SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA


COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA
SUL FENOMENO DEGLI INFORTUNI SUL LAVORO CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLE COSIDDETTE «MORTI BIANCHE»


RELAZIONE INTERMEDIA SULL'ATTIVITÀ SVOLTA


Approvata dalla Commissione nella seduta del 7 ottobre 2009



Indice
1. L'ORGANIZZAZIONE DEI LAVORI DELLA COMMISSIONE
1.1. Istituzione e composizione
1.2. La fase iniziale dei lavori della Commissione
1.3. Le audizioni
1.4. L'istituzione di gruppi di lavoro
1.5. Le acquisizioni di documenti
2. L'INCHIESTA DELLA COMMISSIONE: IL SISTEMA DELLA TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO IN ITALIA
2.1. Premessa: la nuova disciplina del cosiddetto «Testo unico»
2.2. La politica del Governo
2.3. Il quadro statistico
2.4. L'attività degli enti istituzionali
a) L'INAIL
b) L'IPSEMA
c) L'ISPESL
d) L'INPDAP
e) L'INPS
f) L‘IAS
2.5. Le indicazioni delle organizzazioni sindacali
2.6. Le indicazioni delle organizzazioni imprenditoriali
2.7. Le indicazioni degli esperti della sicurezza
3. I SOPRALLUOGHI DELLA COMMISSIONE: GLI INFORTUNI ED IL SISTEMA DI PREVENZIONE ALL'ESTERO E IN AMBITO LOCALE
3.1. Sopralluogo a Berlino, Parigi e Londra (10-14 novembre 2008)
3.1.1 Introduzione
3.1.2. Il sistema di protezione contro il rischio di infortuni sul lavoro in Germania
3.1.3. Il sistema di protezione contro il rischio di infortuni sul lavoro in Francia
3.1.4. Il sistema di protezione contro il rischio di infortuni sul lavoro nel Regno Unito
3.2. Sopralluogo a Bologna-Sasso Marconi (23-24 novembre 2008)
3.3. Sopralluogo a Caserta (14-15 dicembre 2008)
3.4. Sopralluogo a Trieste (1o-2 febbraio 2009)
3.5. Sopralluogo a Catania (15-16 marzo 2009)
3.6. Sopralluogo a Cagliari (11-12 giugno 2009)
4. L'ATTIVITÀ DEI GRUPPI DI LAVORO
4.1. Gruppo di lavoro sugli infortuni domestici
4.2. Gruppo di lavoro sull'agricoltura. «Morti bianche ed infortuni gravi sul lavoro in ambito agricolo - considerazioni e proposte»
4.2.1. Premessa
4.2.2. Alcune proposte
4.2.3. In termini generali
4.3. Gruppo di lavoro sulla prevenzione e formazione
4.4. Gruppo di lavoro sulle malattie professionali. «Le malattie da lavoro in Italia»
4.4.1. Premessa
4.4.2. Definizioni
4.4.3. Il quadro nazionale: i sistemi di registrazione
4.4.3.1. Il sistema di registrazione delle malattie professionali e lavoro correlate INAIL
4.4.3.2. Altri sistemi di registrazione e fonti informative
4.4.4. Il quadro nazionale: i dati statistici
4.4.4.1. I dati statistici INAIL
4.4.4.2. I dati statistici di Regioni e ASL
4.4.5. Il problema della sottonotifica
4.4.6. Il problema del mancato riconoscimento e del mancato indennizzo da parte dell'INAIL
4.4.7. Proposte di audizioni
4.5. Gruppo di lavoro sui trasporti e gli infortuni in itinere. «Progetto analisi e proposte sicurezza trasporti infortuni sul lavoro e in itinere»
4.5.1. Scopo e contenuti del lavoro. Premessa
4.5.2. Destinatari
4.5.3. Articolazione operativa
4.5.4. Organismi di vigilanza e controllo
4.5.5. Conclusioni
4.6. Gruppo di lavoro sull'edilizia, le costruzioni e gli appalti pubblici
5. GLI APPROFONDIMENTI SU TEMI PARTICOLARI
5.1. L’attuazione e le modifiche del decreto legislativo n. 81 del 2008
5.2. Le macchine e le attrezzature agricole e forestali e quelle per l’edilizia
5.3. Gli infortuni nel settore del recapito postale
5.4. La sicurezza del lavoro nel settore ferroviario
5.5. La cultura antinfortunistica nelle scuole
6. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE



1. L'ORGANIZZAZIONE DEI LAVORI DELLA COMMISSIONE

1.1. Istituzione e composizione
La Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche», è stata istituita con deliberazione del Senato della Repubblica del 24 giugno 2008.
In passato, il Parlamento aveva già affrontato, per mezzo di apposite commissioni di inchiesta o indagini conoscitive, il tema della sicurezza sul lavoro1. Nella XIV legislatura il Senato ha poi istituito - con deliberazione del 26 marzo 2005 - una Commissione monocamerale di inchiesta sulla tematica degli infortuni sul lavoro e delle «morti bianche», la cui relazione finale, contenente le risultanze dell'inchiesta e le proposte emerse dalla stessa, è stata approvata l'8 marzo 2006. Un'analoga Commissione monocamerale di inchiesta è stata altresì istituita nella XV legislatura, con deliberazione del 24 ottobre 2006, la quale ha approvato la propria relazione finale in data 20 marzo 2008.
La Commissione istituita nella XVI legislatura si è posta in una logica di stretta continuità con quella operante nella legislatura precedente, com'è testimoniato anche dalla sostanziale conferma degli obiettivi dell'inchiesta, individuati dall'articolo 3 della deliberazione istitutiva, secondo il quale la Commissione, nel corso della propria attività, accerta in particolare:
a) la dimensione del fenomeno degli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo al numero delle cosiddette «morti bianche», alle malattie, alle invalidità e all'assistenza alle famiglie delle vittime, individuando altresì le aree in cui il fenomeno è maggiormente diffuso;
b) l'entità della presenza dei minori con particolare riguardo ai minori provenienti dall'estero e alla loro protezione ed esposizione a rischio;
c) le cause degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alla loro entità nell'ambito del lavoro nero o sommerso e al doppio lavoro;
d) il livello di applicazione delle leggi antinfortunistiche e l'efficacia della legislazione vigente per la prevenzione degli infortuni, anche con riferimento alla incidenza sui medesimi del lavoro flessibile o precario;
e) l'idoneità dei controlli da parte degli uffici addetti alla applicazione delle norme antinfortunistiche;
f) l'incidenza complessiva del costo degli infortuni sulla finanza pubblica, nonché sul Servizio sanitario nazionale;
g) quali nuovi strumenti legislativi e amministrativi siano da proporre al fine della prevenzione e della repressione degli infortuni sul lavoro;
h) l'incidenza sul fenomeno della presenza di imprese controllate direttamente o indirettamente dalla criminalità organizzata;
i) la congruità delle provvidenze previste dalla normativa vigente a favore dei lavoratori o dei loro familiari in caso di infortunio sul lavoro.
La Commissione, costituita ai sensi dell'articolo 2 della deliberazione istitutiva da venti senatori - nominati dal Presidente del Senato in proporzione al numero dei componenti i Gruppi parlamentari - è presieduta dal senatore Oreste Tofani, si è insediata il 23 luglio 2008, ed ha svolto un ampio lavoro di indagine, attraverso audizioni, sopralluoghi ed acquisizioni di dati e documenti, al fine di individuare gli aspetti più cruciali del problema degli infortuni sul lavoro e di proporre, in linea con il proprio mandato, gli strumenti legislativi ed amministrativi più idonei ai fini della prevenzione e della repressione di tale fenomeno.
Come già in altre legislature, inoltre, al fine di approfondire più compiutamente alcuni specifici profili dell'inchiesta, nel dicembre 2008 l'Ufficio di Presidenza della Commissione, allargato ai rappresentanti dei Gruppi, ha istituito dieci gruppi di lavoro, i quali hanno affiancato la loro attività a quella del plenum della Commissione. I gruppi in questione si sono occupati dei seguenti settori: edilizia, costruzioni e appalti pubblici; personale della pubblica amministrazione e controlli pubblici antinfortunistici; malattie professionali; infortuni domestici; agricoltura; lavoro minorile e lavoro sommerso; trasporti ed infortuni in itinere; formazione e prevenzione; verifica dello stato di attuazione delle nuova normativa di cui alla legge n. 123 del 2007 e al decreto legislativo n. 81 del 2008; attività produttive.
Ai fini dell'inchiesta, la Commissione ha inoltre stabilito rapporti di collaborazione con una serie di consulenti.
Ai sensi dell'articolo 6 della deliberazione istitutiva, la Commissione riferisce al Senato annualmente, con singole relazioni o con relazioni generali, nonché ogniqualvolta ne ravvisi la necessita, e comunque al termine dei suoi lavori. Inoltre, è stabilito che, in occasione della terza relazione annuale, il Senato verifichi l'esigenza di un'ulteriore prosecuzione della Commissione.


1.2. La fase iniziale dei lavori della Commissione
Le prime due sedute della Commissione, ossia quelle del 23 luglio e del 24 settembre 2008, sono state dedicate alla formazione degli organi interni, nonché all'esame ed all'approvazione del regolamento interno. Parallelamente, l'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi parlamentari, una volta costituito, ha elaborato il programma dei lavori della Commissione.
Quest'ultimo - oltre a specificare gli indirizzi indicati dalla deliberazione istitutiva - ha stabilito alcune priorità e definito la metodologia dell'inchiesta. In particolare, sulla scorta anche dell'esperienza delle passate legislature, il programma ha fatto riferimento a tre strumenti fondamentali: le audizioni (in merito, esso recava un elenco, a titolo indicativo, di soggetti pubblici e privati); i sopralluoghi, da parte di delegazioni della Commissione, ai fini di indagini o approfondimenti particolarmente significativi; le acquisizioni di dati e documenti, anche mediante richiesta scritta.


1.3. Le audizioni
Le audizioni, svoltesi nel corso delle sedute plenarie nonché dei sopralluoghi, sono state intese ad abbracciare l'intero arco dei temi posti ad oggetto dell'inchiesta.
Le audizioni tenutesi in sede plenaria possono distinguersi in quelle (relative a soggetti istituzionali pubblici o alle parti sociali) di carattere generale e in quelle concernenti settori o problematiche specifici, benché, naturalmente, in questa seconda tipologia siano stati affrontati anche profili di interesse trasversale.
Delle audizioni plenarie svoltesi finora, la prima ha avuto luogo il 7 ottobre 2008 e l'ultima il 21 luglio 2009.


1.4. L’istituzione di gruppi di lavoro
Come accennato, nella seduta del 10 dicembre 2008 l'Ufficio di Presidenza della Commissione, allargato ai rappresentanti dei Gruppi, ha deliberato la costituzione di un gruppo di lavoro per ognuno dei seguenti ambiti: edilizia, costruzioni e appalti pubblici (coordinato dal senatore De Luca); personale della pubblica amministrazione e controlli pubblici antinfortunistici (coordinato dal senatore De Angelis); malattie professionali (coordinato dal senatore Roilo); infortuni domestici (coordinato dalla senatrice Colli); agricoltura (coordinato dal senatore Conti); lavoro minorile e lavoro sommerso (coordinato dalla senatrice Maraventano); trasporti ed infortuni in itinere (coordinato dal senatore Morra); formazione e prevenzione (coordinato dalla senatrice Bugnano); verifica dello stato di attuazione delle nuova normativa di cui alla legge n. 123 del 2007 e al decreto legislativo n. 81 del 2008 (coordinato dalla senatrice Donaggio); attività produttive (coordinato dalla senatrice Spadoni Urbani).
All'attività di ciascun gruppo hanno inoltre partecipato - secondo la possibilità prevista dal regolamento interno - alcuni collaboratori della Commissione.
Alcuni gruppi di lavoro hanno presentato alla Commissione una relazione finale, concernente gli esiti delle proprie indagini. Una sintesi di tali apporti è operata nel capitolo 4 della presente relazione.


1.5. Le acquisizioni di documenti
Le tematiche trattate dai documenti acquisiti riflettono, in genere, quelle delle audizioni svolte dalla Commissione plenaria, dalle delegazioni di missione e dai gruppi di lavoro. Molti di questi contributi sono stati illustrati, in sede di audizione, dai soggetti estensori e del loro contenuto, pertanto, si dara conto nel prosieguo della presente relazione.



2. L'INCHIESTA DELLA COMMISSIONE: IL SISTEMA DELLA TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO IN ITALIA

2.1. Premessa: la nuova disciplina del cosiddetto «Testo unico»
Nel definire le priorità dell'inchiesta, la Commissione, pur senza trascurare le altre tematiche, ha individuato fin da subito tra i principali filoni d'indagine l'approfondimento dei problemi derivanti dall'attuazione della nuova disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro recata dalla legge 3 agosto 2007, n. 123, e, soprattutto, dal connesso decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (chiamato spesso, seppure impropriamente, «Testo unico» delle norme in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro).
Tale disciplina, adottata sul finire della precedente legislatura, anche con l'importante contributo della omologa Commissione di inchiesta, ha infatti profondamente innovato il quadro normativo previgente, da un lato confermando e meglio precisando i principi e le disposizioni derivanti dalle leggi vigenti (in particolare il decreto legislativo n. 626 del 2004) e dalla giurisprudenza consolidata in materia, dall'altro ridisegnando il sistema delle competenze dei vari soggetti pubblici e privati in materia di prevenzione e di controllo e, da ultimo, riunendo finalmente in un corpus organico e coerente norme e procedure fino ad allora disperse in vari atti di normazione primaria e secondaria.
L'attuazione del decreto legislativo n. 81 ha registrato una serie di ritardi e taluni settori produttivi e forze sociali hanno lamentato alcune criticità e problematiche nell'applicazione. Dal canto suo, il Governo ha deciso di avviare un ampio confronto con le parti sociali e con il Parlamento, al fine di introdurre una serie di integrazioni e correzioni alla disciplina. Ne è scaturito, nel corso di quest'ultimo anno, un articolato dibattito, dai toni anche vivaci, al quale la Commissione ha fornito un importante contributo.
In particolare, come si avrà modo di illustrare nel prosieguo (soprattutto nel paragrafo 5.1.), la Commissione, pur nell'ambito delle attribuzioni ad essa spettanti in base al mandato dell'inchiesta, ha seguito con grande attenzione l'iter dello schema di decreto legislativo recante integrazioni e correzioni al cosiddetto Testo unico, dedicandovi numerose sedute e approfondimenti. Le indicazioni emerse da questo lavoro hanno trovato riscontro sia nell'esame svolto presso le competenti Commissioni di merito, sia nella versione finale dello schema, approvata dal Governo con il recente decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106.
Proprio per la sua importanza, dunque, l'esame della riforma e delle problematiche legate alla sua attuazione (ancora non completata), era e resta uno dei temi centrali dell'inchiesta, che la Commissione ha posto al centro della sua attività, avviando un costante e proficuo confronto con tutti i vari soggetti pubblici e privati chiamati ad applicare e a far rispettare le nuove disposizioni.


2.2. La politica del Governo
Nella prima e nella terza audizione, che hanno avuto luogo rispettivamente nelle sedute del 7 e del 14 ottobre 2008, è stato sentito il ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali Sacconi, il quale ha anzitutto illustrato le principali iniziative adottate dal Governo per il contrasto del fenomeno, tra cui la raccolta unificata dei relativi dati, l'avvio di campagne di formazione ed informazione, in collaborazione con gli enti istituzionali competenti, con le Regioni e con gli stessi soggetti privati, segnalando la volontà di rafforzare il coordinamento centrale delle varie attività, soprattutto in materia di vigilanza.
Soprattutto, però, l'intervento del ministro Sacconi si è concentrato sulle questioni inerenti al decreto legislativo n. 81 del 2008. Oltre a riferire sul processo di attuazione in corso, infatti, il Ministro ha anticipato le linee guida che nei mesi successivi avrebbero ispirato il processo di modifica del testo, teso ad ovviare ad alcune sue criticità ed inconvenienti è sfociato poi nel già citato decreto legislativo n. 106 del 2009: una serie di incontri e consultazioni tra le parti sociali, per addivenire ad un «avviso comune» su una soluzione il più possibile condivisa.
Il rappresentante del Governo ha infatti sottolineato la scelta di privilegiare una «gestione per obiettivi», piuttosto che per regole, per la tutela della sicurezza dei lavoratori ed il contrasto agli infortuni, ritenendo che la strategia migliore non risieda nell'eccesso di regolazione formale e di sanzioni, ma in un approccio sostanziale e nella ricerca delle soluzioni concrete più efficaci, scaturite possibilmente da accordi tra le parti sociali all'insegna della bilateralità e della collaborazione, la cui valorizzazione è stata indicata come uno degli obiettivi della politica del Governo stesso.
Giova evidenziare che tali linee programmatiche sono state ribadite ed ulteriormente specificate dal Ministro del lavoro anche nelle due successive audizioni svoltesi dinanzi alla Commissione nelle sedute plenarie del 21 e del 28 aprile 2009. Tali audizioni, di cui si dirà meglio più avanti, sono state dedicate specificamente all'illustrazione dello schema di decreto legislativo recante modifiche ed integrazioni al cosiddetto Testo unico, ma hanno altresì costituito l'occasione per fare il punto sullo stato di attuazione della nuova disciplina e sulla politica del Governo in questo settore.


