Cassazione Penale, Sez. 4, 12 dicembre 1995, n. 12297 - Scheggia nell'occhio e obblighi datoriali
Responsabilità di un datore di lavoro per il reato di lesioni gravi, aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche, in danno di un operaio - Il pretore accertava che, il 24-10-1988, un operaio del reparto saldature, mentre stava spianando, con un martello a scalpello, una scoria formatasi su un manufatto appena saldato, era stato colpito da una scheggia all'occhio sinistro con perforazione del bulbo e ritenzione del corpo metallico. L'infortunio osservava il pretore - si era verificato perché - l'operaio non usava gli occhiali.
La Corte afferma che era compito della datrice di lavoro attuare le norme di sicurezza e farle conoscere ai lavoratori esigendone il rispetto; inoltre ha aggiunto, riprendendo la sentenza impugnata, che, "nel caso in esame, era emerso dalle univoche deposizioni degli operai, esaminati come testi, che essi erano stati dotati dei mezzi di protezione e, verosimilmente, avvisati delle norme di prevenzione infortuni, ma anche che la datrice di lavoro, sebbene presente nei reparti, non aveva preteso l'osservanza dì tali norme con il deciso controllo del loro operato e con l'adozione, ove necessario, di mezzi coercitivi e sanzioni disciplinari.
La carenza riscontrata ha aggiunto la corte è ancor più esaltata dalla constatazione, da parte dell'Ispettorato del, Lavoro, che dal 1980 al 1988 nello stabilimento sono avvenuti 23 infortuni agli occhi per proiezione di schegge, senza contare i numerosi casi di infortuni lievi risoltisi senza gravi conseguenze e non seguiti da denuncia, nei quali microschegge sono state estratte manualmente dall'occhio offeso."
"Non è per nulla vero, dunque, che la - e il abbiano fatto per intero il loro dovere, essendo mancato quel penetrante controllo che la legge richiede perché non si verifichino infortuni e perché il datore di lavoro possa ritenersi esonerato da responsabilità qualora si verifichino."
Corte di Cassazione
SEZIONE IV PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Ferruccio SCORSELLI Presidente
" Renato OLIVIERI Consigliere
" Giuseppe CAIZZONE "
" Mariano BATTISTI Rel. "
" giovanna SCHERILLO " ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da n. a Canonica d'Adda il 13-12-1929e n. a Vaprio d'Adda il 06.05.1950;
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Brescia, in data 14-03-1995;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso,
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere dott. Mariano Battisti
Udito il Pubblico Ministero in persona del dott. Sebastiano Suraci, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi Udito per la parte civile l'avv.
Uditi i difensori avv.to che ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi;
Fatto
Responsabilità di , nella sua qualità di legale rappresentante delle "", per il reato di lesioni gravi, aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche, in danno dell'operaio e la condannava alle pene di legge e al, risarcimento del danno - concedendo la provvisionale di. L. 70.000.000 - riconosciuto il concorso di colpa dell'infortunato nella misura del 25%.
Dichiarava, inoltre, di non doversi procedere nei confronti dì , caporeparto, per estinzione del reato per amnistia, dovendo il rispondere dell'infortunio soltanto a titolo di colpa generica".
2 - Il pretore accertava che, il 24-10-1988, nello stabilimento di Canonica d'Adda, della società "", nel quale si assemblavano cabine metalliche per trattori, il , operaio del reparto saldature, mentre stava spianando, con un martello a scalpello, una scoria, - formatasi su - un manufatto appena saldato, era stato colpito da una scheggia all'occhio sinistro con perforazione del bulbo e ritenzione del corpo metallico.
3 - L'infortunio osservava il pretore - si era verificato perché - l'operaio non usava gli occhiali.
L'uso di questi mezzi protettivi era risultato causale e discontinuo e il non uso non era stato mai sanzionato.
La , d'altro canto - obbligata, in quanto legale rappresentante, alla osservanza di tutte le prescrizioni legali in materia d'infortuni essendo presente nei reparti, aveva la possibilità di intervenire drasticamente con il peso della sua autorità per sanzionare il comportamento degli operai e prevenire gli infortuni, ma ciò non aveva fatto.
4 - Proponevano appello la e, nei confronti del , il procuratore della Repubblica e il procuratore generale e la corte di appello di Brescia, con sentenza del 14-03-1995, dichiarava il colpevole del reato ascrittogli e lo condannava alle pene dì legge concedendogli il beneficio della sospensione condizionale della pena. Confermava la sentenza nel resto.
