Categoria: Giurisprudenza civile di merito
Visite: 9321

Tribunale di Salerno, Sez. Lav., 08 novembre 2010, n. 4876 - Assegnazione di una stanza singola per lo svolgimento del lavoro


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI SALERNO
SEZIONE LAVORO
Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Salerno, dott.ssa Aida Sabbato, all'udienza del 20.10.2010, ha pronunciato la seguente
SENTENZA

 

nella causa per controversie in materia di lavoro iscritta al N.7729/08 e vertente
TRA MINISTERO dell'ECONOMIA e delle FINANZE, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Salerno presso cui, ope legis, domicilia al C.so V. Emanuele n.58.

RICORRENTE

E I. GILDA, rappresentata e difesa dal Prof. Avv.to S. Sica come da procura a margine della memoria di costituzione e risposta.

RESISTENTE

CONCLUSIONI RASSEGNATE ALL'UDIENZA ODIERNA.

 

I procuratori delle parti si sono riportati ai rispettivi atti e conclusioni, chiedendo che la causa venisse decisa.

 

Fatto

 

Con ricorso depositato in data 10.10.08 il Ministero ricorrente esponeva che la sig.ra  l., dipendente presso la Direzione territoriale dell'Economia e Finanze di Salerno, aveva convenuto in giudizio lo stesso Ministero per ottenere in via d'urgenza l'assegnazione di una stanza singola per lo svolgimento della propria attività lavorativa.

Il giudice del cautelare respingeva la domanda.


In sede di reclamo proposta dalla I. il Tribunale, in sede collegiale, con ordinanza depositata il 9.9.08 accoglieva il reclamo, dichiarando il diritto della ricorrente a svolgere le mansioni con collocazione in una stanza da sola.
Tanto premesso, l'Amministrazione chiedeva al giudice adito di accertare e dichiarare la legittimità del suo operato nonché l'insussistenza del diritto della I. a prestare attività lavorativa in una stanza singola, revocando anche l'ordinanza resa dal Tribunale di Salerno in data 9.9.08 o, comunque, dichiarando la cessazione dei suoi effetti. Depositava documentazione.
Ritualmente costituitosi il contraddittorio la sig. I. Gilda depositava memoria difensiva in cui illustrava le patologie di cui era affetta, che comportavano un'accertata invalidità al 50%, e che già dal 13.6.03 le veniva assegnata una postazione di lavoro individuale nella stanza 12/R. In data 10.4.08 le veniva comunicato solo verbalmente che avrebbe dovuto spostarsi in un'altra stanza con altri due colleghi, ma, nonostante, la corrispondenza intercorsa anche attraverso il suo legale, il 21.4.08, recatasi al lavoro e accedendo alla sua stanza, vi trovava due scrivanie assegnate agli altri due colleghi e una terza scrivania, assegnata a lei, addossata alla parete, con i cassetti bloccati in quanto rivolti verso il muro, senza la sedia e con sopra collocato il computer con i fili staccati, mentre l'armadio, con i suoi effetti personali, era stato spostato nel corridoio.
Chieste spiegazioni alla sig. G., quest'ultima le riferiva che probabilmente era stata assegnata nella stanza predetta con il dott. M. e il sig. B..
 
Recatasi   dal   capo-ufficio,   dott.    M.,    per   avere   ulteriori chiarimenti, questi le rispondeva che non c'era un'altra stanza disponibile dove poterla collocare da sola e che, comunque, al momento, non le era stata assegnata alcuna postazione, atteso che la sua scrivania era stata addossata alla parete e il computer staccato.
A seguito di tale gravissimo episodio, veniva colta da malore tale da costringerla  a  lasciare l'ufficio non tralasciando di  avvisare  il capo servizio e timbrare il cartellino per segnalare l'uscita, prima di ricorrere alle cure mediche presso l'ASLSA2.
Nonostante la correttezza del suo comportamento l'Amministrazione le muoveva un illegittimo ed ingiustificato richiamo verbale.
Successivamente   in   data   19.5.08   inoltrava   ulteriore   richiesta   di assegnazione di una postazione di lavoro in stanza singola anche alla luce del certificato del dott. C., medico INAIL, che consigliava la sua sistemazione  in  una  stanza  singola,   o,   addirittura,   di  prendere  in considerazione l'ipotesi del telelavoro alla luce delle sue complesse patologie.
Ma il Direttore ancora una volta rinviava ogni provvedimento.
Per tali motivi depositava ricorso ex art.700 c.p.c. che veniva respinto con un successivo accoglimento della sua istanza in sede di reclamo e la declaratoria del suo diritto a svolgere l'attività lavorativa in una stanza da sola.

