5. GLI APPROFONDIMENTI su TEMI PARTICOLARI

5.1. L'attuazione e le modifiche del decreto legislativo n. 81 del 2008
Come si è accennato all'inizio della presente relazione, fin dall'avvio dei suoi lavori la Commissione si è dovuta confrontare con i problemi e le novità legate all'attuazione della disciplina recata dalla legge n. 123 del 2007 e dal connesso decreto legislativo n. 81 del 2008, meglio conosciuto - sebbene in maniera impropria - come Testo unico delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
La riforma ha da un lato confermato e dall'altro profondamente innovato l'assetto preesistente, riunendo per la prima volta in un corpus finalmente organico ed esaustivo le varie norme di una materia complessa e multiforme e definendo in maniera puntuale istituti e figure prima non chiaramente riconoscibili. Tutto ciò ha comportato però notevoli esigenze di adeguamento per tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti nel sistema della prevenzione degli infortuni sul lavoro, ponendo una serie di problemi interpretativi e applicativi nonché, soprattutto da parte del mondo imprenditoriale, richieste di semplificazione di alcuni adempimenti ritenuti eccessivamente formali o burocratici e di rimodulazione dell'apparato sanzionatorio.
Di tali aspetti si è cercato di dare conto nelle pagine precedenti, sia per richiamare l'attenzione su quelli che erano e sono tuttora i punti più cruciali per il successo delle strategie di prevenzione e repressione del fenomeno infortunistico, sia per illustrare quella che è stata l'attività conoscitiva della Commissione in tale contesto. L'impegno della Commissione d'inchiesta su tale fronte non è stato però solo di indagine e di approfondimento: pur nei limiti previsti dal proprio mandato istitutivo, infatti, la Commissione ha cercato anche di segnalare eventuali modifiche normative che apparivano utili per una migliore applicazione delle disposizioni, come pure quelle innovazioni che erano invece suscettibili di determinare problemi interpretativi o applicativi e che, in quanto tali, era preferibile non adottare.
Questa attività, che si è sempre esplicata mediante uno stretto e costante raccordo istituzionale con il Governo e le Commissioni parlamentari competenti per materia, ha conosciuto una fase importante nel febbraio 2009, in occasione della discussione in Senato del disegno di legge n. 1305, di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti. Nel corso dell'esame in Assemblea, infatti, erano stati presentati una serie di emendamenti al suddetto testo che modificavano varie disposizioni del decreto legislativo n. 81 suscettibili, ove approvati, di determinare un vulnus ad alcuni importanti istituti di tutela e di garanzia per la salute e la sicurezza dei lavoratori, con il rischio anche di accreditare presso l'opinione pubblica l'impressione erronea di una scarsa attenzione verso tali tematiche.
Tra le proposte emendative in questione, ve ne erano in particolare alcune che tendevano a derogare all'obbligo di comunicare entro il giorno antecedente le nuove assunzioni di talune categorie di lavoratori, con il rischio che infortuni sul lavoro di lavoratori irregolari venissero denunciati artificiosamente come verificatisi il giorno stesso dell'assunzione. Altre proposte escludevano l'elezione e la designazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza nelle aziende con meno di 15 dipendenti, anche nell'ipotesi di un unico rappresentante in ambito territoriale o settoriale per più aziende, vanificando di fatto uno dei punti più qualificanti della normativa recata dal Testo unico.
Proprio al fine di scongiurare tale evenienza, il presidente Tofani, a nome della Commissione, in data 11 febbraio 2009 ha inviato una lettera al Ministro del lavoro, per segnalare in maniera puntuale gli effetti dei vari emendamenti, chiedendo che gli stessi non fossero inclusi nel testo finale dell'atto Senato n. 1305, sul quale peraltro il Governo aveva posto la questione di fiducia. Il Governo ha dimostrato notevole sensibilità su questo punto e, pertanto, le proposte emendative segnalate non sono state recepite nel testo finale del disegno di legge (successivamente approvato come legge 27 febbraio 2009, n. 14).
Il contributo della Commissione si è esplicato però soprattutto con riferimento al complessivo processo di rivisitazione e riscrittura del decreto legislativo n. 81 del 2008, avviato dal Governo con un ampio confronto tra le parti sociali e sfociato nella presentazione, nel marzo 2009, di uno schema di decreto legislativo correttivo. Tale schema ha ricevuto da subito notevole attenzione, anche dai mezzi di informazione e dall'opinione pubblica, divenendo oggetto di un dibattito ampio, articolato e a tratti perfino aspro sia in sede politica che sindacale. Al di la delle singole disposizioni, infatti, vi era una valutazione divergente tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione, come pure tra le organizzazioni imprenditoriali e sindacali.
Per tali ragioni ed in considerazione anche del proprio mandato istituzionale, la Commissione d'inchiesta ha ritenuto di non potersi esimere dall'approfondire gli effetti derivanti delle modifiche ed integrazioni al Testo unico proposte dallo schema di decreto del Governo. Pur senza interferire con le attribuzioni spettanti alle Commissioni parlamentari di merito, chiamate a rendere il prescritto parere al Governo, la Commissione ha quindi avviato un'attenta disamina del testo.
