Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 02 marzo 2011, n. 8277 - Cedimento strutturale di una macchina e decesso di due operai


 

Responsabilità di vari imputati per il cedimento strutturale di una macchina bivalente BM1 che ha determinato il decesso degli operai F.P. e D..

In uno stabilimento della I. spa di Taranto, il giorno dell'infortunio, erano infatti in corso i lavori di ripristino del braccio ruota di ripresa di una macchina da parte di dipendenti della ditta C. s.r.l., cui tali lavori erano stati appaltati dalla I. s.p.a.

Contemporaneamente era impegnata, nella manutenzione di altri apparati della stessa macchina, anche una squadra di dipendenti della società IN.S. e della stessa I., nella quale operava D.P., che lavorava sul piano di campagna, nonchè F.P. e S.C. che si erano sistemati sul bilanciere della macchina a notevole altezza dal suolo.

Nel corso dei lavori si verificava un collasso in due punti della macchina bivalente BM1 che a sua volta determinava un'azione autoscatenante delle colonne di sostegno del bilanciere che era meccanicamente collegato ad esso e sul quale stavano lavorando gli operai. A seguito di tale collasso decedevano il F.P. per la caduta dall'alto ed il D.P. in quanto colpito violentemente dalla zavorra del bilanciere con il contrappeso abbattuto al suolo.

 

Venivano attribuiti i seguenti profili di colpa:

 

- Il PI., nella qualità di dirigente della C. s.r.l. con funzioni di capo ufficio tecnico, elaborava (con una relazione di calcolo estremamente povera, stringata ed inadeguata) e sottoscriveva la Pratica Operativa su indicata, la cui applicazione provocava l'incidente, inoltre illustrava tale documento programmatico ai dipendenti C. interessati al cantiere, dando precise istruzioni;

 

- Il B., il Q. e lo Z., il primo nella qualità di dirigente della C. s.rl. con funzione di responsabile del coordinamento di sicurezza, il secondo ed il terzo nella qualità di dirigenti dell'I. con funzioni di responsabile preparazioni minerali, agglomerazione e produzione calcare e calce l'uno e manutenzione meccanica dell'area PMA l'altro, nel corso di una o più operazioni approvavano la Pratica Operativa per negligenza ed imprudenza (dovuta ad una mancanza di accurati controlli che avallava l'inadeguato calcolo del PI.). In particolare il B. partecipava ai lavori controllando personalmente il grado di deformazione della parte terminale del braccio tralicciato; il Q. e lo Z. partecipavano alla riunione per la valutazione della Pratica Operativa, il primo esprimendo un giudizio positivo sulla stessa, il secondo sottoscrivendo anche la specifica tecnica I.. (OMISSIS) relativa al ripristino del braccio, con indicazioni esecutive uguali a quelle riportate nella pratica C.;

 

- Il P., nella qualità di amministratore unico della C. s.r.l. (ditta appaltatrice), ed il C., nella sua qualità di direttore dello stabilimento I. s.p.a (ditta appaltante) entrambi per colpa in eligendo e in vigilando per imprudenza e negligenza e in violazione di legge (artt. 2049, 2050, 2087 cod. civ. e D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 3 e 4) determinavano e/o avallavano la inadeguata procedura operativa di cui sopra non predisponendo, data l'eccezionalità della manutenzione, all'interno della ditta un conveniente assetto organizzativo, non affidando la realizzazione di complesse attività di ingegneria a responsabili provvisti di titoli adeguati, nonchè non garantendo un sufficiente livello professionale degli addetti all'elaborazione tecnica propedeutica agli ordini relativi agli appalti più complessi. Inoltre, rivestiva una posizione primaria di garanzia della sicurezza dei lavoratori, come soggetto organizzatore dell'attività produttiva.

 

Condannati in primo e secondo grado, ricorrono in Cassazione - Va accolto il solo ricorso del C. e vanno respinti tutti gli altri.

 

La Suprema Corte afferma che la Corte d'Appello, riportando i risultati della perizia tecnica, ha potuto dichiarare in termini di certezza che "l'unica causa che ha determinato il collasso del braccio, con conseguente crollo della struttura è stata.....l'applicazione di un contrappeso provvisorio di valore eccessivo".

 

Quanto alla sola posizione del C. annulla senza rinvio perchè il fatto non costituisce reato.

 

"Nel caso di specie dagli atti, invero, emerge che il C. L., direttore dello stabilimento I. di Taranto, suddiviso in molteplici settori e con dodicimila dipendenti, aveva conferito al Q.G. ampia delega con atto scritto con l'indicazione dei poteri conferiti, con effettivo trasferimento delle funzioni decisionali ivi compresa quella della disponibilità finanziaria per la dotazione delle misure antinfortunistiche.

 

Sul punto la motivazione della Corte d'Appello barese appare contraddittoria.

Se da un lato, infatti, riconosce piena validità alla delega rilasciata dal Presidente della società I., R.E. (originariamente coimputato e poi assolto dal Tribunale proprio in ragione della delega conferita in materia di sicurezza) all'ing. C. L., direttore dello stabilimento, dall'altro lato, pur dando atto di analoga delega formale conferita con atto notarile dal C. al Q. in materia di sicurezza, alla stessa non attribuisce la medesima valenza esoneratrice di responsabilità, sul rilievo che il direttore dello stabilimento è venuto meno al suo obbligo di controllo e vigilanza sull'operato del delegato.

E' da osservare che per coerenza logica la Corte avrebbe dovuto censurare per le stesse ragioni, almeno formalmente (in mancanza del gravame della Pubblica accusa) l'assoluzione del R.E., atteso che la posizione è esattamente paritetica a quella del C.. Se, infatti, fosse residuato in capo al ricorrente quell'obbligo di controllo e vigilanza, esso avrebbe richiesto una sua personale e costante presenza sul luogo del lavoro con la conseguenza che la funzione di quella delega sarebbe stata frustrata. Non si può, invero, esigere dal delegante, a capo di un'impresa complessa e mastodontica, di controllare un aspetto minimo quale fu quello della manutenzione di una sola macchina, sia pure importante, all'interno dell'azienda."

