non opportunamente informato ed istruito in tema di prevenzione incendi;

c) una adeguata formazione-informazione ed una corretta valutazione dell'elevato grado di rischio di incendio collegato alle lavorazioni della macchina rifilatrice, avrebbero impedito l'uso di una lama rotante a velocità eccessiva;

d) l'utilizzo di un disco di diametro adeguato (ovvero del medesimo diametro ma a velocità inferiore, ovvero, ancora, la dotazione di un impianto di raffreddamento) avrebbe impedito l'eccessivo surriscaldamento delle polveri ed evitato a monte il principio di incendio;

e) appariva provato il nesso di causalità fra il comportamento colposo dell'imputata e l'evento, anche in relazione all'utilizzo di macchinari incompatibili con un ambiente saturo di polveri di legno;

f) il fatto che il K., con l'esperienza acquisita negli anni, ed anche se non adeguatamente formato ed informato, avrebbe potuto rendersi conto della situazione di pericolo che si stava creando, nel tentativo di impedire lo sviluppo del principio di incendio, non valeva a scriminare il comportamento colposo del datore di lavoro quale garante della sicurezza dei dipendenti;

g) non appariva idoneo a ritenere adempiuto il dovere di formazione-informazione il fatto di aver prodotto la sottoscrizione di un documento attestante la frequenza del lavoratore ad un corso datato 1998, trattandosi di un documento formale inidoneo ad attestare la concreta formazione del lavoratore stesso, in quanto privo del riscontro di una effettiva concreta istruzione che nel caso in esame appariva non esservi stata tenuto conto del comportamento del lavoratore;

h) non era stata prodotta una documentazione che comprovasse l'esistenza di una procedura specifica per l'accesso al silos in caso di incendio o minaccia dello stesso;

i) il fatto che i lavoratori fossero autorizzati a sostituire il disco, nel caso di usura del medesimo, non aveva alcun rilievo circa la responsabilità del datore di lavoro in tema di prevenzione infortuni e la sua posizione di garanzia.

 

Ha presentato ricorso per Cassazione l'imputata, deducendo vizio motivazionale in ordine alle valutazioni probatorie sul rilievo che, a suo avviso, il giudice di secondo grado avrebbe ritenuto la sussistenza del nesso causale pur in presenza di una condotta abnorme del lavoratore: questi aveva esperienza, operava nell'ambito delle sue mansioni ed aveva altresì seguito il necessario corso di istruzione, così come la difesa aveva chiesto di poter dimostrare anche con la testimonianza dell'organizzatore del corso; la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente valorizzato l'anomala condotta del lavoratore il quale, aprendo imprudentemente il portello del silos, ponendo in essere tra l'altro un'operazione complessa, aveva fornito alla segatura ardente l'ossigeno necessario per il divampare della fiammata che aveva investito il dipendente stesso.

 

 

Diritto

 

 

Il ricorso deve essere rigettato per la infondatezza delle censure, peraltro dedotte anche con argomentazioni concernenti apprezzamenti di merito e valutazioni probatorie che non possono formare oggetto di sindacato in questa sede.

Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali - quali sopra riportati (nella parte relativa allo "svolgimento del processo") e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni -forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l'infortunio oggetto del processo: la Corte distrettuale, dopo aver analizzato tutti gli aspetti della vicenda, ha spiegato, con articolate argomentazioni, le ragioni (sopra ricordate) per le quali ha ritenuto in concreto sussistenti i profili di colpa a carico dell'imputata.

Con le dedotte doglianze la V., per contrastare la solidità delle conclusioni cui sono pervenuti i giudici del merito, non ha fatto altro che riproporre in questa sede tutta la materia del giudizio, adeguatamente trattata dalla Corte territoriale la quale non ha mancato di aggiungere, alle argomentazioni del primo giudice, anche proprie considerazioni.

Quanto alla condotta del lavoratore, è sufficiente ricordare il consolidato orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme (Sez. 4a, Sentenza n. 40164 del 03/06/2004 Ud. - dep. 13/10/2004 - Rv. 229564, imp. Giustiniani); orbene, nel caso di specie non può certo definirsi abnorme il comportamento dell'operaio infortunatosi, giacché deve definirsi imprudente il comportamento del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - oppure rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 4a, Sentenza n. 25532 del 23/05/2007 Ud. - dep. 04/07/2007 - Rv. 236991).

Giova altresì precisare che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, "anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione degli operai subordinati" (in termini, Sez. 4a, 14 dicembre 1984, n. 11043).

Se é vero, poi, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, mette conto tuttavia sottolineare che l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza (cfr. Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007 Ud. - dep. 09/03/2007 - Rv. 236109, imp.: Masi e altro): nella concreta fattispecie, come si rileva dal capo di imputazione, la stessa V. "aveva assentito a che il K. ponesse in atto la descritta operazione di spegnimento del fuoco" (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata) con modalità, parimenti descritte nel capo di imputazione, poi rivelatesi del tutto inidonee ad impedire che il lavoratore fosse investito da una fiammata seguita ad un principio di incendio dovuto all'inadeguatezza della macchina rifilatrice da taglio perché priva di idoneo impianto di raffreddamento.

 

Quanto, infine, al corso di formazione cui, secondo la ricorrente, avrebbe partecipato l'operaio, la testimonianza sollecitata dall'imputata avrebbe al più potuto fornire la prova dell'avvenuto svolgimento del corso e della partecipazione dell'operaio al corso stesso, ma non la prova della corretta informazione all'operaio: circostanza questa che la Corte ha escluso con motivazione non illogica laddove ha sottolineato che proprio le modalità dell'infortunio apparivano tali da indurre ad escludere che vi fosse stata un'adeguata formazione ed informazione.

 

Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.