2.3. Il quadro statistico
Il quadro statistico sull'andamento degli infortuni sul lavoro è stato illustrato una prima volta alla Commissione dal presidente-commissario straordinario dell'INAIL (Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) Sartori nell'audizione dell'8 ottobre 2008, con riferimento ai dati disponibili in quel momento, che coprivano il periodo 2001-2007. Le indicazioni tendenziali fornite in quella sede sono state in seguito confermate dai dati del Rapporto Annuale 2008 dell'Istituto, che copre anche il 2008 e rappresenta attualmente la fonte statistica più aggiornata sull'andamento infortunistico nel nostro paese.
Secondo il Rapporto, alla data di rilevazione ufficiale del 30 aprile 2009 gli infortuni sul lavoro denunciati all'INAIL per l'anno 2008 sono 874.940. Si registrano quindi circa 37.500 casi in meno rispetto ai 912.410 dell'anno precedente, con una flessione di 4,1 punti percentuali, assai superiore al -1,7 per cento registrato tra il 2007 e il 2006. Anzi, se si tiene conto dell'incremento dello 0,8 per cento del numero degli occupati rilevato dall'ISTAT, il miglioramento reale, in termini relativi2, sale ulteriormente raggiungendo il 4,8 per cento.
Il calo registrato nel 2008 conferma il trend decrescente degli ultimi otto anni: assumendo come anno base il 2001, in questo periodo le denunce di infortunio sono scese infatti del 14,5 per cento, corrispondente a quasi 150.000 infortuni in meno rispetto ai 1.023.379 del 2001. Il dato assume ancora più rilievo se si considera che, nello stesso arco di tempo, l'aumento occupazionale ha registrato un +8,3 per cento. In termini netti, la flessione del 14,5 per cento raggiunge quindi il 21,1 per cento: si è passati cioè da circa 47 denunce di infortunio ogni 1.000 occupati nel 2001 a circa 37 denunce nel 2008.
Per quanto riguarda gli incidenti mortali, nel 2008 si sono registrati 1.120 casi. Pur essendo un dato ancora grave ed intollerabile, si deve però rilevare che è la prima volta dal 1951, primo anno per il quale si dispone di statistiche attendibili e strutturate, che nel nostro Paese il numero di infortuni mortali è sceso al di sotto dei 1.200 casi l'anno. Nel 2008, infatti, i morti del lavoro sono diminuiti del 7,2 per cento rispetto ai 1.207 dell'anno precedente.
Come per gli infortuni in generale, anche per gli incidenti mortali il 2008 quindi non fa che confermare una tendenza che, con l'unica eccezione del 2006, è in corso ormai da molti anni: da un punto di vista statistico l'andamento storico del fenomeno delle cosiddette «morti bianche» appare ridotto ad un quarto rispetto ai primi anni Sessanta (nel 1963, apice del boom economico, si ebbe il tragico record storico di 4.664 morti sul lavoro). Tra il 2001 e il 2008 gli infortuni mortali sono diminuiti di circa il 28 per cento in valori assoluti è di oltre il 33 per cento se il dato è rapportato agli occupati, che nello stesso periodo di tempo sono aumentati dell'8,3 per cento. In ogni caso va detto che il calo è stato continuo e sostenuto dal 2001 (1.546 infortuni mortali) al 2005 (1.280 casi) per interrompersi per un improvviso quanto imprevisto rialzo nel 2006, che ha registrato 1.341 decessi. Fortunatamente i dati 2007 (1.207) e 2008 (1.120) hanno segnato di nuovo una decisa riduzione degli eventi mortali.
Quanto ai settori di attività, gli infortuni sul lavoro denunciati all'INAIL nel 2008 sono stati 53.278 in agricoltura, 367.132 nell'industria e 454.530 nei servizi. In particolare rispetto al 2007 la riduzione degli incidenti è stata maggiore nell'industria (-8,2 per cento) e in agricoltura (-6,9 per cento), mentre resta sostanzialmente stabile nei servizi (-0,1 per cento). Un calo significativo si è poi registrato in due settori fondamentali dell'industria: costruzioni (per un totale di 89.254 casi nel 2008 e un decremento del 12,4 per cento rispetto al 2007) e metalmeccanico (79.848 casi nel 2008 pari a una riduzione del 10,6 per cento). Nei servizi occorre sottolineare, invece, l'aumento del 21,7 per cento degli infortuni riguardanti il personale addetto ai servizi domestici (colf e badanti), un settore in forte e continua crescita con una rilevante presenza di lavoratori di origine straniera: quasi tre infortuni su quattro colpiscono, infatti, persone nate all'estero.
In termini tendenziali, nel periodo 2001-2008 si è confermata una elevata, costante diminuzione degli incidenti sul lavoro nell'agricoltura (-33,8 per cento in termini assoluti e -24,8 per cento in termini relativi) e nell'industria (-26,8 per cento in assoluto e addirittura -30,3 per cento come indice di incidenza), mentre perdura un certo aumento nei servizi, che passano da una variazione assoluta del +3 per cento ad una relativa del -7,6 per cento, accrescendo anche il loro peso sul totale degli infortuni (dal 43 per cento al 52 per cento), complice anche il sostenuto aumento occupazionale. Il calo dei morti sul lavoro, registrato tra il 2001 e il 2008, risulta peraltro molto sostenuto in tutti e tre i rami sia in termini assoluti (agricoltura -24 per cento, industria -28 per cento, servizi -28 per cento), sia in termini relativi (agricoltura -14 per cento, industria -31 per cento, servizi -34 per cento). Le difformità tra i rami sono da attribuire alla diversa dinamica occupazionale nel periodo in questione.
Dal punto di vista territoriale la riduzione degli infortuni osservata nel 2008 rispetto al 2007 ha riguardato praticamente tutte le regioni, ad eccezione della Valle d'Aosta (+3,9 per cento) che, tuttavia, presenta un numero di casi molto limitato (2.484). Il 61 per cento degli infortuni è concentrato nelle aree del Nord a maggiore densità occupazionale, in particolare Lombardia (149.506 casi), Emilia Romagna (123.661) e Veneto (104.134), che insieme assommano oltre il 43 per cento degli eventi infortunistici denunciati nell'intero Paese.
Analizzando gli infortuni in funzione del genere, appare evidente come il calo non sia stato uniforme, ma molto più accentuato per gli uomini (-5,6 per cento) che per le donne (-0,2 per cento). Per quanto riguarda invece gli infortuni mortali la situazione è diversa: una diminuzione del 7 per cento circa, in linea con l'andamento generale, per gli uomini (dai 1.110 morti del 2007 ai 1.035 del 2008), mentre per la componente femminile la flessione è superiore al 12 per cento (85 lavoratrici decedute nel 2008 rispetto alle 97 del 2007).
Considerando che le donne rappresentano circa il 40 per cento degli occupati, la quota scende al 28,6 per cento per gli infortunati e «appena» al 7,6 per cento per i morti sul lavoro: da ciò), il Rapporto INAIL deduce pertanto come il rischio di infortunio sia sensibilmente inferiore per la componente femminile, occupata prevalentemente nei settori a bassa pericolosità del terziario e dei servizi, ovvero con mansioni quasi esclusivamente impiegatizie o dirigenziali se impegnate nei settori più rischiosi (metallurgia, costruzioni, legno, trasporti, ecc.).
Dal punto di vista dell’età, infine, gli infortuni sul lavoro sono scesi dai 350.000 circa del 2007 agli oltre 320.000 del 2008 (-8 per cento) per i giovani fino a 34 anni, mentre per i casi mortali le flessioni più consistenti (-16 per cento) riguardano le classi di età dai 50 anni in su.
Per quanto riguarda la distinzione tra infortuni «in occasione di lavoro» (cioè quelli avvenuti all'interno del luogo di lavoro nell'esercizio effettivo dell'attività) ed infortuni «in itinere» (che si verificano invece al di fuori del luogo di lavoro, nel percorso casa-lavoro e viceversa)3, degli 874.940 infortuni sul lavoro denunciati all'INAIL nel 2008 ben 50.861 sono stati causati da circolazione stradale in occasione di lavoro e 97.201 sono avvenuti in itinere. In altre parole quasi il 6 per cento (5,8 per cento per l'esattezza) degli incidenti ha riguardato autotrasportatori, commessi viaggiatori, addetti alla manutenzione stradale, portalettere, ecc. nel pieno esercizio della loro attività lavorativa e oltre il 10 per cento (precisamente per cento) si è verificato sul percorso casa-lavoro e viceversa, e nella stragrande maggioranza dei casi è stato causato da circolazione stradale. Gli infortuni sulla strada, inoltre, rappresentano oltre la meta degli incidenti mortali avvenuti nel 2008: ben 611 su 1.120. Per la precisione 335 sono stati quelli provocati da circolazione stradale in occasione di lavoro e 276 quelli in itinere, avvenuti prevalentemente su strada.
Dal 2001 al 2008, gli infortuni in occasione di lavoro hanno fatto registrare un consistente calo di quasi il 20 per cento che, tradotto in termini relativi con gli indici di incidenza, scende ulteriormente a -25,7 per cento. Nello stesso periodo, invece, gli infortuni in itinere sono saliti del 66,8 per cento, anche per effetto dell'estensione dell'indennizzabilità determinata dalle modifiche normative e giurisprudenziali occorse nel periodo in questione. L'incidenza degli infortuni in itinere sul totale degli infortuni è quasi raddoppiata, aumentando dal 5,7 per cento del 2001 all'11,1 per
cento del 2008.
Un discorso a parte occorre fare per le malattie professionali o tecnopatie. Nell'anno 2008 all'INAIL sono pervenute quasi 30.000 (per l'esattezza 29.704) denunce per il riconoscimento e l'eventuale indennizzo di una patologia insorta durante l'attività lavorativa. Si tratta di circa 1.000 denunce in più (3,2 per cento) rispetto al 2007 che aveva registrato a sua volta un aumento di ben 2.000 casi (+7,4 per cento) in confronto con il 2006. Nel giro degli ultimi due anni, dunque, le patologie denunciate all'INAIL sono cresciute di ben 3.000 casi, vale a dire di 11 punti percentuali. Secondo l'Istituto, però, si tratta di un incremento verosimilmente dovuto all'emersione del fenomeno e alla maggiore sensibilità verso un problema troppo spesso sottovalutato, piuttosto che a un peggioramento delle condizioni di salubrità negli ambienti di lavoro.
La maggior parte delle malattie professionali denunciate nel 2008 riguardano l'industria e i servizi, gestione che da sola assomma il 93 per cento dei casi di tecnopatia. In particolare sono 27.539 le patologie denunciate nell'industria e servizi, 1.817 in agricoltura e 348 tra i dipendenti del conto Stato. Nel 2008, inoltre, l'incidenza delle malattie non tabellate (ovvero quelle patologie per le quali è richiesto al lavoratore l'onere della prova del nesso causale con l'attività lavorativa svolta) ha raggiunto l'86 per cento di tutte le denunce, contro il 79 per cento del 2004. Questa percentuale, poi, aumenta ancora per l'agricoltura, dove si attesta al 94 per cento del totale delle denunce.
L'ipoacusia e sordità si conferma come prima malattia professionale per numero di denunce, con un'incidenza che però diminuisce di anno in anno, passando dal 30 per cento del totale nel 2004 (circa 7.500 casi) al 20 per cento nel 2008 (circa 5.700 casi). Sono infatti altre le patologie emergenti, in particolare quelle che colpiscono l'apparato muscolo-scheletrico: le denunce per tendiniti (oltre 4.000 nel 2008) e le affezioni dei dischi intervertebrali (circa 3.800) sono più che raddoppiate negli ultimi cinque anni. Numerose sono poi anche le denunce per artrosi (circa 1.900 casi) e per sindrome del tunnel carpale (circa 1.500).
Restano inoltre ancora oggi significative l'asbestosi (circa 600 casi l'anno), patologia che presenta periodi di latenza anche di quaranta anni e che secondo le stime raggiungerà il picco di manifestazione intorno al 2025, e la silicosi (quasi 300 casi nel 2008), caratterizzata da una tendenziale contrazione nel corso del quinquennio 2004-2008. Una particolare importanza stanno infine assumendo i disturbi psichici lavoro-correlati, che nell'ultimo quinquennio hanno avuto una consistenza numerica pari a circa 500 casi l'anno, di cui larga parte individuati come mobbing. Infine, tra i primi posti in graduatoria risultano i tumori con 2.000 denunce pervenute nel 2008: un fenomeno in crescita e non ancora pienamente rappresentato dai numeri.
Un'attenzione particolare si è sviluppata negli ultimi anni per gli infortuni ai lavoratori stranieri, le cui iscrizioni all'INAIL nel 2008 hanno superato quota 3.266.0004: si tratta del 6 per cento in più rispetto all'anno precedente e del 41,9 per cento in più rispetto al 2004, quando i lavoratori immigrati erano poco più di 2,3 milioni. Tuttavia, a fronte dell'aumento occupazionale del 6 per cento, l'incremento degli infortuni tra lavoratori stranieri nel corso del 2008 è stato solo del 2 per cento, passando dai 140.785 incidenti sul lavoro del 2007 ai 143.561 del 2008. Risulta invece sostanzialmente invariato il numero degli infortuni mortali, che nel 2008 rimangono intorno ai 180 casi. Gli immigrati però continuano a presentare un'incidenza infortunistica più elevata rispetto a quella dei loro colleghi italiani: 44 casi denunciati all'INAIL ogni 1.000 occupati contro i 39 dei lavoratori autoctoni.
Sempre nell'anno 2008 gli eventi infortunistici occorsi a lavoratori stranieri hanno rappresentato il 16,4 per cento del totale. Poco meno del 96 per cento degli infortuni (per l'esattezza 137.223) si è verificato nel settore dell'industria e servizi, contro il 90 per cento per il totale dei lavoratori. In particolare prevale il peso delle attività di tipo industriale, in primo luogo le costruzioni che con 19.719 denunce rappresentano il 13,7 per cento di tutti gli infortuni riguardanti i lavoratori stranieri. Questo settore, inoltre, detiene anche il primato degli infortuni mortali tra gli immigrati: ben 43 nel 2008, che equivale a 1 decesso su 4 tra tutti quelli segnalati all'Istituto. Venendo al personale domestico appare invece significativo che 72 infortuni su 100 abbiano colpito lavoratori di origine straniera, quasi sempre colf o badanti di sesso femminile.
Anche le malattie professionali dei lavoratori stranieri hanno registrato nell'ultimo quinquennio un incremento costante e continuo, passando dai 1.220 del 2004 a 1.814 del 2008. Nel quinquennio le denunce sono aumentate del 48,7 per cento e solo nell'ultimo anno del 12,7 per cento. L'aumento riguarda sostanzialmente il settore dell'industria e servizi ai quali afferiscono la quasi totalità delle denunce (97 per cento). È lecito pensare che ad aver inciso nella crescita delle denunce sia la maggior consapevolezza dei propri diritti da parte del lavoratore straniero ed una maggiore informazione anche per quanto riguarda l'aspetto della tutela nel caso di malattia professionale.
Sebbene dunque i dati statistici più aggiornati segnalino un trend decrescente, non si può però negare la persistente gravita del fenomeno infortunistico nel nostro Paese, sia come numero di incidenti che di decessi. Gli stessi dati INAIL, pur molto più accurati che in passato, rischiano però in taluni casi di sottostimare il fenomeno, a causa del perdurare di alcune carenze negli attuali metodi di rilevamento, peraltro già segnalate negli anni passati da precedenti Commissioni di inchiesta. I metodi in questione, infatti, sono riferiti in misura prevalente al solo ambito dell'attività assicurativa dell'INAIL e dell'IPSEMA (Istituto di previdenza per il settore marittimo) ed escludono, dunque, sia i lavoratori non assicurati sia quelli irregolari.
Per le stesse ragioni, esiste un analogo rischio di sottovalutazione per quanto riguarda le malattie professionali, anche perché la relativa denuncia continua ad essere presentata, in molti casi, presso soggetti diversi dall'INAIL e dall'IPSEMA (quali le aziende sanitarie locali, le direzioni provinciali del lavoro e le autorità giudiziarie). Occorre tuttavia evidenziare, in merito, i significativi progressi che il coordinamento nella raccolta e nell'elaborazione dei dati ha registrato a partire dal 2007, con l'avvio dell'attività del «Registro nazionale delle malattie causate dal lavoro ovvero ad esso correlate» istituito presso l'INAIL e atteso in verità da molti anni, essendo già previsto dall'articolo 10, comma 5, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (si veda in proposito il paragrafo 4.4.3.2.).
Per quanto riguarda il sistema dei dati INAIL, negli ultimi anni sono stati certamente apportati notevoli miglioramenti, che hanno consentito di disporre di statistiche sempre più precise e articolate, accessibili anche via Internet. Ciononostante, restano comunque una serie di esigenze informative non ancora del tutto soddisfatte. In particolare, è auspicabile, tramite le opportune soluzioni organizzative, un ampliamento della capacita di rilevazione da parte dell'Istituto, al fine di accrescere la completezza dei dati (anche in relazione al problema, già ricordato, che questi sono riferiti prevalentemente ai lavoratori iscritti all'INAIL o all'IPSEMA). Inoltre, occorrerebbe corredare i dati medesimi di riferimenti tecnici tali da facilitarne la trasparenza e la comprensione, nonché perfezionare ulteriormente le procedure di verifica e di certificazione delle informazioni raccolte.
Questi problemi, a ben vedere, si intrecciano con quello più generale della mancanza, in materia di infortuni e malattie professionali, di un'unica banca dati di riferimento ovvero, per usare le parole del dottor Francesco Lotito, Presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INAIL (audito dalla Commissione il 24 febbraio 2009), di «una piattaforma cognitiva e valutativa autorevole e condivisa» che possa servire da base per gli interventi di prevenzione e contrasto posti in atto da tutti gli attori istituzionali, sociali ed economici.
Non a caso, uno dei cardini della riforma introdotta dal decreto legislativo n. 81 del 2008 riguarda proprio la realizzazione di un Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP) il cui scopo, ai sensi dell'articolo 8, comma 2, è appunto quello «di fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l'efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, relativamente ai lavoratori iscritti e non iscritti agli enti assicurativi pubblici, e per indirizzare le attività di vigilanza».
Si tratta chiaramente di un passaggio fondamentale ed ineludibile per qualsiasi strategia di prevenzione. Il Ministro del lavoro, sia in sede di audizione dinanzi alla Commissione che in altre occasioni, ha comunque ribadito il forte impegno del Governo a completare in tempi rapidi il Sistema informativo, una volta espletati tutti i necessari passaggi tecnici e definiti i protocolli d'intesa tra tutte le amministrazioni coinvolte.

2.4. L'attività degli enti istituzionali
a) L'INAIL
Le linee guida dell'attività dell'INAIL (Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) in materia di prevenzione e contrasto agli incidenti sul lavoro sono state illustrate alla Commissione in parte nell'audizione dell'8 ottobre 2008 del presidente-commissario straordinario Sartori e, soprattutto, in quella del 24 febbraio 2009 del presidente del Consiglio d'indirizzo e vigilanza dell'Istituto Lotito.
L'INAIL vuole confermare il suo ruolo di struttura portante del sistema di welfare del nostro Paese, all'interno però di un indispensabile processo di riordino e razionalizzazione di tutti gli enti previdenziali. Si tratta di una questione da tempo dibattuta, ma che appare ormai sempre più ineludibile, sia per i problemi di coordinamento e di sovrapposizione tra i vari enti, sia per gli elevati costi di gestione che ne derivano. Secondo le stime del Governo, infatti, da tale riforma è atteso un risparmio di 3,5 miliardi di euro nel decennio 2008-2017, senza il quale i lavoratori rischierebbero di subire un aumento del prelievo contributivo a loro carico.
In attesa della riforma, si impone però una riorganizzazione del sistema, con una forte sinergia tra gli enti esistenti, soprattutto sul territorio, ad esempio portando avanti quel progetto a suo tempo definito come «casa unica del welfare», ossia l'opportunità che sul territorio le funzioni previdenziali presenti siano accolte all'interno di un'unica struttura e di un'unica logistica. Lo stesso Testo unico sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro (decreto legislativo n. 81 del 2008) sospinge fortemente in questa direzione, sollecitando la costruzione di una vera e propria rete che connetta le azioni dei soggetti che vi partecipano sia a livello nazionale che territoriale.
Anche nelle indicazioni del Consiglio d'indirizzo e vigilanza dell'Istituto, ai fini di un'efficace azione di contrasto del rischio infortunistico emerge come centrale il tema della prevenzione, puntando su tre fattori: organizzazione del lavoro, tecnologie, formazione ed informazione. In ordine ai primi due fattori, l'INAIL intende proporsi come soggetto di «prossimità consulenziale» nei confronti dell'impresa, svolgendo cioè un ruolo di supporto e di assistenza, teso a migliorare le condizioni lavorative all'interno delle aziende. In questo senso, l'Istituto si propone di mettere a disposizione il suo patrimonio di esperienza e di coordinare le competenze scientifiche e professionali possedute da altri enti che interagiscono con esso, a cominciare dall'ISPESL, dall'INPS e dalle Regioni. Per quanto riguarda la formazione ed informazione, una sua efficace somministrazione presuppone un indispensabile ed ampio coinvolgimento dei destinatari, ovvero datori di lavoro e lavoratori, attraverso un potenziamento della bilateralità.
Le azioni in materia di contrasto e prevenzione dovranno però essere anche mirate, esercitando una particolare vigilanza ed impegno su taluni settori e aspetti dove si riscontra una maggiore rischiosità. Tra i settori produttivi, spiccano la metallurgia (dove l'indice di frequenza5 calcolato per 1.000 addetti è pari a 55,92), i materiali per l'edilizia (53,27), l'industria del legno (51,78), le costruzioni (49,09) e i trasporti (39,35). Un altro aspetto che interagisce con le problematiche relative ai fattori ad alta rischiosità è la condizione di esposizione al rischio dei lavoratori immigrati, che richiedono adeguate politiche di integrazione anche in merito alla salute e sicurezza del lavoro. Analogamente, particolare attenzione dovrà essere prestata alle malattie professionali, il cui andamento, contrariamente agli infortuni, negli ultimi anni ha registrato un preoccupante aumento (+3,2 per cento nel 2007 e +7,4 per cento nel 2008) e per le quali occorre accrescere le sinergie con i medici competenti.
Altri problemi ricorrenti nelle strategie di contrasto e prevenzione degli incidenti sul lavoro sono poi quelli della vigilanza e del controllo. Ferma restando l'esigenza di un potenziamento degli organici degli ispettori dell'INAIL, il punto cruciale resta però quello di perseguire una vera e propria politica di coordinamento sul territorio che coinvolga efficacemente i corpi ispettivi delle ASL, degli uffici del lavoro e dell'INPS. In un indispensabile raccordo con le Regioni (alle quali il decreto legislativo n. 81 del 2008 assegna espressamente il coordinamento dell'attività ispettiva), occorre dunque individuare le priorità dei controlli e migliorarne l'efficacia, evitando però al tempo stesso sovrapposizioni che, oltre ad abbassare la soglia dell'efficienza, in molti casi offrono l'immagine negativa di un intervento burocratico sovraordinato ed inutilmente ripetitivo.
Centrale è poi il ruolo dell'INAIL nella realizzazione del già richiamato Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), del quale infatti, a norma dell'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo n. 81 del 2008, l'Istituto garantisce la gestione tecnica ed informatica ed è altresì titolare del trattamento dei dati.
Infine, i rappresentanti del Comitato d'indirizzo e vigilanza dell'INAIL hanno evidenziato con forza la necessita, affinché l'Istituto possa assolvere efficacemente alla sua missione (in primis la prevenzione e la repressione degli infortuni e delle malattie professionali), che l'autonomia gestionale ad esso riconosciuta dalla legge n. 88 del 1989 sia ribadita e rafforzata, con particolare riguardo agli aspetti patrimoniali e finanziari. Si dovrebbe cioè consentire all'Istituto una maggiore liberta nella gestione e nell'investimento del capitale accumulato tramite i contributi degli assicurati, allo scopo di meglio garantirne il valore e la redditività e di poter quindi destinare risorse adeguate e crescenti alle politiche di prevenzione.
Le dotazioni di liquidità dell'Istituto sono in effetti molto basse rispetto alle potenzialità e ai compiti che esso potrebbe assumere: attualmente, le disponibilità discrezionali ammontano a 260 milioni di euro l'anno, mentre le restanti risorse sono a disposizione della Tesoreria dello Stato. L'INAIL prevede di produrre un surplus finanziario per il 2009 pari ad 1,5 miliardi di euro, che andrà ad incrementare lo stock presso la Tesoreria dello Stato. Quest'ultimo, però, essendo infruttifero, non produce alcun effetto di valorizzazione del capitale, ciò che evidentemente danneggia il patrimonio dell'Istituto e riduce la sua possibilità di adempiere ai propri compiti istituzionali.
Il discorso è assai complesso. Da più parti si segnala giustamente l'esigenza di incrementare le risorse pubbliche complessivamente a disposizione delle politiche di prevenzione e contrasto del fenomeno infortunistico, come condizione indispensabile per una loro reale efficacia. In particolare, si chiede di attingere di più alle cospicue disponibilità dell'INAIL, che oltre ad essere l'ente istituzionalmente competente, è anche una delle poche amministrazioni pubbliche in avanzo di gestione. Tuttavia, i vincoli di bilancio e le imprescindibili esigenze di controllo della spesa pubblica impongono estrema cautela e limitano inevitabilmente lo «spazio di manovra» in questo settore.
Appare dunque sempre più urgente una riflessione complessiva sulla questione, che metta a punto nuove strategie, capaci di contemperare da un lato l'esigenza del rigore e dell'equilibrio finanziario e dall'altro quella di assicurare investimenti adeguati e costanti in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

b) L'IPSEMA
L'IPSEMA (Istituto di previdenza per il settore marittimo) si occupa specificamente dell'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali a favore dei lavoratori del settore marittimo. In realtà, come evidenziato dal presidente dell'Istituto Parlato nel corso dell'audizione dinanzi alla Commissione in data 19 novembre 2008, la situazione in questo settore è assai complessa, posto che la maggior parte dei lavoratori sono iscritti all'IPSEMA, altri (i pescatori autonomi) all'INAIL, ma altri ancora sono addirittura privi di copertura assicurativa, almeno di tipo pubblicistico.
Tale situazione crea evidentemente sovrapposizioni ed inefficienze, rendendo più difficile la gestione di un settore dove il numero degli infortuni e dei decessi rilevato ogni anno, pur limitato come valore assoluto, è però assai elevato in rapporto al numero degli addetti. Secondo gli ultimi dati disponibili, infatti, nel 2007 si sono registrati 1.470 infortuni, di cui 11 mortali, su un totale di circa 42.000 posti di lavoro, in cui si alternano 120.000-130.000 persone, proprio per le caratteristiche peculiari dell'attività marittima. È dunque un numero di incidenti percentualmente maggiore rispetto a quelli riscontrati tra le altre tipologie di lavoratori.
Per quanto riguarda gli infortuni, la maggior parte di essi si verifica nella categoria navi passeggeri, non solo perché sulle navi da crociera vi è un maggior numero di addetti - si arriva anche alle 1.500 unita - ma anche perché; vi è una serie di servizi aggiuntivi (ad esempio la cucina), in relazione ai quali possono verificarsi vari incidenti, anche se non gravi.
Relativamente agli incidenti mortali, l'80 per cento riguardano specificamente il settore della pesca, che presenta un livello di rischiosità più elevato, a causa delle peculiari condizioni di lavoro, diverse da altri settori. In primo luogo si deve considerare che i pescatori sono costretti a lavorare con qualsiasi condizione atmosferica, con turni spesso assai pesanti. Inoltre, la loro retribuzione si compone di una quota fissa e di una partecipazione agli utili del viaggio. Tutto questo purtroppo fa sì che, al fine di massimizzare il profitto della spedizione (non sempre fortunata per i pescatori), vengano spesso ridotti od omessi gli investimenti relativi agli apparati di sicurezza, sia individuali che collettivi. L'Osservatorio sui sinistri marittimi dell'IPSEMA rileva un aumento del rischio di incidenti in mare (da cui possono evidentemente derivare anche infortuni ai lavoratori), tendenza confermata anche dall'Agenzia europea per la sicurezza marittima (European Maritime Safety Agency, EMSA).
A fronte dell'alta incidentalità del settore marittimo, l'IPSEMA denuncia la frammentazione delle competenze in campo antinfortunistico: come già accennato, infatti, la maggior parte dei lavoratori sono assicurati presso l'IPSEMA, ad eccezione dei pescatori autonomi, che hanno barche al di sotto delle dieci tonnellate e che sono iscritti presso l'INAIL. Si tratta di una situazione ormai annosa, fonte di gravi duplicazioni, inefficienze e ritardi, non solo nelle operazioni di indennizzo e risarcimento, ma anche nelle attività di prevenzione. Secondo le proposte dell'IPSEMA, per risolvere il problema occorrerebbe procedere ad una razionalizzazione, accorpando presso l'Istituto l'intero settore delle attività acquatiche, incluse quindi non solo quelle in mare, ma anche quelle che si svolgono su fiumi, laghi e lagune ed i cui lavoratori fanno attualmente capo all'INAIL, proprio in ragione del carattere peculiare ed essenzialmente unitario di tali professioni.
Infine, un discorso particolare deve essere fatto per quanto riguarda la navigazione aerea. Attualmente, il personale aeronavigante non risulta tutelato per quanto concerne infortuni e malattia da alcun ente assicurativo pubblico, fatta eccezione per la maternità delle assistenti di volo, che è di competenza dell'IPSEMA. La maggior parte dei lavoratori del settore sono infatti iscritti presso assicurazioni private che però , oltre a fornire prestazioni normalmente inferiori rispetto agli enti assicurativi pubblici, proprio per la loro natura privatistica non svolgono alcuna attività di prevenzione.
Il Presidente dell'IPSEMA, durante la sua audizione, ha evidenziato l'assoluta incongruenza di tale situazione, atteso che le problematiche degli infortuni e delle patologie professionali che colpiscono il personale della navigazione aerea sono spesso affini a quelle del personale della navigazione marittima, sebbene proprio l'assenza di un ente pubblico competente per questo settore renda difficile disporre di dati statistici affidabili in merito. È dunque auspicabile che questa lacuna venga colmata in tempi rapidi, per assicurare anche ai lavoratori di questo settore la giusta tutela dei loro diritti.