In primo luogo, nelle sedute del 21 e 28 aprile 2009, è stato audito lo stesso Ministro del lavoro, il quale ha illustrato le linee guida generali dello schema di decreto correttivo, soffermandosi in particolare sulle questioni concernenti gli articoli 2-bis e 15-bis che lo schema intendeva introdurre nel Testo unico e sulle quali si era particolarmente concentrata l'attenzione delle forze politiche e della stessa opinione pubblica. Proprio alla luce dei chiarimenti forniti dal rappresentante del Governo e tenuto conto anche del parere negativo espresso poco tempo prima in merito dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, la Commissione ha avviato una riflessione riguardo a queste due disposizioni e alle conseguenze della loro concreta applicazione. Come risulta anche dai resoconti delle sedute del 12 e del 19 maggio 2009, nel relativo dibattito, pur nell'articolazione delle posizioni tra la maggioranza e l'opposizione, sono emersi a giudizio della Commissione una serie di problemi interpretativi riguardo alle disposizioni citate, meritevoli di un'attenta valutazione e tali da consigliare una eventuale riscrittura delle norme stesse.
Per quanto riguarda l'articolo 2-bis, lo stesso conferiva una presunzione di conformità alle prescrizioni del decreto legislativo n. 81, a fronte dell'assunzione da parte delle aziende di una serie di comportamenti tecnico-organizzativi (buone prassi, modelli organizzativi e gestionali certificati, utilizzo di macchine marcate CE). Le perplessità derivavano dal fatto che la formulazione della disposizione, non specificandosi che la presunzione di conformità aveva solo valore relativo e non assoluto, poteva configurare una sorta di esimente giuridica generale per la responsabilità delle aziende in materia di salute e sicurezza del lavoro, senza possibilità di controverifica da parte delle autorità preposte. Ne l'affidamento della certificazione dei modelli di organizzazione e gestione a commissioni costituite da enti bilaterali ed università sembrava offrire le necessarie garanzie di terzietà e di competenza tecnico-scientifica. Infine, forti dubbi sollevava la previsione di una presunzione di conformità legata al semplice utilizzo di macchine marcate CE, posto che la Commissione aveva verificato direttamente, specie nel campo delle macchine agricole e forestali, che tale marchio non è di per sé sempre garanzia che le macchine siano dotate di tutti i necessari dispositivi di sicurezza.
L'altra norma, quella recata dal nuovo articolo 15-bis, riguardava la delimitazione dei soggetti responsabili per i reati commessi mediante la violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni e sull'igiene sul lavoro. L'articolo introduceva alcune condizioni, ai fini dell'imputazione della responsabilità a tutti i soggetti per i quali le singole norme del Testo unico comminano in astratto le sanzioni, ossia i titolari di una specifica posizione di garanzia (datori di lavoro, dirigenti, medici competenti, consulenti esterni, preposti, lavoratori, ecc.), onde evitare incongrue ipotesi di «responsabilità oggettiva» a carico degli stessi soggetti. Venivano individuati così ulteriori presupposti, rispetto a quelli generali di cui al codice penale, in ordine alla sussistenza del dolo o della colpa. La formulazione della norma, tuttavia, lasciava adito a notevoli dubbi interpretativi, in quanto sembrava introdurre una sorta di esimente generale per la responsabilità omissiva di determinati soggetti (in particolare del datore di lavoro o del dirigente) qualora l'evento lesivo fosse altresì riconducibile alla condotta colposa di uno degli altri soggetti titolari delle posizioni di garanzia. In pratica il rischio era che, essendo spesso l'infortunio riconducibile almeno in parte ad un concorso di colpa del lavoratore, venisse in tutti i casi esclusa la responsabilità del titolare dell'azienda o del dirigente, con ciò configurando una sorta di impunita degli stessi.
Il presidente Tofani, a nome della Commissione, ha quindi indirizzato una lettera al Ministro Sacconi, in data 19 maggio 2009, al fine di renderlo partecipe delle considerazioni emerse dal dibattito in Commissione, segnalando oltre alle posizioni di maggioranza ed opposizione, alcune ipotesi di riformulazione delle disposizioni. I rilievi individuati dalla Commissione hanno del resto trovato puntuale corrispondenza anche nei pareri espressi al Governo dalle Commissioni di merito: peraltro, già nelle audizioni davanti alla Commissione d'inchiesta, il Ministro del lavoro si era subito detto disponibile a rivedere le disposizioni di cui agli articoli 2-bis e 15-bis, al fine di escludere ogni possibile fraintendimento o effetto indesiderato.
Nel testo definitivo del decreto legislativo n. 106 del 2009 sono stati espunti sia l'articolo 2-bis sia l'articolo 15-bis. Per quanto riguarda i profili dell'articolo 2-bis,è da segnalare una norma contenuta nell'articolo 30 del testo correttivo, la quale si limita a prevedere che gli organi di vigilanza, ai fini della programmazione della propria attività, possano tener conto del fatto che un'azienda sia stata eventualmente oggetto di un accertamento positivo - da parte degli organismi paritetici - circa l'adozione e l'efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza.
Per quanto concerne invece i profili dell'articolo 15-bis, nel testo correttivo vi è una norma dell'articolo 13, il cui ultimo comma prevede che i datori e i dirigenti non siano responsabili qualora la mancata attuazione degli obblighi sia addebitabile unicamente agli altri soggetti (preposti, medici, e così via) e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore e del dirigente.
Va osservato, infine, che il decreto legislativo n. 106 ha accolto numerose altre indicazioni contenute nei pareri delle Commissioni di merito e scaturite anche dal lavoro di approfondimento svolto dalla Commissione d'inchiesta. Naturalmente molte questioni rimangono ancora aperte ed è prematuro formulare una valutazione circa l'efficacia o meno delle nuove disposizioni. Ciò che comunque può essere affermato è, ancora una volta, la necessità che si proceda quanto prima ad una piena e completa attuazione di tutti gli aspetti della disciplina, per superare le incertezze normative degli ultimi mesi ed offrire finalmente un quadro di riferimento chiaro a tutti gli operatori del settore, sul quale si possa esercitare e misurare la nuova politica di prevenzione e repressione del fenomeno degli infortuni sul lavoro.