Diversamente tale obbligo avrebbe potuto rivivere nel momento in cui il delegato si fosse disinteressato del tutto circa l'apprestamento nell'ambito aziendale delle misure antinfortunistiche.


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo G. Presidente

Dott. ROMIS Vincenzo rel. Consigliere

Dott. D'ISA Claudio Consigliere

Dott. IZZO Fausto Consigliere

Dott. VITELLI CASELLA Luca Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

  

sul ricorso proposto da:

1) Q.G. N. IL (OMISSIS);

2) Z.S. N. IL (OMISSIS);

3) P.G. N. IL (OMISSIS);

4) PI.FR.AN. N. IL (OMISSIS);

5) B.G. N. IL (OMISSIS);

6) C.L. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 733/2009 CORTE APPELLO SEZ. DIST. di TARANTO, del 09/02/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/01/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D'ISA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GIALANELLA Antonio che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

uditi:

l'avv. ALBANESE EGIDIO, difensore di fiducia dei ricorrenti Q. e Z. insiste nell'accoglimento dei ricorsi;

l'avv. Giamona Maurizio difensore, sost. proc. dell'avv. Raffaele Enrico difensore di fiducia di (Ndr: testo originale non comprensibile) P., PI. E B. insiste nell'accoglimento dei motivi del ricorso;

l'avv. RAFFAELI ADINA sost. proc. dell'avv. MATTONI CESARE di fiducia del ricorrente C. e l'avv. PADOVANI TULLIA difensore dello stesso ricorrente che chiede l'accoglimento del ricorso.

 

 

 

FattoDiritto

 

Q.G., Z.S., P.G., PI.Fr.An., B.G. e C.L. ricorrono in cassazione avverso la sentenza, in data 9.02.2010, della Corte d'Appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto - che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei loro confronti il 17.10.2008 dal Tribunale di Taranto in  ordine al reato di cui all'art. 113 c.p. art. 589 c.p., commi 2 e 3, commesso in (OMISSIS), ha disposto non farsi menzione della condanna inflitta a Pi., B. e Z. nei certificati del casellario giudiziario. Per una migliore esposizione e comprensione dei motivi dei gravami di legittimità è opportuno, sia pure in massima sintesi, esporre la vicenda processuale che ci occupa.

 

In data 12.06.2003 nel reparto Preparazione Minerali, Agglomerazione e Produzione calcare e calce dello stabilimento I. di Taranto, erano in corso lavori di ripristino del braccio ruota di ripresa di una macchina combinata di messa a parco e ripresa minerale BM1, da parte di dipendenti della ditta C. s.r.l., cui tali lavori erano stati appaltati dalla I. s.p.a.

Contemporaneamente era impegnata, nella manutenzione di altri apparati della stessa macchina, anche una squadra di dipendenti della società IN.S. e della stessa I., nella quale operava D.P., che lavorava sul piano di campagna, nonchè F.P. e S.C. che si erano sistemati sul bilanciere della macchina a notevole altezza dal suolo.

Nel corso dei lavori si verificava un collasso in due punti della macchina bivalente BM1 che a sua volta determinava un'azione autoscatenante delle colonne di sostegno del bilanciere che era meccanicamente collegato ad esso e sul quale stavano lavorando gli operai.

A seguito di tale collasso decedevano il F.P. per la caduta dall'alto ed il D.P. in quanto colpito violentemente dalla zavorra del bilanciere con il contrappeso abbattuto al suolo.

 

Veniva accertato, dagli ispettori del lavoro, che il collasso suddetto era stato cagionato dall'impiego di un contrappeso provvisorio di valore eccessivo, in quanto non era stato effettuato un adeguato calcolo dell'effettiva resistenza della struttura reticolare allorquando sottoposta al carico aggiuntivo del suddetto contrappeso. Ne derivava una drastica modifica dello stato tensionale del corrente superiore del braccio, compreso tra le funi di sostegno e la cerniera cilindrica, con conseguente sua plasticizzazione e instabilità. Tale plasticizzazione portava alla precarietà della struttura, con conseguente caduta del contrappeso e chiusura a forbice del tratto di trave compresa tra le funi e l'attacco del braccio. Il suddetto inadeguato calcolo era oggetto di una Pratica Operativa C. DM 203161 -00-001, nonchè di una direttiva specifica tecnica n. (OMISSIS) dell'I., a loro volta costituenti la procedura operativa messa a punto dalle due ditte per le operazioni di manutenzione della struttura di cui si parla.

 

All'esito delle indagini preliminari gli imputati venivano rinviati a giudizio addebitandosi ad essi i seguenti profili di colpa:

 

Il PI., nella qualità di dirigente della C. s.r.l. con funzioni di capo ufficio tecnico, elaborava (con una relazione di calcolo estremamente povera, stringata ed inadeguata) e sottoscriveva la Pratica Operativa su indicata, la cui applicazione provocava l'incidente, inoltre illustrava tale documento programmatico ai dipendenti C. interessati al cantiere, dando precise istruzioni;

Il B., il Q. e lo Z., il primo nella qualità di dirigente della C. s.rl. con funzione di responsabile del coordinamento di sicurezza, il secondo ed il terzo nella qualità di dirigenti dell'I. con funzioni di responsabile preparazioni minerali, agglomerazione e produzione calcare e calce l'uno e manutenzione meccanica dell'area PMA l'altro, nel corso di una o più operazioni approvavano la Pratica Operativa per negligenza ed imprudenza (dovuta ad una mancanza di accurati controlli che avallava l'inadeguato calcolo del PI.). In particolare il B. partecipava ai lavori controllando personalmente il grado di deformazione della parte terminale del braccio tralicciato; il Q. e lo Z. partecipavano alla riunione per la valutazione della Pratica Operativa, il primo esprimendo un giudizio positivo sulla stessa, il secondo sottoscrivendo anche la specifica tecnica I.. (OMISSIS) relativa al ripristino del braccio, con indicazioni esecutive uguali a quelle riportate nella pratica C.;