Tanto esposto, chiedeva  rigettarsi  il ricorso con  integrale conferma dell'ordinanza  resa dal  Tribunale di  Salerno del 4.9.08  in sede di reclamo, dichiararsi il suo diritto a svolgere la propria attività lavorativa in una    postazione   di    lavoro    individuale   e    per   l'effetto    ordinarsi all'Amministrazione ricorrente di assegnarle una postazione di lavoro in una stanza singola.

 
Spiegava, altresì, domanda riconvenzionale e pertanto chiedeva condannarsi il Ministero dell'Economia e delle Finanze a risarcirla di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti a seguito dell'intera vicenda, segnalando come la condotta posta in essere dall'Amministrazione, in violazione dell'art. 2087 cc, avesse leso il suo diritto alla salute, comportando un aggravamento delle sue condizioni di salute, risultante dall'allegata documentazione medica. Depositava documentazione.
Questo giudice, ritenutane la necessità ai fini del decidere, disponeva consulenza medico legale nominado all'uopo il dott. Francesco S., medico legale cui veniva conferito l'incarico peritale alla prima udienza di discussione del 16.7.09.
Depositata la C.T.U. e le note autorizzate, all'udienza odierna la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo con riserva di deposito dei motivi della presente decisione nei termini di legge.

 

 

Diritto

 

Deve, in primo luogo, evidenziarsi che all'udienza di discussione del 20.5.2010, il difensore del Ministero depositava documentazione dalla quale si evinceva che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti in causa era cessato per effetto di dimissioni della lavoratrice, come da determina del 22.3.2010 e, quindi, concludeva perché venisse dichiarata la cessazione della materia del contendere in ordine alla richiesta di assegnazione della I. ad occupare la postazione lavorativa in una stanza da sola.


A tale richiesta non aderiva il difensore della resistente e, pertanto, va affrontato il merito della vicenda anche in ordine a tale domanda.

Orbene, sul punto il C.T.U. ha concluso,   nel suo elaborato peritale da condividersi in toto perché immune da vizi logici, che la I., affetta dalle seguenti patologie: rettocolite ulcerosa in soggetto con esiti di intervento por emorroidi e successiva ano plastica per stenosi, eczema di tipo psoriasico diffuso, notevole sindrome ansioso depressiva, modesto asma allergico, eccesso ponderale, doveva essere necessariamente allocata in ambiente senza la presenza fissa di altro personale.


Per tale motivo il ricorso proposto dal Ministero ricorrente deve essere respinto, essendo accertato il diritto della l. ad essere collocata in una stanza da sola per lo svolgimento della sua attività lavorativa e ciò sicuramente già all'epoca del ricorso cautelare proposto con conseguente conferma dell'ordinanza emessa in sede di reclamo e fino alla cessazione del suo rapporto di lavoro per intervenute dimissioni. Per quanto concerne la domanda risarcitoria avanzata in memoria difensiva in sede di riconvenzionale, deve porsi l'accento sulla circostanza che la I. ha chiesto in questa sede il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per effetto della condotta omossiva e anche persecutoria posta in essere dall'Amministrazione che dopo cinque anni in cui aveva occupato una stanza da sola, dal 2003 al 2008, nell'aprile 2008 inseriva nella sua stanza altri due colleghi e non rispondeva positivamente alla sua richiesta del 19.5.08, nonostante il medico dell'INAIL consigliasse la sistemazione in una stanza singola, diritto questo che veniva affermato in sede di reclamo con ordinanza del 4.9.08 che riformava la precedente ordinanza di rigetto della domanda cautelare avanzata.
Nella sua memoria difensiva la resistente deduce che tale condotta dell'Amministrazione, violativa della norma di cui all'art. 2087 cc, aveva leso il suo diritto alla salute provocando l'insorgenza di altre due patologie, l'eczema psoriasico e problemi alla tiroide. A questo punto è doveroso fare alcune considerazioni di carattere generale sulla responsabilità ex art.2087 cc.
 
Essa, infatti, è di natura contrattuale con la conseguenza che, ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro elemento; mentre grava sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato dette circostanze, l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo (Cass. Sez. lav. Nn. 3788/09, 26378/08, 9817/08, 19254/08, 2491/08, 23162/07, 16003/07).

