Considerato in diritto


1. - Le Regioni Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Basilicata e la Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, la Regione Marche anche in riferimento all'art. 76 Cost., la Regione Basilicata anche in riferimento all'art. 24 Cost. e la Provincia autonoma di Trento anche in riferimento agli articoli 8, numero 29), 9, numeri 2), 4) e 5) dello statuto di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, alle norme di attuazione dello statuto, all'art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 471 ed all'art. 3 del d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197, hanno proposto ricorsi, ai sensi dell'art. 127, primo comma, Cost., contro la legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro).
Le Regioni Toscana e Marche, prima ancora di censurare per il loro contenuto singole disposizioni della legge, hanno impugnato questa nel suo insieme ed in particolare gli articoli 1, comma l, e 2, comma 1, in quanto illegittimamente il legislatore statale si sarebbe avvalso dello strumento della delega per stabilire principi fondamentali in materia di competenza legislativa concorrente (tutela e sicurezza del lavoro: art. 117, terzo comma, Cost.).
Con le altre censure, del cui specifico contenuto si dirà quando saranno analiticamente esaminate, le ricorrenti si dolgono che il legislatore abbia dettato norme non di principio in materie di competenza concorrente oppure abbia invaso sfere di competenza esclusiva regionale - e provinciale per quanto concerne la Provincia di Trento - in particolare disciplinando l'attività regolamentare in materie che esorbitano da quelle di esclusiva competenza legislativa statale.
Le Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Marche e la Provincia autonoma di Trento, con altri ricorsi, hanno poi impugnato numerose disposizioni del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), sempre in riferimento ai parametri costituzionali suindicati (nonché anche agli articoli 3, 4 e 97 Cost. la prima, all'articolo 97 Cost. la seconda, agli articoli 3, 41 e 77 Cost. la terza ed all'art. 3 Cost. la Provincia autonoma).
Prima dell'udienza, con provvedimento del 28 settembre 2004, è stata disposta la trattazione separata da tutte le altre delle questioni concernenti le impugnazioni avverso l'art. 8 e l'art. 1, comma 2, lettera d), prima parte, della legge n. 30 del 2003 per essere discusse ed esaminate insieme a quelle aventi ad oggetto disposizioni del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124 (Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell'articolo 8 della legge 14 febbraio 2003, n. 30).

2. - Tutti i ricorsi, con eccezione delle questioni appena indicate, vanno riuniti in quanto, avendo essi ad oggetto questioni analoghe o connesse, ne risulta opportuna la trattazione unitaria.
In via preliminare, si rileva l'inammissibilità del ricorso della Regione Toscana contro la legge n. 30 del 2003, perché la delibera della Giunta regionale n. 379 del 2003, di autorizzazione al Presidente a proporre il ricorso, omette di indicare specificamente le disposizioni da impugnare e le ragioni della impugnativa e si limita ad affermare che la legge stessa «appare in più parti invasiva delle competenze attribuite alla Regione dagli artt. 117 e 118 della Costituzione». Infatti, è principio più volte affermato da questa Corte che la delibera di autorizzazione al ricorso di cui all'art. 127 Cost. può concernere l'intera legge soltanto qualora quest'ultima abbia un contenuto omogeneo e le censure siano formulate in modo tale da non ingenerare dubbi sull'oggetto e le ragioni dell'impugnativa (cfr. sentenze n. 85 del 1990, n. 261 del 1995, n. 94 e n. 213 del 2003 e ancor più di recente, n. 359 del 2003 e n. 238 del 2004).
Nella specie si rileva, senza che sia necessario procedere all'esame delle sue singole disposizioni, che la legge impugnata attiene a materie diverse, quali i servizi per l'impiego, la previsione di nuove figure di rapporti di lavoro, la disciplina dei contratti a contenuto formativo ed altre ancora. Ne consegue che la delibera della Giunta della Regione Toscana, in quanto formulata nei termini generici di cui si è detto, non è idonea a sorreggere il ricorso da essa proposto.
Poiché alcune disposizioni della legge n. 30 del 2003 - art. l, comma 2, lettera o); art. 2, comma 1, lettera a); art. 7 - sono state impugnate soltanto dalla Regione Toscana, l'inammissibilità del ricorso da questa proposto fa sì che le relative doglianze non possano essere scrutinate nel merito.

3. - Ciò premesso, devono essere esaminate con priorità le censure concernenti l'uso della delegazione legislativa per stabilire i principi fondamentali nelle materie oggetto di competenza legislativa concorrente, censure ritualmente proposte soltanto dalla Regione Marche e che si appuntano, in particolare, contro il comma 1 dell'art. l della legge di delegazione n. 30 del 2003 e contro la prima parte dell'art. 2 della stessa legge.
Secondo la ricorrente, poiché lo strumento della delegazione legislativa comporta da parte del Parlamento la determinazione di principi e criteri direttivi, una volta che questi siano stati stabiliti, le disposizioni emanate in attuazione della delega non potrebbero avere ad oggetto norme contenenti i principi fondamentali della materia bensì soltanto norme c.d. di dettaglio, con conseguente intromissione nella sfera di competenza legislativa propria della Regione. Lo strumento della delega sarebbe comunque del tutto incongruo ai fini della determinazione dei principi fondamentali.
La tesi non è fondata.
Questa Corte ha più volte affermato che con il ricorso proposto ai sensi dell'art. 127, secondo comma, Cost., le Regioni possono addurre soltanto la lesione delle loro attribuzioni legislative da parte dello Stato e non anche la violazione di qualsiasi precetto costituzionale. Ciò non significa che i parametri evocabili siano soltanto quelli degli articoli 117, 118 e 119 Cost., bensì che il contrasto con norme costituzionali diverse può essere efficacemente addotto soltanto se esso si risolva in una esclusione o limitazione dei poteri regionali (v., ex plurimis, sentenze n. 503 del 2000, n. 274 del 2003 e, più di recente, n. 4, n. 6 e n. 196 del 2004). È soltanto sotto questo profilo - e ciò concerne anche tutte le altre censure - che in questa sede la legittimità costituzionale delle norme denunciate va accertata, senza che possano aver rilievo denunce di illogicità o di violazione di principi costituzionali che non ridondino in lesioni delle sfere di competenza regionale.
D'altra parte, la nozione di “principio fondamentale”, che costituisce il discrimine nelle materie di competenza legislativa concorrente tra attribuzioni statali e attribuzioni regionali, non ha e non può avere caratteri di rigidità e di universalità, perché le “materie” hanno diversi livelli di definizione che possono mutare nel tempo. È il legislatore che opera le scelte che ritiene opportune, regolando ciascuna materia sulla base di criteri normativi essenziali che l'interprete deve valutare nella loro obiettività, senza essere condizionato in modo decisivo da eventuali autoqualificazioni. Ne consegue che il rapporto tra la nozione di principi e criteri direttivi, che concerne il procedimento legislativo di delega, e quella di principi fondamentali della materia, che costituisce il limite oggettivo della potestà statuale nelle materie di competenza concorrente, non può essere stabilito una volta per tutte. E ciò è confermato da quanto può dedursi dalla sentenza n. 359 del 1993, con la quale questa Corte affermò che con legge delegata potevano essere stabiliti i principi fondamentali di una materia, «stante la diversa natura ed il diverso grado di generalità che detti principi possono assumere rispetto ai “principi e criteri direttivi” previsti in tema di legislazione delegata dall'art. 76 della Costituzione». Tali affermazioni non sono state smentite dalle sentenze n. 303 del 2003 e n. 280 del 2004, quest'ultima riguardante una delega avente ad oggetto non la determinazione bensì la ricognizione di principi fondamentali già esistenti nell'ordinamento e quindi da esso enucleabili.