c) L'ISPESL
L'attività dell'ISPESL (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro) è stata illustrata alla Commissione dal presidente dell'Istituto Moccaldi per la prima volta nella seduta del 21 ottobre 2008. Un primo aspetto riguarda la ricerca e l’analisi scientifica del fenomeno infortunistico, in merito al quale interessanti indicazioni possono trarsi da uno studio, finanziato dal Ministero della salute, cui hanno partecipato anche l’INAIL e le Regioni. Sono stati presi in considerazione gli anni dal 2002 al 2004 per 2.500 infortuni, 1.500 mortali e 1.000 gravi, la cui analisi ha evidenziato come l’incidente mortale derivi, di solito, da una deviazione rispetto all’azione corretta che si sarebbe dovuta compiere per un determinato tipo di lavoro: in particolare, il 26,4 per cento degli infortuni è dovuto a caduta dall'alto, il 15,1 per cento alla caduta di oggetti sul soggetto, il 12,7 per cento alla perdita di controllo del mezzo di trasporto, il 5,5 per cento alla caduta o crollo di oggetti posti sotto gli infortunati, il 4 per cento alla perdita di controllo dei macchinari. Le stesse percentuali si ripetono, più o meno, anche per gli infortuni gravi.
Analizzando la frequenza dei diversi tipi di incidenti, si vede poi che il 38,4 per cento è dovuto all'attività dell'infortunato. In particolare, nel 60 per cento circa dei casi si tratta di un errore di procedura; nel 23,3 per cento è legato all'impiego di utensili, macchine o impianti; nel 17,2 per cento è legato genericamente all'ambiente di lavoro e nel 12 per cento è dovuto all'attività di terzi, cioè non è determinato dall'infortunato ma da altre persone che lavoravano vicino a lui. Precisamente, in questo ultimo caso, è sempre l'errore di procedura o l'uso errato o improprio di attrezzature che determina l’evento accidentale per il soggetto terzo.
Per quanto concerne, invece, gli incidenti legati più tipicamente alla sicurezza, il 50 per cento circa di essi è dovuto alla mancanza di protezioni; l’inadeguatezza strutturale concorre per circa il 20,9 per cento, la presenza di elementi pericolosi per circa il 17 per cento e c’è anche un 9,1 per cento dovuto alla rimozione o manomissione di protezioni.
In conclusione, l'analisi di questi primi 2.500 casi, ai quali se ne aggiungeranno altri 700 in via di conclusione per gli anni 2005-2007, indica che il lavoratore dipendente è coinvolto in circa il 58 per cento degli eventi mortali; nel 15 per cento dei casi si tratta di un lavoratore autonomo mentre nel 16 per cento si tratta di datori di lavoro, cioè di autonomi che hanno dipendenti o coadiuvanti familiari o che sono soci di cooperative. Quindi anche i datori di lavoro delle piccole e medie imprese sono molto coinvolti nel fenomeno dell'infortunio mortale, mentre le figure «atipiche» (cioè gli interinali, gli irregolari, i pensionati o i parasubordinati) sono coinvolte per l'11 per cento.
Questi dati evidenziano come quello degli infortuni sul lavoro (mortali e non) sia un fenomeno estremamente complesso, nel quale concorrono sia il comportamento dell'uomo, sia il mancato rispetto della norma, sia la mancata adozione di dispositivi di sicurezza. Quale che sia la causa, però , si tratta nella maggior parte dei casi di incidenti di tipo ricorrente o ripetitivo, che potrebbero quindi spesso essere prevenuti. Fondamentale si rivela dunque, ancora una volta, la formazione/informazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, alla quale anche l'ISPESL contribuisce in qualità di organo tecnico-scientifico di riferimento del settore.
Le azioni in questo campo sono indicate in un piano triennale (attualmente quello 2008-2010), nel cui ambito sono stati segnalati, in particolare, i programmi che riguardano i costi della mancata prevenzione, l'esposizione ai nanomateriali, le metodologie innovative per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, la sicurezza delle strutture sanitarie, l'elaborazione, la raccolta e la diffusione di buone prassi e linee guida. Quest'ultima attività riveste particolare importanza, essendo uno degli elementi fondamentali anche a livello legislativo - dal decreto legislativo n. 626 del 1994 al decreto legislativo n. 81 del 2008 - per tutte le figure interessate alla prevenzione (datore di lavoro, medici competenti, responsabili della sicurezza e rappresentanti dei lavoratori) al fine di avere univocità di indirizzi, di standardizzazione e di riferimenti per l'approccio ai singoli settori lavorativi. Si tratta quindi di un'operazione di «trasferimento delle conoscenze» che viene condotta in maniera mirata, individuando i gruppi di lavoratori a rischio, i rischi specifici ed i settori lavorativi interessati, ed utilizzando una pluralità di strumenti: pubblicazioni tecnico-scientifiche, siti web, corsi di formazione, modelli di valutazione e controllo dei rischi, buone pratiche e linee guida, una serie di osservatori e sistemi di sorveglianza specializzati su alcune tipologie di incidenti e malattie professionali, nonché sistemi di monitoraggio delle attività di prevenzione svolte dai servizi competenti delle ASL.
Il Presidente dell'ISPESL nella sua audizione ha altresì sottolineato come questa serie di azioni richiederebbe risorse più cospicue di quelle attualmente disponibili (per offrire un termine di paragone, nel 2008 l'Istituto ha stanziato circa 3.700.000 euro per il trasferimento di conoscenze e circa 1.600.000 euro per la formazione vera e propria). Si tratta di un problema di carattere generale, che coinvolge non solo l'ISPESL, ma il sistema complessivo degli enti preposti alla vigilanza sulla salute e la sicurezza del lavoro e che, come già osservato, deve però fare i conti con le attuali, pressanti esigenze di contenimento della spesa pubblica. D'altra parte, accanto al fabbisogno di maggiori risorse finanziarie, nell'audizione dell'ISPESL è stata ribadita con forza anche l'esigenza, altrettanto importante, di una più puntuale azione di raccordo e di coordinamento tra i vari enti, per evitare duplicazioni e sovrapposizioni di interventi e nello stesso tempo per rafforzare la presenza dei servizi sul territorio.
Tale coordinamento dovrebbe essere realizzato in primo luogo attraverso le due «cabine di regia» che il decreto legislativo n. 81 prevede appositamente a questo scopo, ossia il Comitato per l'indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale della attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro (articolo 5) e la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6).
Si tratta in ogni caso di un'esigenza fondamentale in un sistema complesso quale quello italiano, nel quale operano Stato, Regioni ed altri enti pubblici e molti soggetti sono chiamati a fare la prevenzione nei luoghi di lavoro, ivi compresi gli enti bilaterali e le organizzazioni sindacali e datoriali. Un coordinamento efficace, inoltre, risulta essenziale soprattutto nel trasferimento delle conoscenze, ossia nelle attività di formazione ed informazione, per far sì che esse raggiungano realmente coloro ai quali sono destinate, con un'attenzione prioritaria alle imprese di minori dimensioni le quali spesso, rispetto alle imprese più grandi, sia per la cultura del datore di lavoro, sia per la mancanza di mezzi economici o perché pressate da altre più contingenti difficoltà, hanno difficoltà a considerare la sicurezza come un investimento e non solo come un «peso», un onere aggiuntivo per i loro bilanci.
Infine, va segnalato che rappresentanti dell'ISPESL sono stati auditi dalla Commissione anche in altre sedute, in relazione a tematiche particolari, ovvero gli infortuni domestici e gli incidenti legati all'utilizzo di macchine agricole, per i quali si rinvia alle apposite sezioni dei paragrafi 4.2. e 5.2.

d) L'INPDAP
Nella seduta del 5 novembre 2008 la Commissione ha audito il Presidente dell'INPDAP (Istituto nazionale di previdenza ed assistenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica), dottor Crescimbeni, il quale si è soffermato sul ruolo svolto dall'Istituto nel sistema antinfortunistico italiano, che si sostanzia nell'erogazione ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di una serie di prestazioni (indennizzi e pensioni) collegate ad una condizione di invalidità o inabilità risultante in rapporto diretto con una causa di servizio.
Il primo aspetto emerso rispetto a questa tematica è quello delle disparità, delle differenze normative di riconoscimento delle invalidità e delle inabilità che si riscontrano nel pubblico impiego e che richiederebbero un riordino legislativo, soprattutto per estendere la disciplina spesso più favorevole dei lavoratori statali a tutti i dipendenti e garantire così uniformità di trattamento. Ci si riferisce quindi ad istituti quali l'equo indennizzo, la pensione privilegiata ordinaria, l'indennità una tantum per le patologie di minore entità, l'aspettativa retribuita, i rimborsi di spese di cura ed i trattamenti accessori alla pensione diretta privilegiata.
Peraltro, occorre ricordare che l'attuale normativa separa le responsabilità relative ad infortuni e malattie derivanti da causa di servizio, perché la procedura di accertamento e certificazione non è gestita dall'INPDAP, ma inizia e si esaurisce all'interno degli enti datori di lavoro, spesso con un sistema di valutazione proprio. Sulla base delle visite mediche effettuate presso le diverse commissioni medico-ospedaliere, si valuta se la malattia o l'infortunio sia o meno derivante da causa di servizio; in caso affermativo si avrà quello che per l'INAIL può essere un risarcimento del danno e che nel settore pubblico prende il nome di «equo indennizzo».
Questa distinzione di competenze, in se legittima, ha finito però per creare una situazione «a compartimenti stagni», con una rilevante perdita di informazioni nel processo che conduce all'erogazione dei risarcimenti. In primo luogo l'INPDAP viene a conoscenza del fatto che un soggetto ha ricevuto un determinato beneficio (equo indennizzo) solo nel momento del collocamento a riposo e solo se quello stesso soggetto ha ritenuto di chiedere la pensione privilegiata, che viene erogata a chi è costretto a smettere di lavorare per inabilita dipendente da causa di servizio e che, trattandosi di un'erogazione continuativa nel tempo, comporta il recupero del 50 per cento dell'equo indennizzo. In secondo luogo, attualmente le pensioni privilegiate non si distinguono, quanto alla loro emissione, tra pensione erogata per un infortunio sul lavoro ovvero per una malattia da causa o concausa di servizio, cosicché a livello statistico non è dato di sapere quante sono concesse per l'una o l'altra motivazione.
Vi è quindi il rischio concreto di un indebolimento della funzione di controllo e gestione dell'ente, i cui vertici hanno posto con chiarezza l'esigenza di una riforma dell'attuale normativa, presentando loro stessi una serie di proposte.

e) L’INPS
Come l'INPDAP, anche l'INPS (Istituto nazionale per la previdenza sociale) non interviene nel fenomeno degli infortuni sul lavoro operando direttamente per il contrasto dello stesso come fanno altre amministrazioni (quali ad esempio l'INAIL), ma svolgendo la funzione di ente erogatore di prestazioni in determinate circostanze, collegate ad una situazione di invalidità o inabilita direttamente riconducibile ad una causa di servizio. Al contempo l'INPS svolge, tramite la vigilanza e la repressione del lavoro sommerso, un'attività che indirettamente influisce sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e che si esplica attraverso il controllo sulle aziende, posto che il lavoro nero comporta molto spesso anche scarsa sicurezza sul lavoro.
Come indicato dal presidente dell'INPS Mastrapasqua, audito dalla Commissione in data 5 novembre 2008, per quanto riguarda le prestazioni, i dati inerenti agli assegni privilegiati di invalidità, alle pensioni privilegiate di inabilita o ai superstiti erogate per cause di servizio evidenziano un trend crescente dei riconoscimenti tra il 2005 ed il 2008. Tralasciando il semplice aumento degli importi delle prestazioni, per effetto della perequazione annuale, si evince un aumento delle prestazioni dirette a favore degli iscritti al Fondo speciale ferrovieri pari al 75 per cento, nonché un ulteriore aumento degli assegni a beneficio dei superstiti, pari al 313 per cento. Per converso, l'andamento delle prestazioni dirette a favore degli iscritti nell'assicurazione generale obbligatoria (AGO) evidenzia una diminuzione tra il 2005 ed il 2008 (-7,7 per cento), mentre gli assegni a beneficio dei superstiti registrano un aumento (11 per cento circa). La diminuzione del numero delle dirette dipende probabilmente dagli interventi normativi, dalla politica di sensibilizzazione della tutela dei lavoratori e dai maggiori controlli sui luoghi di lavoro.
Per quanto concerne l'attività ispettiva, essa (ad esempio in agricoltura) si è concentrata sull'individuazione del lavoro sommerso o irregolare e sul recupero dell'evasione contributiva. Nel corso del 2008, sono state inoltre effettuate delle campagne in collaborazione con le forze ispettive del Ministero del lavoro e dell'INAIL operando al fine di individuare la sussistenza di rapporti di lavoro in nero con il coinvolgimento anche dei lavoratori comunitari ed extracomunitari. I risultati complessivi evidenziano una netta crescita del numero dei lavoratori in nero rispetto all'analogo periodo del 2007. Dal 1o gennaio al 30 settembre del 2008, sono state ispezionate 41.530 aziende non agricole con lavoratori dipendenti, individuando 2.927 aziende in nero e 47.098 lavoratori in posizione irregolare, di cui 36.000 totalmente sconosciuti all'Istituto (che rappresentano il 77 per cento).
Nel 2008, su 73.000 aziende visitate, l'82 per cento - 60.000 aziende - si è rivelata irregolare. I lavoratori in posizione irregolare in aziende non agricole rappresentano il 94 per cento; fra i cosiddetti «co.co.co.» (collaborazioni coordinate e continuative) il 2 per cento e nelle aziende agricole il 4 per cento. Venendo alle aziende in nero, i lavoratori autonomi non iscritti sono il 70 per cento; i committenti e collaboratori autonomi non iscritti l'1 per cento; le aziende non agricole il 21 per cento; le aziende agricole il 7 per cento. Per quanto riguarda gli iscritti alla gestione separata di cui alla legge n. 335 del 1995, su 8.470 soggetti controllati, fra il 1o gennaio ed il 30 settembre 2008, il 94 per cento è risultato irregolare, così come quasi il 100 per cento degli autonomi. Infine, nello stesso periodo l'INPS ha effettuato accertamenti per evasione contributiva pari a 1.087 milioni di euro
Questi dati confermano purtroppo il permanere di una pesante situazione di lavoro irregolare e di lavoro nero nel nostro paese, che è tra le principali cause di infortuni e morti non accidentali sul lavoro, proprio in ragione della mancanza di tutele e di forme di prevenzione. Si impone quindi un'azione di vigilanza attenta e costante, per la quale occorrono evidentemente adeguate risorse soprattutto in termini di organico. Peraltro, la tendenza degli ultimi anni è stata quella di una riduzione degli organici, per effetto soprattutto del blocco dell'avvicendamento nella pubblica amministrazione. Il presidente Mastrapasqua ha infatti ricordato come dal 2006 al 2008 l'INPS abbia registrato un calo di circa 200 unità nei ruoli ispettivi: se questo ha condotto ad una inevitabile flessione nel numero complessivo di ispezioni, d'altra parte, però, lo stesso Presidente dell'INPS non ha mancato di evidenziare come nello stesso periodo vi sia stato anche un aumento di quasi 200 milioni di euro di valore accertato, segnalando quindi la possibilità di conseguire comunque un aumento dell'efficienza dell'azione ispettiva.
Si tratta di un discorso molto rilevante. Se da un lato, infatti, è doveroso auspicare quanto prima un superamento dei già citati vincoli di finanza pubblica e del conseguente blocco del turnover, per consentire un aumento delle risorse umane a disposizione dell'attività ispettiva (non solo nell'INPS, ma anche nell'INAIL e nelle ASL), dall'altro è però altrettanto importante cercare di utilizzare in modo più efficiente le risorse disponibili mediante nuove soluzioni organizzative e strumenti d'indagine alternativi, anche di carattere amministrativo.
In particolare, il presidente Mastrapasqua ha richiamato il valore delle sinergie tra i vari soggetti pubblici competenti, a livello centrale e periferico, attraverso non solo il coordinamento delle ispezioni, ma anche la messa in comune degli archivi (ancora oggi spesso non comunicanti tra loro) e la verifica incrociata dei dati (ad esempio tra INPS ed Agenzia delle entrate in materia fiscale). In questo contesto, è essenziale l'esigenza di portare a compimento il processo di trasmissione telematica delle certificazioni di malattia, anche per la costruzione del già citato Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP) e per una corretta azione di prevenzione sanitaria nonché, ultimo ma non da ultimo, il progetto della «casa unica del welfare» che, ove realizzato, potrebbe consentire un effettivo miglioramento nella qualità dei servizi.


f) L’IAS
L'IAS (Istituto per gli affari sociali), già conosciuto in passato come IIMS (Istituto italiano di medicina sociale), è stato audito dalla Commissione, nella persona del suo Presidente, durante la seduta del 29 ottobre 2008. Nel suo intervento, il presidente Guidi si è soffermato in particolare sul tema della disabilita, intesa in primo luogo come conseguenza di infortuni o malattie professionali che causino invalidità o inabilita temporanee o permanenti. Se infatti giustamente, in tema di incidenti sul lavoro, l'attenzione anche mediatica si focalizza sulle cosiddette «morti bianche», troppo spesso non si parla abbastanza di tutte le altre vittime, molte delle quali, pur conservando fortunatamente la vita, restano però affette da invalidità e menomazioni sempre più gravi.
Si tratta evidentemente di un tema assai delicato, che rientra in quello più ampio dei cosiddetti «costi sociali» del fenomeno infortunistico: tra le vittime degli incidenti sul lavoro vi è infatti un gran numero di persone con disabilita serissime che hanno bisogno di forme di riabilitazione ad alta intensità e di assistenza a vita (domiciliare, familiare e spesso, purtroppo, ospedaliera in residenze sanitario-assistenziali), che oltre a creare evidenti problemi di tipo personale e familiare ha anche un notevole costo economico per i diretti interessati.
A tutt'oggi, manca purtroppo un'attenzione specifica verso queste persone, che non trovano sempre il giusto posto all'interno della dinamica programmatoria delle ASL. Oltre ad assicurare le risorse finanziarie per le varie provvidenze previste a favore dei lavoratori e dei loro familiari in caso di infortunio (indennizzi, pensioni privilegiate, ecc.), occorrerebbe pertanto ripensare la gestione complessiva di queste problematiche, con una politica socio-sanitaria ad hoc che garantistica spazi e cure adeguate agli infortunati del lavoro con postumi invalidanti.
Un altro aspetto della disabilità sul quale il Presidente dell'IAS ha voluto richiamare l'attenzione è poi quello degli infortuni sul lavoro che coinvolgono le persone disabili, specialmente (ma non solo) quelle che hanno problemi di deambulazione o di coordinamento motorio, di cui si parla assai poco. Quando infatti queste persone subiscono incidenti, anche di piccola entità, spesso omettono di denunciarli, per timore di perdere il lavoro, conquistato magari con grande sacrificio, attesa la difficoltà ancora oggi esistente di inserirsi nel mondo professionale da parte delle persone gravate da handicap fisici o psichici.
Infine, anche dall'IAS è stata posta ancora una volta con forza l'esigenza di avviare iniziative di formazione ed informazione sugli infortuni del lavoro non solo tra i lavoratori, ma anche e soprattutto nelle scuole, mediante l'inserimento di corsi ad hoc nei programmi formativi. Quello della formazione nelle scuole è un tema ricorrente, segnalato da più parti come decisivo ai fini di una efficace politica di prevenzione degli incidenti e delle malattie professionali e sul quale la Commissione si è attivamente impegnata, come si avrà modo di spiegare in una successiva sezione (si veda in proposito il paragrafo 5.5.).


2.5. Le indicazioni delle organizzazioni sindacali
La Commissione d'inchiesta, come già nelle precedenti legislature, ha instaurato e mantenuto un dialogo costante con le organizzazioni rappresentative del mondo produttivo, sia con quelle dei lavoratori che con quelle dei datori di lavoro. Per quanto riguarda i sindacati dei lavoratori, i vertici nazionali sono stati auditi nella seduta del 2 dicembre 2008: a questa circostanza vanno poi aggiunti gli incontri che la Commissione ha avuto con i sindacati di singoli settori produttivi, per approfondire tematiche specifiche, oppure a livello locale, durante i sopralluoghi effettuati in varie parti d'Italia, e di cui si dirà meglio più avanti.
Nel corso dei vari incontri, i sindacati hanno innanzitutto espresso una valutazione generalmente positiva della nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 81 del 2008, sottolineando in particolare il carattere esaustivo della riforma, che mirava ad affrontare il tema della salute e della sicurezza sul lavoro in maniera finalmente organica, cercando di considerarne tutti gli aspetti. Al tempo stesso però, tutte le organizzazioni hanno segnalato ritardi ed incertezze nell'effettiva applicazione, ponendo con forza l'esigenza di una rapida e compiuta attuazione della disciplina stessa, proprio per far sì che le positive novità in essa contenute vadano quanto prima a regime.
Come si è già accennato all'inizio di questa relazione, nel corso di quest'ultimo anno i ritardi e le incertezze nell'attuazione del cosiddetto Testo unico hanno risentito inevitabilmente anche del parallelo processo di rivisitazione e riscrittura delle norme, sfociato infine nelle modifiche apportate con il decreto legislativo n. 106 del 2009. I sindacati, negli incontri con la Commissione, non hanno mancato di sottolineare la loro disponibilità al confronto, promosso dal Governo, con le organizzazioni datoriali, per addivenire ad un avviso comune circa semplificazioni e miglioramenti da apportare al Testo unico, a condizione che non ne fossero però stravolti l'impianto generale e la «filosofia» di fondo.
Il confronto ed il dibattito che ha condotto all'approvazione del decreto legislativo n. 106 del 2009 è stato intenso e a tratti persino aspro, sia in sede sindacale che politica: senza entrare nel merito delle diverse valutazioni, è comunque utile evidenziare gli aspetti della disciplina intorno ai quali si è maggiormente appuntata l'attenzione dei sindacati e che costituiscono ancora oggi i punti cruciali sui quali si misurerà l'efficacia del nuovo testo.
In primo luogo, i sindacati hanno ribadito l'importanza della stesura tempestiva e rigorosa del documento di valutazione dei rischi, considerato come il primo elemento di prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Tale discorso è stato legato strettamente all'esigenza di garantire la nomina dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) aziendali e territoriali e la loro effettiva partecipazione a tutte le decisioni ed iniziative riguardanti la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, compresa appunto l'elaborazione del documento di valutazione dei rischi. In molte aziende, infatti, la figura del rappresentante per la sicurezza stenta ancora a decollare ed è spesso oggetto di resistenza se non di vera e propria ostilità. Ciò vale in particolare per le piccole e medie imprese, che hanno oggettive difficolta economiche e che ritengono spesso che il ridotto numero dei loro addetti sia tale da non giustificare sia la nomina dei rappresentanti che il rispetto di altri adempimenti in materia di sicurezza sul lavoro.
Si tratta di un tema antico: mentre le grandi imprese hanno in genere un elevato livello di sindacalizzazione ed una certa cultura della sicurezza diffusa sia tra i datori di lavoro che tra i lavoratori, disponendo altresì delle risorse economiche necessarie per effettuare gli investimenti necessari nella salute e sicurezza del luogo di lavoro, nelle piccole e medie imprese tali condizioni sono spesso assenti e le prescrizioni di legge per elevare il livello di salute e sicurezza sono vissute talvolta solo come un'imposizione ed un costo aggiuntivo, magari da aggirare in maniera surrettizia.
Ciò spiega l'attenzione particolare richiesta dai sindacati per i rappresentanti territoriali che, a norma dell'articolo 47, comma 3, del Testo unico, nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori, possono svolgere le funzioni di rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza in maniera collettiva per più aziende di uno stesso ambito territoriale o comparto produttivo. Si tratta infatti di una norma assai rilevante, introdotta proprio per venire incontro alle esigenze prima citate delle piccole e medie imprese che, peraltro, costituiscono la maggioranza delle aziende operanti nel nostro Paese. In questo senso, si rende necessario assicurare la pronta ed effettiva disponibilità delle risorse finanziarie dell'apposito fondo di cui all'articolo 52 del decreto legislativo n. 81 del 2008, definito appunto di «sostegno alla piccola e media impresa, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali e alla pariteticità».
Un altro argomento affrontato in più occasioni dai sindacati è quello degli organismi paritetici (chiamati a volte anche bilaterali) previsti dall'articolo 51 del Testo unico. Il ruolo affidato a questi organismi, formati dai rappresentanti delle parti sociali, in materia di salute e sicurezza del lavoro dalla normativa vigente è quello di consulenza e sostegno alle imprese nello sviluppo di azioni di formazione, prevenzione e adozione di buone prassi e modelli organizzativi e gestionali, finalizzate appunto ad elevare i livelli di sicurezza nelle aziende. Viceversa, i sindacati hanno ribadito la loro ferma contrarietà ad ogni ipotesi di coinvolgimento, diretto
0 indiretto, di tali strutture nelle attività di vigilanza, che debbono restare nella competenza esclusiva degli enti istituzionalmente preposti.
Tale questione è di grande importanza ed è stato uno dei temi intorno ai quali si è articolato il dibattito sulla riforma del Testo unico. In effetti, la possibilità di riconoscere agli enti paritetici una qualche funzione nelle attività di controllo ha sempre destato molte perplessità, in quanto i controlli sul rispetto di leggi e procedure in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro dovrebbero essere affidati a soggetti dotati dei necessari requisiti di indipendenza e di competenza tecnico-professionale. Viceversa, gli organismi paritetici, essendo formati dai rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, sono direttamente coinvolti nelle decisioni dei vertici aziendali e nelle trattative di carattere sindacale che fissano regole e procedure all'interno delle imprese e sono quindi privi di quel carattere di «terzietà» che si richiede a qualsiasi controllore rispetto ai soggetti da controllare. Inoltre, l'esperienza acquisita anche nei sopralluoghi della Commissione dimostra come non sia sempre possibile rintracciare all'interno di questi organismi le capacità tecnico-professionali necessarie per lo svolgimento dei controlli in materia di salute e sicurezza.
Sempre sul tema della vigilanza, i sindacati hanno invece chiesto un rafforzamento del coordinamento e della sinergia tra i diversi soggetti istituzionali competenti, sia a livello centrale che periferico. In particolare, posto che la prevenzione ed il contrasto agli infortuni vedono la duplice competenza normativa dello Stato e delle Regioni in via concorrente per i profili della salute e per quelli della sicurezza sul lavoro, si è ribadita l'esigenza di una collaborazione sempre più stretta a livello territoriale che, indipendentemente dalla forma specificamente assunta, mantenga però il collegamento tra l'aspetto della prevenzione sanitaria e quello della tutela della sicurezza in senso stretto. Peraltro, sul tema del rapporto tra Stato e Regioni e sull'opportunità di mantenere o meno una competenza normativa concorrente in tema di salute e sicurezza del lavoro, anche all'interno della Commissione si è sviluppato un ampio dibattito, tuttora aperto.
Il tema della vigilanza ha sollecitato altresì la richiesta di adeguate risorse umane e professionali da parte dei corpi ispettivi, sollecitazione che la Commissione ha raccolto in maniera forte nel corso dei vari sopralluoghi soprattutto a livello locale, dove più sentita è l'esigenza di una presenza costante delle istituzioni.
Collegato a questo tema è quello della formazione, che dovrebbe riguardare non solo i lavoratori, ma anche i datori di lavoro e, soprattutto, le figure dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e dei responsabili del servizio di protezione e prevenzione (RSPP), i quali dovrebbero essere dotati di specifici requisiti anche di tipo culturale e professionale.
Un'ulteriore questione affrontata è stata quella degli infortuni all'interno della pubblica amministrazione, spesso sottovalutata e per la quale si è chiesta un'attenzione specifica per consentire, da un lato, la corretta applicazione dei principi di salute psicofisica e sicurezza nei vari luoghi di lavoro (uffici amministrativi, scuole, università, ospedali), dall'altro per chiarire il ruolo e le responsabilità dei funzionari e dei dirigenti, che non possono essere considerati datori di lavoro negli stessi termini del settore privato.
Infine, una segnalazione importante ha riguardato il tema delle malattie professionali, in preoccupante aumento negli ultimi anni, come risulta dalle più recenti statistiche. Anche qui si è chiesto un ruolo più incisivo degli organismi competenti, in primis dell'INAIL, sia attraverso una revisione delle procedure che semplifichi il riconoscimento anche delle cosiddette malattie «non tabellate», sia attraverso una rivalutazione delle rendite, oggi ritenute troppo basse.