Il P., nella qualità di amministratore unico della C. s.r.l. (ditta appaltatrice), ed il C., nella sua qualità di direttore dello stabilimento I. s.p.a (ditta appaltante) entrambi per colpa in eligendo e in vigilando per imprudenza e negligenza e in violazione di legge (artt. 2049, 2050, 2087 cod. civ. e D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 3 e 4) determinavano e/o avallavano la inadeguata procedura operativa di cui sopra non predisponendo, data l'eccezionalità della manutenzione, all'interno della ditta un conveniente assetto organizzativo, non affidando la realizzazione di complesse attività di ingegneria a responsabili provvisti di titoli adeguati, nonchè non garantendo un sufficiente livello professionale degli addetti all'elaborazione tecnica propedeutica agli ordini relativi agli appalti più complessi. Inoltre, rivestiva una posizione primaria di garanzia della sicurezza dei lavoratori, come soggetto organizzatore dell'attività produttiva.

 

Il Tribunale sulla scorta di quanto emerso nel dibattimento affermava la penale responsabilità degli imputati ritenendo provati i comportamenti colposi contestati.

La Corte territoriale, compulsata dagli appelli di tutti gli imputati, disattendendo i motivi posti a base di essi ritenendoli infondati, confermava il giudizio di penale responsabilità espresso dal Tribunale, argomentando che la sentenza impugnata appariva pienamente aderente alle risultanze istruttorie e dibattimentali, e corretta nella sua impostazione tecnico-giuridica, nella qualificazione dei fatti e nella individuazione dei profili di responsabilità.

 

Il Q. e lo Z. con un unico atto espongono i seguenti motivi:

A) Violazione di legge e vizio di motivazione. La Corte d'Appello individua, quale causa dell'infortunio, l'adozione di una procedura operativa del tutto inadeguata dal punto di vista tecnico e caratterizzata dalla predisposizione di un contrappeso di valore eccessivo. Giunge, però, a tale conclusione mal valutando le prove acquisite, in particolare la perizia redatta dai professori De.Ro., Go. e Mi., ed omettendo di esaminare la consulenza tecnica redatta nell'interesse dei ricorrenti. Ciò posto, si evidenzia che nessun nesso causale intercorre tra le condotte del Q. e dello Z. e il decesso degli operai F.P. e D., in quanto il contrappeso fu materialmente predisposto, al pari di ogni operazione riconducibile all'intervento manutentivo, esclusivamente dagli operatori della C.. Ma anche volendo ammettere, come fa la Corte territoriale, l'esistenza di un'ipotetica approvazione da parte dei tecnici I., tale approvazione non avrebbe potuto svolgere alcuna efficienza causale in relazione alla fase di applicazione del carico provvisorio sul braccio porta ruota, in applicazione dei principi in tema di causalità psicologica. Si evidenzia che I. non emise mai alcun elaborato e neppure pronunciò un qualsiasi tipo di giudizio o di assenso su tale specifico punto, tant'è che la procedura operativa di manutenzione della macchina BM 1 e la sua sequenza operativa compaiono unicamente nella "Pratica Operativa" emesso dalla C. in data 6.06.2003 in epoca successiva alla conclusione del contratto di appalto dei lavori di manutenzione di cui trattasi. Le indicazioni fornite dall'I. nella propria specifica tecnica, richiamata dai giudici di merito, non contemplano affatto alcun riferimento alla fase di applicazione del peso provvisorio. L'impresa appaltatrice inserisce consapevolmente un elemento procedurale (apposizione del contrappeso) nuovo ed ulteriore rispetto a quelli concordati in sede di trattativa con l'appaltante I. senza darne evidenza alcuna a quest'ultima. La circostanza è confermata dalle dichiarazioni rese in sede di indagine ed acquisite dal PI., firmatario della Pratica Operativa. In ordine alla procedura operativa, con l'indicazione dell'adozione di un soprappeso, non erano oggetto delle condizioni precontrattuali e successivamente contrattuali intercorse tra appaltante ed appaltatrice. Le modifiche progettuali introdotte da quest'ultima avvennero in un momento successivo al perfezionamento del negozio.

Per altro, si rileva, le variazioni progettuali, ove introdotte in via unilaterale dall'appaltatore, rappresentano una violazione delle disposizioni contemplate nell'art. 1656 cod. civ., a mente della quali l'iniziativa dell'appaltatore deve sempre incontrare l'autorizzazione del committente.

Ma, ammesso pure che i ricorrenti, nella loro qualità di dirigenti I., fossero a conoscenza in modo specifico delle variazioni progettuali unilateralmente elaborate dalla C., si deve, comunque, escludere uno specifico dovere della committente I. di procedere ad un controllo tecnico circa la validità delle soluzioni apprestate dall'impresa appaltatrice. La normativa civilistica, in tema di appalti, conferma che le disposizioni regolatrici la fase progettuale dei lavori impongono all'appaltatore di conformarsi alle linee individuate dal committente e, ove una modifica si renda opportuna o necessaria, l'appaltatore ha l'onere di chiedere autorizzazioni al committente per poter legittimamente procedere in tal senso. Nessun obbligo di ingerenza tecnica sussiste in capo al committente, il quale non può considerarsi responsabile delle carenze progettuali sottese agli eventi lesivi prodotti dall'impresa appaltatrice. Non sussisteva, quindi, alcun obbligo giuridico in capo ai ricorrenti di impedire l'evento, sul punto la sentenza non motiva.