5.2. Le macchine e le attrezzature agricole e forestali e quelle per l'edilizia10
La questione degli infortuni sul lavoro legati all'utilizzo delle macchine e delle attrezzature agricole e forestali è emersa la prima volta in occasione dell'audizione delle organizzazioni del comparto agricolo svoltasi il 27 gennaio 2009, quando è stato evidenziato come la principale causa di infortuni del settore sia appunto l'uso di macchine ed attrezzature, principalmente per errori e negligenze degli operatori, ma spesso anche per un'intrinseca inadeguatezza dei macchinari stessi, che non sono a norma o non risultano comunque muniti di tutti gli idonei dispositivi di sicurezza.
Tali problemi riguardano in genere le macchine più vecchie e tecnologicamente obsolete, purtroppo ancora molto diffuse: in Italia, infatti, il parco delle macchine agricole e forestali attualmente circolante è assai vecchio, con un'età media di 25 anni, in quanto a causa degli alti costi molti preferiscono tenere le vecchie macchine piuttosto che sostituirle o adeguarle. Le organizzazioni del settore, però , hanno segnalato come talvolta anche le macchine di nuova immissione sul mercato, pur formalmente in regola, possano presentare difetti o non essere dotati dei dispositivi più adeguati per garantire la sicurezza degli operatori in determinate condizioni lavorative.
Questa segnalazione, di per se preoccupante, è stata raccolta dalla Commissione, che ha approfondito la questione nella successiva audizione dell'11 febbraio 2009, nella quale sono state ascoltate e messe a confronto le organizzazioni rappresentative del settore dell'agricoltura e di quello dei costruttori di macchine agricole. Il dibattito ha fatto riferimento ai dati ufficiali degli infortuni legati all'uso di macchine agricole e forestali contenuti nel V Rapporto biennale dell'ISPESL (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro) sull'attività di sorveglianza del mercato delle macchine con il marchio CE, svolta dall'Istituto per conto del Ministero dello sviluppo economico, tendenti a dimostrare che i casi di macchine agricole non a norma o comunque non corredate di adeguati dispositivi di sicurezza sono in numero abbastanza esiguo, in quanto sono solo quelli riscontrati dall'ISPESL che, operando solo su segnalazione, non possono esaurire l'intero parco macchine circolante.
Al fine di acquisire elementi più chiari sulla questione, in una successiva audizione del 17 febbraio 2009 la Commissione ha quindi interpellato sulla questione i rappresentanti dell'ISPESL che, come indicato prima, è l'organismo ufficiale incaricato dal Ministero dello sviluppo economico di svolgere la sorveglianza di mercato delle macchine a marchio CE e che ha, inoltre, un rilevante know-how proprio per quanto riguarda i mezzi del settore agro-forestale.
Gli esperti dell'ISPESL hanno chiarito come, in base alle attuali direttive dell'Unione europea, tutte le macchine agricole in uso debbano obbligatoriamente essere munite di specifiche dotazioni di sicurezza. In particolare, i trattori e le motrici devono avere sia le cinture di sicurezza che i dispositivi antiribaltamento, in quanto indispensabili per prevenire le più frequenti cause di incidenti che si riscontrano per questi veicoli. Sul tema sono state peraltro elaborate già da tempo specifiche linee guida mediante il confronto tra i Ministeri competenti, l'ISPESL ed i rappresentanti delle organizzazioni agricole e dei costruttori, alle quali però non risulta ancora sia stata data completa attuazione.
Purtroppo, si dimostra che il problema della sicurezza delle macchine agricole non riguarda solo i mezzi vecchi già in circolazione che non vengono adeguati, ma talvolta anche i mezzi nuovi. Nei controlli effettuati dall'ISPESL, infatti, sono emersi vari tipi di anomalie spesso di carattere strutturale, anche su macchine nuove le quali, pur munite delle relative certificazioni (rilasciate dallo stesso costruttore o anche emesse da un ente esterno), possono però talvolta presentare ugualmente carenze oggettive sul fronte della sicurezza. In termini numerici, delle macchine di nuova immissione sul mercato controllate dall'ISPESL il 65,6 per cento sono risultate non conformi, il 27 per cento sono state rese conformi in seguito agli accertamenti e solo il 7,4 per cento sono risultate pienamente a norma.
Purtroppo l'ISPESL effettua i suoi controlli sulle macchine in casi limitati, dietro segnalazione degli ispettori ministeriali o in seguito ad incidenti. Se le verifiche riscontrano carenze, queste vengono segnalate agli organismi competenti, anche in sede europea: in molti casi si è riusciti ad esempio ad obbligare i costruttori ad adeguare le macchine difettose e anche a modificare le normative di settore, quando si sono rivelate insufficienti. Sfortunatamente, nonostante le ripetute sollecitazioni dell'ISPESL e dei competenti organismi di vigilanza, non sempre i costruttori di macchine risultano aver pienamente adeguato i mezzi prodotti con tutti i necessari dispositivi di sicurezza.