2.6. Le indicazioni delle organizzazioni imprenditoriali
Come già indicato, fin dall'inizio del suo mandato la Commissione ha portato avanti un ampio e proficuo scambio con le organizzazioni rappresentative delle parti sociali. In particolare, le organizzazioni imprenditoriali sono state audite nelle sedute del 9 dicembre 2008 e del 27 gennaio 2009, nonché in occasione di approfondimenti dedicati a specifici settori produttivi o di sopralluoghi in varie parti d'Italia.
Il quadro che emerge da questi incontri evidenzia ancora una volta una forte differenza tra i problemi delle grandi e delle piccole e medie imprese in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro. Non è ovviamente un tema nuovo, ma è tuttora attuale ed è stato riproposto con forza nelle varie sedi da tutte le organizzazioni datoriali, specialmente in riferimento alle disposizioni del Testo unico, ritenute in alcuni casi eccessive e penalizzanti proprio nei confronti delle imprese di minori dimensioni.
Il giudizio che il mondo imprenditoriale ha dato del Testo unico, pur complessivamente positivo, è stato infatti spesso critico riguardo taluni adempimenti considerati eccessivamente burocratici e formali e la previsione di sanzioni talora sproporzionate a carico delle imprese. Le imprese hanno chiesto quindi un ripensamento di questi punti, addivenendo alla formulazione di proposte comuni tra i vari settori, confluite poi nel dibattito sulla riscrittura del Testo unico che ha condotto al decreto legislativo n. 106 del 2009.
Al di la delle indicazioni specifiche provenienti dai singoli comparti produttivi, vi è stata quindi una generale richiesta di semplificazione delle norme e delle procedure, perché molte di esse non sarebbero gestibili soprattutto dalle piccole e dalle microimprese, e la riconsiderazione delle sanzioni previste, ritenute non proporzionate alla realtà delle imprese di piccole dimensioni. Si è insistito, quindi, sull'eliminazione di tutti gli adempimenti inutilmente formali e burocratici e, soprattutto, su un alleggerimento dell'apparato sanzionatorio. In termini pili generali, le imprese hanno chiesto e chiedono tuttora una maggiore attenzione alle esigenze specifiche dei vari comparti ed un'applicazione delle norme che tenga conto anche delle dimensioni aziendali.
Tale indicazione riguarda trasversalmente tutti i settori, anche se una segnalazione più forte è venuta dalle imprese industriali e, soprattutto, da quelle artigiane e cooperative, formate spesso da pochissime persone, dove il datore di lavoro partecipa in genere all'attività produttiva a fianco dei suoi dipendenti e quindi si espone in prima persona al rischio di incidenti, che spesso lo vedono come vittima. Lo stesso vale per la stragrande maggioranza delle imprese del commercio e dell'agricoltura, mentre il settore industriale presenta problematiche diverse, legate anche al fatto che le dimensioni aziendali sono, mediamente, superiori. Inoltre, mentre le aziende più grandi hanno di solito al loro interno una cultura della sicurezza più sviluppata e diffusa e risorse economiche adeguate, nelle piccole e medie imprese queste condizioni non sono sempre presenti, il che accresce oggettivamente le difficolta di recepire in toto le prescrizioni normative previste dalla legge. L'attuale crisi economica, inoltre, pone pressioni notevoli sulle aziende e vi è il fondato timore che quelle più piccole e deboli possano essere indotte a ridurre proprio gli investimenti in sicurezza, accrescendo così il livello di rischio dei lavoratori.
D'altra parte, se vi è sempre stato, anche da parte dei sindacati e delle forze politiche, un generale consenso sull'opportunità di semplificare il più possibile adempimenti meramente formali o burocratici, assai più articolato e controverso è il giudizio sulla revisione dell'apparato sanzionatorio, nel timore, avanzato da talune parti, che un alleggerimento delle sanzioni possa indebolirne l'effetto deterrente ed incoraggiare la violazione delle norme sulla sicurezza. Peraltro, difficilmente accoglibile sembra l'idea di una sorta di graduazione delle sanzioni in rapporto alle dimensioni aziendali, mentre certamente più concreta appare la possibilità di calibrare le sanzioni stesse rispetto alla gravità delle violazioni.
Queste considerazioni sono di stretta attualità e, come si indicherà meglio più avanti, hanno trovato eco anche nel recente decreto legislativo n. 106 del 2008, che ha modificato il Testo unico adottando una serie di semplificazioni e alleggerendo notevolmente le sanzioni previste, specie per le violazioni di carattere più formale. Naturalmente, è ancora troppo presto per valutare se le soluzioni proposte dal legislatore risulteranno pienamente efficaci, ma è comunque un aspetto da segnalare.
Sempre nell'ottica di una maggiore attenzione ai problemi delle piccole e medie imprese, le organizzazioni imprenditoriali richiamano da tempo la necessità di sostenere il sistema della sicurezza sul lavoro con adeguate risorse finanziarie, facendo ad esempio un uso più ampio del cospicuo avanzo di gestione dell'INAIL, sia per finanziare le attività di prevenzione e di formazione/informazione, sia prevedendo misure premiali (sgravi fiscali, incentivi) a favore delle imprese che investono in sicurezza.
Quello dei costi della sicurezza per le imprese è infatti uno dei temi ricorrenti, che assume particolare rilievo nel settore delle gare d'appalto: le disposizioni vigenti impongono agli appaltatori di indicare chiaramente nei contratti i costi delle misure adottate per garantire la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, precisando che gli stessi non sono soggetti a ribasso. Tale aspetto è stato ribadito chiaramente anche nel nuovo testo dell'articolo 26, comma 5, del decreto legislativo n. 81 del 2008, come modificato dal recente decreto correttivo n. 106.
Ciononostante, da più parti la Commissione ha avuto segnalazioni di un'applicazione non sempre puntuale di tale norma, o di veri e propri aggiramenti della stessa, attraverso il sistema dei subappalti, tanto che, accanto ad un indispensabile rafforzamento dei controlli, s'impone ormai anche una riflessione circa l'opportunità di abbandonare, almeno nelle gare d'appalto pubbliche, il criterio del ribasso d'asta in favore di quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Non si tratta, purtroppo, di aspetti meramente formali: alcuni degli incidenti più gravi avvengono proprio presso le piccole e medie imprese che eseguono appalti o subappalti per enti pubblici o per imprese più grandi, in quanto per abbattere i costi e garantire offerte più convenienti vengono spesso tagliate le spese per la sicurezza, riducendo così il sistema delle tutele e aumentando notevolmente i rischi per i lavoratori.
Per quanto riguarda più specificamente i singoli settori produttivi, un'attenzione particolare è stata chiesta per il comparto dei trasporti, caratterizzato da un elevato indice di rischiosità, per le modalità stesse di svolgimento del lavoro, che si svolge sul mezzo di trasporto; il lavoratore dunque subisce un infortunio non nell'impresa, ma lavorando su strada e pertanto è soggetto a componenti estremamente variabili. I trasportatori e le imprese dell'autotrasporto chiedono più controlli sulle strade e presso le ditte, soprattutto quelle estere (in particolare dei Paesi dell'Est) che lavorano in Italia e sono abituate ad un sistema di sicurezza talvolta inferiore al nostro.
Dal settore del commercio, caratterizzato in genere da indici di incidentalità più bassi ma non per questo meno preoccupanti, si è chiesto di accompagnare i processi di riconversione e di adeguamento delle imprese, anche sotto il profilo della sicurezza dei luoghi di lavoro, mediante adeguati incentivi e premialità, investendo quanto più possibile sulla formazione dei lavoratori e dando spazio e riconoscimento agli organismi paritetici e ai fondi interprofessionali.
Particolari sollecitazioni sono state raccolte dalle imprese agricole, che lamentano l'impossibilita di applicare tout court a quel settore alcune norme del Testo unico, anche di carattere tecnico, che appaiono pensate per le realtà industriali di medio-grandi dimensioni. In agricoltura, infatti, esistono alcuni problemi specifici: la maggior parte delle imprese sono piccole o piccolissime (in media con tre addetti), le operazioni produttive sono diversificate e non ripetitive, gli ambienti di lavoro aperti.
Soprattutto, però, occorre ricordare che la stragrande maggioranza dei lavoratori del settore (circa il 90 per cento su un milione di addetti) sono stagionali a tempo determinato, per i quali non è pensabile di fare formazione con gli stessi criteri dei lavoratori a tempo indeterminato. Una proposta per ovviare a tale problema è quella di istituire una sorta di libretto attestante la formazione ricevuta da ciascun addetto in tutte le aziende presso le quali ha prestato servizio, che la persona possa poi trasferire da un luogo di lavoro all'altro.
L'elemento più rilevante della situazione infortunistica illustrata nel comparto agricolo è però la circostanza che la maggior parte degli incidenti è legata all'uso di macchine ed attrezzature agricole e forestali ancora oggi spesso non a norma o non dotate di adeguati dispositivi di protezione degli operatori. La ragione principale sta nel fatto che in questo settore il parco macchine attualmente circolante è assai vecchio, con un’età media di 25 anni: dati gli alti costi delle macchine, molti preferiscono tenere quelle vecchie piuttosto che sostituirle o adeguarle. Peraltro, non sempre sussistono obblighi di legge in merito agli adeguamenti o all'adozione di dotazioni di sicurezza specifiche (ad esempio cinture di sicurezza e dispositivi antiribaltamento per i trattori). D'altra parte (ed è l'aspetto più grave e preoccupante della situazione), la Commissione ha potuto accertare direttamente che nel settore agricolo talvolta anche macchine ed attrezzature di nuova immissione sul mercato, pur formalmente in regola, non sono però munite di tutti i dispositivi più idonei a garantire la sicurezza degli utilizzatori. Su tale questione, di cui si dirà diffusamente più avanti nei paragrafi 4.2. e 5.2., la Commissione ha svolto un ampio lavoro di approfondimento ed ha altresì promosso iniziative legislative, tuttora in corso, volte ad incentivare la sostituzione e la messa in sicurezza delle macchine ed attrezzature agricole e forestali più obsolete e pericolose.


2.7. Le indicazioni degli esperti della sicurezza
Nella sua attività conoscitiva, la Commissione ha avviato un costante dialogo anche con le varie figure di esperti della salute e sicurezza del lavoro, quali medici del lavoro, ingegneri, specialisti in ergonomia, prevenzione e igiene del lavoro.
I vari specialisti, auditi nelle sedute del 3 marzo, del 10 marzo e del 26 maggio 2009, hanno, ciascuno per la parte di sua competenza, evidenziato le problematiche derivanti dall'applicazione del decreto legislativo n. 81 del 2008 e fornito interessanti spunti di riflessione sul ruolo che essi sono chiamati ad esercitare sia quando operano all'interno degli enti pubblici di settore, sia quando agiscono nella veste di consulenti verso le aziende.
Una prima riflessione è stata sviluppata dalla Società italiana di medicina del lavoro e igiene industriale (SIMLII), che ha evidenziato i nuovi ed importanti compiti attribuiti in materia di salute e sicurezza sul lavoro alla figura del medico competente dal decreto legislativo n. 81 del 2008. Nel manifestare la propria condivisione dell'impostazione generale delle disposizioni del Testo unico su queste tematiche, i rappresentanti della SIMLII hanno però evidenziato la necessità di fissare requisiti molto rigorosi, sia etici che professionali, nella selezione dei medici chiamati a ricoprire tale ruolo, proprio per le importanti responsabilità ad esso attribuite. D'altra parte, essi hanno anche evidenziato una contraddizione all'interno della normativa, laddove si affida al medico competente esclusivamente l'attività di sorveglianza sanitaria, senza coinvolgerlo in maniera piena e fin dall'inizio in quella di valutazione e gestione del rischio all'interno dei luoghi di lavoro, in particolare all'interno delle aziende: il Testo unico, infatti, non prevede la partecipazione diretta del medico competente alla stesura del documento di valutazione dei rischi e ciò, a giudizio della SIMLII, rappresenta una notevole limitazione al contributo che i medici del lavoro possono offrire in questo campo.
Un'altra osservazione riguarda il fatto che il medico competente non debba limitare la propria attività solo in sede delle visite mediche preliminari o periodiche, ma debba avere la possibilità di svolgere il proprio ruolo attraverso un dialogo costante con i lavoratori, atteso che in molte realtà aziendali egli rappresenta l'unica figura di riferimento per quanto concerne la tutela della salute dei dipendenti. Purtroppo, sempre secondo le osservazioni della SIMLII, il medico competente è spesso distolto dalla sua attività di sorveglianza sanitaria da una miriade di adempimenti burocratico-formali, tra i quali l'invio di una serie di relazioni al Servizio sanitario nazionale, per la comunicazione di dati che, però , spesso, le Aziende sanitarie locali già conoscono e che, quindi, si rivelano di per se pletoriche e ridondanti. Viceversa, appare più utile lo svolgimento di programmi di formazione ed informazione dei lavoratori dal punto di vista sanitario, nonché la valutazione e l'analisi periodica dell'andamento degli infortuni e delle malattie professionali in azienda, di concerto con i datori di lavoro, i responsabili del servizio di prevenzione e protezione e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, al fine di segnalare per tempo determinate problematiche agli enti preposti.
Indicazioni altrettanto importanti sono venute dal confronto con la Consulta interassociativa italiana della prevenzione (CIIP) e con le varie associazioni di professionisti ad essa aderenti, che operano nelle varie discipline afferenti al campo della salute e sicurezza sul lavoro, sia nel sistema pubblico che privato (medici del lavoro, responsabili e addetti ai servizi di prevenzione aziendale, consulenti per la sicurezza e tecnici, psicologi, ergonomi, epidemiologi, radioprotezionisti, nonché rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza).
In tal modo, essi hanno potuto fornire una panoramica molto articolata delle tematiche afferenti alle attività di prevenzione e contrasto degli infortuni sul lavoro, che ha confermato ancora una volta l'impossibilità di affrontare e risolvere questo tragico problema senza un approccio di tipo sistemico e multidisciplinare, troppe essendo le competenze e le responsabilità coinvolte.
Il primo aspetto segnalato dalla Consulta riguarda la presenza ancora troppo limitata nel nostro Paese delle figure professionali che operano nel campo della prevenzione degli infortuni (tecnici, medici del lavoro, ingegneri ed altri esperti), nonché, soprattutto, una loro diffusione molto squilibrata dal punto di vista territoriale, assai diversi essendo i valori da Regione a Regione e, spesso, anche da ASL ad ASL. Per fare un esempio, sulla base dei dati disponibili alla fine del 2008, in Lombardia, la regione più grande d'Italia, il rapporto tra tecnici della prevenzione e numero di imprese è pari a 2,758, mentre in Sicilia è pari a 8,6 (quindi tre volte e mezza superiore). D'altra parte, entrando nel dettaglio, la Lombardia risulta avere solo 9 figure laureate (chimici, ingegneri, biologi o fisici) a fronte delle 18 della Sicilia, mentre annovera 135 medici del lavoro rispetto ai 28 della Sicilia. Questo esempio, in se limitato, è comunque emblematico di una situazione estremamente frammentata e variegata, che sconta anche una notevole carenza di risorse da parte degli enti territoriali.
Al riguardo, sarebbe interessante verificare se, e in che misura, le aziende sanitarie locali riescano ad applicare le disposizioni vigenti, secondo le quali le somme derivanti da sanzioni pecuniarie relative a violazioni in materia di salute e sicurezza del lavoro, dovrebbero essere destinate a campagne di informazione ed alle attività dei dipartimenti di prevenzione delle stesse aziende sanitarie locali. Nel corso dei sopralluoghi svolti in varie parti del Paese, la Commissione ha peraltro raccolto altre segnalazioni circa il mancato o insufficiente utilizzo di tali somme, che rappresenterebbero invece un'occasione importante di finanziamento per le attività di prevenzione antinfortunistica all'interno dei diversi territori. Secondo alcune stime, si tratterebbe, infatti, di circa mezzo milione di euro ad ASL ogni anno, per un totale (in Italia vi sono duecento ASL) di circa 100 milioni di euro, che però a volte finiscono in capitoli di spese di carattere generale, a volte vengono dislocate in ambiti diversi, altre volte, infine, rimangono del tutto inutilizzate.
Vi è poi la segnalazione, purtroppo ricorrente, della necessita di un effettivo e più intenso coordinamento fra tutti quanti gli enti deputati alle attività di prevenzione e contrasto agli infortuni sul lavoro, sia a livello centrale che periferico. Tale questione si intreccia con quella, da tempo dibattuta, circa l'opportunità o meno di ricondurre alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, attualmente oggetto di legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Senza ovviamente entrare nel merito del dibattito politico, i rappresentanti della Consulta hanno però evidenziato l'opportunità che, fermo restando un forte raccordo a livello centrale, se gli interventi di prevenzione e controllo debbono rimanere affidati a livello territoriale (quindi, essenzialmente, alle Regioni e alle ASL), sia però reso noto ciò che si fa in termini di risorse utilizzate e di risultati. La proposta è quella di poter verificare l'efficienza e l'efficacia dell'attività svolta dai vari enti e, in caso di inadempienza degli stessi, di poter prevedere un sistema di intervento sostitutivo da parte degli enti di livello immediatamente superiore (Regioni o Stato centrale), al fine di garantire comunque il rispetto dei livelli minimi essenziali di assistenza nazionali (LEAP) e regionali (LEAR).
Dopo aver formulato un giudizio complessivamente positivo sul Testo unico, si è però ribadita ancora una volta la necessita che lo stesso sia applicato quanto prima nella sua interezza, soprattutto mediante l'emanazione dei decreti ministeriali attuativi ancora mancanti. Gli esponenti della Consulta si sono quindi soffermati sulla parte della nuova normativa che interviene sulla formazione-informazione in materia di prevenzione. Si tratta di un'attività che - non ci si stancherà mai di ripeterlo - risulta essenziale, per una efficace politica di contrasto agli infortuni sul lavoro e che dovrebbe riguardare non soltanto i lavoratori, ma tutte le figure della prevenzione: i responsabili aziendali dei servizi di prevenzione e protezione, gli addetti, i preposti e i dirigenti. Peraltro, relativamente ai responsabili e agli addetti del servizio di prevenzione e protezione (rispettivamente indicati come RSPP e ASPP), le organizzazioni competenti chiedono da tempo l'emanazione, mediante i necessari accordi in sede di Conferenza Stato-Regioni, delle linee guida per l'aggiornamento dei criteri di formazione fissati a suo tempo dal decreto legislativo 23 giugno 2003, n. 195, indispensabili per garantire la presenza di figure professionalmente qualificate ed aggiornate rispetto anche alle recenti innovazioni legislative.
Si tratta di una questione che la Commissione, nel corso della sua attività di indagine, si è trovata ad affrontare più di una volta: nel campo delle discipline che afferiscono alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, infatti, accanto agli specialisti più seri e qualificati operano purtroppo anche molte figure prive in tutto o in parte dei necessari requisiti di competenza e professionalità, alimentando un vasto sottobosco o «mercato» parallelo delle consulenze alle imprese, le quali non sono spesso in grado di distinguere tra i veri esperti e quelli più improvvisati o incompetenti. A ciò si aggiunge la segnalazione, da parte di molte associazioni di settore, del fatto che talora alcuni dei titoli di studio (diploma o laurea) che l'attuale normativa riconoscerebbe come validi per lo svolgimento delle funzioni di RSPP o ASPP non sono in realtà rispondenti alle competenze richieste per questo tipo di attività, mentre viceversa risulterebbero esclusi altri titoli o percorsi formativi che sarebbero idonei.
Proprio per mettere ordine in questo campo e tutelare la professionalità delle figure tecniche operanti nel settore, garantendo quindi alle imprese e, più in generale, al sistema nazionale della prevenzione la disponibilità di adeguate competenze, si chiede da più parti di definire con rigore i requisiti culturali, tecnici e di esperienza necessari per poter espletare le funzioni di consulenza ed assistenza in questo settore, istituendo un elenco o un albo pubblico degli RSPP e ASPP qualificati, che permetta di conoscere, tenere sotto controllo e indirizzare tali esperti attraverso il riconoscimento istituzionale della loro professionalità.
Sempre in tema di formazione, un richiamo importante è venuto, dagli esperti di varie discipline riuniti nella CIIP, a proposito della necessità di individuare strumenti e modalità di comunicazione dei contenuti formativi che siano di volta in volta mirati sugli specifici destinatari, atteso che non è evidentemente la stessa cosa, per fare un esempio, rivolgersi agli operai di un cantiere edile piuttosto che ai dirigenti di un'azienda di servizi. D'altra parte occorre ribadire ancora una volta che la formazione non si indirizza soltanto ai lavoratori, ma riguarda anche (sia pure con contenuti e, come appena detto, con modalità diverse) anche i datori di lavoro e i committenti.
Posto che molti degli operatori della prevenzione lavorano in ambito pubblico, è stato segnalato ancora una volta il problema della salute e sicurezza del lavoro nella pubblica amministrazione. La Commissione è stata più volte interessata da tali segnalazioni, che hanno messo in luce come molti ambienti di lavoro pubblici (scuole, università, ospedali, uffici) siano spesso ospitati in edifici e strutture obsolete, che avrebbero bisogno di importanti - e purtroppo costosi - interventi di adeguamento. In ogni caso, appare logico pretendere e vigilare affinché il rispetto delle norme antinfortunistiche sia garantito in primo luogo nelle pubbliche amministrazioni individuando una precisa catena di responsabilità e stanziando le risorse umane, finanziarie e strumentali necessarie a tal fine. In questo ambito, una menzione particolare è stata fatta per quanto concerne le aziende sanitarie locali e in particolare gli ospedali, che presentano per loro natura un'altissima concentrazione di potenziali rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori e che richiedono, pertanto, procedure e controlli ancora più rigorosi.
Un contributo ugualmente importante ai lavori della Commissione è infine giunto dall'Associazione italiana degli igienisti industriali (AIDII), che ha confermato ed integrato le indicazioni espresse dalle altre organizzazioni prima citate.
In primo luogo, l'AIDII, pur esprimendo un giudizio generalmente positivo sul decreto legislativo n. 81 del 2008, ha però lamentato il mancato riconoscimento istituzionale del ruolo delle associazioni tecnico-scientifiche che operano da tempo nel settore della prevenzione, nella fase «istruttoria» di individuazione delle proposte legislative e/o delle metodologie applicative (buone pratiche e buone prassi), laddove una più intensa partecipazione potrebbe contribuire, in collaborazione con le istituzioni e le parti sociali, ad una più facile diffusione delle conoscenze e delle metodologie migliori per la prevenzione dei rischi sui luoghi di lavoro.
Un secondo aspetto riguarda la necessita di assicurare in maniera costante il collegamento e l'interazione tra gli aspetti della salute e della sicurezza, attraverso la collaborazione e lo scambio continuo di informazioni tra tutti i soggetti pubblici e privati competenti.
Anche l'AIDII ha poi richiamato la problematica dei requisiti formativi e professionali per l'accesso all'attività di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, sottolineando l'opportunità dell'istituzione di un percorso formativo e di un albo o elenco degli esperti qualificati in analogia con quanto già avviene per altre figure professionali.
Un discorso a parte riguarda la tematica delle aziende ad alto rischio, che interessa ma non si limita a quelle ricomprese nella cosiddetta «legge Seveso» di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334. Il Testo unico distingue infatti tra imprese «a rischio convenzionale», i cui controlli sono sostanzialmente affidati alla competenza delle ASL, e aziende «a rischio rilevante», che sono sottoposte appunto alla «legge Seveso»: in una posizione intermedia, però, c’è una serie di aziende abbastanza grandi per essere già paragonabili a quelle che rientrano nella soglia prevista da tale normativa e per le quali possono verificarsi rischi di incidenti comunque significativi, che richiederebbero un'ulteriore restrizione normativa nelle valutazioni. La competenza dei controlli per questo tipo di aziende si trova a cavallo tra i servizi di prevenzione delle aziende sanitarie locali (ASL) e quelli delle agenzie regionali per la protezione ambientale (ARPA). I servizi delle ARPA, dei Vigili del fuoco e dei Comitati tecnici regionali si occupano delle aziende «a rischio di incidente rilevante», mentre i servizi di prevenzione territoriale delle ASL si occupano dei rischi convenzionali, che spesso si riducono agli incidenti di tipo più banale. Rimane quindi una lacuna normativa costituita dalle aziende a rischio maggiore o significativo, che non viene gestito ne dalle ARPA ne dalle ASL. Occorre dunque, ad avviso dell'AIDII, chiarire meglio tale aspetto, individuando con precisione le attività a rischio di incidente grave o significativo e prevedendo un rafforzamento dei relativi adempimenti e controlli.
Un'altra proposta dell'associazione, sostenuta peraltro anche da altri interlocutori con i quali la Commissione ha avuto modo di confrontarsi nel corso della sua inchiesta, riguarda la necessita di diffondere in modo trasparente ed innovativo conoscenze ed esperienze riguardanti gli infortuni sul lavoro. Imparare dagli incidenti è possibile ed utile, soprattutto quando si consideri che nella maggior parte dei casi si tratta di situazioni di tipo ripetitivo. La diffusione di dati certi riferiti agli incidenti ed alle relative inchieste e prassi diffusa in molti Paesi avanzati e potrebbe essere svolta in maniera rapida ed economica attraverso la costruzione di banche dati via Internet. L'utilità sarebbe significativa ed immediata, consentendo l'adozione di provvedimenti e di verifiche in tempo reale ed aumentando il livello di consapevolezza sia delle autorità di controllo che dei destinatari interessati all'evento (ad esempio le aziende operanti nello stesso settore di quelle ove si è verificato un determinato infortunio).
Purtroppo tale possibilità si scontra con l'esigenza del segreto istruttorio legato alle inchieste portate avanti in sede giudiziaria. Preziose informazioni hanno così diffusione tardiva e limitata, per lo più di natura giornalistica. Tale limite potrebbe essere superato, con un rapporto costi/risultati decisamente favorevole, istituendo siti coordinati di banche dati online, dove nel rispetto della privacy e degli eventuali segreti istruttori vengano resi disponibili i dati tecnici, le inchieste svolte dai servizi di vigilanza, filmati e materiali, ed ogni altra risorsa utile, unificando anche i siti tematici già disponibili.