- La corte, ribaditi i rilievi del pretore nei confronti della , notava che anche il era da ritenersi destinatario delle norme antinfortunistiche, avendo dichiarato, tra l'altro, "dì, avere svolto di fatto il controllo sulla osservanza antinfortunistica senza che gli fosse stato specificamente delegato".
6 - Ricorrono per cassazione i difensori e chiedono l'annullamento della sentenza.
a - Con uno dei ricorsi si denuncia, nell'interesse di entrambi gli imputati, con il primo motivo, erronea applicazione della legge penale, mancanza e manifesta illogicità della motivazione", deducendosi che "la , consapevole delle proprie responsabilità, aveva assegnato al controllo delle modalità del lavoro di assemblaggio un caporeparto tecnicamente qualificato, il , il quale, in effetti, le poche volte che ebbe a sorprendere operai negligenti nell'uso dei mezzi di protezione, non aveva mancato di intervenire imponendo loro l'uso degli occhiali". "Del resto, la stessa corte ha affermato che 'il dovere di vigilanza dei datori di lavoro e dei dirigenti nell'osservanza, da parte dei lavoratori, delle norme antinfortunistiche non può essere costante ed esteso alle loro singole attività materiali"'. Con il secondo motivo si lamenta, in questo ricorso, mancanza dì, motivazione sulla misura del, concorso di colpa e sull'entità della provvisionale".
b Con il primo motivo di ricorso, proposto nell'interesse del solo , si denuncia "inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 4 del D.P.R. n. 547-1955 e manifesta illogicità della motivazione", non essendosi dato rilievo alla circostanza che il era il capo reparto di un complesso imponente, con 60 operai, il che importava che egli, che pure li aveva spesso rimproverato quando li aveva sorpresi senza occhiali, non potesse seguirgli costantemente; d'altro canto, era emerso che tra il e gli operai v'era un livello intermedio, v'era un capo squadra. Con il secondo motivo muove la censura di "inosservanza dell'articolo 40, cpv., c.p.", sotto il profilo "della ardua determinabilità a priori della condotta omessa che avrebbe in effetti potuto impedire l'evento e dell'ardua determinabilità del richiesto rapporto tra l'omissione della condotta in tesi dovuta e l'evento". Con il terzo motivo si eccepisce che il beneficio della sospensione della pena non è stato richiesto e che la applicazione dello stesso non giova al ricorrente, ma pregiudica la futura possibilità di eventualmente goderne per il numero di volte previsto dalla legge.
Diritto
Il primo motivo del ricorso comune è infondato.
a - A nulla vale obiettare, come si fa nel motivo, che la "aveva assegnato al controllo delle modalità del lavoro nel reparto di assemblaggio un capo reparto tecnicamente qualificato". La responsabilità del datore di lavoro o, come nel caso, del legale rappresentante della società, per l'inosservanza delle norme antinfortunistiche non viene, infatti, meno solo perché quelle persone si facciano coadiuvare da altri nel controllo delle modalità di esecuzione del lavoro o nel, controllo per il rispetto delle norme antinfortunistiche". La nomina, da parte del datore di lavoro, di dirigenti - tale dovendo definirsi un caporeparto - produce, invero, tra gli altri, anche l'effetto di facilitare, in concreto, quel controllo, ma non l'effetto di esonerare da responsabilità il datore di lavoro, ove un infortunio sul lavoro si verifichi per accertata inosservanza delle norme antinfortunistiche. Il datore di, lavoro può, sì, essere esonerato da questa responsabilità, ma soltanto se, nel nominare un dirigente e nell'affidargli i compiti che gli spettano, gli trasferisca, con espressa delega, i propri poteri anche in tema di osservanza delle norme antinfortunistiche e alle ulteriori condizioni che quel dirigente sia tecnicamente affidabile, anche sul piano antinfortunistico, e che il datore di lavoro controlli che colui al quale ha conferito la delega la usi concretamente.
Nella specie il problema della delega non è stato neppure sfiorato
b - Si eccepisce, peraltro, che la, e il hanno fatto tutto quello che potevano fare e che, del resto, è la stessa sentenza che afferma che è impossibile pretendere che il datore di lavoro o il dirigente seguano le maestranze, gli operai, in tutti i minuti comportamento, in tutte le varie fasi della loro quotidiana attività.
I - Ebbene, sul primo punto, è particolarmente significativo quanto si legge nella sentenza impugnata, la quale, dopo aver detto che era compito della , quale datrice di lavoro, di attuare le norme di sicurezza e di farle conoscere ai lavoratori esigendone il rispetto, ha aggiunto che, "nel caso in esame, era emerso dalle univoche deposizioni degli operai, esaminati come testi, che essi erano stati dotati dei mezzi di protezione e, verosimilmente, avvisati delle norme di prevenzione infortuni, ma anche che la datrice di lavoro, sebbene presente nei reparti, non aveva preteso l'osservanza dì tali norme con il deciso controllo del loro operato e con l'adozione, ove necessario, di mezzi coercitivi e sanzioni disciplinari.