Peraltro, occorre distinguere fra i trattori e le macchine agricole in genere, essendo i primi, in quanto veicoli stradali, sottoposti ai fini della messa in commercio esclusivamente all'omologazione del Ministero dei trasporti, sia per i profili della sicurezza stradale che per quelli della sicurezza lavorativa. Ciò ha determinato alcune lacune normative, specie per i trattori di massa ridotta, per i quali ad esempio non era previsto l'obbligo delle cinture di sicurezza. Altro problema molto rilevante è l'assenza dei dispositivi antiribaltamento sia sui trattori che sulle macchine semoventi, di grandi e di piccole dimensioni. Solo nel 2008 l'ISPESL, sulla base di ricerche effettuate sui principali mezzi di informazione ovvero a seguito di comunicazioni da parte degli organi di vigilanza territoriale, ha rilevato 168 eventi infortunistici connessi con l'uso del trattore, dei quali 126 sono stati mortali. Quelli determinati dal capovolgimento del trattore ammontano a 153 di cui 114 mortali. Tale tendenza è purtroppo confermata anche dai dati parziali per il 2009: da gennaio a luglio si sono avuti 113 eventi infortunistici legati all'uso del trattore di cui 75 mortali. Quelli determinati dal capovolgimento del trattore ammontano a 98, di cui 68 mortali.
Le cifre indicate sono superiori a quelle solitamente registrate dall'INAIL, in quanto quest'ultimo, ai sensi della legge n. 243 del 1993, rileva solo gli infortuni occorsi ai lavoratori professionalmente addetti, escludendo quelli (pur numerosi) che riguardano operatori agricoli occasionali e non professionali. Si tratta dunque di un problema molto serio, che investe molteplici profili, da quello delle carenze nei dispositivi di sicurezza o nelle normative di settore, a quello del comportamento dell'operatore, che si ricollega al tema più ampio della formazione-informazione in tema di sicurezza dei lavoratori.
Gli esperti dell'ISPESL, come pure i rappresentanti delle imprese del settore agricolo, hanno però evidenziato chiaramente che qualunque soluzione normativa o campagna di sensibilizzazione risulterebbe inefficace se non fosse accompagnata da adeguate misure di incentivazione volte a favorire la sostituzione delle macchine ed attrezzature più obsolete ovvero la loro messa in sicurezza, specialmente per prevenire il ribaltamento del mezzo (tipicamente il trattore) mediante l'installazione a bordo delle cinture di sicurezza e della cellula di sicurezza. È infatti il caso di ribadire che il ribaltamento costituisce la principale causa di infortunio grave o mortale connessa all'utilizzo del trattore e che in Italia su 1.600.000 trattori circolanti, all'incirca 900.000 sono sprovvisti di strutture di protezione in caso di capovolgimento e circa 1.300.000 non sono muniti di cinture di sicurezza.
Nel corso della sua attività d'indagine, peraltro, la Commissione ha avuto modo di constatare che le problematiche rilevate per le macchine ed attrezzature del settore agro-forestale sono, purtroppo molto simili a quelle del settore edile, dove si riscontrano ugualmente frequenti incidenti legati all'utilizzo dei mezzi, specie quelli per il movimento terra, anche in questo caso generalmente per il ribaltamento degli stessi. Per quanto riguarda invece le attrezzature, gli infortuni più gravi o mortali nel settore edile sono legati all'instabilità o all'inadeguatezza delle cosiddette «opere provvisionali», in particolare le strutture di sostegno come impalcature, ponteggi e piattaforme, in ordine alle quali si verificano frequentemente cedimenti o cadute, per l'assenza di elementi di protezione. Nel caso specifico, la causa è legata generalmente alla presenza di strutture assai vecchie e tecnologicamente superate che vengono, per evidenti motivi di risparmi sui costi, riutilizzate più volte da un cantiere all'altro. Peraltro, gli esperti del settore segnalano che il modo più efficace di ridurre al minimo il rischio di caduta dall'alto è quello di privilegiare le misure di protezione collettiva rispetto a quelle di protezione individuale generalmente utilizzate.
Al fine di raccogliere le sollecitazioni provenienti sia dagli operatori del settore agricolo che di quello edile e di offrire un contributo concreto alla risoluzione delle problematiche accennate, la Commissione ha quindi assunto l'iniziativa di promuovere, in accordo con i Ministeri competenti, un'iniziativa legislativa mirante a predisporre forme di incentivazione economico-fiscale per la rottamazione delle macchine ed attrezzature più obsolete, nonché per la messa in sicurezza delle altre. Il primo passo di questa iniziativa si è concretizzato nella presentazione di due ordini del giorno in tal senso (G/1503/2/6 e 10 e G/1503/1/6 e 10) durante l'esame dell'Atto Senato n. 1503, di conversione del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, accolti dal Governo, in data 7 aprile 2009, dinanzi alle Commissioni riunite 6a e10a. Tale iniziativa è stata accolta con grande favore da tutte le categorie produttive interessate, a ulteriore dimostrazione di una esigenza fortemente sentita fra gli operatori.
In secondo luogo, su incarico della Commissione, l'ISPESL ha predisposto una specifica relazione sulla questione, contenente anche una indicazione delle modifiche normative necessarie per assicurare una maggiore sicurezza delle macchine e delle attrezzature stesse ed una maggiore efficacia dei controlli da parte degli organi preposti. Nella stessa relazione, inoltre, sono stati individuati gli interventi tecnici più efficaci per la sostituzione e la messa in sicurezza delle macchine e delle attrezzature, con una stima dei relativi costi.
La relazione è stata poi messa a disposizione anche dei Ministeri competenti, con i quali sono stati già avviati i necessari contatti per addivenire alla presentazione vera e propria delle norme di incentivazione, assicurando nel contempo la correttezza tecnica e la necessaria copertura finanziaria.