 

Con un secondo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione relativamente al trattamento sanzionatorio, con riferimento al mancato giudizio di prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche.

 

P., PI. e B. con un unico atto di gravame espongono i seguenti motivi:

 

1) Violazione di legge nella specie della disposizione di cui all'art. 584 c.p.p.. Si argomenta che la Corte d'Appello, sull'eccezione preliminare della difesa dei ricorrenti in sede di appello per la mancata notifica ad essi degli atti di appello presentati dagli altri imputati, ha affermato, rifacendosi alla giurisprudenza di legittimità, che l'impugnazione presentata dal coimputato, diretta ad ottenere la modificazione della sentenza per ragioni personali non deve essere notificata agli altri coimputati.

Sennonchè la stessa Corte in sentenza evidenzia come la difesa degli imputati C., Q. e Z. fosse diretta ad addebitare la causa del sinistro unicamente alla ditta appaltatrice e, dunque, i motivi d'impugnazione proposti da ciascun appellante involgevano, non ragioni personali, ma profili della responsabilità altrui.

 

2) Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla richiesta di approfondimento peritale contenuta nell'atto di appello e vizio di motivazione della stessa rispetto all'ordinanza di acquisizione documentale dell'8.02.2010.

Si premette che il Tribunale, al fine di individuare la causa determinante l'evento contestato aveva omesso di considerare, in quanto mai acquisita sebbene sollecitata dalla difesa dei ricorrenti, la "circostanza storico-fattuale rappresentata dal crollo, avvenuto in data 20.06.1996, di una macchina (BM2) uguale a quella collassata il giorno dei fatti, attigua alla stessa ed impiegata per le medesime funzioni all'interno dello stabilimento I., macchina collassata su se stessa per cause individuate, nell'informativa di reato dell'Ispettorato del Lavoro del 31.07.1993; come collegate all'usura o a corrosione o comunque ad un fattore di diminuita resistenza dei materiali che la compongono". La Corte d'Appello ha acquisito la prova documentale relativa a tale circostanza ma essa è stata pretermessa da ogni doverosa considerazione ai fini della ricerca delle cause effettivamente determinanti l'evento per cui è processo.

Nè alcuna considerazione è stata data dalla Corte d'appello alla richiesta di un ulteriore e specifico approfondimento peritale da svolgersi anche sulla base di tale documentazione. La corte d'appello, pur acquisendo la prova di una possibile o probabile spiegazione alternativa dell'evento, si è illogicamente ed illegittimamente astenuta dall'effettuare quella prova di resistenza logica imposta dalla giurisprudenza in tema di accertamento del nesso di causalità su basi probabilistiche.

 

3) Contraddittorietà della motivazione rispetto alle risultanze istruttorie e, in particolare, alla specifica tecnica (OMISSIS) predisposta dall'I.. Quand'anche la causa dell'infortunio fosse effettivamente consistita nell'adozione di una procedura del tutto inadeguata dal punto di vista tecnico e caratterizzata dalla predisposizione de un contrappeso di valore eccessivo, la stessa non si può far risalire a comportamenti colposi dei tecnici della C. e del suo legale rappresentante. Ciò risulta dalla specifica tecnica (OMISSIS) della I. allegata all'ordine di servizio del 30.05.2003 che già descriveva esattamente e con dettaglio la sequenza della procedura operativa. Si argomenta che il potere di determinare le prestazioni oggetto dell'appalto appartiene al committente che è titolare pure del diritto potestativo ad ordinare variazioni al progetto.

 

4) inosservanza o erronea applicazione dell'art. 41 c.p., comma 2. Si premette che la Corte d'Appello ha affermato che il sinistro non si sarebbe verificato se su quel cantiere mentre erano in corso i lavori appaltati alla ditta C., si fosse evitata la contemporanea presenza di altri operai dipendenti dell'I. o di altre ditte o, quanto meno, se la presenza dei predetto fosse stata oggetto di adeguata valutazione e coordinazione in ordine ai tempi e alla collocazione. E' dunque proprio la violazione delle elementari modalità di organizzazione di lavoro, come evidenzia la sentenza, da parte dei dirigenti dell'I. si pone come fattore eccezionale che, ai sensi dell'art. 41 c.p., consente di escludere l'imputazione oggettiva dell'evento. Infatti, argomentano i ricorrenti, era imprevedibile la circostanza che lavoratori dell'I. fossero impiegati in un'area di lavoro interessata da delicate opere di manutenzione straordinaria; quanto più ignota e, dunque, da sfuggire ad ogni controllo da parte della C. era la presenza di detti lavoratori; quanto più inusuale ed atipico è che il committente invii i propri lavoratori presso l'area di lavoro occupata dall'appaltatore senza dare a costui alcuna comunicazione nonostante la pericolosità insita nell'opera appaltata e senza consentire, dunque, all'impresa appaltatrice di apprestare ogni necessario presidio antinfortunistico.