3. I SOPRALLUOGHI DELLA COMMISSIONE: GLI INFORTUNI ED IL SISTEMA DI PREVENZIONE ALL’ESTERO E IN AMBITO LOCALE

Come già accennato, nell'ambito della sua attività di inchiesta, la Commissione ha svolto una serie di sopralluoghi, sia all'estero che in Italia, dei quali si darà ora conto.


3.1. Sopralluogo a Berlino, Parigi e Londra (10-14 novembre 2008)
3.1.1. Introduzione
La Commissione ha svolto, mediante l'invio di una propria delegazione, una missione a Berlino, Parigi e Londra nel periodo dal 10 al 14 novembre 2008. Tale iniziativa aveva lo scopo di acquisire elementi di conoscenza e di confronto in ordine ai modelli adottati nel campo della prevenzione degli infortuni sul lavoro in tre paesi dell'Unione europea (Germania, Francia e Regno Unito).
A tal fine, la delegazione - composta dal presidente Tofani e dai senatori De Angelis, Donaggio, Nerozzi e Spadoni Urbani - ha condotto una serie di incontri ed audizioni con qualificati rappresentanti degli enti istituzionali competenti, pubblici e privati, ovvero Ministeri, agenzie governative ed organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori.


3.1.2. Il sistema di protezione contro il rischio di infortuni sul lavoro in Germania
In Germania, la potestà legislativa in materia di sicurezza e salute del lavoro spetta in via esclusiva allo Stato centrale, che emana norme valide su tutto il territorio nazionale, tenendo conto anche delle direttive comunitarie in materia. I singoli Lander possono emanare norme di dettaglio, ma non derogare alle leggi federali, delle quali curano l'applicazione a livello locale e, insieme alle casse assicurative professionali, i relativi controlli.
Un ruolo importante nel processo legislativo e regolamentare del settore è svolto anche dalle parti sociali, che elaborano di comune accordo linee guida per i loro aderenti o proposte normative, sottoposte al vaglio e all'approvazione dello Stato. In particolare, vengono prodotte regole tecniche e buone prassi per le varie attività e settori lavorativi, attraverso le casse e gli enti professionali riuniti nella cosiddetta Assicurazione tedesca obbligatoria contro gli infortuni (Deutsche gesetzliche Unfallversicherung, DGUV).
A livello centrale, competente per il settore degli infortuni sul lavoro e il Ministero federale per il lavoro e la sicurezza sociale, che ha il compito di promuovere un lavoro di qualità all'interno delle imprese e di creare le condizioni ambientali adatte ad un lavoro sicuro. Accanto alla normativa sulla tutela e la prevenzione del rischio, in questa legislatura sono stati finanziati programmi per migliorare la vivibilità all'interno delle aziende e sui luoghi di lavoro, con la partecipazione degli enti locali e delle parti sociali.
Le attività di prevenzione, informazione e sensibilizzazione sono affidate all'Istituto federale per la protezione e la medicina del lavoro (Bundesanstalt fiir Arbeitsschutz und Arbeitsmedizin, BAuA), che ha sede a Dortmund e dipende dal Ministero del lavoro.
Nato nel 1996 come istituto di diritto pubblico, ha il compito di studiare, analizzare, informare, pubblicizzare, coordinare, formare e consigliare persone, imprese e parti sociali per il miglioramento delle condizioni di lavoro e per prevenire ogni tipo di incidente «al fine di rendere sani e competitivi i luoghi di lavoro». L'istituto gestisce ed elabora progetti di miglioramento della sicurezza e della qualità del lavoro sulla base di programmi governativi volti a migliorare la qualità sui luoghi di lavoro. Le iniziative sono molteplici, articolate a livello territoriale (federale, regionale e comunale), coinvolgendo direttamente le parti sociali e spesso gli stessi enti locali. La parte relativa all'infortunistica sul lavoro costituisce comunque solo una parte dell'attività dell'istituto, orientato a prevenire ogni tipo di rischio (sulla strada, a scuola, a casa e nel tempo libero, ecc.).
La Germania ha una lunga e consolidata tradizione nel campo dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, che risale ai tempi di Bismarck. Essa è gestita dalle cosiddette «casse professionali» e dai fondi infortunistici, che sono organismi di diritto pubblico, soggetti alla vigilanza dello Stato, ai quali aderiscono obbligatoriamente tutte le imprese di un determinato settore. I consigli di amministrazione sono formati paritariamente dai rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, eletti o nominati ogni cinque anni dai soci.
Gli enti assicurativi gestiscono i contributi ed erogano le prestazioni per gli infortuni sul lavoro. I contributi in questo settore sono versati interamente dai datori di lavoro: per ogni azienda, il loro ammontare è stabilito dalle associazioni professionali (Berufsgenossenschaften) e viene calcolato sulla massa salariale lorda e sul livello del rischio di infortunio. Quest'ultimo elemento è valutato sulla base di una serie di parametri, quali l'attività produttiva svolta, la dimensione aziendale e la storia infortunistica dell'impresa.
Nel 2007, dalla fusione delle 25 associazioni professionali e dei 15 fondi infortunistici del commercio e dell'industria è stata creata l'Assicurazione tedesca obbligatoria contro gli infortuni (Deutsche gesetzliche Unfallversicherung, DGUV). Si tratta di un ente pubblico che coordina le differenti casse professionali ed ha l'obiettivo di indirizzare e rendere omogenee le loro attività. La struttura, composta dalle varie casse, è nata dopo un lungo negoziato tra le casse stesse, in cui sono presenti i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, ed il Governo, che intendeva avere un organismo unico di coordinamento per rendere più omogenea la tutela contro i rischi sul lavoro.
Un ente analogo raggruppa i 9 istituti assicurativi del settore agricolo.
In Germania il sistema dell'assicurazione obbligatoria di previdenza sociale comprende cinque settori di attività: salute, assistenza agli anziani, disoccupazione, malattie professionali e infortuni sul lavoro. Mentre gli altri settori sono finanziati in parti uguali dai datori di lavoro e dai lavoratori, i contributi per l'assicurazione contro gli infortuni sono interamente a carico dei datori di lavoro. Peraltro, tra i settori della previdenza sociale quello degli infortuni sul lavoro è il meno costoso (incide appena per l'1,3 per cento del costo totale), in quanto mentre le altre forme di assistenza (salute, anziani, ecc.) riguardano la generalità della popolazione, l'antinfortunistica interessa una platea più ristretta di soggetti.
Su una popolazione di circa 81 milioni di Tedeschi, 73 milioni sono assicurati con le casse e gli istituti del DGUV. Di questi, 42 milioni sono lavoratori, mentre il resto appartengono ad altri gruppi. L'obbligo assicurativo, infatti, è esteso a tutti i lavoratori dipendenti e ad alcune categorie di lavoratori indipendenti sottoposte al rischio di infortuni, inoltre sono obbligatoriamente assicurate allo stesso ente tutte le persone esposte ad un qualsiasi rischio anche se non legate ad un rapporto di lavoro (studenti, bambini che frequentano asili nido, ecc.). Per gli assicurati diversi dai lavoratori, i contributi sono versati da altri enti ed organizzazioni, come scuole ed università, che svolgono in questo caso una funzione analoga a quella dei datori di lavoro. Gli 8 milioni di Tedeschi non coperti dall'assicurazione obbligatoria sono ad esempio le casalinghe, i bambini che ancora non vanno all'asilo nido o a scuola, la maggior parte dei lavoratori autonomi (che hanno in genere assicurazioni private) ed i dipendenti pubblici (per i quali esiste un sistema a parte).
Le regole di gestione degli enti assicurativi impongono normalmente manovre compensative tese a ripianare gli eventuali passivi di bilancio ovvero ad utilizzare gli eventuali attivi, mediante aumenti o riduzioni dei premi, previa costituzione di accantonamenti. Il bilancio complessivo degli istituti assicurativi che fanno capo al DGUV ammonta a circa 11 miliardi di euro annui.
A seguito di una recente riforma, il DGUV ha assunto più penetranti compiti di coordinamento e supervisione nei confronti delle casse e degli istituti aderenti, al fine di armonizzare il più possibile le prestazioni. Nel settore antinfortunistico, queste si sostanziano nella prevenzione, nella riabilitazione e nell'indennizzo monetario.
La prevenzione costituisce un elemento prioritario: basti pensare che nel solo settore dell'industria operano circa 4.300 funzionari (tra professionisti, tecnici, ispettori ed amministrativi) al fine di prevenire incidenti ed evitare indennizzi. Compito degli ispettori e dei tecnici non è solo quello del controllo, ma anche di offrire consulenza e formazione alle imprese, formando i responsabili della sicurezza delle stesse aziende.
In Germania, i controlli in materia antinfortunistica sono basati sul «sistema duale», così chiamato in quanto prevede due categorie di ispettori del lavoro, che operano in modo sinergico: gli ispettori statali (circa 6.000), dipendenti dai Lander, e quelli dei singoli enti assicurativi (circa 3.000). Pur non essendo in numero molto elevato, gli ispettori del lavoro svolgono comunque un'attività molto penetrante. Possono irrogare sanzioni, che vanno dalle multe pecuniarie fino alla chiusura dell'attività o dell'azienda risultata irregolare, tuttavia, come già precisato, il modello di approccio preferito è quello della cooperazione e della consulenza alle imprese.
D'altra parte è lo Stato stesso che tende, per ragioni di bilancio, a ridurre il numero degli ispettori, che da soli non sarebbero assolutamente sufficienti in rapporto ai 3,4 milioni di aziende attualmente esistenti in Germania, se non vi fossero esperti della sicurezza del lavoro dentro le aziende stesse (ogni anno ne vengono formati circa 400.000). L'elemento qualificante del sistema risiede però soprattutto nel pieno coinvolgimento degli enti assicurativi, non solo nella fase di erogazione delle prestazioni agli infortunati, ma anche in quella di controllo e di prevenzione (incluse le attività di formazione alle imprese).
A partire dal 1990, anno della riunificazione tra Est ed Ovest, la Germania ha registrato una riduzione pressoché costante degli infortuni sul lavoro e di quelli in itinere. Così, ad esempio, secondo i dati ufficiali del DGUV, a fronte di 1.790.000 infortuni occorsi nel 1991 (di cui 1.590.000 sul lavoro e 200.000 in itinere), nel 2007 se ne sono avuti 1.130.000 (di cui 960.000 sul lavoro e 170.000 in itinere). Con particolare riferimento al triennio 2005-2007, vi è stato un aumento di circa l'1,2 per cento degli infortuni sul lavoro ed un calo del 12,6 per cento di quelli in itinere, che ha determinato, complessivamente, una riduzione dell'1,1 per cento. Per quanto concerne gli incidenti mortali, nel medesimo periodo 2005-2007 questi sono calati sensibilmente (-10 per cento in totale): in particolare, le morti sul lavoro sono scese da 656 a 619 (-12,9 per cento) e quelle in itinere da 552 a 503 (-6,0 per cento), anche se con la crescita dell'occupazione nell'ultimo anno si è registrato un incremento degli infortuni non mortali sui luoghi di lavoro. Passando dai dati assoluti a quelli relativi, su 1.000 occupati a tempo pieno nel 2005 si sono avuti 27,08 infortuni sul lavoro e 4,72 in itinere, mentre nel 2007 se ne sono registrati 26,81 sul lavoro e 4,05 in itinere.
Il sistema tedesco di prevenzione e gestione degli incidenti sul lavoro sembra quindi, nel complesso, aver dato buona prova di se. Ciò è dovuto essenzialmente alla stretta cooperazione tra Governo federale e Lander regionali da una parte, e tra associazioni dei datori di lavoro e sindacati dei lavoratori dall'altra. In particolare, il modello di cogestione tra le parti sociali adottato all'interno degli enti mutualistico-assicurativi e delle stesse aziende, implica un'assunzione congiunta di responsabilità in campo antinfortunistico che, se da un lato risponde anche ad esigenze di pace sociale, dall'altro consente una più efficace azione di intervento e prevenzione proprio nei luoghi di lavoro.
In questa logica rientra anche il fatto che, a fronte del pagamento dei contributi assicurativi integralmente a loro carico, i datori di lavoro non sono normalmente responsabili per gli infortuni occorsi ai lavoratori, tranne il caso di dolo o colpa grave. La responsabilità ricade sugli enti assicurativi, che provvedono a risarcire e ad assistere le vittime degli infortuni.
Le autorità tedesche sono intenzionate a consolidare anche nel prossimo futuro la tendenza alla riduzione degli infortuni e delle morti sul lavoro registrata negli ultimi anni. I motivi della riduzione sono generalmente individuati, oltre che nel miglioramento dei metodi di prevenzione e di sicurezza, anche nel cambiamento strutturale del mondo del lavoro, che vede negli anni più recenti una crescita delle attività intellettuali e impiegatizie a fronte di una diminuzione di quelle manuali e più pesanti. Questi ultimi settori, però, anche se rispetto al passato assorbono una quota minore di manodopera, presentano comunque indici di incidentalità e mortalità più elevati: i più colpiti ad esempio sono il settore edile, siderurgico, agricolo, della lavorazione del legno, dove si concentra anche un alto numero di lavoratori irregolari, spesso immigrati. Rispetto agli altri lavoratori, inoltre, livelli più alti di infortuni si riscontrano tra quelli interinali e neo-assunti. Per quanto riguarda la tipologia di aziende, sul fronte della sicurezza le piccole e medie imprese sembrano avere più difficolta, essendo meno diffusi i piani di valutazione del rischio aziendale ed i relativi esperti.
Il Governo tedesco, consapevole della situazione, sta investendo massicciamente in programmi tesi da un lato ad accrescere la prevenzione e la formazione sui luoghi di lavoro, dall'altro a garantire la copertura assicurativa a tutti i lavoratori. Accanto agli infortuni sul lavoro, un'attenzione sempre maggiore da alcuni anni è riservata alle malattie professionali (ad esempio quelle della pelle e muscolo-scheletriche), oggetto di specifiche campagne informative e considerate da taluni la vera sfida degli anni avvenire.