5.3. Gli infortuni nel settore del recapito postale
Nel marzo 2009, la Commissione ha ricevuto la segnalazione di una serie di incidenti, anche mortali, nel settore del recapito postale, che avrebbero coinvolto in particolare i portalettere circolanti su ciclomotori. Sempre secondo le notizie raccolte dalla Commissione, dal marzo 2008 al gennaio 2009 si sarebbero avuti ben 12 decessi di questo tipo, in netto aumento rispetto agli anni precedenti.
Al fine di verificare la fondatezza di tali notizie e gli eventuali rimedi da predisporre, la Commissione ha quindi convocato in audizione, nella seduta del 24 marzo 2009, sia i sindacati del settore post-telegrafonico che i vertici dell'azienda Poste Italiane S.p.A. I sindacati, dal canto loro, hanno confermato il numero crescente di incidenti che ha interessato, soprattutto nei due anni precedenti, i lavoratori adibiti al recapito della corrispondenza. Sui circa 40.000 addetti del settore, oltre 20.000 utilizzano motocicli e proprio tra questi si concentrerebbe la più alta percentuale di infortuni, di cui alcuni mortali. I rappresentanti dei lavoratori post-telegrafonici hanno evidenziato le problematiche legate all'uso di tali mezzi, trattandosi di un unico modello di ciclomotore (Piaggio Liberty 125) assegnato indistintamente a tutti gli addetti, senza tenere conto delle differenti caratteristiche di genere o di corporatura. Al riguardo, i sindacati hanno altresì lamentato che l'adozione di questi mezzi sarebbe avvenuta in base ad una scelta unilaterale dell'azienda, senza preventivo confronto con i sindacati stessi. Peraltro, la riorganizzazione delle zone di recapito in corso da parte di Poste Italiane S.p.A. determina un incremento dei rischi a causa dei maggiori carichi di corrispondenza e, quindi, del peso trasportato da ciascun mezzo.
Altro problema segnalato è stato quello della sicurezza legata alle rapine negli uffici postali, aggravato dalla sostituzione in talune zone dei presidi fissi con forme di vigilanza itineranti, che si sarebbero rivelate meno efficaci nella prevenzione dei crimini.
In generale, i sindacati hanno sollecitato una maggiore attenzione al rispetto delle regole per la sicurezza e all'igiene dei luoghi di lavoro, spesso ubicati in strutture non sempre adeguate, soprattutto nella trasmissione delle direttive fra il centro e la periferia, auspicando il più forte coinvolgimento degli organismi esistenti in materia (comitati bilaterali rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) ed un più frequente dialogo con i vertici di Poste Italiane S.p.A.
A queste indicazioni fornite dai sindacati del settore postale, si sono contrapposte le argomentazioni avanzate dai vertici di Poste Italiane S.p.A., i quali hanno illustrato nel dettaglio i dati sugli incidenti e sulle morti avvenute negli ultimi due anni fra i lavoratori addetti al recapito della corrispondenza, evidenziando come una quota degli stessi sia in realtà riferita a infortuni in itinere e come l'uso del motomezzo incida solo nel 45 per cento circa degli infortuni complessivi del settore postale, la maggior parte essendo legati all'uso di autoveicoli.
Sono state quindi illustrate le iniziative messe in campo da Poste Italiane S.p.A. per ridurre l'utilizzo dei motoveicoli nel recapito postale e, conseguentemente, i rischi connessi, attraverso l'aumento del numero di veicoli a quattro ruote (auto e quadricicli), certamente più sicuri, e l'aumento delle zone di recapito a piedi e in bicicletta. Inoltre, si è messo in evidenza come l'azienda svolga da tempo corsi di formazione adeguati per gli addetti, in collaborazione con il Ministero dei trasporti. Pur dichiarandosi disponibili ad un confronto diretto con i sindacati sulle problematiche richiamate, quindi, i vertici dell'azienda hanno sostanzialmente negato l'esistenza di un problema grave o allarmante in merito agli incidenti occorsi ai portalettere, che rientrerebbero nei limiti fisiologici degli infortuni stradali e sarebbero anzi nettamente inferiori alla media nazionale.
Per quanto riguarda la scelta di utilizzare un unico tipo di ciclomotore (definito in gergo «mezzo universale unificato») indipendentemente dalle caratteristiche fisiche o di genere degli addetti, si è fatto presente che lo stesso è stato scelto sulla base di una gara internazionale e che si tratta di un mezzo perfettamente omologato e certificato per l'utilizzo cui è adibito. Peraltro, Poste Italiane S.p.A. sostiene di avere sempre mantenuto un confronto costante con le rappresentanze sindacali su tutte le problematiche lavorative. D'altra parte, mentre è evidentemente impensabile ritirare immediatamente tutti gli oltre 20.000 ciclomotori attualmente in dotazione, l'azienda ha già avviato da tempo iniziative volte a ridurne, per quanto possibile, il numero. Infine, si è ribadito che le misure di sicurezza adottate per la vigilanza degli uffici postali contro il rischio di rapine sarebbero in ogni caso adeguate, tenendo anche conto del fatto che esiste un corpo delle forze dell'ordine, la Polizia Postale, che segue specificamente le problematiche di ordine pubblico del settore.