 

5)Inosservanza o erronea applicazione del D.Lgs n. 626 del 1994, art. 7. Il P. è stato ritenuto responsabile del richiamato art. 7 che prevede, in caso di affidamento dei lavori ad imprese appaltatrici, che i datori di lavoro dell'impresa appaltante ed appaltatrice cooperino nell'attuazione delle misure antinfortunistiche per la prevenzione dei rischi e di protezione relativi all'attività lavorativa oggetto dell'appalto. Afferma la Corte che le parti (I. e C.) avevano concordato solo le modalità tecniche di realizzazione della commessa, senza considerare i profili della sicurezza in ordine alle possibili interferenze dei lavori in corso, o profili di sicurezza che riguardavano tutti i dipendenti presenti sul posto, così consentendo che F.P. e D.P. si trovassero nella posizione pericolosa che, in seguito al crollo, ne determinò la morte. I ricorrenti all'esito di un excursus dell'evoluzione legislativa, culminata nella disposizione normativa D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7 e, poi, del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 3 e giurisprudenziale in materia di appalto e della responsabilità del committente per eventi lesivi verificatisi nel corso di lavori concessi in appalto, rilevano che in tema di responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni sul lavoro, in caso di affidamento in appalto di lavori all'interno dell'azienda, la cui esecuzione è di tale natura da porre in pericolo la incolumità non solo dei dipendenti dell'appaltatore ma anche di quelli del committente, l'art. 7 richiamato impone a quest'ultimo non solo di fornire le dettagliate informazioni sui rischi specifici ogni qualvolta affidi un determinato lavoro all'appaltatore, ma anche di cooperare con l'appaltatore nell'apprestamento delle misure di sicurezza a favore di tutti i lavoratori a qualunque impresa appartengano. Ne consegue che l'obbligo di cooperazione imposto al committente è limitato all'attuazione di quelle misure rivolte ad eliminare i pericoli che, per effetto dell'esecuzione delle opere appaltate, vanno ad incidere sia sui dipendenti dell'appaltante sia su quelli dell'appaltatore, mentre per il resto ciascun datore di lavoro deve provvedere autonomamente alla tutela dei propri prestatori d'opera subordinati, assumendosene la relativa responsabilità (Cass. Sez. 4^ 20.09.2002 n. 31459). Nel caso di specie si adduce che la Corte d'Appello ha fatto cattivo governo delle disposizioni di legge contestate e dei principi generali di riferimento, facendo gravare sul legale rappresentante dell'impresa appaltatrice obblighi che, viceversa, gravavano sul committente.

 

6) inosservanza o erronea applicazione dell'art. 69 cod. pen. e difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti come prevalenti rispetto alla contestata aggravante.

 

7) omessa motivazione in ordine al mancato riconoscimento della non menzione della condanna in favore del P..

C. denuncia vizio di motivazione. Sostanzialmente si propongono le questioni esposte nei ricorsi del Q. e dello Z. con riferimento alla colpa esclusiva della imprese appaltatrice C. nel determinare l'evento con l'adozione unilaterale della procedura esecutiva dei lavori di manutenzione della macchina BM 1. Inoltre si rappresenta che il C. aveva, comunque, rilasciato ampia delega per l'apprestamento delle misure antinfortunistiche al Q. tecnico qualificatissimo ed esperto che godeva dell'autonomia gestionale di un settore di un'azienda vastissima che soltanto con la ripartizione dei compiti e di conseguenza delle responsabilità poteva essere gestita e controllata.

 

 

Va accolto il ricorso del C.L., mentre vanno rigettati i ricorsi di tutti gli altri imputati poichè basati su motivi, alcuni, inammissibili, in quanto non sono consentiti in sede di legittimità, perchè concernono differenti valutazioni di risultanze processuali ed allegazioni in fatto, ed altri, comunque, infondati.

 

Preliminarmente va affrontata la censura, mossa dai ricorrenti P., PI. e B., di violazione della disposizione normativa di cui all'art. 584 c.p.p.. Si precisa che in appello la censura era stata posta in termini del tutto diversi, e cioè era stata sollevata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 584 e 591 c.p.p. in riferimento agli artt. 3, 24 e 11 Cost. nella parte in cui non è prevista alcuna sanzione processuale per l'ipotesi di omessa notifica dell'atto di impugnazione, proposto dall'imputato, in favore degli altri imputati nello stesso processo e titolari di posizioni potenzialmente antagoniste rispetto ai primi.

L'impostazione in tali termini della questione è segno della manifesta infondatezza di quella posta innanzi a questa Corte di legittimità, laddove si è solo censurata la mancata notifica ad essi ricorrenti degli atti di appello presentati dagli altri imputati accampandosi, per tale omissione, la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa.

Osserva il collegio che, se è pur vero che l'art. 584 c.p.p. prevede che a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato il ricorso sia comunicato al Pubblico Ministero e notificato alle parti private, pur tuttavia, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte suprema (Sez. 3, Sentenza n. 3266 del 10/12/2009 Ud. Rv. 245859; Sez. 5, Sentenza n. 5525 del 25/11/2008 Ud. Rv. 243157), l'inosservanza dell'obbligo di notificare alle parti private l'impugnazione non produce nè l'inammissibilità dell'impugnazione, non essendo prevista tra i casi di cui all'art. 591 c.p.p., nè la nullità del processo del grado successivo, non rientrando tra le nullità di cui all'art. 178 c.p.p.; l'unico effetto dell'omissione rimane quello di non fare decorrere il termine per l'impugnazione incidentale della parte privata, ove consentita.

Ed, inoltre, è stato anche affermato che l'appello principale proposto da uno dei coimputati non deve essere notificato agli altri imputati, che non si siano avvalsi autonomamente del loro potere d'impugnazione, perchè in capo a questi non v'è interesse alla proposizione dell'appello incidentale, che è previsto come impugnazione antagonista rispetto a quella della parte processualmente avversa (Sez. 2, Sentenza n. 38810 del 01/10/2008 Ud. Rv. 242048).

 

Passando all'analisi degli altri motivi è opportuno evidenziare che dato processuale pacifico è l'accertamento della causa del cedimento strutturale della macchina bivalente BM1 di cui trattasi, che ha sua volta ha determinato il decesso degli operai F.P. e D.. La Corte d'Appello la rileva riportando i risultati della perizia tecnica che la esprimono in termini di certezza: "l'unica causa che ha determinato il collasso del braccio, con conseguente crollo della struttura è stata.....l'applicazione di un contrappeso provvisorio di valore eccessivo".