La lesione delle competenze legislative regionali non deriva dall'uso, di per sé, della delega, ma può conseguire sia dall'avere il legislatore delegante formulato principi e criteri direttivi che tali non sono, per concretizzarsi invece in norme di dettaglio, sia dall'aver il legislatore delegato esorbitato dall'oggetto della delega, non limitandosi a determinare i principi fondamentali.

4. - Occorre perciò procedere all'esame delle singole questioni.
Tuttavia, poiché le censure dipendono in parte da opzioni interpretative di carattere generale adottate dalle ricorrenti, è su queste che occorre soffermarsi prima di procedere allo scrutinio analitico delle norme impugnate.
Il comma 1 dell'art. 1 della legge delega è così formulato:
«Allo scopo di realizzare un sistema efficace e coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza ed efficienza al mercato del lavoro e a migliorare le capacità d'inserimento professionale dei disoccupati e di quanti sono in cerca di una prima occupazione, con particolare riguardo alle donne e ai giovani, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro per le pari opportunità ed entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a stabilire, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell'Unione europea in materia di occupabilità, i principi fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l'impiego, con particolare riferimento al sistema del collocamento, pubblico e privato, e di somministrazione di manodopera».
Il comma 2 dello stesso articolo contiene la determinazione dei principi e criteri direttivi indicati sotto le lettere da a) a q), alcune delle quali suddivise in numeri. L'art. 2 è costituito da un unico comma, indicato con il numero 1, la cui prima parte è del seguente tenore: «Il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro per le pari opportunità, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica e con il Ministro per gli affari regionali, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a stabilire, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell'Unione europea in materia di occupazione, la revisione e la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi». Segue l'enunciazione di questi, indicati sotto le lettere da a) ad i).
Le due norme citate comportano alcune puntualizzazioni da cui ricavare criteri per la risoluzione delle diverse questioni.
Dall'analisi del comma 1 dell'art. 1 si ricava che la delega concerne i servizi per l'impiego ed in particolare il collocamento e la somministrazione di mano d'opera, che il legislatore ritiene tale materia rientrante nella tutela e sicurezza del lavoro, prevista come oggetto di competenza concorrente e che, di conseguenza, nel rispetto delle attribuzioni regionali, la delega è limitata alla determinazione dei principi fondamentali.
La norma di per sé considerata non può dar luogo a censure o a specificazioni interpretative se non per quanto riguarda la somministrazione di lavoro, locuzione, questa, nella quale rientra non soltanto la disciplina dei soggetti ad essa abilitati, ma anche quella dei rapporti intersoggettivi che nascono dalla somministrazione; discipline, quindi, che vanno tenute distinte ai fini della loro riconduzione ai parametri costituzionali.
Ora, quale che sia il completo contenuto che debba riconoscersi alla materia “tutela e sicurezza del lavoro”, non si dubita che in essa rientri la disciplina dei servizi per l'impiego ed in specie quella del collocamento. Lo scrutinio delle norme impugnate dovrà quindi essere condotto applicando il criterio secondo cui spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali ed alle Regioni l'emanazione delle altre norme comunemente definite di dettaglio; occorre però aggiungere che, essendo i servizi per l'impiego predisposti alla soddisfazione del diritto sociale al lavoro, possono verificarsi i presupposti per l'esercizio della potestà statale di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., come pure che la disciplina dei soggetti comunque abilitati a svolgere opera di intermediazione può esigere interventi normativi rientranti nei poteri dello Stato per la tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.).

5. - Considerazioni parzialmente diverse vanno fatte riguardo alla sopracitata prima parte dell'art. 2 della legge n. 30 del 2003.
In questo caso la delega, che concerne la revisione e la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo, non è limitata alla determinazione dei principi fondamentali e tuttavia il legislatore delegante impone al Governo il rispetto delle competenze affidate alle Regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro.
La circostanza che, in questo caso, il legislatore non abbia limitato la delega alla determinazione dei principi fondamentali si può spiegare con il rilievo che i contratti a contenuto formativo, tradizionalmente definiti a causa mista, rientrano pur sempre nell'ampia categoria dei contratti di lavoro, la cui disciplina fa parte dell'ordinamento civile e spetta alla competenza esclusiva dello Stato (v. la sentenza n. 359 del 2003).
Questioni di legittimità costituzionale possono quindi anzitutto insorgere per le interferenze tra norme rientranti in materie di competenza esclusiva, spettanti alcune allo Stato ed altre, come l'istruzione e formazione professionale, alle Regioni. In tali ipotesi può parlarsi di concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o concorrente. Per la composizione di siffatte interferenze la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed è quindi necessaria l'adozione di principi diversi: quello di leale collaborazione, che per la sua elasticità consente di aver riguardo alle peculiarità delle singole situazioni, ma anche quello della prevalenza, cui pure questa Corte ha fatto ricorso (v. sentenza n. 370 del 2003), qualora appaia evidente l'appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre.
La prima parte dell'art. 2 della legge n. 30 del 2003, come il comma 1 dell'art. l, non presenta di per sé profili di illegittimità costituzionale.

6. - Allo scrutinio delle questioni riguardanti le disposizioni del comma 2 dell'art. 1 e della seconda parte del comma 1 dell'art. 2 della legge n. 30 del 2003 è opportuno far precedere l'esame delle questioni aventi ad oggetto gli artt. 3 e 5 della stessa legge, al quale si riconnette l'enunciazione di principi applicabili anche per la risoluzione delle prime.
Infondate sono le censure mosse dalla sola Regione Marche all'art. 3 della legge n. 30 che ha ad oggetto la delega al Governo ad adottare uno o più decreti legislativi recanti norme per promuovere il ricorso a prestazioni di lavoro a tempo parziale, quale tipologia contrattuale idonea a favorire l'incremento del tasso di occupazione e, in particolare, del tasso di partecipazione delle donne, dei giovani e dei lavoratori con età superiore ai cinquantacinque anni al mercato del lavoro, secondo principi e criteri direttivi, raggruppati sotto le lettere da a) a g), dei quali solo quelli delle prime tre sono stati censurati. Essi prevedono l'agevolazione del ricorso a prestazioni di lavoro supplementare nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale cosiddetto orizzontale (lettera a), l'agevolazione di forme flessibili ed elastiche di lavoro a tempo parziale cosiddetto verticale e misto (lettera b), l'estensione delle forme flessibili ed elastiche anche ai contratti a tempo parziale a tempo determinato (lettera c).
La Regione impugnante svolge le sue critiche alle norme sul presupposto che esse rientrino nella materia “tutela e sicurezza del lavoro” e che, quindi, per quanto concerne la competenza legislativa, soggiacciano al criterio dell'attribuzione allo Stato della competenza a determinare i principi fondamentali e della spettanza alle Regioni di tutto ciò che non rientri tra questi.
Tale ottica non può essere condivisa.
La disciplina intersoggettiva di qualsiasi rapporto di lavoro, e quindi anche di quello a tempo parziale, come già detto, rientra nella materia “ordinamento civile”, di competenza esclusiva dello Stato. Non ha rilievo che la normativa sia ispirata a criteri di flessibilità ed elasticità in modo tale che, adattandosi alle diverse singole situazioni, ed in particolare a quelle delle persone che appaiono più svantaggiate (giovani, donne, disoccupati da lungo tempo, disabili etc.), possa essere favorita l'occupazione. Infatti, l'incremento del tasso di occupazione è una finalità che può essere perseguita con misure che incidono su diverse materie: servizi per l'impiego, disciplina civilistica intersoggettiva del rapporto, previdenziale, tributaria e quante altre il legislatore nell'esercizio della sua discrezionalità, a seconda dei contesti, possa ritenere più appropriate al raggiungimento dello scopo.