La Commissione ha acquisito anche i dati ufficiali dell'INAIL sugli infortuni avvenuti negli ultimi due anni ai danni di portalettere, ma gli stessi non presentano il grado di dettaglio necessario per confermare o smentire l'esistenza di un rischio rilevante nella guida dei ciclomotori. Tenuto conto, quindi, del fatto che anche il confronto tra le posizioni dei sindacati e quelle dei vertici di Poste Italiane S.p.A. non ha offerto elementi risolutivi sulla questione, la Commissione ha deciso di avviare uno specifico approfondimento, chiedendo a tutte le Procure competenti per ciascuno dei 12 infortuni mortali avvenuti tra il marzo 2008 ed il gennaio 200911 informazioni sulla dinamica e sulle eventuali risultanze delle inchieste avviate.
Tale lavoro di approfondimento è al momento ancora in corso, per cui non è possibile trarre alcuna conclusione in merito. Peraltro, non si può negare comunque l'esistenza di un rischio più elevato per chi utilizza il ciclomotore universale, sia per il notevole carico che il mezzo può talvolta portare nei tre contenitori della posta (anteriore, centrale e posteriore) montati su di esso, sia per il fatto già evidenziato che il mezzo stesso viene utilizzato indistintamente da tutti gli addetti, senza adattamenti che tengano conto delle differenze di corporatura o di genere. Un altro elemento emerso nel confronto con i sindacati e l'azienda, che potrebbe in qualche modo influire sui rischi per la sicurezza dei lavoratori del settore, è il fatto che i portalettere che partono dai cosiddetti Centri primari di distribuzione (CPD) sono soggetti ad un preposto che si occupa anche di controllare e di far rispettare le regole per la sicurezza sul lavoro: esistono però anche i centri secondari, dove la presenza del preposto non è sempre possibile, con il rischio quindi di non poter verificare costantemente il rispetto delle procedure. In base ai rapporti trasmessi dalle Procure sugli incidenti esaminati, ad esempio, è emersa in taluni casi la circostanza che i portalettere coinvolti negli incidenti alla guida di ciclomotori non indossavano il casco ovvero lo tenevano slacciato, con ciò denotando una scarsa attenzione alle regole ed una esigenza di maggiori controlli.
Al di là dunque delle procedure attuate dall'azienda Poste Italiane per garantire la sicurezza dei propri dipendenti e dei luoghi di lavoro, esistono però tutta una serie di aspetti, che possono senz'altro suggerire la necessità di interventi migliorativi o correttivi. Naturalmente la Commissione non ha mancato, anche recentemente, di segnalare tali profili sia all'azienda che ai sindacati di settore e, per quanto di sua competenza, continuerà ad operare per approfondire tali questioni nonché, ove necessario, per offrire il proprio contributo alla risoluzione dei problemi.


5.4. La sicurezza del lavoro nel settore ferroviario
La notte del 29 giugno 2009, presso la stazione di Viareggio, un treno merci con un convoglio di 14 carri cisterna contenenti GPL è deragliato, per cause probabilmente legate al cedimento del carrello del primo carro cisterna, trascinando fuori dai binari altri 4 carri. Sfortunatamente, dal primo carro è fuoriuscito il gas GPL che, a contatto con l'ossigeno, si è incendiato, determinando una terribile esplosione. Le conseguenze sono state drammatiche: diversi edifici circostanti al luogo dell'incidente sono stati completamente distrutti o danneggiati e, soprattutto, si è avuto un elevatissimo numero di vittime, alcune delle quali decedute a distanza di mesi (in totale si contano 30 morti e 25 feriti).
I due macchinisti che guidavano il convoglio sono usciti miracolosamente illesi dall'incidente e hanno quindi contribuito a chiarire la dinamica dell'accaduto che, come già accennato, sembra da ricondurre al cedimento strutturale del carrello del primo carro cisterna, dovuto ad un difetto insito all'interno della struttura stessa dell'elemento, forse già usurato in quanto piuttosto vecchio.
Le indagini e gli accertamenti della magistratura sono ancora in corso ed è quindi prematuro trarre conclusioni in merito. Tuttavia, questo tragico incidente ha riproposto con forza la problematica della sicurezza del trasporto ferroviario e la Commissione ha pertanto ritenuto opportuno approfondire la questione, sia pure nell'ambito dei profili di sua stretta competenza, ossia quelli della sicurezza sul lavoro. A tal fine nelle sedute dell'8 e del 21 luglio 2009 sono stati convocati in audizione i sindacati del settore ferroviario, i vertici dell'azienda Ferrovie dello Stato S.p.A. ed il direttore dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF).
Com'era prevedibile, le posizioni dei diversi interlocutori e la loro valutazione sul tema della sicurezza nel comparto ferroviario sono risultate alquanto divergenti, sebbene sia comunque emersa con chiarezza l'esistenza di una serie di problemi che occorrerà affrontare e risolvere, proprio al fine di ridurre al minimo i rischi sia per i lavoratori che per i passeggeri del trasporto ferroviario.
In estrema sintesi, i sindacati hanno evidenziato come, pur a fronte di un elevato livello di sicurezza del sistema italiano, permangano ancora molti punti critici legati agli infortuni sul lavoro, soprattutto nel settore della manutenzione delle infrastrutture, per il calo dei relativi investimenti e per le interferenze tra il personale delle Ferrovie dello Stato e quello delle ditte esterne appaltatrici, spesso indotte, per risparmiare i costi, ad abbassare i livelli di tutela e di sicurezza dei lavoratori. Altri problemi segnalati sono legati alla riduzione costante del personale delle Ferrovie, sia nell'ambito dei servizi di manutenzione, affidati appunto sempre più spesso a ditte esterne, sia tra il personale viaggiante ed in particolare tra i macchinisti: al riguardo, notevole preoccupazione è stata espressa per la decisione di portare, in un prossimo futuro, tutti i treni a viaggiare con un unico macchinista, decisione che i sindacati ritengono foriera di gravi rischi per la sicurezza dei convogli.