Continuano i periti nel rilevare che: "risulta evidente un comportamento superficiale da parte dei tecnici che hanno concordato l'intervento da attuare. I calcoli presentati, peraltro estremamente concisi, dimostrano che sono stati valutati i carichi da applicare solo ai fini dell'equilibrio delle forze, senza alcuna considerazione della effettiva resistenza dei manufatti da sovraccaricare. In altri termini i calcoli presentati non prendono in esame l'effettiva resistenza della struttura reticolare sottoposta al carico aggiuntivo dal rilevante contrappeso provvisorio".

Ordunque, destituita la censura, mossa alla sentenza impugnata dal Q. e dallo Z., di una errata valutazione dei risultati della perizia per la omessa considerazione di rilievi della consulenza redatta nell'interesse dei ricorrenti.

A tal riguardo, la giurisprudenza costante di questa Corte ammette (in virtù del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione di prove) la possibilità del giudice di scegliere fra varie tesi, prospettate da differenti periti, di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermate sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicchè, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poichè si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di Cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale (Sez. 4, Sentenza n. 45126 del 06/11/2008 Ud. Rv. 241907; Sez. 1, Sentenza n. 24179 del 07/05/2004 Cc. Rv. 228997; Cass. sez. 4^ 20 maggio 1989 n. 7591 rv.181382). La Corte territoriale, nel considerare che le risultanze dei periti, a base scientifica, sono da ritenersi acclarate, non solo ha evidenziato che alle stesse conclusioni dei periti nominati dal GIP erano pervenuti sia i consulenti del P.M. che quello nominato dalla parte civile, ma ha anche fornito esaustiva e congrua motivazione (pag. 12) in ordine alle critiche apportate dai consulenti degli imputati P., B. e PI., dimostrando, in tal modo di aver pienamente assolto all'obbligo di motivazione cui si è fatto riferimento.

 

Parimenti destituito di fondamento è il rilievo (ricorso P., B., PI.) in ordine alla mancata valutazione, ai fini dell'accertamento di un'ipotesi alternativa alla determinazione dell'infortunio, dell'informativa di reato dell'Ispettorato del Lavoro, in data 20.06.2006, relativa al cedimento di altra macchina BM2, sita all'interno dello stabilimento I., per cause collegate all'usura o a corrosione. E' da evidenziare la irrilevanza della questione: alla C. erano stati affidati i lavori di manutenzione proprio per eliminare quegli inconvenienti che determinarono il collasso della M2; ciò che viene contestato è la cattiva esecuzione delle opere di manutenzione che hanno prodotto il collasso per l'adozione de contrappeso eccessivo, e per altro i periti non hanno rilevato, oltre alla deformazione del braccio riscontrata in corrispondenza del braccio della macchina, vizi occulti, di progetto o di costruzione. Sul punto la Corte del merito ha fornito una motivazione implicita dando rilievo, come già osservato, alla causa accertata dai periti.

Sulla base delle stesse osservazioni va ugualmente ritenuta infondata la eccepita carenza di motivazione (ricorso P., B., PI.) in ordine alla richiesta di un ulteriore e specifico approfondimento peritale da svolgersi sulla base della indicata documentazione.

Tutto ciò esposto in ordine alla causa che ha determinato il cedimento del braccio della macchina BM1 e, quindi, il decesso degli operai F. e D., si rilevano chiaramente infondati i motivi posti a base dei ricorsi del P., del PI. e del B..

 

E' rimasto provato al di là di ogni ragionevole dubbio, come rileva la Corte territoriale, che l'applicazione del contrappeso alla macchina BM1 era stato previsto dalla pratica operativa C. (OMISSIS), redatta ed eseguita per la esecuzione delle opere appaltate, da parte dei dirigenti della C. ed avallata dalla società appaltante I.. Dunque, immune da vizi logici, in quanto aderente ai risultati probatori è l'affermazione della Corte distrettuale secondo cui l'incidente è stato causato da un concorso di cause colpose indipendenti. Il palleggiamento di responsabilità tra i dirigenti della C., P., PI. e B. da un lato e di quelli dell'I., Q. e Z., dall'altra, circa la predisposizione della procedura operativa erronea si mostra, in punto di diritto, come mero espediente difensivo.

Ed invero, con specifico riferimento al rilievo difensivo dei primi (V. punto "3" della parte narrativa), non può esimerli dalla responsabilità colposa contestata il dato che l'erronea adozione di un contrappeso eccessivo risulti anche dalla specifica tecnica n. (OMISSIS) elaborata dai tecnici dell'I.. Sarebbe stato, comunque, onere di chi poi ( PI.) ha redatto la Pratica Operativa e di chi l'ha posta in esecuzione ( P. e B.) rilevarne l'eventuale erroneità e porvi rimedio, in ragione della titolarità delle posizioni di garanzia che caratterizzava le loro specifiche e rispettive funzioni, come contestate ed accertate, svolte nell'ambito dei lavori di ripristino del braccio di ruota presa della macchina BM1.

Dall'altra parte è parimenti destituito di fondamento il rilievo difensivo del Q. e dello Z. con cui si addebita esclusivamente agli operatori della C. la predisposizione del contrappeso de quo (V. parte narrativa) e si censura l'impugnata sentenza per non aver considerato che, quand'anche da parte della I. si fosse approvata la pratica operativa predisposta dalla C., tale approvazione non avrebbe potuto svolgere alcuna efficienza causale (si rimanda al contenuto dei motivi posti a base dei ricorsi del Q. e dello Z. esposti nella parte narrativa).