Non ha quindi alcun rilievo, ai fini che qui interessano, la circostanza che il legislatore espressamente consideri il lavoro a tempo parziale «quale tipologia contrattuale idonea a favorire il tasso di occupazione».

7. - Non fondate sono anche le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 5 della suindicata legge il quale, «al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro», attribuisce al Governo la delega «ad adottare … uno o più decreti legislativi recanti disposizioni in materia di certificazione del relativo contratto stipulato tra le parti, nel rispetto dei … principi e criteri direttivi» indicati sotto le lettere da a) ad i) e dei quali sono impugnati dalla sola Regione Basilicata i criteri indicati sotto le lettere e) ed f).
La prima delle disposizioni impugnate stabilisce come principio e criterio direttivo l'«attribuzione di piena forza legale al contratto certificato ai sensi della procedura di cui alla lettera d), con esclusione della possibilità di ricorso in giudizio se non in caso di erronea qualificazione del programma negoziale da parte dell'organo preposto alla certificazione e di difformità tra il programma negoziale effettivamente realizzato dalle parti e il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione».
La disposizione sub lettera f) introduce come principi e criteri direttivi: la «previsione di espletare il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'art. 410 del codice di procedura civile innanzi all'organo preposto alla certificazione quando si intenda impugnare l'erronea qualificazione dello stesso o la difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, prevedendo che gli effetti dell'accertamento svolto dall'organo preposto alla certificazione permangano fino al momento in cui venga provata l'erronea qualificazione del programma negoziale o la difformità tra il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione e il programma attuato. In caso di ricorso in giudizio, introduzione dell'obbligo in capo all'autorità giudiziaria competente di accertare anche le dichiarazioni e il comportamento tenuto dalle parti davanti all'organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro».
La Regione Basilicata sostiene che le disposizioni censurate contengano norme di dettaglio in materia di competenza legislativa concorrente e che, se interpretate nel senso di restringere la proponibilità di azioni giudiziarie, contrastino con l'art. 24 della Costituzione.
Le censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate.
Quanto all'inammissibilità va osservato che, secondo quanto premesso sub punto 3, il parametro da ultimo citato non riguarda la sfera di attribuzioni della ricorrente: nessuna competenza è, infatti, attribuita alle Regioni per la tutela del diritto di difesa.
Per quel che riguarda l'infondatezza, va precisato che le suindicate disposizioni, nella parte in cui tendono ad attribuire un particolare valore probatorio al contratto certificato, attengono all'ordinamento civile e, in quanto dirette a condizionare l'esercizio in giudizio dei diritti nascenti dal contratto di lavoro e la stessa attività dei giudici, attengono anche alla materia “giurisdizione e norme processuali” e sono quindi estranee a qualsiasi competenza legislativa regionale.

8. - Si deve ora procedere allo scrutinio delle questioni aventi ad oggetto le disposizioni dell'art. l, comma 2, della legge n. 30 del 2003, le quali determinano i principi e criteri direttivi cui avrebbe dovuto attenersi il legislatore delegato, e congiuntamente, ove ciò sia possibile, di quelle concernenti le norme del d.lgs. n. 276 del 2003 che ne costituiscano l'attuazione, destinate a determinare i principi fondamentali.
La questione relativa alla disposizione di cui alla lettera a) del menzionato art. 1, comma 2, sollevata dalla sola Regione Marche con riferimento agli articoli 76 e 117, terzo comma, Cost., non è fondata. La prescrizione di «snellimento e semplificazione delle procedure di incontro tra domanda ed offerta di lavoro» è sufficientemente specifica per soddisfare l'esigenza di determinatezza che un criterio direttivo deve possedere per non essere in contrasto con l'articolo 76 Cost. e, nel contempo, non fissa norme di dettaglio.
Le disposizioni sub lettera b), rette, come tutte quelle del comma 2 in esame, dalla prescrizione secondo cui la delega è esercitata «nel rispetto dei principi e criteri direttivi che seguono», sono così formulate: «modernizzazione e razionalizzazione del sistema del collocamento pubblico, al fine di renderlo maggiormente efficiente e competitivo, secondo una disciplina incentrata su:
1) rispetto delle competenze previste dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, con particolare riferimento alle competenze riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano;
2) sostegno e sviluppo dell'attività lavorativa femminile e giovanile, nonché sostegno al reinserimento dei lavoratori anziani;
3) abrogazione di tutte le norme incompatibili con la nuova regolamentazione del collocamento, ivi inclusa la legge 29 aprile 1949, n. 264, fermo restando il regime di autorizzazione o accreditamento per gli operatori privati ai sensi di quanto disposto dalla lettera l) e stabilendo, in materia di collocamento pubblico, un nuovo apparato sanzionatorio, con previsione di sanzioni amministrative per il mancato adempimento degli obblighi di legge;
4) mantenimento da parte dello Stato delle competenze in materia di conduzione coordinata ed integrata del sistema informativo lavoro».
Le questioni aventi ad oggetto la prima parte della indicata lettera b) e le disposizioni di cui ai numeri 1 e 2, impugnate dalla sola Regione Marche, non sono fondate. Mentre il primo periodo contiene l'indicazione di principi generali e delle finalità, nessuna lesione può derivare alla Regione dalla disposizione che impone il rispetto delle competenze previste dalla Costituzione, ed in particolare di quelle delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome (numero 1), e da quella di principio che impone il sostegno e lo sviluppo dell'attività lavorativa femminile e giovanile ed il sostegno al reinserimento dei lavoratori anziani (numero 2).
Il numero 3, anch'esso impugnato dalla sola Regione Marche, contiene diversi principi e criteri direttivi: la previsione dell'abrogazione di tutte le norme che risulteranno incompatibili con la nuova regolamentazione del collocamento, ivi inclusa la legge 29 aprile 1949, n. 264; la conservazione del regime di autorizzazione o accreditamento per gli operatori privati, ai sensi di quanto disposto dalla lettera l); la previsione, in materia di collocamento pubblico, di un nuovo apparato sanzionatorio, contenente sanzioni amministrative per il mancato adempimento degli obblighi di legge.
Neppure le censure rivolte a siffatte disposizioni sono fondate.
L'inclusione, tra i principi direttivi, dell'abrogazione delle norme incompatibili è soltanto l'esplicitazione di un principio generale già esistente nell'ordinamento.
La conservazione del regime dell'autorizzazione e dell'accreditamento, ai sensi di quanto disposto dalla lettera l), costituisce un mero rinvio a tale disposizione, oggetto di autonome censure che saranno esaminate in prosieguo.
Infine, poiché la competenza a disciplinare un apparato sanzionatorio va attribuita secondo le norme che regolano la materia cui le sanzioni si riferiscono, trattandosi nella specie di competenza concorrente (tutela e sicurezza del lavoro), allo Stato compete determinare i principi fondamentali e tra questi ultimi va inclusa la prescrizione che il nuovo apparato dovrà contenere sanzioni amministrative.
La disposizione di cui al numero 4, che include tra i principi e criteri direttivi il mantenimento da parte dello Stato delle competenze in materia di conduzione coordinata ed integrata del sistema informativo lavoro, è stata impugnata anche dalle Regioni Emilia-Romagna e Basilicata, per contrasto non solo con l'art. 117, terzo comma, Cost., ma anche con l'art. 118 Cost. e con il principio di sussidiarietà.
La censura non è fondata.
La disposizione, che non comporta alcuna estensione delle funzioni già svolte dallo Stato, riguarda il coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale, previsto come materia di competenza esclusiva dello Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera r), Cost. La conduzione diretta del sistema informativo statistico ed informatico - dato che questo non può non riguardare l'intero territorio nazionale - costituisce il mezzo idoneo a che il sistema stesso risulti complessivamente coordinato.