La preoccupazione maggiore deriva però dai problemi legati all'avvenuta liberalizzazione del mercato ferroviario europeo, che ha portato numerosi operatori stranieri a circolare con i propri mezzi sulla rete ferroviaria italiana, senza che però si sia nel frattempo affermata una completa armonizzazione delle regole e delle procedure di controllo fra i vari Stati dell'Unione europea, ciò che innalza notevolmente il livello di rischiosità del settore. Più in generale, i sindacati ritengono necessario un rilancio complessivo del trasporto ferroviario, mediante adeguati investimenti ed interventi legislativi ad hoc da parte del Governo e del Parlamento.
Dal canto loro, i vertici delle Ferrovie dello Stato S.p.A., dopo aver riferito sulle prime risultanze degli accertamenti riguardanti il tragico incidente di Viareggio, hanno evidenziato come la sicurezza del comparto ferroviario sia regolata da un insieme complesso di normative e di standard nazionali ed internazionali, in particolare europei, che rende assai difficile la gestione del sistema. Peraltro, Ferrovie dello Stato S.p.A. si pone all'avanguardia in Europa per i requisiti di sicurezza del trasporto, grazie ad una attenta politica di investimenti. Ciò che i responsabili dell'azienda hanno voluto chiarire è che il loro Gruppo è ormai un'impresa privata, che agisce sulla rete a fianco di tutti gli altri operatori ferroviari: di conseguenza appare sterile ed incoerente ritenere che l'azienda abbia ancora competenze generali di controllo sull'intero settore, che sono state invece trasferite in capo al Ministero dei trasporti e all'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria.
Per quanto riguarda ancora l'incidente di Viareggio, gli organi di stampa hanno a loro avviso riportato nei giorni immediatamente successivi una serie di inesattezze, che dimostrano la poca conoscenza delle problematiche del settore. Viceversa, l'incidente ha dimostrato le problematiche derivanti dalla liberalizzazione del mercato ferroviario europeo (ricordate come già detto anche dai sindacati) per l'assenza di procedure ed enti unificati di controllo tra gli Stati europei: le cisterne del convoglio, fra cui quella da cui è fuoriuscito il gas che ha innestato l'incendio, appartengono alla multinazionale americana GATX, attraverso la controllata austriaca KVG, e sono poi state date in locazione a FS Logistica che ha utilizzato i carri per il trasporto del gas alla raffineria SARPOM a San Martino di Trecate, in provincia di Novara.
L'aspetto più preoccupante è che il vagone deragliato a Viareggio, alla fine di febbraio, era entrato negli stabilimenti della Cima Riparazioni a Bozzolo (Mantova), dove i tecnici di questa azienda, incaricata della manutenzione, avevano scoperto che alcune ruote dei carrelli erano molto consumate e quindi da sostituire. Il proprietario del vagone, il gruppo americano GATX, ha quindi recapitato altri carrelli in sostituzione, sebbene non nuovi. Purtroppo, sembrerebbe che il carrello che ha ceduto a Viareggio sia proprio uno di quelli sostituiti, il che solleva pesanti dubbi sulla qualità delle riparazioni e dei collaudi effettuati, anche nelle fasi successive.
Al di la dell'accertamento di eventuali responsabilità o negligenze che, è bene ribadirlo, è tuttora in corso, appare certamente condivisibile la preoccupazione di Ferrovie dello Stato S.p.A. affinché venga finalmente introdotto un unico ente nazionale incaricato dei controlli e delle certificazioni sui mezzi ferroviari, il quale possa anche omologare le officine e i centri attrezzati per le riparazioni e le manutenzioni.
Ferrovie dello Stato S.p.A. ha comunque sempre declinato qualunque responsabilità, segnalando come in Italia dal 1993 ad oggi si sia registrato un drastico calo degli infortuni sul lavoro, grazie ad un'accorta politica. Ha contestato peraltro l'accusa di una riduzione degli investimenti e delle spese di manutenzione, osservando come la riduzione del personale addetto sia stata più che compensata da un aumento del ricorso alla tecnologia e da un innalzamento del livello qualitativo degli interventi. Infine, proprio in relazione alla ancora incompleta armonizzazione delle regole e delle procedure a livello europeo, ha auspicato la piena introduzione anche in Italia, delle procedure COTIF (Convenzione relativa ai trasporti internazionali per ferrovia), che permetterebbe una chiara distinzione tra le figure dell'impresa ferroviaria proprietaria dei mezzi, dell'utilizzatore e del manutentore, fissando i compiti e le responsabilità di ciascuno. Sempre al riguardo, è stata inoltre sottolineata l'esigenza di una omogeneità delle regole a livello europeo, per garantire una corretta liberalizzazione delle attività nel settore ferroviario, sul modello di quanto già avvenuto in quello del trasporto aereo. Tra i punti critici, sono stati richiamati soprattutto il rilascio delle licenze e del certificato di sicurezza agli operatori, per i quali non è sempre richiesta l'esistenza di una struttura industriale in capo all'azienda.