In ordine a tale doglianza, si osserva che, sebbene la società I. avesse appaltato alla società C. i lavori di cui trattasi, il Q. e lo Z., dirigenti della committente, avevano mantenuto, in ragione delle loro rispettive qualifiche nell'ambito aziendale,i poteri direttivi generali (cfr. Sez. 4, Sent. 978 del 26/1/1990, RV 183133) e li avevano esercitati realmente, seguendo le varie fasi della lavorazione, come emerso dall'istruttoria dibattimentale tant'è che contemporaneamente agli operai della C. svolgevano lavori di manutenzione alcuni operai della stessa I. (tra cui le persone offese) e di altra società. Le censure mosse dai ricorrenti, pur essendo volte a contestare l'omessa od errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa (relativamente alla provata loro concreta ingerenza nella esecuzione dei lavori svolti dalla società C.), si sostanziano nella richiesta a questa corte di legittimità di un intervento in sovrapposizione argomentativa rispetto alla decisione impugnata ed ai fini di una lettura della prova alternativa rispetto a quella congrua e logica cui sono pervenuti i giudici del merito. Al di là dell'inammissibile carattere di prospettazione in fatto delle doglianze formulate, si tratta, comunque, di censure già disattese dal collegio di appello con considerazioni coerenti all'insegnamento del Supremo Collegio in punto di responsabilità per ingerenza, che va tenuto presente, sia pure considerando la peculiarità della fattispecie in esame, e secondo cui il committente risponde penalmente degli eventi dannosi, comunque determinatisi, in ragione dell'attività di esecuzione svolta dall'appaltatore, quando si sia ingerito nell'esecuzione dell'opera mediante una condotta che abbia determinato o concorso a determinare l'inosservanza di norme di legge, regolamento o prudenziali, poste a tutela dell'altrui incolumità. I giudici hanno anche applicato il principio affermato da questa stessa Sezione 4 con la sentenza n. 5977 del 15/12/2005, secondo cui, in caso di appalto di lavori, ove questi si svolgano nello stesso cantiere predisposto dal committente in esso inserendosi anche l'attività dell'appaltatore per l'esecuzione di un'opera particolare, e, non venendo meno l'ingerenza del committente e la diretta riconducibilità (quanto meno) anche a lui dell'organizzazione del comune cantiere, in quanto investito dei poteri direttivi generali inerenti alla propria qualità, sussiste la responsabilità di entrambi tali soggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo.

Un'esclusione della responsabilità del committente è configurabile solo qualora all'appaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorchè determinati e circoscritti, che svolga in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto al committente, e non nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione del committente dall'organizzazione del cantiere. Nella ricorrenza delle anzidette condizioni, trattandosi di norme di diritto pubblico che non possono essere derogate da determinazioni pattizie, non potrebbero avere rilevanza operativa, per escludere la responsabilità del committente, neppure eventuali clausole di trasferimento del rischio e della responsabilità intercorse tra questi e l'appaltatore. Come si vede, si tratta di principi che il collegio ha ritenuto attagliarsi alla fattispecie in esame in cui con un accertamento in fatto, rappresentante il risultato di una valutazione delle risultanze acquisiste, della quale è stato dato conto in maniera adeguata e coerente, è emerso il mantenimento da parte degli imputati dei poteri direttivi generali in ordine all'organizzazione del cantiere. Quanto poi alla specifica censura mossa (punto "E" dei motivi presentati da P.) in ordine alla inosservanza o erronea applicazione della disposizione di cui al D.Lgs n. 626 del 1994, art. 7 rilevandosi che la Corte Distrettuale non ha tenuto conto della circostanza che la C. e l'I. in ordine alla mancata cooperazione del committente con l'appaltatore nell'apprestamento delle misure di sicurezza a favore di tutti i lavoratori a qualunque impresa appartengono, già è stata valutata dalla Corte d'Appello ed essa è da ritenersi infondata.

Questa Corte di legittimità con la sentenza n. 31459 del 3/7/2002, Zanini, ha altresì affermato, in materia di cooperazione tra committente ed appaltatore, il principio che la cooperazione non può intendersi come obbligo del committente di intervenire in supplenza dell'appaltatore tutte le volte in cui costui ometta, per qualsiasi ragione, di adottare misure di prevenzione prescritte a tutela soltanto dei suoi lavoratori, risolvendosi in un'inammissibile ingerenza del committente nell'attività propria dell'appaltatore.

Dalla lettura della detta sentenza si evince anche che, qualora, come nel caso di specie, per la natura e le caratteristiche dell'attività commissionata, questa non si possa svolgere in una zona o in un settore separato, coinvolgente solo i dipendenti dell'appaltatore, il committente, il quale è ex lege il coordinatore della cooperazione, deve essere in grado di rendersi conto dell'insufficiente contributo tecnico dell'appaltatore medesimo e cooperare perchè, di fatto, le condizioni di lavoro siano sicure con la conseguenza che, verificatosi un sinistro, l'eventualmente inadeguato apprestamento delle misure precauzionali non può non essere ascritto ad entrambi perchè garanti, destinatari dell'obbligo di predisporre sicure condizioni di lavoro. Passando all'esame dei motivi posti a base del ricorso del C. le questioni relative alla attribuzione della colpa esclusiva dell'infortunio ai dirigenti dell'impresa appaltatrice C. vanno ritenute infondate per le ragioni già esposte con riguardo ai motivi dei ricorsi del Q. e dello Z..

Fondate, invece, sono le censure mosse alla sentenza relativamente alla esenzione di responsabilità per la delega rilasciata dal ricorrente per l'apprestamento delle misure antinfortunistiche.