"La carenza riscontrata ha aggiunto la corte è ancor più esaltata dalla constatazione, da parte dell'Ispettorato del, Lavoro, che dal 1980 al 1988 nello stabilimento sono avvenuti 23 infortuni agli occhi per proiezione di schegge, senza contare i numerosi casi di infortuni lievi risoltisi senza gravi conseguenze e non seguiti da denuncia, nei quali microschegge sono state estratte manualmente dall'occhio offeso". Non è per nulla vero, dunque, che la - e il abbiano fatto per intero il loro dovere, essendo mancato quel, penetrante controllo che la legge richiede perché non si verifichino infortuni e perché il datore di lavoro possa ritenersi esonerato da responsabilità qualora si verifichino.
II - Occorre chiarire la natura di questo controllo, il quale non può risolversi nella messa a disposizione dei lavoratori dei presidi antinfortunistici e nel generico invito a servirsene. Quel controllo, infatti, essendo finalizzato a preservare, a tutelare il bene, costituzionalmente rilevante della integrità psico fisica del lavoratore, deve essere una delle particolari attività dell'imprenditore, il quale, nell'organizzare i fattori della produzione, deve prestare la attenzione maggiore al fattore lavoro, all'uomo che lavora.
Quel controllo, allora, sta a significare che l'azione del datore di lavoro deve essere, in materia antinfortunistica, assidua e anche severa dovendo essere sanzionati disciplinarmente i lavoratori che non si adeguino a quelle norme; quel controllo, insomma, deve tendere a fare del problema della integrata psico fisica del lavoratore il problema o uno dei rilevanti problemi dell'azienda, la quale, sullo stesso, deve svolgere vera e propria azione pedagogica, tanto da farlo diventare uno degli aspetti della cultura del lavoratore.
Tutto ciò non è certamente avvenuto nel caso di specie, stando alle deposizioni raccolte dai giudici di merito e stando ai numerosi infortuni sul lavoro accaduti nella azienda della , infortuni che non si possono minimizzare, come si fa nel ricorso, sostenendo che, se sì tiene conto del numero degli anni - otto - in cui si sono verificati si risolvono in un numero irrilevante , come se 23 gravi lesioni del bene della vista fossero da porre nel conto, fossero qualcosa di fatale, di inevitabile e non, invece, di evitabile se l'imprenditore svolgesse, nel rispetto delle norme antinfortunistiche, quell'azione pedagogica, assidua, penetrante di cui. sì è detto.
2 - Il secondo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
a - E' infondato nella parte in cui si contesta la determinazione del concorso di, colpa nella misura del 25%, asserendosi che il giudice di merito avrebbe dovuto spiegare perché riteneva adeguata questa misura.
Se è vero che la corte di appello si è limitata, quando sì è interessata espressamente del problema, a definire adeguata quella percentuale, è anche vero che, nelle pagine precedenti, aveva posto bene in evidenza l'entità, non irrilevante, della colpa della e del , di tal che quel giudizio di adeguatezza, riservato alla misura del concorso, altro non era che la logica espressione numerica dello spazio che, in termini di colpa, poteva e doveva essere riservato al lavoratore, una volta valutata la colpa del datore di lavoro.
b - E' inammissibile il motivo nella parte in cui si insorge contro l'entità della provvisionale, avendo affermato questa suprema corte, ripetutamente, che il tema della provvisionale non è deducibile in sede di legittimità per la decisiva ragione che la provvisionale è il frutto di un giudizio di merito, sulla entità del danno, che è ancora in fieri, essendo destinato a protrarsi e a trovare la sua definitiva fisionomia in sede civile.
Il primo motivo di ricorso, proposto nell'interesse esclusivo del , è, infondato.
a - Per coglierne la infondatezza è sufficiente soffermarsi su una delle proposizioni che la sentenza impugnata ha riservato al . "Per l'imputato - così la sentenza -valgono le considerazioni in precedenza esposte per l'altra imputata con la ulteriore specificazione che non sono sufficienti ad escludere la sua responsabilità le disposizioni di alcuni testi secondo i quali il loro caporeparto li aveva invitati talvolta ad usare gli occhiali di protezione".
"Infatti, le bonarie ed occasionali esortazione del non erano state sufficienti a scalzare la pratica di imprudenza e negligenza che si era instaurata nel reparto".