3.1.3. Il sistema di protezione contro il rischio di infortuni sul lavoro in Francia
In Francia, il sistema di protezione contro il rischio di infortuni sul lavoro ha un'articolazione alquanto complessa, essendo le varie competenze frazionate tra una pluralità di soggetti pubblici e privati.
In primo luogo, la competenza legislativa appartiene allo Stato centrale: la disciplina attualmente in vigore, che vale su tutto il territorio nazionale, comprende un corpus molto ampio di norme (si parla di quasi 2.800 pagine), estremamente dettagliate e complesse, stratificatesi nel corso degli anni. Per facilitarne l'applicazione, le norme legislative sono in genere «tradotte» in una serie di prescrizioni tecniche e raccomandazioni per i vari settori di attività, alla cui elaborazione partecipano anche i rappresentanti delle parti sociali (datori di lavoro e lavoratori).
Nell'ambito del Governo, le competenze in materia di sicurezza e salute del lavoro fanno capo a più dicasteri: al Ministero del lavoro, delle relazioni sociali, della famiglia e della solidarietà, attraverso la Direzione generale del lavoro, per quanto concerne gli aspetti della prevenzione e dei controlli; al Ministero della salute, della gioventù e degli sport e al Ministero del bilancio, dei conti pubblici e della funzione pubblica, attraverso la Direzione della sicurezza sociale, per quanto riguarda invece gli aspetti della previdenza sociale. Il coordinamento interministeriale è assicurato dall'Agenzia francese di sicurezza sanitaria dell'ambiente e del lavoro (AFSSET), che ha funzioni di consulenza scientifica e di sostegno alla ricerca.
Lo Stato si limita a fissare gli indirizzi politici generali ed i relativi stanziamenti, attraverso la cosiddetta legge di finanziamento della sicurezza sociale. Nel 2007, sono stati spesi in tutto circa 407 miliardi di euro (424 previsti nel 2008), di cui 12 per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (cifra che si prevede invariata per il 2008.
I veri responsabili delle attività sono i vari comitati ed agenzie specializzate, che affiancano i Ministeri. In particolare, per la prevenzione e controllo un ruolo primario spetta al Consiglio superiore per la prevenzione dei rischi professionali (CSPRP), recentemente trasformato in Consiglio di indirizzo sulle condizioni di lavoro (COCT), che è il massimo organo giuridico-consultivo in materia di salute e sicurezza del lavoro e riunisce le parti sociali, le amministrazioni interessate nonché gli organismi di prevenzione. A livello regionale operano strutture analoghe. Sono poi da citare l'Agenzia nazionale per il miglioramento delle condizioni di lavoro (ANACT) con la sua rete di 25 agenzie regionali (ARACT), e l'Istituto nazionale di ricerca e sicurezza per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INRS), nonché l'Istituto di vigilanza sanitaria (INVS) e l'Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare (INRS).
Sul fronte della sicurezza sociale, la gestione delle prestazioni a favore delle vittime degli infortuni sul lavoro è affidata alla Cassa nazionale dell'assicurazione malattia dei lavoratori salariati (Caisse Nationale d'Assurance Maladie des Travailleurs Salaries, CNAMTS). Si tratta di un ente pubblico a carattere nazionale, dotato di autonomia giuridica e finanziaria e sottoposto alla vigilanza del Ministero della salute e di quello dell'economia e delle finanze. Il consiglio di amministrazione è composto paritariamente da rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro. Il CNAMTS eroga tutte le prestazioni sanitarie a favore dei lavoratori, sia quelle ordinarie che quelle collegate a infortuni o malattie professionali, occupandosi quindi della gestione assicurativa dei relativi rischi e attuando le relative politiche di prevenzione.
La quota del bilancio dell'ente spesa per gli infortuni sul lavoro ammonta a circa 11,4 miliardi di euro all'anno. Di questi, il 74 per cento è finanziato dai contributi versati interamente dalle aziende, il 20 per cento dallo Stato in varie forme ed il restante 6 per cento da contribuzioni minori (ad es. trasferimenti da altri enti o risarcimenti giudiziari). I lavoratori pertanto non versano contributi per l'assicurazione contro i rischi professionali, diversamente da quanto accade per la cassa generale malattie, dove contribuiscono sia i datori di lavoro in forma diretta, che i lavoratori in forma indiretta attraverso il «contributo sociale generalizzato» (CGS), un prelievo sul reddito assimilabile ad un'imposta e destinato a finanziare il sistema sanitario (per un lavoratore salariato è in media pari al 22-23 per cento della retribuzione). Per le imprese, il contributo per l'assicurazione contro gli infortuni e differenziato secondo parametri quali il settore di attività, la dimensione e la storia antinfortunistica dell'azienda: in media, ammonta a circa il 2-3 per cento del fatturato.
Su oltre 60 milioni di abitanti e circa 28 milioni di occupati in Francia, il CNAMTS copre 22 milioni di lavoratori, soggetti al regime dell'assicurazione obbligatoria ed impiegati nei 9 settori del commercio e dell'industria. Restano escluse varie categorie di lavoratori, quali quelli agricoli, i marittimi, i dipendenti pubblici, ecc. assicurati presso casse mutue o istituti autonomi. L'aspetto importante da sottolineare è che, mentre il CNAMTS si occupa anche di prevenzione, le altre casse per lo più si limitano ad erogare indennizzi e assistenza alle vittime degli infortuni o delle malattie, ad eccezione del settore agricolo, nel quale opera la cassa della Mutualità sociale agricola (MSA).
Si tratta di un istituto di carattere mutualistico, vigilato dal Ministero dell'agricoltura e della pesca e che gestisce tutta la previdenza sociale per i lavoratori agricoli (coltivatori diretti e salariati), nei comparti della salute, della famiglia, della vecchiaia, degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, occupandosi anche dell'aspetto preventivo. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2006 e 2007 la MSA ha assicurato circa 1,7 milioni di salariati e 590.000 non salariati contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. (Occorre comunque precisare che nel settore agricolo in Francia ricadono anche le industrie del comparto agroalimentare e perfino una grande banca come il Credit Agricole.)
L'attività del CNAMTS si esplica a livello locale attraverso 16 casse regionali di assicurazione malattia (Caisses Regionales d'Assurance Maladie, CRAM) e 4 casse d'oltremare, anche nelle quali la gestione è affidata in modo paritario ai rappresentanti delle parti sociali. Dal punto di vista operativo, le casse regionali devono attuare gli indirizzi generali dettati a livello nazionale dal CNAMTS, che ha recentemente acquisito più forti poteri di coordinamento nei loro confronti. Le casse coprono tutte le tipologie di rischi ma, al fine di contenere i costi delle attività, ciascuna di esse si specializza nello studio e nella valutazione di una particolare tipologia di infortuni o malattie professionali, i cui risultati sono poi utilizzati anche dalle altre casse.
La prevenzione contro gli infortuni e le malattie professionali in Francia vede la partecipazione di più soggetti, pubblici e privati. Nel settore pubblico, l'attività preventiva si interseca con quella di controllo ed è svolta dagli ispettori del Ministero del lavoro e da quelli delle casse regionali. Appositi comitati regionali di coordinamento assicurano il collegamento a livello locale. Gli ispettori del lavoro sono circa 700 e dispongono di ampi e penetranti poteri di controllo nei confronti delle aziende, potendo irrogare sanzioni, sospendere le attività irregolari, promuovere azioni giudiziarie ecc. Gli ispettori delle casse regionali ammontano invece a circa 1.000 e hanno poteri meno estesi di quelli degli ispettori del lavoro.
Il numero degli ispettori è comunque largamente insufficiente rispetto a quello delle aziende da controllare (circa 2 milioni) e da più parti si auspica il rafforzamento e l'unificazione dei due corpi ispettivi, sebbene essi abbiano attualmente compiti in parte diversi. Pur svolgendo entrambi sia attività di controllo che di prevenzione, infatti, gli ispettori ministeriali sono più orientati sul primo aspetto, mentre quelli delle casse sono in effetti esperti della sicurezza del lavoro che intervengono soprattutto con azioni positive di consulenza e informazione alle imprese, miranti a migliorare l'ambiente di lavoro e a contrastare gli infortuni.
Un ruolo essenziale nella prevenzione spetta anche alle parti sociali, attraverso i Comitati d'igiene, di sicurezza e delle condizioni di lavoro (Comites d'Hygiene, de Securite et des Conditions de Travail, CHSCT) costituiti all'interno delle aziende. Attualmente, l'obbligo di costituire un CHSCT riguarda tutti gli stabilimenti e le imprese, pubblici e privati, con almeno 50 dipendenti. Al di sotto di tale soglia, o quando le condizioni dell'impresa non ne consentono la creazione, le attribuzioni del Comitato sono esercitate dai rappresentanti del personale. Le aziende con meno di 50 dipendenti possono raggrupparsi a livello settoriale o intersettoriale per creare un Comitato, mentre quelle con oltre 500 addetti possono costituirne diversi. Fanno parte dei Comitati il datore di lavoro o un suo rappresentante (che lo presiede), i rappresentanti dei lavoratori, i medici del lavoro e l'incaricato della sicurezza aziendale, mentre gli ispettori del lavoro e delle casse regionali partecipano alle riunioni.
Infine, l'attività di prevenzione è svolta anche dai medici del lavoro: si tratta di circa 20.000 professionisti privati, che operano nei luoghi di lavoro secondo le linee guida stabilite dallo Stato, ma le cui retribuzioni sono interamente a carico dei datori di lavoro. Il loro numero, tuttavia, risulta inferiore alle esigenze delle imprese.
Secondo i dati del CNAMTS, negli ultimi dieci anni il numero degli infortuni sul lavoro in Francia ha avuto un andamento oscillante: è aumentato notevolmente fra il 1997 e il 2002 (da 675.500 a 760.000 casi), è diminuito fino al 2004 (692.000) e ha poi ripreso a crescere (720.150 nel 2007). La frequenza degli infortuni è rimasta però pressoché stabile (circa 39 casi ogni 1.000 occupati) a partire dal 2004, segno che l'aumento registrato dipende essenzialmente dalla crescita del numero degli occupati. Anche gli incidenti in itinere risultano in aumento costante fra il 1995 e il 2000 (da 77.500 a 91.000), subiscono un forte calo dal 2002 al 2004 (da 90.000 a 78.000), per poi risalire di nuovo negli ultimi tre anni (85.500 nel 2007). Per quanto riguarda i decessi, sono passati da 661 nel 2003 a 474 nel 2005, per poi aumentare a 622 nel 2007.
Queste cifre, pur nella loro sintesi, mostrano che il fenomeno degli infortuni sul lavoro in Francia è ancora molto serio, nonostante l'impegno delle istituzioni centrali e periferiche e delle stesse parti sociali. I principali problemi sono la necessita di un migliore coordinamento del sistema, troppo complesso e frammentato, e di una maggiore trasparenza da parte delle imprese, soprattutto quelle piccole e medie al di sotto dei 50 dipendenti. Qui infatti non vige l'obbligo dei comitati d'igiene e sicurezza e talvolta, per le resistenze dei datori di lavoro, manca anche il rappresentante per la sicurezza ed il piano per la valutazione dei rischi, così che spesso molti infortuni non sono denunciati. Poiché in Francia l'80 per cento dei lavoratori è occupato in aziende con meno di 10 dipendenti, la questione è assai rilevante e si sta cercando, soprattutto da parte dei sindacati, di favorire la creazione di comitati CHSCT o di rappresentanze per la sicurezza che possano servire una pluralità di piccole e medie imprese.
Gli infortuni sul lavoro si concentrano principalmente nei settori dei servizi (sanita, aiuto domestico, commercio, ecc.) e del lavoro temporaneo, dell'edilizia e dei lavori pubblici, dell'industria alimentare, dei trasporti e delle reti di distribuzione. L'alta incidentalità nei servizi è dovuta all'incidenza del trasporto stradale, che in Francia è una delle attività più rischiose e la principale causa di decessi lavorativi. Ancora, gli infortuni sul lavoro risultano più frequenti tra i lavoratori precari e tra quelli più giovani (stagisti, apprendisti e neo-assunti). Tassi più elevati si riscontrano anche nei contratti a breve durata e nei lavori esternalizzati, per i quali i sindacati chiedono una maggiore responsabilizzazione dell'azienda appaltante, mediante un aumento della quota contributiva (attualmente, infatti, i 2/3 dei contributi assicurativi sono a carico dell'azienda appaltatrice e solo 1/3 a carico di quella appaltante).
Negli ultimi tempi, comunque, l'attenzione in Francia si sta spostando sempre più sulle malattie professionali, in particolare i tumori derivanti dall'esposizione all'amianto, in forte aumento. Si prevedono infatti addirittura 100.000 morti nei prossimi vent'anni, a causa dei periodi di latenza molto lunghi delle malattie (30-40 anni): per fronteggiare questa emergenza, lo Stato ha creato un fondo ad hoc all'interno del CNAMTS per i risarcimenti alle vittime, prevedendo altresì un fondo di prepensionamento per i dipendenti. Questioni aperte di carattere generale sono la richiesta di risarcimenti integrali dei danni anziché solo forfetari, la rivalutazione delle pensioni, l'uniformazione dei trattamenti tra le varie casse mutue e l'identificazione degli aventi diritto ai benefici, mediante l'individuazione dei settori e delle attività anziché delle singole aziende a rischio. Preoccupazioni analoghe destano altri tipi di patologie a medio-lungo termine, come quelle derivanti dall'esposizione ad agenti chimici (CMR: cancerogeni, mutageni e reprotossici), le malattie muscolo-scheletriche e, più recentemente, i disturbi psico-sociali e lo stress legati all'ambiente di lavoro, tutti oggetto di specifiche iniziative di prevenzione.


3.1.4. Il sistema di protezione contro il rischio di infortuni sul lavoro nel Regno Unito
Nel Regno Unito, il sistema di protezione contro il rischio di infortuni sul lavoro ha un'articolazione piuttosto lineare, con pochi soggetti ai quali sono affidati compiti ben precisi.
La competenza legislativa in tema di salute e sicurezza del lavoro appartiene allo Stato centrale, attraverso il Ministero del Lavoro e delle Pensioni. Ancora oggi, l'atto normativo fondamentale del settore è l'Health and Safety at Work Act (Legge sulla salute e sicurezza sul lavoro) del 1974, che disciplina in particolare le responsabilita dei datori di lavoro e che, pur con le necessarie modificazioni ed integrazioni (soprattutto per recepire le direttive comunitarie in materia), si è dimostrato nel corso degli anni uno strumento estremamente valido ed efficace per il contrasto e la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Mentre il Ministero del Lavoro e delle Pensioni detta le linee guida generali, dal punto di vista operativo la tematica della salute e sicurezza sul lavoro era, fino alla primavera del 2008, di competenza di due agenzie governative dipendenti dallo stesso Ministero, ovvero la Health and Safety Commission (HSC) e la Health and Safety Executive (HSE). L'HSC era l’organo che regolamentava la materia della salute e sicurezza sul lavoro mentre l'HSE si occupava, insieme alle Autorita locali, dell'attuazione della normativa sotto la direzione dell’HSC. A partire dal 10 aprile 2008, per esigenze di razionalizzazione, esse si sono fuse in un unica agenzia, la Health and Safety Executive (HSE) che, finanziata dal Ministero del Lavoro e delle Pensioni, dispone di un bilancio annuale di circa 230 milioni di sterline (266 milioni di euro) e si avvale di un organico di 3.000 persone.
Per quanto concerne gli aspetti assicurativo-previdenziali, anche questa gestione è affidata al Ministero del Lavoro e delle Pensioni, che eroga direttamente indennizzi a favore delle vittime di infortuni sul lavoro e di malattie professionali, queste ultime se ricomprese fra quelle riconosciute da un apposito comitato tecnico-consultivo, l'Industrial Injuries Advisory Council (IIAC), composto da 16 membri, tra i quali 4 rappresentanti dei lavoratori e 4 dei datori di lavoro. I contributi sono versati dai lavoratori (dipendenti e autonomi) e dai datori di lavoro nell'ambito del National Insurance System, secondo scaglioni correlati al reddito e al volume d'affari, che sono rivisti periodicamente alla luce dell'andamento demografico.
Fatta eccezione per l'Irlanda del Nord, dove opera un organismo autonomo (l'Health and Safety Executive for Northern Ireland, HSENI), l'HSE ha competenza su tutto il Regno Unito. L'agenzia è responsabile della regolamentazione della salute e sicurezza nelle installazioni nucleari, miniere, aziende, ospedali, aziende agricole, settore energetico (gas e petrolio) e chimico, mentre le Autorità locali sono responsabili per la regolamentazione della materia negli uffici, nei negozi e nel settore dei servizi. Sia l'HSE che le Autorità locali si occupano di disciplinare anche altri aspetti concernenti la tutela dei lavoratori e la salute pubblica. Pur nella specializzazione delle funzioni, le Autorità locali non possono però derogare la normativa nazionale e devono attenersi alle linee guida emanate dall'HSE.
L'HSE si avvale nella sua attività anche di un'altra agenzia specializzata, l'Health and Safety Laboratory (HSL), che gestisce il più importante laboratorio nazionale di ricerca in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ed effettua numerosi studi e verifiche per conto di organizzazioni pubbliche e private (ad esempio su macchinari, processi produttivi, sostanze chimiche), a fini preventivi, di controllo, di rilascio di autorizzazioni e di indagine.
Dal punto di vista organizzativo, l'HSE è gestita da un Consiglio di amministrazione composto da rappresentanti dei lavoratori, dei datori di lavoro, delle Autorità locali e di altri enti. Il Presidente del Consiglio di amministrazione è nominato dal Ministro del Lavoro e delle Pensioni e nomina a sua volta il Direttore generale dell'HSE. Il CdA svolge un ruolo consultivo e propositivo nei confronti del Ministero per le politiche e le norme in materia di salute e sicurezza del lavoro.
Missione principale dell'HSE - che svolge la sua attività in stretto coordinamento con le Autorità locali, con le parti sociali e con esponenti del settore pubblico/privato - è quella di migliorare la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro non solo a livello nazionale e locale ma anche a livello di lavoro individuale. Le linee strategiche di azione, che sono periodicamente aggiornate dall'organo direttivo dell'HSE, sono illustrate da ultimo nel rapporto A strategy for workplace health and safety in Great Britain to 2010 and beyond che individua alcune aree principali di intervento: sviluppare una più stretta collaborazione tra i vari attori coinvolti; massimizzare i benefici di un'efficace gestione ed attenta cultura in materia di salute e sicurezza; promuovere una maggiore interazione tra lavoratori e datori di lavoro nella gestione dei rischi sul lavoro; dare risalto ai benefici ottenuti da una buona politica in materia. Nell'attuare tali linee guida, l'HSE si attiene in ogni caso alle disposizioni generali contenute nel già citato Health and Safety at Work Act.
Dal punto di vista operativo, l'HSE e le Autorità locali si occupano sia della prevenzione che dei controlli. L'enfasi maggiore è appunto sulla prevenzione, ritenuta il mezzo più efficace per aumentare la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro e perseguita mediante vari strumenti: campagne di formazione, informazione ed educazione (ad esempio mediante la pubblicazione di opuscoli, o l'istituzione di numeri di assistenza telefonica), elaborazione di linee guida e «pratiche migliori» per i diversi settori e tipi di attività, consulenza assistenza alle imprese ecc. Tutte queste iniziative sono elaborate sulla base di una strategia pluriennale e coordinate attraverso una precisa programmazione per obiettivi e risorse, a cadenza annuale. Punto qualificante di tale impostazione è la verifica periodica (annuale e trimestrale) dell'efficacia delle varie attività, misurata mediante opportuni indicatori.
Per quanto riguarda la fase ispettiva, anche qui le autorità britanniche, sulla base dell'esperienza acquisita, insistono più sull'aspetto della consulenza e della collaborazione con le imprese che su quello della repressione. Su 3.000 dipendenti, l’HSE dispone di circa 1.200 ispettori, ai quali si affiancano quelli delle Autorità locali (in genere le municipalità). Come già accennato, l'HSE si occupa dei settori a rischio più elevato, come impianti nucleari, miniere, aziende, ospedali, aziende agricole, settore energetico (gas e petrolio) e chimico, mentre le Autorità locali gestiscono i settori a rischio più basso: uffici, negozi, servizi (ad esempio la ristorazione). In media, il 60 per cento delle ispezioni assume carattere preventivo e di verifica, mentre il resto avviene come risposta ad incidenti specifici. Lo sforzo attuale è di aumentare il numero dei controlli «proattivi», sebbene ciò richiederebbe un ampliamento dell'organico che il Governo sembra per ora restio a concedere.
L'attuale sistema di regolamentazione e di controlli, infatti, è ritenuto dagli ambienti più liberisti eccessivamente gravoso e vessatorio per le imprese, in particolare quando si tratta di norme che recepiscono direttive comunitarie. È una critica ricorrente nel dibattito politico in Gran Bretagna, alla quale si contrappone la richiesta da parte dei sindacati di un maggiore intervento dei pubblici poteri. Ciò spiega l'atteggiamento cauto del Governo in questo settore, attento a non gravare le aziende di prescrizioni inutilmente burocratiche e costose.
In realtà, i dati dimostrano che il sistema è abbastanza equilibrato: la normativa fondamentale contenuta nell’Health and Safety at Work Act fissa in modo chiaro principi e linee guida, lasciando però adeguati margini di discrezionalità per la loro concreta applicazione, il che consente un approccio flessibile e non burocratico. Sebbene si tenda a privilegiare l’aspetto della prevenzione, tuttavia, in caso di accertate irregolare, gli ispettori godono di ampi poteri sanzionatori, che vanno dalla irrogazione di multe (fino a 20.000 sterline per le violazioni meno gravi) alla chiusura delle attività o dell'intera azienda.
Il deterrente rivelatosi più efficace resta però il principio della responsabilità dei dirigenti dell'azienda in materia di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, espressamente sancito dall’Health and Safety at Work Act. È infatti possibile, in caso di infortuni riconducibili a dolo o colpa grave, citare in giudizio i dirigenti dell’impresa, che possono subire condanne anche pesanti. Al riguardo, è aperto il dibattito circa l'opportunità di inserire un vero e proprio concetto di «responsabilità oggettiva» a carico dei dirigenti ovvero di trasformare la responsabilità da individuale in collettiva (cioè estesa all'intera azienda).
Interlocutori privilegiati dell'HSE nello svolgimento della sua attività sono da una parte la Trade Union Congress (TUC), ovvero la principale confederazione sindacale, che con i suoi 58 sindacati affiliati rappresenta circa 7 milioni di lavoratori, e dall'altra la Confederation of British Industry (CBI), ovvero l'equivalente britannico della Confindustria, cui aderiscono 240.000 imprese che assorbono circa un terzo della forza lavoro del paese.
Nelle singole aziende, i sindacati operano inoltre attraverso i rappresentanti del personale per la sicurezza, la cui presenza è prevista per legge. Pur se in numero elevato (circa 200.000 in tutto il Regno Unito), tuttavia, specialmente nel settore manifatturiero esiste una forte disparita nella loro distribuzione tra le grandi imprese (dove sono presenti nel 70 per cento dei casi) e quelle piccole e medie, dove la presenza è molto più scarsa. Per quanto riguarda invece le aziende, la responsabilità prevista dalla legge in capo ai dirigenti si è dimostrata efficace nell'incentivare le imprese ad investire nella salute e sicurezza, sia per quanto riguarda interventi sugli ambienti di lavoro che per i singoli dipendenti. Iniziative specifiche di formazione rivolte ai dirigenti di azienda sono del resto contemplate espressamente dall'HSE. Sebbene non vi sia un modello di cogestione delle relazioni industriali come in Germania, anche nel Regno Unito la collaborazione tra sindacati e organizzazioni datoriali sui temi della sicurezza del lavoro è in genere piuttosto buona.
Attualmente, la Gran Bretagna ha circa 58 milioni di abitanti e 26,4 milioni di occupati. Le ultime statistiche ufficiali provvisorie relative ai morti e incidenti gravi sul lavoro pubblicate il 28 ottobre 2008 dall'HSE fanno stato di un certo miglioramento della situazione nel periodo 2007-08 rispetto al 2006-07. I casi di morti sul lavoro sono infatti scesi da 247 a 229, ovvero 0,75 casi ogni 100.000 lavoratori, mentre il numero di infortuni non letali denunciati si è ridotto da 115.799 a 109.912, ossia 360,9 casi ogni 100.000 lavoratori. Per dare un termine di paragone, nel 199091 sono avuti 433 morti per lavoro e 162.888 infortuni non letali denunciati. Sul lungo termine, si starebbe quindi affermando un trend decrescente nel numero di casi di incidenti mortali e non, anche se, di anno in anno, il miglioramento della situazione risulta essere meno visibile.
Secondo le statistiche, a fronte di 2,9 milioni di casi nel 1990-91, nel periodo 2007-08 si sono registrati 2,1 milioni di persone con malattie (casi vecchi e nuovi), le cui cause possono essere presumibilmente fatte risalire a lavori effettuati in passato o attuali. Infine, 1.028 e 354 sono state le azioni di repressione di violazioni della legge sulla salute e sicurezza sul lavoro condotte rispettivamente dall'HSE e dalle Autorità locali, a fronte di 1.051 e 340 effettuate nel 2006-07.
Fra tutti i principali comparti industriali, il settore agricolo e delle costruzioni sono quelli che hanno registrato i più alti tassi di incidenti mortali con quasi la meta nel numero dei morti sul lavoro nel Regno Unito e dove maggiore è l'esigenza di controlli. Altri settori particolarmente rischiosi sono la pesca, l'industria estrattiva e quella dello smaltimento e riciclaggio dei rifiuti. Sembrerebbe che il numero di incidenti sul lavoro nel Regno Unito, in particolare quelli mortali, sia uno dei più bassi se paragonato a quello dei principali partner europei. Ciò costituisce un risultato certamente positivo e testimonia la validità del sistema britannico, sebbene le autorità mantengano un impegno costante per cercare di ridurre ulteriormente il numero degli infortuni.
Ciononostante, permangono ancora vari problemi, soprattutto tra le imprese di minori dimensioni, scarsamente sindacalizzate e dove, a causa delle resistenze dei datori di lavoro, mancano spesso i piani di valutazione dei rischi e i rappresentanti del personale per la sicurezza, con la conseguenza che molti incidenti non vengono denunciati. La questione è particolarmente rilevante ed è al centro della strategia dell'HSE per gli anni avvenire, considerando l'alto numero di queste aziende operanti nel Regno Unito (circa 5.000.000, che assorbono il 50 per cento della forza lavoro) e la loro importanza per l'economia. Altro tema sensibile è quello dei lavoratori più giovani e soprattutto degli immigrati, spesso occupati in settori ad alto rischio (ad esempio l'edilizia) e per i quali si impongono specifici programmi di formazione, resi più difficili dal fatto che non tutti parlano inglese. Una preoccupazione recente riguarda infine le malattie professionali, in particolare quelle legate all'amianto che, nelle due forme dell'asbestosi e del mesotelioma, causano circa 4.000 morti all'anno. Altri disturbi spesso richiamati sono quelli da stress, legati al cambiamento del mondo lavorativo e alla prevalenza delle attività impiegatizie rispetto a quelle manuali.


3.2. Sopralluogo a Bologna-Sasso Marconi (23-24 novembre 2008)
Il primo sopralluogo in Italia della Commissione si è svolto a Bologna e a Sasso Marconi, dal 23 al 24 novembre 2008. La delegazione, guidata dal Presidente Tofani, era formata altresì dai senatori Donaggio, Maraventano e Nerozzi. Scopo della missione era quello di acquisire informazioni su un grave incidente determinatosi il 17 novembre 2008 presso uno stabilimento della Marconigomma, situato a Sasso Marconi.
L'infortunio era avvenuto in una società denominata Marconi Rubber Compounds, che è una delle società controllate al cento per cento dalla Marconi Group. La Marconi Rubber si occupa della produzione di elastomeri, mentre la seconda società, denominata Marconi Special, sita nelle immediate vicinanze della prima, si dedica alla ricerca e alla sperimentazione delle nuove miscele che verranno poi prodotte dalla società operativa.
L'incidente è avvenuto il 17 novembre, quando l'ingegner Fabio Costanzi, direttore dello stabilimento, ed uno degli operai, il signor Yadav Ramjas, stavano producendo, per la prima volta, all'interno di un mescolatore per gomme elastomeriche del tipo chiuso, un lotto sperimentale la cui formulazione prevedeva la mescola di un fluoroelastomero di VDF (vinilidenfluoruro) e HFP (esafluoropropene), con nome commerciale FPM2601B, con ossido di magnesio con nome commerciale ELASTO-MAG 170 nel rapporto 100/60. Un piccolo lotto con la stessa formulazione era stato testato in precedenza su un impianto pilota ed il risultato era stato positivo.
Improvvisamente però, dopo pochi minuti dall'inizio della lavorazione, si sono verificate tre esplosioni in immediata successione, innescatesi all’interno del mescolatore, che hanno causato la morte delle suddette persone mentre seguivano la lavorazione sulla passerella metallica di servizio del mescolatore, posta a circa 2 metri di altezza da terra è raggiungibile tramite una scala metallica a due rampe.
Mentre non è ancora possibile trarre conclusioni definitive sulle cause dell’incidente, essendo ancora in corso la relativa inchiesta della magistratura, la dinamica dell’incidente e le perizie eseguite sembrano comunque indicare una reazione imprevista all’interno del mescolatore, forse dovuta alla non perfetta compatibilità dei componenti miscelati, ancorché la mescola fosse stata testata in precedenza in laboratorio. Occorre infatti evidenziare che, da un punto di vista strettamente tecnico, le lavorazioni in impianto pilota simulano in modo molto blando ed aleatorio le condizioni reali di stress a cui sono soggette le materie prime quando le lavorazioni avvengono invece in un grosso impianto di produzione industriale.
Peraltro, occorre osservare che l'ingegner Costanzi, che seguiva personalmente tutte le sperimentazioni, era considerato un grande esperto del settore ed anche l'operaio che lo accompagnava aveva una notevole esperienza nei procedimenti di lavorazione.