 

E' ius receptum che in materia infortunistica, perchè possa prodursi l'effetto del trasferimento dell'obbligo di prevenzione dal titolare della posizione di garanzia ad altri soggetti inseriti nell'apparato organizzativo dell'impresa (siano essi responsabili di settore o capireparto) è necessaria una delega di funzioni da parte dell'imprenditore o del datore di lavoro che deve trovare consacrazione in un formale atto di investitura in modo che risulti certo l'affidamento dell'incarico a persona ben individuata, che lo abbia volontariamente accettato nella consapevolezza dell'obbligo di cui viene a gravarsi; quello cioè di osservare e fare rispettare la normativa di sicurezza. Se, dunque, è possibile che l'imprenditore possa delegare ad altri gli obblighi attinenti alla tutela delle condizioni di sicurezza del lavoro su dì lui incombenti per legge, in quanto principale destinatario della normativa antinfortunistica, qualora sia impossibilitato ad esercitare di persona i poteri - doveri connessi alla sua qualità per la complessità ed ampiezza dell'impresa per la pluralità di settori produttivi di cui si compone o per altre ragioni, tuttavia il cennato obbligo di garanzia può ritenersi validamente trasferito purchè vi sia stata una specifica delega, e ciò per l'ovvia esigenza di evitare indebite esenzioni, da un lato, e, d'altro, compiacenti sostituzioni di responsabilità.

Sul presupposto che l'individuazione dei destinatari dell'obbligo di prevenzione deve avvenire in relazione all'organizzazione dell'impresa e alla ripartizione delle incombenze, siccome attuata in concreto tra i vari soggetti chiamati a collaborare con l'imprenditore e ad assicurare in sua vece l'onere di tutela delle condizioni di lavoro, non può quest'ultimo essere esentato da colpa per qualsiasi evenienza infortunistica conseguente all'inosservanza dell'obbligo di garanzia suo proprio, quando non vi sia stato un trasferimento di competenza in materia antinfortunistica attraverso un atto di delega e ciò in attuazione del principio della divisione dei compiti e delle connesse diversificate responsabilità personali.

 

D'altronde l'adesione alla tesi di una possibilità di una delega ampliata di funzioni, costituisce palese violazione della ratio dell'intero D.P.R. n. 547 del 1955, il quale, con l'espressione "competenze" ha inteso riferirsi alle posizioni occupate dai vari soggetti nell'ambito dell'impresa in base all'effettuata e completa ripartizione di incarichi tra: i datori di lavoro (sui quali precipuamente grava l'onere dell'apprestamento e dell'attuazione di tutti i necessari accorgimenti antinfortunistici), dirigenti, cui spettano poteri di coordinamento e di organizzazione in uno specifico settore operativo o in tutte le branche dell'attività aziendale, e preposti, cui competono poteri di controllo e di vigilanza, in modo da consentire l'individuazione delle rispettive responsabilità, qualora dovessero insorgere. Donde la necessità di una delega certa e specifica da parte dell'imprenditore, che valga a sollevarlo dall'obbligo di prevenzione, altrimenti su di lui gravante.

 

Nel caso di specie dagli atti, invero, emerge che il C. L., direttore dello stabilimento I. di Taranto, suddiviso in molteplici settori e con dodicimila dipendenti, aveva conferito al Q.G. ampia delega con atto scritto con l'indicazione dei poteri conferiti, con effettivo trasferimento delle funzioni decisionali ivi compresa quella della disponibilità finanziaria per la dotazione delle misure antinfortunistiche.

Sul punto la motivazione della Corte d'Appello barese appare contraddittoria.

Se da un lato, infatti, riconosce piena validità alla delega rilasciata dal Presidente della società I., R.E. (originariamente coimputato e poi assolto dal Tribunale proprio in ragione della delega conferita in materia di sicurezza) all'ing. C. L., direttore dello stabilimento, dall'altro lato, pur dando atto di analoga delega formale conferita con atto notarile dal C. al Q. in materia di sicurezza, alla stessa non attribuisce la medesima valenza esoneratrice di responsabilità, sul rilievo che il direttore dello stabilimento è venuto meno al suo obbligo di controllo e vigilanza sull'operato del delegato. E' da osservare che per coerenza logica la Corte avrebbe dovuto censurare per le stesse ragioni, almeno formalmente (in mancanza del gravame della Pubblica accusa) l'assoluzione del R.E., atteso che la posizione è esattamente paritetica a quella del C.. Se, infatti, fosse residuato in capo al ricorrente quell'obbligo di controllo e vigilanza, esso avrebbe richiesto una sua personale e costante presenza sul luogo del lavoro con la conseguenza che la funzione di quella delega sarebbe stata frustrata. Non si può, invero, esigere dal delegante, a capo di un'impresa complessa e mastodontica, di controllare un aspetto minimo quale fu quello della manutenzione di una sola macchina, sia pure importante, all'interno dell'azienda. Diversamente tale obbligo sarebbe potuto rivivere nel momento in cui il delegato si fosse disinteressato del tutto circa l'apprestamento nell'ambito aziendale delle misure antinfortunistiche.

 

Alla stregua di tali osservazioni in diritto la sentenza va annullata senza rinvio nei confronti del C.L. perchè il fatto a lui ascritto non costituisce reato.

 

Quanto al motivo relativo al trattamento sanzionatorio esposto nel ricorso di P., PI. e B., con riferimento al mancato riconoscimento del giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti generiche sull'aggravante contestata, esso è infondato stante la specifica motivazione sul punto della Corte d'Appello che, nel fare proprio la valutazione del Tribunale, ha indicato gli elementi ostativi a tale riconoscimento, evidenziando, coerentemente al dettato normativo, che il giudizio di comparazione in termini di prevalenza non può trovare la sua ragion d'essere esclusivamente nello stato di incensuratezza degli imputati PI. e B..

 

Da ultimo la Corte del merito evidenziando che i presupposti per riconoscere il beneficio della non menzione della condanna sussistono solo per il PI. il B. e lo Z., implicitamente li ha ritenuti insussistenti per il P..

 

Segue la condanna dei ricorrenti Q., Z., P., PI. e B. al pagamento delle spese processuali.

 

 

P.Q.M.

 

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C.L. perchè il fatto a lui ascritto non costituisce reato. Rigetta i ricorsi di Q.G., Z. S., P.G., PI.Fr. e B.G. che condanna al pagamento delle spese processuali

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