La norma, peraltro, non esclude la facoltà delle Regioni di disciplinare la predisposizione in sede regionale di sistemi di raccolta dati e deve essere valutata insieme con quelle del decreto delegato concernenti il sistema suindicato.
Infatti, le disposizioni del Capo III (Borsa continua nazionale del lavoro e monitoraggio statistico), di cui agli artt. 15, 16 e 17 del d.lgs. n. 276 del 2003, contengono norme dalle quali risulta il coinvolgimento delle Regioni nella gestione della rete informativa idonea al funzionamento della borsa continua del lavoro.
In particolare l'art. 15, comma 1, stabilisce che «a garanzia dell'effettivo godimento del diritto al lavoro di cui all'articolo 4 della Costituzione, e nel pieno rispetto dell'articolo 120 della Costituzione stessa, viene costituita la borsa continua nazionale del lavoro, quale sistema aperto e trasparente di incontro tra domanda e offerta di lavoro basato su una rete di nodi regionali». Ed il comma 5 dello stesso articolo prescrive che «il coordinamento tra il livello nazionale ed il livello regionale deve in ogni caso garantire, nel rispetto degli articoli 4 e 120 della Costituzione, la piena operatività della borsa continua nazionale del lavoro in ambito nazionale e comunitario. A tal fine il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rende disponibile l'offerta degli strumenti tecnici alle regioni e alle province autonome che ne facciano richiesta nell'ambito dell'esercizio delle loro competenze».
Inoltre, ed è ciò che più conta, l'art. 16 prevede:
«1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, stabilisce, di concerto con il Ministro della innovazione e della tecnologia, e d'intesa con le regioni e le province autonome, gli standard tecnici e i flussi informativi di scambio tra i sistemi, nonché le sedi tecniche finalizzate ad assicurare il raccordo e il coordinamento del sistema a livello nazionale.
2. La definizione degli standard tecnici e dei flussi informativi di scambio tra i sistemi avviene nel rispetto delle competenze definite nell'Accordo Stato-regioni-autonomie locali dell'11 luglio 2002 e delle disposizioni di cui all'articolo 31, comma 2, della legge 31 dicembre 1996, n. 675».
Infine, il comma 5 dell'art. 17 stabilisce che «in attesa dell'entrata a regime della borsa continua nazionale del lavoro il Ministero del lavoro e delle politiche sociali predispone, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, uno o più modelli di rilevazione da somministrare alle agenzie autorizzate o accreditate, nonché agli enti di cui all'articolo 6. La mancata risposta al questionario di cui al comma precedente è valutata ai fini del ritiro dell'autorizzazione o accreditamento».
Le norme del decreto legislativo comportano, quindi, il coinvolgimento delle Regioni nella disciplina e gestione del sistema informatico.

9. - Le Regioni Marche, Emilia-Romagna e Basilicata e la Provincia autonoma di Trento hanno impugnato la disposizione dell'art. 1, comma 2, lettera c), la quale stabilisce il «mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime, nonché alla risoluzione delle controversie collettive di rilevanza pluriregionale».
Secondo le ricorrenti, la norma comporta l'attribuzione allo Stato della competenza per l'intera disciplina laddove, concernendo essa una materia di competenza concorrente, allo Stato dovrebbe spettare solo la determinazione dei principi fondamentali, con esclusione delle funzioni amministrative; sarebbe inoltre violato il principio di sussidiarietà.
La disposizione appare estranea alla ratio della delega non soltanto per la materia, ma anche per il suo autonomo contenuto precettivo, come può dedursi pure dalla constatazione che nessuna norma è stata emessa sul punto con il decreto legislativo.
Le censure non sono fondate perché - come si è detto scrutinando le questioni aventi ad oggetto l'art. 5 della legge n. 30 - non è condivisibile la premessa dalla quale esse muovono. Infatti la conciliazione delle controversie di lavoro, rispetto alla quale le funzioni amministrative sono strettamente strumentali, non rientra nella materia della tutela e sicurezza del lavoro, bensì in quella dell'ordinamento civile, in quanto concernente la definizione transattiva delle controversie stesse, ed in quella della giurisdizione e norme processuali per l'incidenza che la previsione e la regolamentazione del tentativo di componimento bonario delle liti possono avere sullo svolgimento del processo.
Per quanto riguarda l'impugnazione della Provincia di Trento, l'inammissibilità della censura si fonda sul semplice rilievo che, prescrivendo il mantenimento delle funzioni svolte dallo Stato, la norma non può incidere su quelle già esercitate dalla ricorrente ai sensi del proprio statuto.

10. - La disposizione di cui alla lettera d) dell'art. 1, comma 2, è stata impugnata da tutte le ricorrenti, ma le questioni aventi ad oggetto la prima parte, la quale prescrive il «mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla vigilanza in materia di lavoro», sono state stralciate insieme a quelle riguardanti l'art. 8 di cui si è detto.
La seconda parte, da scrutinare, prescrive il mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative «alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea e all'autorizzazione per attività lavorative all'estero».
Da tutte le ricorrenti la norma è impugnata, al di là di profili non essenziali delle censure, sostanzialmente perché, attenendo i suindicati flussi di entrata dei lavoratori extracomunitari alla domanda di lavoro sul territorio regionale, la competenza non può spettare esclusivamente allo Stato.
Ora, a prescindere dal rilievo che la disposizione non attribuisce allo Stato alcuna nuova competenza, la materia “immigrazione” appartiene alla potestà esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera b, Cost.). La censura è per tale parte infondata, mentre generica è la denuncia di contrasto con l'art. 118 Cost., sicché la censura è sotto questo profilo inammissibile.

11. - La sola Regione Marche ha ritualmente impugnato la disposizione dell'art. 1, comma 2, lettera e), la quale stabilisce, come principio e criterio direttivo da seguire nella nuova disciplina del collocamento, il «mantenimento da parte delle province delle funzioni amministrative, attribuite dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469».
La ricorrente denuncia la violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost. in quanto non spetta allo Stato l'attribuzione delle funzioni amministrative nelle materie di competenza concorrente.
La censura non è fondata ai sensi delle considerazioni che seguono.
L'allocazione delle funzioni amministrative nelle materie, come quella di cui si tratta (tutela e sicurezza del lavoro), di competenza concorrente, non spetta, in linea di principio, allo Stato.
Tuttavia, come questa Corte ha già affermato (v. sentenza n. 13 del 2004), vi sono funzioni e servizi pubblici che non possono subire interruzioni se non a costo di incidere su diritti che non possono essere sacrificati. Tali rilievi comportano che le funzioni delle Province continueranno a svolgersi secondo le disposizioni vigenti fin quando le Regioni non le avranno sostituite con una propria disciplina.
La norma va intesa, quindi, nel senso che le funzioni amministrative sono mantenute in capo alle Province senza precludere la possibilità di diverse discipline da parte delle Regioni. Così interpretata la norma non lede la sfera di attribuzioni regionali. L'art. 3, comma 2, prima parte, del d.lgs. n. 276 del 2003, impugnato dalle Regioni Marche e Toscana, contiene una norma analoga a quella di cui all'art. 1, comma 2, lettera e), della legge delega e lo scrutinio relativo conduce, quindi, alle medesime conclusioni.