 

La Cassazione Sezione Lavoro ha, inoltre, precisato con la sentenza n. 13053/06 che il contenuto dell'onere probatorio in ordine alle misure di sicurezza che si afferma di essere state omesse differisce a seconda che esse siano espressamente e specificamente definite dalla legge ovvero siano ricavabili dalla stessa disposizione di cui all'art.2087 cc. che impone l'obbligo di sicurezza.
Nel primo caso il lavoratore ha l'onere di provare solo la fattispecie costitutiva prevista dalla fonte impositiva della misura di sicurezza nonché il nesso di causalità materiale tra inadempimento e danno e la prova liberatoria a carico del datore di lavoro si esaurisce nella negazione dei fatti dedotti dal lavoratore nonché del nesso di causalità tra inadempimento e danno; nel secondo caso, invece, fermo restando l'onere probatorio a carico del lavoratore, la prova liberatoria a carico del datore di lavoro risulta variamente definita in relazione alla quantificazione della diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle misure di sicurezza.

Come già esposto, nel caso in esame la resistente deduce genericamente nel ricorso, ma più dettagliatamente nelle note autorizzate che la condotta omissiva e persecutoria del datore di lavoro che dopo cinque anni in cui era stata dal sola nella stanza per i suoi noti problemi di salute, nell'aprile 2008 inseriva in detta stanza altre due persone,   impedendole   di   esercitare   un   suo   diritto   ed   addirittura inducendola per il clima ostile a rassegnare le dimissioni, le aveva
provocato  danni  patrimoniali  e  non  patrimoniali  di  cui  chiedeva  il risarcimento.
A questo punto corre l'obbligo di sottolineare che i danni di cui chiede il risarcimento la resistente in memoria difensiva con la spiegata domanda riconvenzionale sono in tale sede genericamente enunciati, e solo con le note autorizzate del 7.5.2010 vengono quantificati sotto il profilo del danno biologico, morale e all'immagine e patrimoniale.
Fatta questa necessaria precisazione di natura processuale va detto che nessuna prova, oltre quella documentale, è stata articolata dalla I. per provare la condotta del datore di lavoro violativa dell'obbligo di sicurezza ex art.2087 cc.
Sotto il profilo documentale si rinvengono nei due fascicoli di parte convenuta la richiesta del 19.5.08 di assegnazione di una stanza da sola anche alla luce del giudizio di idoneità del 7.5.08 con cui il dott. C. dell'INAIL consigliava, se possibile, la sua sistemazione in una stanza da sola.
A tale prescrizione medica del 7.5.2008 faceva seguito la lettera del Direttore della sede di Salerno che chiedeva al dott. C. di fornire ulteriori elementi di conoscenza utili a contestualizzare la postazione di lavoro della sig.ra I..
Il dott. C. rispondeva con la lettera del 19.5.08 in cui evidenziava che nell'ambiente di lavoro condiviso la sintomatologia di cui la I. risultava affetta poteva scatenarle un notevole disagio e un evidente imbarazzo con un'inevitabile ricaduta sui comportamenti di tipo ansiogeno.
 
A seguito dell'ordinanza in sede di reclamo del 4.9.08 che accoglieva la richiesta della ricorrente di essere assegnata ad una stanza da sola, in riforma dell'ordinanza del giudice cautelare che aveva respinto tale richiesta, ella in via provvisoria e nelle more della riorganizzazione dei servizi della Direzione con nota del 29.9.08 veniva assegnata al servizio SAD in via SS. Martiri Salernitani, circostanza questa di assegnazione ad altro ufficio che era stata già prospettata alla resistente dal Direttore F. con la lettera del 13.06.08, in cui si faceva presente l'avvenuto trasferimento presso la Direzione del personale e dei servizi della C.V.M..
Con successivo provvedimento del 17.10.08, a seguito di una nota del coordinatore provinciale UILPA, la I. veniva assegnata al servizio spese fisse stanza 15/A.
Nelle more in cui accadeva tutto ciò la I. veniva richiamata verbalmente per essersi assentata dal lavoro il 19.5.08, giorno in cui, come dalla stessa descritto, avvertiva un malore causato proprio dalla mancata assegnazione di una stanza ove essere allocata da sola.