La corte di appello coglie indubbiamente nel segno quando pone l'accento sull'avverbio talvolta e sugli aggettivi bonarie ed occasionali, quando, afferma, anche se implicitamente, che onere del datore di lavoro e dei dirigenti, destinatari della responsabilità antinfortunistica, è quello di fare cultura sul rispetto delle norme antinfortunistiche, di svolgere continua, assidua azione pedagogica ricorrendo, se del caso, anche a sanzioni disciplinari.
E' superfluo, poi, sottolineare che l'esistenza di "livelli intermedi di responsabilità, di capisquadra, non esime affatto il datore di lavoro o gli altri dirigenti da responsabilità per l'inosservanza delle norme antinfortunistiche, a meno che, come si è detto, il datore di lavoro non abbia espressamente delegato una o più determinate persone ad interessarsi dei problemi antinfortunistici, delega che, con il consenso del dirigente, può avere ad oggetto anche i poteri di quest'ultimo. E che il fosse del tutto consapevole di essere uno dei destinatari di quelle norme lo si desume con chiarezza sia dalla sua ammissione, citata dalla sentenza impegnata di "avere di fatto svolto il controllo sulla osservanza antinfortunistica senza che gli fosse stato specificamente delegato", sia da quanto si afferma nello stesso motivo, nel quale si insiste nel dire che il aveva richiamato gli operai al rispetto delle norme di prevenzione.
3 - Il secondo motivo è infondato
Una volta accertata, come lo è stata, l'omissione, una volta accertato, cioé, che il controllo non era stato assiduo, costante, non aveva fatto cultura, l'infortunio, che quella cultura avrebbe dovuto impedire, evitare, non può non essere ricondotto a quella omissione.
Questa suprema corte ha posto ripetutamente in evidenza, quanto al rapporto di causalità, che la causalità scientifico giuridica non è, la causalità della certezza, la causalità che pretende che tra antecedente e conseguente vi sia un rapporto causale di certezza, ma è la causalità della probabilità o, se si vuole, dell'alto grado di probabilità che, posto un certo antecedente - in questo caso il non continuo, costante controllo sulla osservanza delle norme antinfortunistiche - segua un determinato conseguente, in questo caso l'infortunio sul lavoro.
Il avrebbe potuto denunciare la violazione dell'articolo 40, cpv., c.p. se avesse dimostrato di avere eseguito quel controllo di cui si è parlato, che è indubbio che, ove il datore di lavoro o il dirigente dessero questa dimostrazione, sarebbero esenti da responsabilità, a meno che non sì voglia scivolare sul terreno della inammissibile responsabilità oggettiva.
Questa dimostrazione non è stata data e, anzi, la sentenza impugnata ha accertato esattamente il contrario quando ha usato l'avverbio talvolta e gli aggettivi bonari e occasionali riferendosi agli interventi del , al quale, inoltre, non giova neppure rifarsi alla imprudenza, stigmatizzata dai giudici di merito cori l'affermazione del concorso di colpa, dell'operaio, che se è certa l'imprudenza dì quest'ultimo, la stessa sarebbe stata addebitabile tutta all'operaio solo se fosse risultato, ancora una volta, che il datore di lavoro o il dirigente erano stati assidui, avevano fatto quasi una religione del rispetto delle norme, antinfortunistiche.
4 - Il terzo motivo è inammissibile per difetto di interesse. Le ss.uu di questa suprema corte, con sentenza del 16-03-1994, Rusconi, dopo aver premesso che la sospensione condizionale non può risolversi in un pregiudizio per l'imputato in termini di compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena, hanno affermato che l'interesse alla impugnazione, condizionante l'ammissibilità del ricorso, si configura tutte le volte in cui il provvedimento di concessione del beneficio sia idoneo a produrre in concreto la lesione della sfera giuridica dell'impugnante e la sua eliminazione consenta il conseguimento di. una situazione giuridica vantaggiosa. Il pregiudizio addotto dall'interessato, tuttavia, in tanto è rilevante in quanto non attenga a valutazioni meramente soggettive di opportunità e di ordine pratico, ma concerna interessi giuridicamente apprezzabili in quanto corredati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella reintegrazione sociale del condannato.
Ne consegue che, in applicazione di questo principio, non può assumere rilevanza giuridica la mera opportunità, prospettata, anche nella specie, dal ricorrente, di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi, perché questa è una valutazione di opportunità del tutto soggettiva e per giunta eventuale e, comunque, in contraddizione con la prognosi di non reiterazione criminale e, quindi, di ravvedimento, imposta dall'articolo 164, comma 1, c.p. per la concessione del beneficio.
5 - Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
P.Q.M.
la corte di cassazione rigetta i ricorsi e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 06-10-1995. DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 12 DIC. 1995