12.-- La disposizione di cui all'art. 1, comma 2, lettera f), della legge delega fissa come principio e criterio direttivo l'«incentivazione delle forme di coordinamento e raccordo tra operatori privati e operatori pubblici, ai fini di un migliore funzionamento del mercato del lavoro, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province». Le censure contro tale norma devono essere esaminate congiuntamente a quelle contro le disposizioni sub lettere l) e m) dello stesso art. 1, comma 2, lettera f), della legge di delegazione nonché a quelle contro gli artt. 3, comma 2; 4; 6; 12, commi 3 e 5; 13, commi 1 e 6; 14, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, per la connessione che esiste tra le norme impugnate e quindi tra le questioni di cui sono oggetto. La disposizione sub art. 1, comma 2, lettera l), della legge delega, impugnata ritualmente dalle Regioni Marche ed Emilia-Romagna, è così formulata: «identificazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari pubblici, con particolare riferimento agli enti locali, e privati, che abbiano adeguati requisiti giuridici e finanziari, differenziato in funzione del tipo di attività svolta, comprensivo delle ipotesi di trasferimento della autorizzazione e modulato in relazione alla natura giuridica dell'intermediario, con particolare riferimento alle associazioni non riconosciute ovvero a enti o organismi bilaterali costituiti da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale, ai consulenti del lavoro di cui alla legge 11 gennaio 1979, n. 12, nonché alle università e agli istituti di scuola secondaria di secondo grado, prevedendo, altresì, che non vi siano oneri o spese a carico dei lavoratori, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 7 della Convenzione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) del 19 giugno 1997, n. 181, ratificata dall'Italia in data 1° febbraio 2000».
Le disposizioni di cui alla lettera m) dell'art. 1, comma 2, della legge n. 30 del 2003, impugnate dalla sola Regione Marche, sono le seguenti: «abrogazione della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, e sua sostituzione con una nuova disciplina basata sui seguenti criteri direttivi:
1) autorizzazione della somministrazione di manodopera, solo da parte dei soggetti identificati ai sensi della lettera l);
2) ammissibilità della somministrazione di manodopera, anche a tempo indeterminato, in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo od organizzativo, individuate dalla legge o dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative;
3) chiarificazione dei criteri di distinzione tra appalto e interposizione, ridefinendo contestualmente i casi di comando e distacco, nonché di interposizione illecita laddove manchi una ragione tecnica, organizzativa o produttiva ovvero si verifichi o possa verificarsi la lesione di diritti inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al prestatore di lavoro;
4) garanzia del regime di solidarietà tra fornitore e utilizzatore in caso di somministrazione di lavoro altrui;
5) trattamento assicurato ai lavoratori coinvolti nell'attività di somministrazione di manodopera non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell'impresa utilizzatrice;
6) conferma del regime sanzionatorio civilistico e penalistico previsto per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro, prevedendo altresì specifiche sanzioni penali per le ipotesi di esercizio abusivo di intermediazione privata nonché un regime sanzionatorio più incisivo nel caso di sfruttamento del lavoro minorile;
7) utilizzazione del meccanismo certificatorio di cui all'articolo 5 ai fini della distinzione concreta tra interposizione illecita e appalto genuino, sulla base di indici e codici di comportamento elaborati in sede amministrativa che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio di impresa da parte dell'appaltatore».
Dell'art. 3 del d.lgs. n. 276 del 2003, che introduce le norme del Titolo II (Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro) e reca la rubrica “finalità”, è stato censurato il comma 2, per intero, dalle Regioni Marche e Toscana e solo le disposizioni sub lettere a) e c) dalla Regione Emilia-Romagna. Il comma, nelle parti censurate, è del seguente tenore:
«Ferme restando le competenze delle regioni in materia di regolazione e organizzazione del mercato del lavoro regionale e fermo restando il mantenimento da parte delle province delle funzioni amministrative attribuite dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e successive modificazioni ed integrazioni, per realizzare l'obiettivo di cui al comma 1:
a) viene identificato un unico regime di autorizzazione per i soggetti che svolgono attività di somministrazione di lavoro, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale;
b) vengono stabiliti i principi generali per la definizione dei regimi di accreditamento regionali degli operatori pubblici o privati che forniscono servizi al lavoro nell'ambito dei sistemi territoriali di riferimento anche a supporto delle attività di cui alla lettera a);
c) vengono identificate le forme di coordinamento e raccordo tra gli operatori, pubblici o privati, al fine di un migliore funzionamento del mercato del lavoro;
d) vengono stabiliti i principi e criteri direttivi per la realizzazione di una borsa continua del lavoro;
e) vengono abrogate tutte le disposizioni incompatibili con la nuova regolamentazione del mercato del lavoro e viene introdotto un nuovo regime sanzionatorio».
L'art. 2, comma 1, lettera e), del d.lgs. n. 276 del 2003, che detta la definizione di “autorizzazione” alle agenzie del lavoro, è impugnato dalla sola Regione Emilia-Romagna e la relativa impugnazione è da ritenere inammissibile, non essendo tale disposizione compresa tra quelle indicate nella delibera della Giunta regionale.
Del pari inammissibile è l'impugnativa dell'art. 5 del medesimo decreto, proposta dalla sola Provincia autonoma di Trento in modo generico, senza alcuna esplicitazione delle relative censure.
Gli artt. 4 e 6 del d.lgs. n. 276 del 2003, inseriti nel Capo I (Regime autorizzatorio e accreditamenti), sono formulati nel seguente modo:

art. 4 (Agenzie per il lavoro): «1. Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è istituito un apposito albo delle agenzie per il lavoro ai fini dello svolgimento delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale. Il predetto albo è articolato in cinque sezioni:
a) agenzie di somministrazione di lavoro abilitate allo svolgimento di tutte le attività di cui all'art. 20;
b) agenzie di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato abilitate a svolgere esclusivamente una delle attività specifiche di cui all'articolo 20, comma 3, lettere da a) a h);
c) agenzie di intermediazione;
d) agenzie di ricerca e selezione del personale;
e) agenzie di supporto alla ricollocazione professionale.
2. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rilascia entro sessanta giorni dalla richiesta e previo accertamento della sussistenza dei requisiti giuridici e finanziari di cui all'articolo 5, l'autorizzazione provvisoria all'esercizio delle attività per le quali viene fatta richiesta di autorizzazione, provvedendo contestualmente alla iscrizione delle agenzie nel predetto albo. Decorsi due anni, su richiesta del soggetto autorizzato, entro i novanta giorni successivi rilascia l'autorizzazione a tempo indeterminato subordinatamente alla verifica del corretto andamento dell'attività svolta.
3. Nelle ipotesi di cui al comma 2, decorsi inutilmente i termini previsti, la domanda di autorizzazione provvisoria o a tempo indeterminato si intende accettata.
4. Le agenzie autorizzate comunicano alla autorità concedente, nonché alle regioni e alle province autonome competenti, gli spostamenti di sede, l'apertura delle filiali o succursali, la cessazione della attività ed hanno inoltre l'obbligo di fornire alla autorità concedente tutte le informazioni da questa richieste.
5. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, stabilisce le modalità della presentazione della richiesta di autorizzazione di cui al comma 2, i criteri per la verifica del corretto andamento della attività svolta cui è subordinato il rilascio della autorizzazione a tempo indeterminato, i criteri e le modalità di revoca della autorizzazione, nonché ogni altro profilo relativo alla organizzazione e alle modalità di funzionamento dell'albo delle agenzie per il lavoro.
6. L'iscrizione alla sezione dell'albo di cui alla lettera a), comma 1, comporta automaticamente l'iscrizione della agenzia alle sezioni di cui alle lettere c) d) ed e) del predetto albo. L'iscrizione alla sezione dell'albo di cui al comma 1, lettera c), comporta automaticamente l'iscrizione della agenzia alle sezioni di cui alle lettere d) ed e) del predetto albo.
7. L'autorizzazione di cui al presente articolo non può essere oggetto di transazione commerciale».
L'articolo è stato impugnato nel suo complesso dalle Regioni Marche e Toscana e dalla Provincia di Trento, nonché, con esclusione del comma 7, dalla Regione Emilia-Romagna.