 

Così riassunta la vicenda, così come risultante dalla documentazione allegata agli atti, non ritiene questo giudice che sia stata raggiunta la prova di una condotta datoriale violativa dell'art.2087 cc. e, inoltre, nessun elemento ulteriore è stato provato dalla I. circa il clima teso venutosi a creare, tale da integrare gli estremi di una condotta mobbizzante del datore di lavoro o, piuttosto, quella normale conflittualità che spesso caratterizza i rapporti di lavoro ma non è tale da sfociare nella condotta prevaricatoria.


La condotta mobbizzante deve essere adeguatamente rappresentata con una progettazione dettagliata dei singoli comportamenti e/o atti che rivelino l'asserito intento persecutorio diretto ad emarginare il dipendente.
 
Infatti, con l'espressione mobbing s'intende una successione di fatti e comportamenti posti in essere dal datore di lavoro con intento emulativo e al solo scopo di recare danno al lavoratore, rendendone penosa la prestazione, condotti con frequenza ripetitiva ed in un determinato arco temporale sufficientemente apprezzabile e valutabile, non essendo sufficiente la sola prova di divergenze di vedute tra il lavoratore e il suo superiore gerarchico.

Il diritto della ricorrente ad occupare una stanza da sola per le sue delicate condizioni di salute va comunque contestualizzato nell'ambito dell'organizzazione della P.A..
Sul punto la I. ha allegato alla sua produzione di parte dei prospetti provenienti dalla medesima lavoratrice relativi alla collocazione delle stanze dell'ufficio di appartenenza e da chi erano occupate, evidenziando che almeno cinque dipendenti occupavano stanze da soli.
Ma tale circostanza di notevole rilevanza sotto il profilo probatorio non ha avuto alcun riscontro certo nell'ambito di questo giudizio, così come non risulta contestata dalla I. l'ulteriore circostanza che alla Direzione era stato accorpato un altro ufficio ed ivi spostato il relativo personale.

Fermo restando quanto detto sotto il profilo dell'inadempimento imputabile al datore di lavoro non appare emergere nel caso di specie neanche il danno alla salute lamentato nella dichiarata insorgenza di due nuove patologie,eczema psoriasico e problemi alla tiroide. Infatti, dalla lettura della C.T.U. si legge alla pagina 6 che la resistente dal 2002 soffre di psoriasi e di notevole stato d'ansia e nella diagnosi riportata alle penultima pagina non si fa alcun riferimento alla patologia tiroidea.
Anche la rettocolite ulcerosa, che è la malattia più grave, risulta datata nel tempo e sotto questo profilo il C.T.U ha correttamente evidenziato che non vi è nesso di causalità diretto tra la RCU e l'attività lavorativa della I..
"Parimenti non si può escludere che lo stress ambientale lavorativo abbia potuto contribuire all'aggravamento del disturbo psichiatrico e che lo stesso possa aver contribuito all'aggravamento dello stato clinico della RCU".
Tali affermazioni formulate dal C.T.U. in chiave probabilistica non hanno avuto, per le considerazioni espresse, alcun conforto probatorio in questa sede, non potendosi evitare di sottolineare che lo stesso consulente nell'indicazione dell'invalidità al 25% intesa come danno biologico ha fatto un'affermazione ultronea rispetto al quesito formulato da questo giudice.
Al fine del raggiungimento della certezza circa il nesso che lega la malattia all'attività lavorativa, non è sufficiente un mero collegamento possibile tra attività e malattia ma è necessaria la sussistenza di una probabilità qualificata; l'origine multifattoriale dell'insorgenza della malattia non fornisce alcuna prova di probabilità qualificata tra attività e malattia (Cass. Sez. lav. N.11144/08).


Per tutte le considerazioni espresse va respinta anche la spiegata domanda riconvenzionale.
In considerazione della reciproca soccombenza le spese del giudizio vanno interamente compensate tra le parti, ponendosi a carico del Ministero ricorrente le spese di C.T.U. liquidate come in dispositivo.

 

 

P.Q.M.

 

Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Salerno, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da MINISTERO dell'ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro p.t., nei confronti di I. GILDA, così provvede:
a) Rigetta il ricorso; 
b) Rigetta la spiegata domanda riconvenzionale;
e) Pone a carico del Ministero ricorrente le spese di C.T.U. che liquida in   complessivi   euro   250,00   in   favore   del   dott.   Francesco Santangelo, compensando fra le parti le altre spese processuali. Salerno, 20.10.2010