3.3. Sopralluogo a Caserta (14-15 dicembre 2008)
Il 14 e 15 dicembre 2008 la Commissione ha inviato una sua delegazione, composta dal presidente Tofani e dai senatori De Luca e Maraventano, a Caserta. Questo sopralluogo, a differenza del precedente, non era legato al verificarsi di uno specifico evento infortunistico, ma era volto ad acquisire informazioni di carattere generale sul fenomeno degli infortuni sul lavoro nella provincia di Caserta.
Il quadro che è emerso dagli incontri con le Autorità preposte e con i rappresentanti delle parti sociali, conferma una situazione di elevata rischiosità, per la diffusa presenza di situazioni di irregolare nell'impiego dei lavoratori presso le varie aziende. La provincia di Caserta è caratterizzata infatti da una forte presenza di lavoratori extracomunitari, che vengono per lo più assunti in nero, specie per attività di carattere stagionale nell’edilizia e nell’agricoltura. In secondo luogo, l’economia locale risente pesantemente del condizionamento della criminalità organizzata e registra la presenza di molte aziende che operano in maniera irregolare o addirittura completamente in nero. Tali situazioni, aggravate dalla pesante disoccupazione locale, favoriscono purtroppo lo sfruttamento della manodopera ed un drastico abbassamento delle condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro, creando gravi problemi anche alle aziende sane, pur numerose, costrette ad affrontare la concorrenza sleale delle aziende irregolari o collegate alla criminalità organizzata, che producono, evidentemente, a costi più bassi.
Secondo i dati INAIL forniti alla Commissione in occasione del sopralluogo, nei primi nove mesi del 2008 si sono riscontrati in provincia di Caserta 3.202 infortuni sul lavoro (pari al 15 per cento dei quasi 23.000 casi registrati in Campania), con un calo del 6,7 per cento rispetto al 2007, quando si sono avuti 3.431 incidenti (corrispondenti al 15 per cento dei quasi 22.000 avvenuti nella Regione). Per quanto riguarda gli infortuni mortali, si sono avuti 16 casi (3 in meno rispetto all’anno precedente): tra questi ben 10 nell’industria (dato invariato rispetto al 2007), dei quali 8 nella sola edilizia (valore purtroppo raddoppiato rispetto al 2007). Sfortunatamente, proprio la diffusa presenza di attività economiche sommerse e di rapporti di lavoro irregolari, per indicazione degli stessi soggetti auditi, fa ritenere che il numero degli incidenti e dei decessi sia decisamente più alto. Per quanto riguarda l'attività ispettiva, particolarmente intensa, su circa 900 sopralluoghi effettuati dall’INAIL nel 2008, oltre un terzo ha riguardato i cantieri edili, che sono il settore più a rischio, come testimonia il fatto che su quasi 1.200 contravvenzioni irrogate, circa 800 hanno riguardato proprio questo comparto.
Un ulteriore conferma della particolare attenzione nel settore delle costruzioni arriva poi dal dato sui sequestri preventivi: su quasi 100 cantieri edili ispezionati dalla ASL, congiuntamente alle Forze dell’ordine, circa il 90 per cento sono stati assoggettati a sequestro preventivo, per gravi irregolarità e rischi all'incolumità dei lavoratori. Inoltre, mentre negli appalti di opere pubbliche, per l'elevato numero dei controlli, non si riscontrano in genere situazioni di gravi irregolarità, in quelli privati risultano invece frequentemente violazioni e problemi di vario tipo.
Di fronte alla situazione teste descritta, certamente preoccupante, è comunque da registrare positivamente la grande consapevolezza e l’impegno nella lotta al fenomeno infortunistico e più in generale all'economia illegale, dimostrati non solo dagli enti pubblici e dalle Forze dell’ordine, ma anche dai rappresentanti del mondo imprenditoriale e sindacale, che operano in stretto raccordo tra loro. Purtroppo, la pervasività delle attività illegali e la diffusione ancora scarsa di una adeguata cultura della sicurezza tra le imprese ed i lavoratori, fanno sì che le azioni di contrasto si debbano esercitare più sul fronte della repressione che su quello della prevenzione: in questo senso, come in altre parti del Paese, si sconta anche una certa insufficienza delle risorse finanziarie e di personale a disposizione degli enti istituzionali, che andrebbe adeguatamente sostenuta.


3.4. Sopralluogo a Trieste (1o-2 febbraio 2009)
Il 1o e 2 febbraio 2009 una delegazione della Commissione (composta dal presidente Tofani e dalle senatrici Donaggio e Maraventano) si è recata in missione a Trieste per acquisire elementi conoscitivi in relazione a due gravi infortuni sul lavoro, verificatisi in quella zona nelle settimane precedenti, rispettivamente il 12 gennaio presso la ferriera di Servola ed il 17 gennaio presso la cartiera Burgo di Duino Aurisina ed in entrambi i quali si erano purtroppo avuti anche dei morti.
Per quanto riguarda il primo incidente, dove è deceduto un operaio, il signor Dusan Poldini, esso si è verificato all'interno della linea produttiva della Lucchini S.p.A., la società che gestisce la ferriera di Servola, specializzata nella produzione di ghisa e cokeria. La Lucchini S.p.A. ha creato una società, la Servola S.p.A., che opera all'interno del porto, svolgendo attività di logistica e manutenzione, nell'esclusivo interesse della Lucchini ed utilizzandone in via di fatto anche il personale.
L'infortunio si è verificato durante la manutenzione di una gru in funzione: si tratta di un impianto di carico/scarico ubicato presso la banchina portuale, che ruota su se stesso e che alla base ospita un meccanismo che va periodicamente controllato e lubrificato. Il problema è nato dal fatto che la linea di manutenzione non ha informato la linea logistica, quella che effettua i lavori, dell'intervento di manutenzione, che è quindi avvenuto all'insaputa degli addetti alla lavorazione, cioè del responsabile della linea di logistica e dello stesso operatore che stava manovrando la gru. Così, quando il signor Poldini si è recato presso la base della gru per effettuare la manutenzione, la gru, anziché essere ferma, come prevede in questi casi la normale procedura, era in movimento e, durante la rotazione, ha agganciato l'operaio, uccidendolo sul colpo. Inoltre, è stata riscontrata l'assenza di alcune protezioni, in particolare con riferimento ad una specie di piattaforma sulla quale si appoggia ed opera la gru, che può aver concorso al verificarsi dell'infortunio.
Il 22 settembre 2009 la Procura di Trieste ha concluso le indagini preliminari, ipotizzando il reato di omicidio colposo aggravato (articolo 589, comma 2, del codice penale) a carico di alcuni soggetti della Servola S.p.A., vale a dire il datore di lavoro, il dirigente del reparto interessato ed il preposto. Secondo la magistratura, i suddetti soggetti non avrebbero attuato il necessario coordinamento tra i due settori coinvolti, la linea logistica e quella di manutenzione, concordando tempi e modalità dell'operazione di manutenzione secondo la regolare procedura (che prevede il fermo della gru per consentire ai manutentori di accedere agli impianti e di operare in condizioni di sicurezza). Inoltre, viene contestato agli stessi soggetti di non aver messo a disposizione del signor Poldini idonee attrezzature per comunicare con l'operatore della gru e di non aver informato quest'ultimo della presenza del Poldini.
Ferma restando la necessità di attendere l'esito finale del procedimento penale avviato, è da rilevare comunque che, secondo le verifiche della magistratura, lo svolgimento delle operazioni di manutenzione sulle due gru presenti nella banchina gestita dalla Servola, sarebbe spesso avvenuto, per espressa disposizione dei dirigenti responsabili, senza la necessaria comunicazione tra i reparti e quindi in assenza di tutte le necessarie misure di sicurezza, cosicché è stato solo per pura fatalità se prima del 12 gennaio non si sia verificato nessun altro infortunio analogo.
Il secondo incidente, in cui ha perso la vita l'operaio Mauro Burg, è avvenuto nell’area della cartiera Burgo di Duino Aluisina. Peraltro, la societa Burgo pare estranea all'infortunio e da ogni responsabilità, in quanto risulta essere solo la proprietaria dell'area dove è collocata la macchina addetta alla lavorazione dei tronchi presso la quale è accaduto l'incidente. La lavorazione dei tronchi, invece, è affidata ad una cooperativa della società Compagnia Portuale S.r.l. che è proprietaria del macchinario e datrice di lavoro degli addetti al macchinario stesso, incluso l'operaio deceduto.
L'infortunio si è probabilmente verificato per l'avvenuta alterazione del sistema di sicurezza: sulla macchina è installata una pedana su cui agisce l'operaio addetto al controllo dei tronchi che devono entrare a contatto con le seghe circolari; una volta tagliati, i segmenti di tronchi sono caricati sui camion e trasportati alla cartiera. Il sistema di sicurezza della pedana è tale che non appena questa viene liberata dal peso dell'operaio posto su di essa, l’impianto e le seghe si bloccano. Purtroppo, durante le lavorazioni, il signor Burg è caduto sul nastro trasportatore senza che il meccanismo di sicurezza intervenisse bloccando il nastro, che lo ha così trascinato fino alle seghe circolari dove è rimasto ucciso.
Premesso sempre che il procedimento giudiziario in corso non è ancora concluso, è da segnalare che il 9 settembre 2009 la magistratura ha concluso le indagini, formalizzando la richiesta di rinvio a giudizio per il reato di omicidio colposo aggravato (articolo 589 del codice penale) a carico del presidente della Compagnia Portuale, per colpa generica costituita da imprudenza, negligenza ed imperizia, nonché per colpa specifica, per aver omesso di realizzare un idonea protezione al fine di evitare i rischi di contatto meccanico tra operai e nastro trasportatore dei legnami, non aver garantito un idonea manutenzione sui sistemi di sicurezza sulla pedana e non aver redatto un documento relativo alla valutazione dei rischi delle operazioni di sblocco dell’inceppamento dei tronchi e alle conseguenti misure preventive da adottare.


3.5. Sopralluogo a Catania (15-16 marzo 2009)
La Commissione, in data 15 e 16 marzo 2009, ha svolto una missione a Catania, mediante l'invio di una delegazione formata dal presidente Tofani e dalle senatrici Donaggio e Maraventano. Anche in questo caso, il sopralluogo non era posto in relazione con specifici incidenti sul lavoro, ma mirava ad acquisire informazioni generali sulla problematica infortunistica nella provincia siciliana.
I dati INAIL disponibili al momento del sopralluogo evidenziano che nella provincia di Catania gli infortuni sul lavoro presentano un trend crescente, essendo passati dagli 8.898 del 2007, pari al 19,7 per cento degli oltre 45.000 casi della Regione, ai 9.248 del 2008, corrispondenti al 20 per cento degli oltre 46.000 infortuni registrati nell'isola. Peraltro, si tratta di dati parziali, considerato che gli incidenti minori, soprattutto quelli relativi alle malattie meno gravi, tendono a non essere denunciati. Nello stesso periodo si è registrato un ulteriore incremento degli incidenti mortali, in quanto dai 15 del 2007 si è passati ai 28 del 2008 (un incremento di oltre l'86 per cento), con casi anche di grande rilevanza pubblica. Da citare, in particolare, l'episodio del 12 giugno 2008, quando a Mineo sono morti sei operai, rinvenuti esanimi all'interno dell'impianto di depurazione comunale, è quello del 1o settembre 2008, quando a Motta Sant'Anastasia hanno perso la vita due lavoratori delle Ferrovie impegnati in un cantiere lungo i binari.
Le cause dell'espansione del fenomeno degli infortuni possono essere individuate nella diffusione di imprese con meno di 15 dipendenti (su circa 87.000 imprese registrate nella Provincia, il 51 per cento risulta infatti con un solo addetto), ove si concentrano i più alti tassi di infortuni e di mortalità; nell'eccessiva frammentazione delle imprese che concorrono al processo produttivo nei cantieri edili, circostanza che determina difetti di coordinamento con conseguente crescita del rischio; nella non sempre coerente cultura della sicurezza tra i lavoratori. A questi fattori si aggiunge poi un aggravarsi della disoccupazione nella provincia, che ha favorito l'aumento del lavoro irregolare o sommerso ed in generale dell'economia illegale, a cui non è ovviamente estranea la presenza della criminalità organizzata.
Come in altre parti del Paese, anche nella provincia di Catania, si registra una elevata diffusione di attività economiche sommerse, sia per quanto riguarda le aziende, che per quanto riguarda i lavoratori. Tale fenomeno si concentra particolarmente nel settore dell'edilizia e in parte dell'agricoltura, che sono non a caso quelli dove si registra anche la maggiore percentuale di infortuni. Sempre in questi settori, è assai diffusa anche la presenza di lavoratori immigrati, nonché di lavoratori temporanei o precari. Per dare un'idea del fenomeno, nel 2008 l'Arma dei Carabinieri ha controllato 452 imprese, comminando 789 contravvenzioni e 126 provvedimenti di sospensione dell'attività lavorativa che si aggiungono ai 110 disposti dall'Ispettorato generale del lavoro, mentre la Guardia di Finanza ha individuato 149 aziende che operavano totalmente in nero.
Peraltro, va segnalato come negli ultimi anni, anche per le esigenze di contrasto alla criminalità mafiosa, si sia raggiunto un elevato livello di coordinamento tra i diversi enti e Forze dell'ordine preposti al controllo del territorio, che ha conseguito positivi risultati sul fronte repressivo. La Commissione ha comunque potuto constatare anche un forte impegno degli enti istituzionali e delle organizzazioni datoriali e sindacali sul fronte della prevenzione e della formazione, che risulta però ancora non completamente sufficiente rispetto alle esigenze del territorio, anche per la carenza di risorse umane e finanziarie, specialmente per gli organici dei corpi ispettivi.
Tra le problematiche specifiche segnalate dai sindacati, deve essere citata una certa resistenza, specialmente tra le piccole e medie imprese, meno sindacalizzate, all’introduzione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, talora palesemente osteggiati. Per contro, le organizzazioni imprenditoriali hanno denunciato con forza la necessità di contrastare la concorrenza sleale delle imprese irregolari o sommerse, specialmente nel settore edilizio, dove manca anche una specifica preparazione degli imprenditori. Al riguardo, interessante è il suggerimento di raccogliere in un unica banca dati tutti i provvedimenti di rilascio di concessioni edilizie e di rendere obbligatoria l'iscrizione ad uno specifico albo delle imprese che operano nel campo edile, allo scopo di favorire i controlli delle autorità preposte.


3.6. Sopralluogo a Cagliari (11-12 giugno 2009)
L’11 e 12 giugno 2009, la Commissione ha effettuato una missione a Cagliari, mediante l'invio di una delegazione formata dal vice presidente Nerozzi e dai senatori Donaggio e Valli, alla quale era altresì aggregato, in rappresentanza della Commissione lavoro, il senatore Adragna. Scopo della missione era in questo caso quello di acquisire informazioni in ordine al grave incidente verificatosi il 26 maggio 2009 presso gli impianti della raffineria Saras di Sarroch, nel quale erano deceduti tre operai.
L’infortunio è occorso all’interno di un serbatoio in un impianto di desolforazione, che era stato fermato per consentire la bonifica della cisterna dai residui di lavorazione ai fini del successivo utilizzo. Addetta ad una fase delle operazioni di bonifica era la ditta Comesa, una delle numerose ditte esterne che lavorano per la Saras S.p.A. e che hanno in appalto alcuni lavori all’interno della raffineria, con circa 180 dipendenti. Secondo la ricostruzione dell’accaduto, il primo ad entrare nel contenitore è stato il signor Luigi Solinas, che è rimasto quasi immediatamente vittima di esalazioni tossiche di residui presenti nel serbatoio. Solinas era arrivato sul posto insieme ad un altro operaio della stessa squadra, il signor Porcu, il quale ha raccontato di essersi allontanato e, una volta tornato, di aver poi notato il corpo di Solinas, recandosi quindi subito a cercare aiuto. Nel frattempo sarebbero arrivati altri tre operai, appartenenti ad un altra squadra della Comesa, che sono penetrati nel serbatoio, presumibilmente per cercare di soccorrere Solinas. Purtroppo però i primi due, Daniele Melis e Bruno Muntoni, sono a loro volta morti per le esalazioni, mentre il terzo, Luca Fazio, è rimasto solo intossicato, così che Porcu, al suo ritorno, ha trovato non una ma tre vittime.
In effetti, la dinamica dell’accaduto è ancora tutta da chiarire, atteso che occorre stabilire se Solinas si fosse introdotto nel serbatoio di sua iniziativa, quindi senza attendere le prescritte autorizzazioni che attestavano l’assenza di rischi derivanti appunto da residui tossici, o se viceversa avesse ricevuto l'incarico, esplicito o implicito, di iniziare direttamente le attività di manutenzione.
Compito della squadra della Comesa era di scrostare le pareti del serbatoio, un enorme accumulatore dove viene stoccato il gasolio di passaggio, separato dallo zolfo. Poiché nel processo si sviluppano solfuri che, una volta aperta l'apparecchiatura, potrebbero esplodere a contatto con l'ossigeno ed il calore dell'ambiente, prima di iniziare il lavoro la cisterna viene bonificata con l'immissione di azoto, un gas inerte che serve a scongiurare le esplosioni. Gli operai possono intervenire solo successivamente con maschera e respiratore, dopo che una serie di apparecchiature hanno accertato l'assenza di gas letali. Questi rigidi protocolli di sicurezza, evidentemente, non sono stati messi in pratica. La bonifica, probabilmente, non ha concluso il suo ciclo e nel deposito sono rimaste in sospensione sostanze letali (l'idrogeno solforato o forse lo stesso azoto). Le indagini, tuttora in corso, dovranno quindi ricostruire l'esatta dinamica dell'incidente ed individuare gli errori nella procedura di bonifica che avrebbe dovuto essere effettuata in precedenza. Certo è che gli operai non avevano le dotazioni di sicurezza prescritte.
La vicenda ricorda tristemente altri eventi simili accaduti in passato: secondo fonti di stampa6, negli ultimi due anni si sono infatti verificati ben 11 infortuni di questo tipo, che hanno causato la morte di 22 persone, sempre a causa di vapori tossici sprigionatisi all'interno di serbatoi o cisterne durante lavori di pulizia o di manutenzione. Proprio il carattere ripetitivo di questi incidenti solleva ancora una volta gravi dubbi circa l'effettiva preparazione delle imprese e del personale addetto a questo tipo di operazioni.
Il caso della Saras è emblematico anche sotto altri punti di vista, perché richiama il problema della sicurezza nei casi in cui fasi di lavorazione secondaria o servizi di manutenzione vengono affidati in appalto a ditte esterne da parte di società più grandi, pubbliche o private. Quello di Sarroch è infatti una delle sei maggiori raffinerie d'Europa, con una capacità di lavorazione di 300.000 barili al giorno, pari al 15 per cento della capacità di raffinazione in Italia. L'azienda è nota per la correttezza e la scrupolosità delle misure di sicurezza adottate, tuttavia è soggetta ad un notevole carico di lavoro e ospita al suo interno, accanto ai 1.000 dipendenti in organico, anche 3.000-4.000 addetti di aziende appaltatrici dei servizi di manutenzione, che sono per lo più ditte locali di piccole o piccolissime dimensioni. Ciò rende abbastanza difficile la gestione complessiva ed aumenta il rischio di interferenze nelle lavorazioni.
Per quanto la Commissione ha avuto modo di accertare, almeno da un punto di vista formale, le aziende appaltatrici della Saras risulterebbero selezionate sulla base di criteri rigorosi ed i loro dipendenti riceverebbero un addestramento adeguato. Tuttavia, proprio la dinamica dell'incidente, per come si è potuta ricostruire finora e fermi restando gli sviluppi dell’inchiesta giudiziaria in corso, pone seri interrogativi sia sulle procedure di sicurezza adottate dalle ditte esterne che sulla formazione degli addetti.
Si tratta, è bene ribadirlo, di un problema di carattere generale, che va al di là dell’incidente di Sarroch e che è reso ancora più grave dai tempi di lavorazione molto serrati e dalle conseguenti pressioni che spesso si producono sulle piccole ditte appaltatrici, specie in un contesto, come quello attuale, caratterizzato da una elevata crisi occupazionale.



4. L'ATTIVITÀ DEI GRUPPI DI LAVORO

Come già accennato, la Commissione, al fine di approfondire in maniera più puntuale specifici temi della propria inchiesta, ha costituito una serie di gruppi di lavoro, ciascuno dedicato appunto ad un particolare argomento. Dell’attività di tali gruppi e delle proposte per il prosieguo dei lavori si dà conto nelle pagine che seguono.


4.1. Gruppo di lavoro sugli infortuni domestici
La Commissione parlamentare d inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro si è occupata sin dall’inizio della XVI legislatura di incidenti in ambito domestico istituendo un apposito gruppo di lavoro, acquisendo i dati necessari alla comprensione della reale situazione ed ascoltando i pareri e le analisi di tutti i soggetti coinvolti nella prevenzione e nella cura dell’infortunio in casa7.
La legge n. 433 del 1999 ha equiparato, almeno in linea di principio, il lavoro domestico a qualsiasi altra attività lavorativa, riconoscendo dunque pari dignità al lavoro di oltre 5 milioni di casalinghe. La legge ha poi istituito un sistema di raccolta dati (Sistema informativo nazionale sugli infortuni in ambienti di civile abitazione, SINIACA) presso l’Istituto superiore di sanità , ed ha stabilito l’obbligo di assicurazione per la tutela del rischio infortunistico per invalidità permanente da lavoro svolto in ambito domestico, dando all’INAIL, ai Ministeri competenti e alle associazioni di categoria la responsabilità di gestire un fondo autonomo speciale che ha il compito di raccogliere i premi e pagare le rendite.
A dieci anni dall’entrata in vigore della legge è stato necessario tracciare un bilancio: la legge n. 433 del 1999 non ha ridotto gli infortuni in ambito domestico e l’assicurazione obbligatoria vive una situazione di stallo preoccupante. Risultati positivi sono riscontrabili solo nella raccolta dati e nell’analisi del fenomeno. In altre parole adesso abbiamo un quadro più chiaro sugli infortuni domestici. Inoltre i progressi tecnologici e le scoperte in campo scientifico hanno reso più sicure le cucine (dove avvengono il 58 per cento degli incidenti che coinvolgono donne), gli impianti di riscaldamento e gli elettrodomestici, ma non hanno ridimensionato significativamente il numero di infortuni.
Il numero dei morti a seguito di incidente in ambito domestico è ancora molto elevato. Il dato non è uniforme ne oggettivo in quanto ogni istituto di ricerca utilizza metodologie differenti di classificazione: secondo l'Istituto superiore di sanita i decessi sarebbero 5.500, secondo l'ISTAT appena 2.000, secondo l'ISPESL 7.500. L'80 per cento delle vittime sono donne ultrasettantenni, le donne tra i 18 e i 65 anni che muoiono ogni anno a seguito di incidenti in casa sono 450, mentre 900 circa restano invalide in modo permanente. Gli infortuni, di ogni entità, sono ben 3,2 milioni l'anno. Le principali cause di incidente sono: cadute (40 per cento), tagli e punture (15 per cento), urti e schiacciamenti (13 per cento), seguono le ustioni, i soffocamenti e gli avvelenamenti. L'80 per cento dei casi di soffocamento riguarda le donne, i casi di folgorazione riguardano donne per il 70 per cento, e i casi di ustione riguardano donne per il 60 per cento. Esiste dunque una condizione di rischio assimilabile al rischio professionale presente in un'industria o in una fabbrica. L'esposizione a sostanze tossiche, così come l'utilizzo di apparecchi domestici, è un problema serio che espone la casalinga ad un rischio di breve termine legato soprattutto all'uso di sostanze caustiche, ma anche ad un rischio a lungo termine ancora poco studiato. Il numero di decessi e infortuni in casa è dunque estremamente preoccupante nonostante il livello di allarme sociale sia molto basso. La percezione di casa come luogo sicuro aumenta inoltre il rischio di infortunio, se si considera che le principali cause di incidente sono la distrazione e l'inappropriatezza dei comportamenti più che il mal funzionamento degli elettrodomestici o degli impianti a gas.
Dai dati presentati emerge la necessità di concentrare gli sforzi del legislatore sulla prevenzione. Alcune Regioni, così come previsto dalla legge del 1999, hanno avviato programmi di prevenzione nelle scuole dell'obbligo idonei a ridimensionare il 18 per cento di incidenti che colpiscono i minori di 15 anni. Ma si tratta di esperimenti pilota e limitati a determinate aree del Nord. Inoltre il 54 per cento degli infortunati ha tra i 18 e i 64 anni ed il 28 per cento ha più di 65 anni. Per le donne in età lavorativa è stata studiata la possibilità di inserire nei corsi pre-parto alcuni incontri di formazione sugli infortuni domestici, mentre per la fascia di età più elevata gli strumenti predisposti appaiono scarsamente efficaci. In particolare opuscoli informativi (spesso complicati) o pubblicazioni scientifiche on line, pur se facilmente reperibili, vengono de facto consultate solo dagli addetti ai lavori. Per questa fascia di età bisogna passare attraverso i centri anziani presenti sul territorio e soprattutto attraverso la televisione nazionale e locale, che è in grado di veicolare il messaggio anche presso le persone che vivono in condizione di emarginazione e solitudine. In questo senso risulta incoraggiante, anche se ancora insufficiente, la mini fiction trasmessa durante il programma Uno Mattina (RAI) sulla famiglia Sbadatelli, dove si spiega quali sono i comportamenti da evitare in casa.
Le risorse per incrementare l’attività di prevenzione non mancano. Il fondo speciale per gli infortuni in ambito domestico istituito presso l’INAIL ha un avanzo patrimoniale di 93.693.168 euro ed un avanzo economico di 9.209.863. Tale dato non può essere considerato meramente come positivo. L’erogazione di rendite si è infatti praticamente bloccata e le casalinghe continuano a pagare i premi assicurativi senza di fatto ricevere ne il risarcimento in caso di infortunio ne un'adeguata attività di prevenzione. Dal 1o marzo 2001 al 31 dicembre 2008 sono state presentate 10.920 domande di rendite delle quali 9.782 sono state definite negativamente e 692 si trovano in fase istruttoria, mentre sono solo 446 le rendite effettivamente erogate. Nei primi sei mesi del 2008 poi sono state pagate solo 3 rendite (delle quali 2 riguardano incidenti mortali). L’assicurazione obbligatoria riguarda le persone in età compresa tra i 18 e i 65 anni che svolgono attività in ambito domestico per la cura del nucleo familiare e dell’abitazione e che non siano impegnate in altra attività lavorativa. Secondo l’ISTAT sono 5.200.000 le persone che rientrano in questa categoria, ma al 31/12/2008 risultano iscritti solo 2.167.163 soggetti, dei quali 199.748 hanno un reddito complessivo lordo ai fini IRPEF inferiore a 4.648,11 euro (per i quali dunque l’iscrizione sarebbe gratuita). Essendo inoltre il premio già particolarmente basso (12,91 euro), i motivi per i quali la metà delle casalinghe non si assicura possono essere solo la scarsa conoscenza della norma o la scarsa fiducia nei confronti dell’INAIL, che rigetta l’87 per cento delle richieste di risarcimento o tiene da diversi anni ben 927 casi in istruttoria. A seguito della audizioni dei rappresentanti di INAIL, ISPESL e ISS in Commissione è emerso il dato che il 65 per cento delle domande vengono rigettate in quanto l’invalidità cagionata da incidente domestico è al di sotto della soglia fissata per legge. L’abbassamento del grado minimo di indennizzabilità dal 33 al 27 per cento disposto dalla finanziaria del 2007 non è stato sufficiente ad aumentare considerevolmente il numero delle rendite pagate: solo 44 infortuni in più sono stati riconosciuti dall’INAIL nella soglia di danno compresa tra il 27 e il 33 per cento.
Appare dunque evidente che l’assicurazione contro gli infortuni domestici è, ad oggi, un esperimento parzialmente fallito, è che l’unico modo per convincere le casalinghe a versare il premio ed obbligare l’INAIL a pagare le rendite è abbassare la soglia dell’indennizzo al 13 per cento equiparandola a quella degli altri lavoratori. Un eventuale aumento del pagamento delle rendite non porterebbe automaticamente alla diminuzione dell’avanzo di 9.209.863 euro in quanto ad oggi solo il 50 per cento delle casalinghe paga il premio assicurativo. Rendendo il sistema più trasparente ed efficiente l’aumento dei versamenti da parte delle casalinghe potrebbe compensare l’aumento del pagamento delle rendite, rendendo ancora disponibili sufficienti risorse per un programma di prevenzione nazionale concentrato sulle televisioni nazionali e locali.