L'art. 6 (Regimi particolari di autorizzazione) è stato impugnato nella sua totalità dalle Regioni Emilia-Romagna e Marche nonché nei commi da 6 a 8 dalla Regione Toscana e dalla Provincia di Trento ed è così formulato:
«1. Sono autorizzate allo svolgimento della attività di intermediazione le università pubbliche e private, comprese le fondazioni universitarie che hanno come oggetto l'alta formazione con specifico riferimento alle problematiche del mercato del lavoro, a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro e fermo restando l'obbligo della interconnessione alla borsa continua nazionale del lavoro, nonché l'invio di ogni informazione relativa al funzionamento del mercato del lavoro ai sensi di quanto disposto al successivo articolo 17.
2. Sono altresì autorizzati allo svolgimento della attività di intermediazione, secondo le procedure di cui all'articolo 4 o di cui al comma 6 del presente articolo, i comuni, le camere di commercio e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari, a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro e che siano rispettati i requisiti di cui alle lettere c), f) e g) di cui all'articolo 5, comma 1, nonché l'invio di ogni informazione relativa al funzionamento del mercato del lavoro ai sensi di quanto disposto al successivo articolo 17.
3. Sono altresì autorizzate allo svolgimento della attività di intermediazione le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro, le associazioni in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale e aventi come oggetto sociale la tutela e l'assistenza delle attività imprenditoriali, del lavoro o delle disabilità, e gli enti bilaterali a condizione che siano rispettati i requisiti di cui alle lettere c), d), e), f), g) di cui all'articolo 5, comma 1.
4. L'ordine nazionale dei consulenti del lavoro può chiedere l'iscrizione all'albo di cui all'articolo 4 di una apposita fondazione o di altro soggetto giuridico dotato di personalità giuridica costituito nell'ambito del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro per lo svolgimento a livello nazionale di attività di intermediazione. L'iscrizione è subordinata al rispetto dei requisiti di cui alle lettere c), d), e), f), g) di cui all'articolo 5, comma l.
5. È in ogni caso fatto divieto ai consulenti del lavoro di esercitare individualmente o in altra forma diversa da quella indicata al comma 3 e agli articoli 4 e 5, anche attraverso ramificazioni a livello territoriale, l'attività di intermediazione.
6. L'autorizzazione allo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b), c), d), può essere concessa dalle regioni e dalle province autonome con esclusivo riferimento al proprio territorio e previo accertamento della sussistenza dei requisiti di cui agli articoli 4 e 5, fatta eccezione per il requisito di cui all'articolo 5, comma 4, lettera b).
7. La regione rilascia entro sessanta giorni dalla richiesta l'autorizzazione provvisoria all'esercizio delle attività di cui al comma 6, provvedendo contestualmente alla comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l'iscrizione delle agenzie in una apposita sezione regionale nell'albo di cui all'articolo 4, comma 1. Decorsi due anni, su richiesta del soggetto autorizzato, entro i sessanta giorni successivi la regione rilascia l'autorizzazione a tempo indeterminato subordinatamente alla verifica del corretto andamento dell'attività svolta.
8. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, stabilisce d'intesa con la Conferenza unificata le modalità di costituzione della apposita sezione regionale dell'albo di cui all'articolo 4, comma 1, e delle procedure ad essa connesse».
Su parte delle norme del decreto legislativo ora riportate ha inciso il decreto legislativo 6 ottobre 2004, n. 251 (Disposizioni correttive del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in materia di occupazione e mercato del lavoro). In particolare, per quanto concerne le disposizioni suindicate, l'art. 2 del decreto correttivo ha apportato le modifiche che si espongono. Il comma 1 ha sostituito il comma 2 dell'art. 6 del d.lgs. n. 276 con il seguente: «Sono altresì autorizzati allo svolgimento della attività di intermediazione, secondo le procedure di cui al comma 6, i comuni singoli o associati nelle forme delle unioni di comuni e delle comunità montane, le camere di commercio e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro e che siano rispettati i requisiti di cui alle lettere c), f) e g) del comma 1, dell'articolo 5, nonché l'invio di ogni informazione relativa al funzionamento del mercato del lavoro ai sensi di quanto disposto dall'articolo 17».
Il comma 2 ha sostituito il comma 8 dello stesso articolo 6 con il seguente: «Le procedure di autorizzazione di cui ai commi 6 e 7 sono disciplinate dalle regioni nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni e dei principi fondamentali desumibili in materia dal presente decreto. In attesa delle normative regionali, i soggetti autorizzati ai sensi della disciplina previgente allo svolgimento della attività di intermediazione, nonché i soggetti di cui al comma 3, che non intendono richiedere l'autorizzazione a livello nazionale possono continuare a svolgere, in via provvisoria e previa comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali dell'ambito regionale, le attività oggetto di autorizzazione con esclusivo riferimento ad una singola regione. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali provvede alla iscrizione dei predetti soggetti, in via provvisoria e previa verifica che l'attività si sia svolta nel rispetto della normativa all'epoca vigente, nella sezione regionale dell'albo di cui all'articolo 4, comma 1».
Infine il comma 3 dell'art. 2 del decreto n. 251 del 2004 ha aggiunto, dopo il comma 8, il seguente comma 8-bis: «I soggetti autorizzati ai sensi del presente articolo non possono in ogni caso svolgere l'attività di intermediazione nella forma del consorzio. I soggetti autorizzati da una singola regione, ai sensi dei commi 6, 7 e 8, non possono operare a favore di imprese con sede legale in altre regioni».
Alle disposizioni della legge delega di cui alle lettere l) ed m) sopra riportate si ricollegano quelle degli articoli 12, 13 e 14 del d.lgs. n. 276 del 2003, che sono state in parte impugnate dalla sola Regione Emilia-Romagna.
La ricorrente, pur avendo incluso nell'epigrafe del ricorso tra le disposizioni cui l'atto si riferisce tutti i commi da 1 a 5 dell'articolo 12, ha poi limitato le censure ai commi 3 e 5, per violazione degli articoli 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione, dolendosi che, pur essendo i fondi previsti dagli articoli l e 2 destinati in parte a misure di sostegno dell'occupazione e della formazione, entrambe materie di competenza regionale, le Regioni non siano state coinvolte nella loro gestione. I commi impugnati sono così formulati:
«3. Gli interventi e le misure di cui ai commi 1 e 2 sono attuati nel quadro di politiche stabilite nel contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro ovvero, in mancanza, stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro maggiormente rappresentative nel predetto ambito».
«5. I fondi di cui al comma 4 sono attivati a seguito di autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, previa verifica della congruità, rispetto alle finalità istituzionali previste ai commi 1 e 2, dei criteri di gestione e delle strutture di funzionamento del fondo stesso, con particolare riferimento alla sostenibilità finanziaria complessiva del sistema. II Ministero del lavoro e delle politiche sociali esercita la vigilanza sulla gestione dei fondi».
Dell'art. 13, la Regione Emilia-Romagna impugna i commi 1 e 6, del seguente tenore:
«1. Al fine di garantire l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori svantaggiati, attraverso politiche attive e di workfare, alle agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro è consentito:
a) operare in deroga al regime generale della somministrazione di lavoro, ai sensi del comma 2 dell'articolo 23, ma solo in presenza di un piano individuale di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, con interventi formativi idonei e il coinvolgimento di un tutore con adeguate competenze e professionalità, e a fronte della assunzione del lavoratore da parte delle agenzie autorizzate alla somministrazione, con contratto di durata non inferiore a sei mesi;
b) determinare altresì, per un periodo massimo di dodici mesi e solo in caso di contratti di durata non inferiore a nove mesi, il trattamento retributivo del lavoratore, detraendo dal compenso dovuto quanto eventualmente percepito dal lavoratore medesimo a titolo di indennità di mobilità, indennità di disoccupazione ordinaria o speciale, o altra indennità o sussidio la cui corresponsione é collegata allo stato di disoccupazione o inoccupazione, e detraendo dai contributi dovuti per l'attività lavorativa l'ammontare dei contributi figurativi nel caso di trattamenti di mobilità e di indennità di disoccupazione ordinaria o speciale».