Particolarmente importante è stata infine l'audizione del direttore dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle Ferrovie, il quale ha innanzitutto richiamato le attività di verifica e di indagine in corso di svolgimento, per quanto di sua competenza, in relazione all'incidente di Viareggio, anche in collaborazione con le agenzie omologhe degli altri Paesi europei. Ha quindi evidenziato che, in ogni caso, l'incidente di Viareggio, al di la del fatto in se, impone una riflessione complessiva sul funzionamento del sistema ferroviario in Italia ed in Europa, in seguito al processo di liberalizzazione che ha portato ad un aumento del numero degli operatori, anche esteri, sulla rete. A tal fine, è necessario un ampio confronto sia con le altre agenzie per la sicurezza ferroviaria dei Paesi europei che con i vari operatori del settore che agiscono in Italia.
Svolgendo poi un'ampia disamina sull'attuale assetto del sistema ferroviario in Italia, il direttore dell'ANSF ha evidenziato come il processo di liberalizzazione e il conseguente aumento del numero degli operatori non si possa tradurre affatto, come sostenuto da taluni nelle settimane precedenti, in una deresponsabilizzazione di fatto degli operatori e soprattutto delle imprese ferroviarie e dei gestori della rete sul fronte della sicurezza, quasi che ciascuno in questo ambito potesse operare d'ora in avanti a compartimenti stagni. Il rilievo riguarda in particolare Ferrovie dello Stato S.p.A., in qualità di principale operatore nazionale che, al pari degli altri, è in ogni caso responsabile per l'adozione di tutte le necessarie misure di sicurezza, nei confronti dei clienti e degli altri operatori, e tale resterà anche quando verranno recepite in Italia le direttive europee che istituiscono le ulteriori figure del detentore e del manutentore dei carri ferroviari, la cui assenza è stata spesso indicata come causa di un abbassamento dei livelli di sicurezza.
Rispetto al regime previgente, infatti, la differenza sostanziale è che i vari operatori non creano più direttamente le regole per la sicurezza del comparto, compito demandato appunto alle agenzie nazionali, ma sono comunque chiamati ad assicurarne il rispetto per la parte loro affidata. La posizione dell'ANSF è stata quindi quella di un forte richiamo per tutti gli operatori del sistema, e segnatamente per Ferrovie dello Stato S.p.A., ad assumere tutte le iniziative di loro competenza per garantire un sempre più elevato livello di sicurezza nel comparto ferroviario, sia per quanto concerne i lavoratori che i passeggeri.
Il direttore dell'Agenzia ha infine evidenziato le tappe del progressivo trasferimento all'ente delle competenze previste dal decreto legislativo n. 162 del 2007, nonché delle relative risorse finanziarie da parte del Ministero dei trasporti e, soprattutto, di quelle del personale da parte delle Ferrovie dello Stato, riferendo altresì dell'attività ispettiva fin qui svolta dall'Agenzia. Purtroppo, i ritardi nel processo di trasferimento hanno determinato l'impossibilita dell'Agenzia di operare a pieno regime e di assumere tutte quante le funzioni che dovrà avere a regime. In tal senso, vi è stata anche una richiesta forte affinché il personale trasferito sia dotato delle necessarie competenze tecniche e di un adeguato inquadramento economico-giuridico.
Il quadro emerso dunque dal confronto con i responsabili del sistema ferroviario italiano, pur nella evidente parzialità delle informazioni finora raccolte, segnala il permanere di situazioni di rischiosità in alcuni aspetti dell'attività, anche a fronte dei notevoli e significativi progressi compiuti negli ultimi anni. Le aree maggiormente critiche sono, come indicato, quelle relative ai servizi di manutenzione affidati in particolare alle ditte esterne, anche per le possibili (e tutt'altro che infrequenti) interferenze con il lavoro del personale delle Ferrovie dello Stato. Altri elementi critici riguardano poi l'assetto complessivo del sistema scaturito dal processo di liberalizzazione europeo, a cui non è corrisposto un uguale processo di armonizzazione delle norme e dei controlli.
La Commissione si ripropone quindi di approfondire ulteriormente le problematiche del settore, attraverso una interlocuzione costante con tutte le parti coinvolte, al fine di offrire anche in questo settore, per quanto di propria competenza, un contributo concreto alla conoscenza e alla risoluzione dei problemi.


5.5. La cultura antinfortunistica nelle scuole
La Commissione ha da tempo rilevato l'esigenza, segnalata da più parti, di promuovere la cultura della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro all'interno delle scuole come uno dei più importanti veicoli per garantire una efficace attività di prevenzione e contrasto alla piaga degli infortuni sul lavoro. L'articolo 11 del decreto legislativo n. 81 del 2008, del resto, già prevede la possibilità di attivare specifici percorsi formativi su tali tematiche all'interno delle scuole, sia pure nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili.
La stessa Commissione è intervenuta sul tema, attraverso l'iniziativa del presidente Tofani, che ha presentato uno specifico ordine del giorno (numero G200) nell'Assemblea del Senato durante la discussione del disegno di legge n. 1108, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università, poi divenuto la legge n. 169 del 2008.
L'ordine del giorno, accolto dal Governo in data 23 ottobre 2008, impegnava a predisporre fin dall'anno scolastico 2008/2009 specifiche attività formative sulla cultura e sulla sicurezza del lavoro nei programmi scolastici, proprio al fine di avviare in tempi rapidi una politica precisa in questo campo. Dalle informazioni ricevute nei mesi successivi dal Ministero dell'istruzione, risulta che attività formative del tipo indicato siano state avviate in alcuni istituti scolastici, in via sperimentale. Proprio al fine di approfondire la questione è dare nuovo impulso a questa importante iniziativa, la Commissione intende intensificare la propria collaborazione con il Dicastero di settore e a tal fine è già stata fissata un'audizione dello stesso Ministro su tali tematiche.