«6. Fino alla data di entrata in vigore di norme regionali che disciplinino la materia, le disposizioni di cui al comma 1 si applicano solo in presenza di una convenzione tra una o più agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro, anche attraverso le associazioni di rappresentanza e con l'ausilio delle agenzie tecniche strumentali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e i comuni, le provincie o le regioni stesse».
Prima di scrutinare le norme suindicate, è necessario anzitutto richiamare quanto già detto riguardo al rapportarsi della disciplina del collocamento, ed in genere dei servizi per l'impiego, agli artt. 4 e 120 Cost. nonché al limite che la competenza regionale può incontrare per effetto delle attribuzioni statali riguardo alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (v. sentenza n. 388 del 2004).
Tutto ciò visto nell'ottica della realizzazione del diritto sociale al lavoro. Ma se il collocamento, ed in genere tutte le attività atte a favorire l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro, non sono più riservati alle strutture pubbliche, ritenendosi dal legislatore che solo l'apertura ai privati e la collaborazione tra questi e le strutture pubbliche possano rendere efficienti tali attività, la disciplina dei soggetti comunque abilitati a svolgerle deve essere in armonia con i precetti costituzionali concernenti l'attività economica. E sul punto è necessario rilevare che, se l'originaria disciplina dei privati abilitati all'intermediazione prevedeva che essi avessero come oggetto sociale esclusivo lo svolgimento di tale attività (art. 10, comma 3, d.lgs. n. 469 del 1997), questa esclusività non è più richiesta, sussistendo soltanto, per i soggetti polifunzionali, l'obbligo di tenere distinte divisioni operative, gestite con contabilità separata, onde consentire una puntuale conoscenza dei dati specifici (art. 5, comma 1, lettera e, d.lgs. n. 276 del 2003).
Dall'angolo visuale dei soggetti che la svolgono, l'attività di intermediazione nella sua più ampia accezione può quindi costituire oggetto di normale attività imprenditoriale ed è soggetta anche alle norme che tutelano la concorrenza.
Occorre infine osservare che l'autorizzazione di cui all'art. 1, comma 2, lettera l), della legge delega abilita anche allo svolgimento di tutte le attività di cui alla successiva lettera m), concernenti prevalentemente la somministrazione di manodopera o di lavoro altrui ed il regime dei rapporti che da essa nascono, nonché i criteri di distinzione tra appalto e interposizione ed il regime sanzionatorio civilistico e penalistico previsto per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro, materie tutte che rientrano in competenze esclusive dello Stato.
Sulla base di tali premesse si può procedere allo scrutinio delle singole questioni.
L'art. 1, comma 2, lettera l), della legge n. 30 del 2003 è impugnato ritualmente dalle Regioni Marche ed Emilia-Romagna perché, in una materia di competenza legislativa concorrente, conterrebbe norme di dettaglio. La Regione Emilia-Romagna denuncia anche l'ambiguità della norma per i dubbi interpretativi che suscita, evocando, oltre agli artt. 117 e 118 Cost., anche gli artt. 3 e 97 Cost., perché prevederebbe un eguale trattamento per situazioni diseguali e sarebbe comunque contraria al canone della buona amministrazione.
Le suindicate censure solo in parte possono trovare ingresso ed essere scrutinate nel merito.
A questa Corte, infatti, non compete formulare giudizi di opportunità o risolvere dubbi interpretativi, mentre i profili relativi agli artt. 3 e 97 Cost. non concretano lesioni della sfera di competenza regionale. Le censure sono, quindi, inammissibili, in parte qua.
La questione, così delimitata, è infondata.
La scelta di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento costituisce un criterio direttivo idoneo a dar luogo alla formulazione di un principio fondamentale, sul quale basare la disciplina della complessa materia. L'opzione di un unico regime giuridico per chiunque voglia svolgere attività in senso generico di intermediazione è correlata all'esigenza che il mercato del lavoro abbia dimensioni almeno nazionali - in questa sede non vengono in evidenza problemi di adeguamento al diritto comunitario - esigenza la quale a sua volta si radica nel precetto dell'art. 120, primo comma, Cost., la cui osservanza costituisce la premessa perché siano garantiti anche altri interessi costituzionalmente protetti, quali quelli inerenti alle prestazioni essenziali per la realizzazione del diritto al lavoro, da un lato, ed allo svolgimento di attività che possono avere natura economica in regime di concorrenza, dall'altro.
La previsione di ambiti regionali del mercato del lavoro è ausiliaria e complementare rispetto al mercato nazionale.
Connessa alla scelta dell'unicità del regime autorizzatorio o di accreditamento è quella dell'albo delle agenzie per il lavoro, di cui all'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003, mentre la previsione delle sue articolazioni è in funzione della varietà sia dei soggetti cui può essere data l'autorizzazione o l'accreditamento, sia delle attività che essi possono svolgere.
Inoltre, poiché le agenzie iscritte nell'albo possono svolgere la loro attività sull'intero territorio nazionale e l'autorizzazione definitiva viene rilasciata solo dopo la verifica del corretto andamento dell'attività svolta (art. 4, comma 2, d.lgs. n. 276), la disciplina delle modalità di rilascio delle autorizzazioni, dei criteri di verifica dell'attività, di revoca dell'autorizzazione e «di ogni altro profilo relativo alla organizzazione e alle modalità di funzionamento dell'albo delle agenzie per il lavoro», ancorché in parte si tratti anche di disciplina di attività amministrative, è coessenziale ai principi fondamentali suindicati.
Le censure contro i restanti commi del citato art. 4, anche in considerazione del grado di specificità delle ragioni addotte, sono quindi infondate.
Per quanto concerne le questioni relative all'art. 6, occorre preliminarmente rilevare che le censure prospettate dalle Regioni Marche ed Emilia-Romagna, con riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., sono da ritenere inammissibili in quanto i profili di censura in esse evidenziati non ridondano in lesioni della sfera di competenza costituzionalmente garantita alle Regioni.
Nel merito, invece, tenuto conto di quanto disposto dall'art. 2 del d.lgs. n. 251 del 2004, si rileva che il contenuto precettivo del comma 2 non è mutato per effetto della sostituzione operata da quest'ultimo provvedimento legislativo, così come non è mutato quello del comma 3 in conseguenza della modifica, sicché è sulle norme come sostituite o modificate che occorre trasferire le censure. Esse, come quelle contro i commi 1, 4, 5, 6 e 7, non sono fondate, per ragioni analoghe a quelle già esposte con riguardo all'art. 4, con la precisazione che tale esito riguarda anche le doglianze prospettate dalle Regioni Marche, Emilia-Romagna e Toscana in riferimento all'art. 97 della Costituzione.
Per quanto riguarda il comma 8, la sostituzione operata dal comma 2 dell'art. 2 del d.lgs. n. 251 del 2004 comporta che non è più previsto che le modalità di costituzione dell'apposita sezione regionale dell'albo di cui all'art. 4, comma 1, e delle procedure ad essa connesse siano stabilite da un decreto ministeriale; è invece stabilito che le procedure di autorizzazione di cui ai commi 6 e 7 siano disciplinate dalle Regioni nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni e dei principi fondamentali desumibili in materia dallo stesso decreto. Di conseguenza, non vi è luogo a provvedere essendo cessata la materia del contendere.
Le questioni aventi ad oggetto l'art. 1, comma 2, lettera m), della legge n. 30 del 2003, sollevate dalla sola Regione Marche con riferimento all'art. 117, terzo e sesto comma, Cost., in quanto le disposizioni censurate conterrebbero norme di dettaglio in materia di tutela e sicurezza del lavoro, di competenza legislativa concorrente, non sono fondate.
La prima parte della norma dispone l'abrogazione della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 e quella del numero 1 stabilisce come principio e criterio direttivo che l'autorizzazione alla somministrazione di manodopera debba essere data solo ai soggetti autorizzati ai sensi della lettera l). Si tratta di norme concernenti aspetti generali del nuovo sistema del collocamento e della intermediazione, connesse al regime unico dell'autorizzazione di cui si è detto, e della conseguente abrogazione della legge n. 1369 del 1960 sul presupposto della incompatibilità del vecchio sistema normativo riguardo al nuovo.
Da tali norme non deriva alcuna lesione della sfera di competenza regionale.
Le disposizioni sub numeri 2, 4 e 5 contengono norme sulla somministrazione di manodopera o di lavoro altrui e sui rapporti che da essa nascono tra fornitore ed utilizzatore e sui diritti dei lavoratori. Le norme rientrano quindi nella materia dell'ordinamento civile, di esclusiva competenza statale.
Le disposizioni di cui ai numeri 3 e 7 riguardano la distinzione tra appalto lecito e interposizione vietata e quindi sono anch'esse da ricondurre all'ordinamento civile.
Infine la disposizione contenuta nel numero 6 ha ad oggetto i principi concernenti l'apparato sanzionatorio civilistico e penalistico e quindi ancora una volta materie di competenza esclusiva statale (art. 117, comma secondo, lettera l, Cost.).
Anche tali questioni non sono, pertanto, fondate.
Connessi alle disposizioni della legge di delegazione appena esaminate, in quanto concernono aspetti della somministrazione di lavoro, sono gli articoli 12, 13 e 14 del d.lgs. n. 276 del 2003, dei quali la sola Regione Emilia-Romagna censura rispettivamente i commi 3 e 5, i commi 1 e 6, ed i commi 1 e 2, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione.
In particolare, per quanto riguarda l'art. 12, la Regione ricorrente si duole che, pur essendo i fondi di cui ai commi 1 e 2 destinati ad attività rientranti in materie o di competenza esclusiva regionale (formazione professionale) o di competenza concorrente (tutela e sicurezza del lavoro), la disciplina sia esclusivamente statale, senza alcun coinvolgimento delle Regioni e quindi anche in violazione dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
Le tesi della ricorrente non sono condivisibili.
È necessario premettere che dai commi 1 e 2 dell'articolo in esame risulta che i soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro devono versare al fondo di cui al comma 4 un primo contributo del quattro per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori a tempo indeterminato e che le somme sono destinate ad interventi in favore dei lavoratori assunti a tempo determinato, intesi, in particolare, a promuovere percorsi di qualificazione e riqualificazione anche in funzione di continuità di occasioni di impiego e a prevedere specifiche misure di carattere previdenziale.
Si deve osservare che sia per l'origine e quantificazione delle somme (contributi dei datori di lavoro commisurati in percentuale a retribuzioni), sia per una parte della loro destinazione (specifiche misure di carattere previdenziale sempre a favore dei lavoratori assunti a tempo determinato), si tratta di una disciplina essenzialmente di carattere previdenziale, che soltanto eventualmente e in modo marginale può farsi rientrare nella tutela e sicurezza del lavoro o nella qualificazione o riqualificazione, queste ultime peraltro da svolgersi, se non esclusivamente, di norma all'interno delle aziende, essendo finalizzate alla continuità delle occasioni d'impiego.
Il comma 2 prevede un identico contributo da destinare in parte all'integrazione del reddito dei lavoratori a tempo determinato e quindi ancora a scopi previdenziali, in parte a iniziative comuni relative all'accertamento dell'utilità generale della somministrazione di lavoro, o a favorire iniziative per l'inserimento o il reinserimento di lavoratori svantaggiati, oppure percorsi di qualificazione e riqualificazione professionale. Si tratta di norme generali sulla tutela del lavoro.
La prevalenza e soprattutto l'indefettibilità della natura previdenziale del fondo a fronte di altre destinazioni puramente eventuali delle risorse, il carattere nazionale del medesimo, la necessità di tener conto della «sostenibilità finanziaria complessiva del sistema», giustificano l'attrazione alle competenze statali anche di funzioni amministrative (v. sentenza n. 303 del 2003).
Le disposizioni impugnate dell'art. 13 disciplinano deroghe al regime generale del contratto di inserimento qualora i soggetti da inserire siano lavoratori svantaggiati. Riguardo ad esse si può osservare che, essendo la finalità quella di favorire l'inserimento nel mondo del lavoro di tali soggetti, gli strumenti usati attengono anche al regime retributivo e quindi all'ordinamento civile, oppure a diritti previdenziali e dunque a materie di competenza esclusiva statale.
La ricorrente Regione Emilia-Romagna osserva che il comma 6 dello stesso articolo, nel prevedere un regime transitorio «fino alla data di entrata in vigore di norme regionali che disciplinino la materia», espressamente riconosce che questa appartiene alla competenza regionale.
Ora, a parte il rilievo che non può essere una legge ordinaria a modificare l'assetto costituzionale del riparto delle competenze legislative, le norme impugnate hanno ad oggetto la disciplina di strutture e misure idonee a favorire l'inserimento dei soggetti svantaggiati che attengono al regime privatistico o previdenziale, sicché non è a queste misure che può riferirsi il rinvio ad una futura legislazione regionale.
In considerazione delle materie - ordinamento civile e previdenza - cui ineriscono le misure già stabilite, la disciplina transitoria non comporta alcuna lesione delle sfere di competenza regionale.
Infine, per quanto concerne le disposizioni dell'art. 14, si può osservare, da una parte, che esse contengono norme di principio, quale la previsione di una convenzione quadro, dall'altra, che è assicurato il coinvolgimento delle Regioni, dal momento che è previsto che le convenzioni «devono essere validate da parte delle regioni».
Si rileva, peraltro, che, in relazione ai menzionati artt. 13, commi 1 e 6, e 14, commi 1 e 2, la Regione ricorrente ha altresì lamentato la violazione dell'art. 76 Cost., sostenendo che tali norme non troverebbero alcun fondamento nella legge delega. Tali censure sono inammissibili poiché non si risolvono in una lesione della sfera di competenza costituzionalmente garantita alle Regioni.

13. - La Regione Emilia-Romagna ha impugnato, in riferimento agli artt. 3, 4, 76, 117 e 118 Cost., l'art. 22, comma 6, del d.lgs. n. 276 del 2003, il quale stabilisce che «la disciplina in materia di assunzioni obbligatorie e la riserva di cui all'articolo 4-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 181 del 2000, non si applicano in caso di somministrazione».
Il comma 3 dell'art. 4-bis suindicato a sua volta stabilisce che: «fermo restando quanto previsto dai commi 1 e 2, le regioni possono prevedere che una quota delle assunzioni effettuate dai datori di lavoro privati e dagli enti pubblici economici sia riservata a particolari categorie di lavoratori a rischio di esclusione sociale».
La ricorrente sostiene che la norma censurata comporta una deroga irragionevole ad un principio fondamentale con lesione delle competenze regionali; deroga non prevista dalla legge di delegazione n. 30 del 2003.
Sulla ammissibilità della questione non possono sorgere dubbi una volta che si rilevi che la disposizione derogata dalla norma censurata comporta potestà normative delle Regioni, sulle quali la deroga stessa incide, limitandole.
Nel merito, la questione è fondata perché nessuna disposizione della legge n. 30 del 2003 prevede la deroga suindicata.