4.2. Gruppo di lavoro sull'agricoltura. «Morti bianche ed infortuni gravi sul lavoro in ambito agricolo - considerazioni e proposte»
4.2.1. Premessa
Benché il settore agricolo rimanga uno dei settori maggiormente a rischio infortuni, in relazione agli indici di frequenza, i dati statistici evidenziano che da qualche anno gli infortuni nel settore agricolo stanno diminuendo. Tale flessione positiva riguarda anche gli infortuni mortali, cioè le morti bianche.
Queste evidenze non significano che i problemi sono risolti ma danno la prova che il lavoro fatto in questi ultimi anni ha prodotto dei risultati e che vanno intraprese altre azioni per portare ad un ulteriore salto di qualità sulla questione della sicurezza.
Nel quadro generale degli infortuni sul lavoro, l'agricoltura si caratterizza per una prima particolarità: l'evento vede generalmente coinvolto l'imprenditore stesso, cioè il lavoratore autonomo.
Anche sulla base dei dati più recenti rispetto alla situazione, emerge che l'85 per cento degli infortuni accaduti con macchine operatrici riguarda il lavoratore autonomo, non il dipendente. Questo è un fatto rilevante che consente:
1. di considerare l'imprenditore agricolo alla stregua di un lavoratore e non solo come un datore di lavoro;
2. di individuare molto chiaramente il soggetto cui indirizzare in via prevalente le azioni e le iniziative di prevenzione, adeguando nel contempo gli adempimenti e gli obblighi previsti dalla normativa.
Una seconda notazione riguarda le cause degli infortuni gravissimi e/o mortali, che prevalentemente sono riconducibili alle conseguenze di due tipologie di sinistro:
1. il ribaltamento del trattore;
2. la rotazione del giunto cardanico del trattore, laddove questo venga utilizzato per dare energia a una macchina semovente.


4.2.2. Alcune proposte
a) Ribaltamento trattore
Tutte le moderne trattrici sono dotate di roll-bar o di un arco di protezione.
Tuttavia, anche queste protezioni possono risultare inutili se all'atto del ribaltamento il conducente viene sbalzato dal sedile.
È perciò indispensabile dotare le trattrici di una cintura di sicurezza.
Ebbene, la quasi totalità delle trattrici nuove non dispongono di cinture ma, addirittura, in molti casi le nuove macchine non sono nemmeno dotate di sedili predisposti all'installazione di cinture di sicurezza.
Risulterebbe quindi necessario:
1. che le trattrici immesse sul mercato fossero tutte complete dei dispositivi sopra indicati;
2. che venisse istituita una forma di incentivo all’installazione delle cinture sui mezzi già in circolazione che ne risultano sprovvisti (il costo dell’installazione delle sole cinture varia dai 100 ai 200 euro; il costo di cinture più sedile va dai 400 ai 1.200 euro).

b) Giunto cardanico
Molte volte l’incidente capita in seguito al fatto che il lavoratore è trascinato all’interno della macchina a causa dell’avvolgimento di uno dei suoi indumenti intorno al giunto cardanico. Il fatto avviene allorché le protezioni plastiche del cardano risultano mancanti, distrutte, ovvero semplicemente danneggiate da crepe o lievi spaccature (la qual cosa capita frequentemente anche dopo poche ore dall’utilizzo di un nuovo giunto cardanico). Le protezioni si rompono facilmente a causa dell’elevata rotazione del giunto e per effetto dei continui movimenti (alto-basso, sinistra-destra) dovuti al normale utilizzo in campo delle attrezzature collegate al giunto.
Risulterebbe quanto mai utile individuare una soluzione che garantisca una elevata durata e resistenza alla rottura delle protezioni dei giunti cardanici (forme e materiali innovativi).
Parallelamente andrebbe valutata la possibilità di avviare ed incentivare una progressiva sostituzione delle trasmissioni meccaniche con trasmissioni idrauliche (tutte le moderne trattici dispongono anche di prese di forza che utilizzano circuiti oleodinamici).
La fattibilità di queste soluzioni andrebbe verificata insieme ad UNA-COMA (Unione nazionale costruttori di macchine agricole)8.


4.2.3. In termini generali
In considerazione delle caratteristiche del settore agricolo richiamate in premessa si ritiene indispensabile uno sforzo di semplificazione per accompagnare il processo di riduzione degli infortuni e non è certo inasprendo le sanzioni che si raggiunge un risultato di questo genere. In pratica, non è tanto l’attenzione agli aspetti formali - di fatto le sanzioni, purtroppo, nella maggior parte dei casi attengono a questioni di natura formale - ma quella alle questioni sostanziali che consente di ottenere un risultato positivo.
Semplificare, a nostro avviso, significa agevolare l’applicazione delle norme.
Considerati i dati e le evidenze che nell'85 per cento dei casi vedono nell'imprenditore stesso la vittima degli infortuni e delle morti sul lavoro in ambito agricolo, la conclusione che ne deriva è che la sicurezza sul lavoro in agricoltura, prima che fatto tecnico è fatto di natura culturale.
Una seria e corretta formazione degli operatori, dipendenti o autonomi che siano, è un aspetto cruciale.
La formazione potrebbe altresì risultare efficace e relativamente poco onerosa se, come già avviene per il patentino che abilita all'uso dei presidi sanitari (fitofarmaci), potesse prevedere un periodico, breve richiamo/aggiornamento per tutti (poche ore ma ogni anno). Il primo step formativo potrebbe invece essere inserito (e valido ai fini delle attestazioni) entro le 150 ore dei corsi di primo insediamento in agricoltura, obbligatori per chi intraprende la professione.
La continuità del messaggio consente senza dubbio di far sì che la sicurezza diventi parte stessa della cultura d'impresa.


4.3. Gruppo di lavoro sulla prevenzione e formazione
Chi si occupa di infortuni sul lavoro si trova spesso a dover affrontare il tema del bilanciamento, in un'efficace azione di lotta al fenomeno, fra la sanzione e la prevenzione: ci si interroga cioè da tempo se debba prevalere il momento sanzionatorio, inteso sia come sanzione penale che come sanzione allo svolgimento dell'attività imprenditoriale, o viceversa debba prevalere il momento della prevenzione degli infortuni da attuarsi anche e, soprattutto, attraverso la formazione, la conoscenza e la diffusione di una cultura della sicurezza.
È soprattutto nel mondo delle piccole imprese, degli artigiani, dei commercianti, delle aziende a carattere familiare che il momento formativo sembra essere maggiormente penalizzato, spesso per una sottovalutazione del problema e talvolta per una difficoltà obiettiva ad accedere a momenti formativi.
Il gruppo «prevenzione e formazione» della Commissione d'inchiesta sulle «morti bianche» è nato con l'obiettivo di conoscere e valutare modalità di intervento, tecniche e buone pratiche da utilizzare per diffondere la cultura della sicurezza. Il processo di costruzione della cultura della sicurezza parte dall'osservazione di comportamenti, continua con l'interiorizzazione delle norme, dei valori e si struttura con la diffusione delle pratiche acquisite. È un processo di scambio e di influenza che costruisce reti di relazioni e pratiche condivise. Fino a qualche anno fa ci si limitava a valutare la sicurezza nei luoghi di lavoro con un approccio tecnico che indagava sulle disfunzioni operative, per poi adottare un approccio medico-legale che studiava le implicazioni sulla salute degli individui e l'impatto delle norme sugli stessi. Oggi, invece, l'approccio alla sicurezza è multidimensionale, perché si tengono in considerazione tutti gli aspetti: sanitari, legali, sociali, culturali, economici e pedagogici. La sicurezza non è solo tutela della salute delle persone o di impatto delle norme sulle stesse, ma è anche costruzione di una cultura, della formazione, dell’impatto economico in termini di spesa pubblica per la formazione degli esperti, dei costi per il risarcimento delle vittime di infortuni, dell’organizzazione del lavoro e dell’analisi delle strategie di intervento.
L'attività del gruppo «prevenzione e formazione» ha svolto alcune audizioni, in particolare nella seduta del 21 luglio 2009 sono stati sentiti i rappresentanti della Direzione Generale per le attività ispettive del Ministero del lavoro, alcuni rappresentanti dei Coordinamenti Tecnici della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, rappresentanti della Consulta interassociativa italiana per la prevenzione ed un professore dell’Università di Siena che da tempo utilizza un approccio multidisciplinare al tema degli infortuni sul lavoro.
Quanto emerso dalle audizioni può sostanzialmente riassumersi nei seguenti punti:
1) necessità di investire maggiori risorse nella formazione e prevenzione;
2) necessità di verificare l’efficacia delle attività realizzate dalle Regioni al fine di diffondere la cultura della sicurezza;
3) necessità di favorire la crescita delle professionalità del personale ispettivo ed un integrazione con il personale delle ASL;
4) necessità di fare formazione ai lavoratori, ma anche ai datori di lavoro;
5) difficoltà nel fare formazione per i lavoratori con contratto a termine ed interinale;
6) mancanza assoluta di formazione per i lavoratori irregolari;
7) necessità di creare una forte collaborazione e sinergia fra mondo del lavoro, università, ASL;
8) necessità di avviare al più presto il comitato nazionale di indirizzo;
9) necessità di realizzare il libretto formativo.
Già sin da queste prime audizioni è dunque emersa chiara l’ importanza del momento della formazione e della prevenzione negli infortuni sul lavoro, settore sul quale occorre ancora fare molto ed investire risorse; ciò senza però dimenticare anche l’ importanza di un apparato sanzionatorio severo che colpisca quelle aziende che, incuranti del rispetto della tutela del lavoratore costituzionalmente garantito, si sottraggono ad investimenti nel settore della sicurezza e si pongono di fatto nelle condizioni di violare la normativa antinfortunistica.


4.4. Gruppo di lavoro sulle malattie professionali. «Le malattie da lavoro in Italia»
4.4.1. Premessa
Questa prima relazione intermedia aggiorna il quadro del fenomeno delle malattie da lavoro in Italia rispetto a quanto riportato nella precedente relazione alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche» - Senato della Repubblica - XV legislatura.
Essa si basa sull'analisi delle fonti di dati disponibili sullo specifico argomento, fonti che verranno dettagliatamente riportate nella relazione finale.
Formula, inoltre, proposte di audizioni, integrative di quelle già condotte nel corso dei lavori della precedente Commissione di inchiesta, al fine di approfondire alcuni argomenti non esaustivamente trattati nella precedente relazione e di completare il quadro dei soggetti che possono offrire un contributo alla comprensione del fenomeno, delle sue dimensioni e caratteristiche, nonché indicazioni e proposte utili per un miglioramento delle condizioni di lavoro.
Nel corso del proseguo dei lavori ci si propone di approfondire il tema delle possibili proposte operative volte a migliorare sia i sistemi di segnalazione e registrazione che soprattutto le attività di prevenzione. Partendo dalle proposte formulate nella precedente relazione si analizzeranno le novità introdotte dalla nuova legislazione in materia, i dati di attività del sistema pubblico di prevenzione, i piani di sviluppo delle attività di prevenzione. Si formuleranno quindi eventuali ulteriori proposte.


4.4.2. Definizioni
Si riportano alcune definizioni per una migliore comprensione delle considerazioni che verranno svolte.
Malattia professionale = malattia monofattoriale, che riconosce nel lavoro l'unica causa (es. silicosi, ipoacusia da rumore)
Malattia correlata al lavoro = malattia a genesi multifattoriale; il lavoro è una delle possibili cause della stessa ovvero contribuisce all'insorgenza della malattia (es. bronchite cronica, malattie muscoloscheletriche, neoplasie)
Malattia tabellata = malattia dovuta al lavoro riconosciuta da INAIL sulla base di specifiche tabelle che regolamentano l'azione dell'Istituto assicuratore
Malattia non tabellata = malattia dovuta al lavoro per il riconoscimento della quale è il lavoratore che deve dimostrare il nesso di causalità, non essendo la stessa inserita nelle tabelle INAIL.
Il decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 14/1/2008 (pubblicato in G.U. n. 70 del 22/3/08 S.O. n. 68) ha aggiornato l'elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia da parte del medico.
L'elenco è costituito da 3 liste:
Lista 1 «Malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità». L'inserimento delle patologie nelle tabelle di questa lista solleva il lavoratore dalla necessita di provarne l'origine professionale. Il D.M. ha ampliato significativamente il numero di patologie classificate come professionali.
Lista 2 «Malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità», per le quali non sussistono ancora conoscenze sufficienti per cui siano inserite nella lista 1.
Lista 3 «Malattie la cui origine lavorativa è possibile», per le quali non è definibile il grado di probabilità dell’origine a causa di evidenze scientifiche sporadiche.

Nel testo che segue verrà utilizzato il termine di malattie da lavoro intendendo il complesso delle patologie che riconoscono nel lavoro una causa, sia essa l'unica (malattie professionali propriamente dette) ovvero una delle cause che concorrono alla patogenesi (malattie correlate al lavoro).


4.4.3. Il quadro nazionale: i sistemi di registrazione
Prima di analizzare i dati occorre conoscere, sia pur sommariamente, le caratteristiche dei sistemi di registrazione attualmente presenti in Italia. Ciò permette di comprendere i limiti di rappresentazione che tali sistemi presentano e quindi permetterà una lettura critica degli stessi.
La descrizione di tali sistemi è contenuta nella relazione alla precedente Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche» - Senato della Repubblica - XV legislatura.
Per facilitare la lettura nella presente relazione vengono comunque riportati i dati sintetici dei principali sistemi di registrazione attivi in Italia e viene descritta l’ evoluzione subita da alcuni di essi nel corso degli ultimi anni.


4.4.3.1. Il sistema di registrazione delle malattie professionali e lavoro correlate INAIL
È attualmente l'unico sistema di registrazione attivo su scala nazionale da molti decenni.
È basato sulle denunce che gli assicurati trasmettono all’istituto assicuratore secondo il seguente schema: medico > lavoratore > datore di lavoro > INAIL.
I casi così denunciati vengono quindi vagliati dall'INAIL che valuterà se riconoscerne il nesso di causa, la relazione tra quadro patologico ed esposizione a rischio specifico, e quindi se ci sono i presupposti amministrativi per un indennizzo e di quale entità .
I casi trattati entrano quindi in un sistema di registrazione che prevede le seguenti voci: casi denunciati, casi riconosciuti, casi indennizzati.
Questo sistema è attivo da molti decenni, consente una lettura omogenea su tutto il territorio nazionale, raffronti nel tempo, tra i diversi settori lavorativi e nelle diverse aree geografiche del paese.
Tuttavia è un sistema esclusivamente passivo, improntato ad una logica assicurativa, registra solo i casi che vengono denunciati all'istituto assicuratore per ottenerne i risarcimenti ed analizza solo i casi che dallo stesso vengono riconosciuti con tempi di definizione piuttosto lunghi, per cui gli anni più prossimi presentano dati non stabilizzati. Esclude tutti i casi dei lavoratori non assicurati a INAIL e i lavoratori irregolari.
Inoltre ha il limite di legare la malattia solo all'ultima azienda in cui il lavoratore è stato occupato, non elaborando eventuali informazioni della storia lavorativa.


4.4.3.2. Altri sistemi di registrazione e fonti informative
- Registro nazionale delle malattie da lavoro di cui al decreto legislativo n. 38 del 2000
Il decreto legislativo n. 38 del 2000 ha istituito il registro nazionale delle malattie professionali con finalità di carattere epidemiologico affidandone la gestione all'INAIL. Nel registro che dovrebbe prescindere dal sistema assicurativo vengono inseriti i casi segnalati dai medici che devono indicare se il nesso di causalità con l'attività lavorativa è di elevata probabilità, di limitata probabilità o possibile, secondo quanto definito nel decreto ministeriale 27/4/04.
Il registro ha preso lentamente avvio ed è ancora assai lontano da un assetto consolidato; i casi registrati sono per la maggioranza gli stessi registrati da INAIL a fini assicurativi e quindi riversati dallo stesso istituto in questo registro.
Si tratta pur sempre di un sistema passivo di registrazione che presenta, tra l'altro, alcuni importanti lacune per la ricostruzione del nesso di causalità. Esso affida, infatti, totalmente la valutazione del nesso di causalita al medico segnalatore, senza acquisire l'intera documentazione sulla storia lavorativa del lavoratore, che permetterebbe di rivalutarne l'esposizione.
Inoltre, il legame con gli aspetti assicurativi, che la collocazione del registro richiama, sono elementi che contrastano con le finalità di conoscenza epidemiologica di un registro di patologie.
I dati di questo registro non sono, peraltro, ancora stati resi pubblici.


- Il sistema «MALPROF»
È un sistema di registrazione basato sulle denunce che pervengono alle ASL sulla base degli obblighi di legge (decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965; Codice penale e di procedura penale). Il medico che diagnostica una malattia da lavoro, anche se solo sospetta tale, deve farne denuncia all’ASL, oltre che alla Direzione Provinciale del Lavoro e a INAIL. Inoltre, qualora la malattia abbia prodotto una lesione grave o gravissima è tenuto a redigere referto che dovrà essere inviato all'Autorità Giudiziaria o all'organo di Polizia Giudiziaria. In molte regioni sono stati realizzate intese tra gli organi della Magistratura e del Servizio sanitario, tradottesi in specifiche direttive delle Procure, in base alle quali i referti devono essere inviati agli Ufficiali di Polizia Giudiziaria dei Servizi PSAL delle ASL che, dopo opportuni accertamenti, ne informano le Procure.
Il registro MALPROF, attualmente attivo solo in alcune regioni, si sta estendendo ad altre regioni con la copertura di gran parte del territorio nazionale (progetto Ministero salute-Regioni coordinato da ISPESL).
Il sistema, accanto alla registrazione passiva delle denunce, raccoglie anche i casi la cui conoscenza è conseguenza di una ricerca attiva da parte dei Servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (SPSAL) delle ASL. Inoltre, raccoglie anche attivamente le notizie sull’intera storia lavorativa dei lavoratori oggetto di segnalazione, ricostruendone così l'esposizione ai rischi e valutando perciò con miglior accuratezza il nesso di causalità con il quadro patologico, riferendosi anche a singoli periodi di lavoro.

- Altri sistemi regionali e locali di ASL
In alcune Regioni sono utilizzati sistemi di registrazione delle denunce raccolte dai Servizi PSAL, per alcuni versi simili al sistema MALPROF.

- I COR
Come già indicato nella precedente relazione sono i registri regionali dei casi di mesotelioma (neoplasia correlata all’esposizione ad amianto) istituiti a seguito del decreto legislativo n. 277 del 1991.
Sono presenti in 18 Regioni e 1 Provincia autonoma (restano scoperte solo il Molise e la Provincia autonoma di Bolzano) e coprono il 95 per cento della popolazione. La loro capacita di fornire un quadro rappresentativo dei casi e quindi informazioni sull’andamento nel tempo, nelle aree geografiche, le correlazioni con le esposizioni lavorative ed ambientali, su esposizioni non note, è legata alla capacità di coinvolgere tutte le strutture sanitarie che a diverso titolo possono fornire informazioni: strutture di ricovero per la segnalazione dei casi, laboratori di anatomia patologica per le diagnosi istologiche, servizi PSAL delle ASL per la ricostruzione dell’esposizione.
Grazie alla loro attività sono possibili valutazioni sull'andamento del fenomeno, previsioni per i prossimi anni, e sono stati identificati settori produttivi per i quali la presenza di amianto nel processo produttivo e conseguentemente l'esposizione dei lavoratori non era conosciuta.
I dati raccolti dai registri regionali confluiscono in un registro nazionale (Re.Na.M.).
L'ultimo rapporto del Re.Na.M. è del 2006 e riporta i dati fino al 2001. È in corso di preparazione il terzo rapporto nazionale.

- Il sistema delle SDO
Si tratta delle schede di dimissione ospedaliere che registrano la diagnosi della patologia per la quale è avvenuto il ricovero ospedaliero e alcuni dati (anagrafici e relativi alla professione) che potrebbero consentire correlazioni tra quadri patologici e tipologia di mansioni, se quest'ultima venisse adeguatamente registrata .
In assenza di adeguate informazioni sull'attività lavorativa sono state attivate diverse indagini in diverse Regioni e ASL che collegano le SDO con dati di fonte INPS relativi alla storia lavorativa dei soggetti affetti da patologie. Si possono così ottenere importanti informazioni sulla distribuzione dei casi di malattie correlabili al lavoro nei diversi settori lavorativi e ipotizzare correlazioni meritevoli di studio e approfondimenti.
Non si tratta quindi di un sistema di sorveglianza come i precedenti, ma costituisce una base di partenza per la ricerca attiva delle malattie da lavoro che va ad alimentare altri sistemi.

- Le relazioni sanitarie dei medici competenti
Il D.Lgs. 81/2008 all'articolo 40 («Rapporti del medico competente con il Servizio sanitario nazionale») ha introdotto l'obbligo per il medico competente di trasmettere, per via telematica, ai servizi territoriali di prevenzione delle ASL «le informazioni, elaborate evidenziando le differenze
di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria».
A loro volta le ASL trasmetteranno le stesse informazioni in forma aggregata alla propria Regione che a sua volta le trasmetterà a ISPESL.
Il modello di raccolta e trasmissione dei dati, identificato dal decreto legislativo n. 81 del 2008 nell'allegato 3B, dovrà essere ridefinito, alla luce delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 106 del 2009, da apposito decreto ministeriale, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome, entro il 31/12/09.
Si tratta di uno strumento importante che potrà fornire una messe di informazioni sui rischi e sui danni da lavoro, in particolare sulle malattie da lavoro.
Il Coordinamento delle Regioni, insieme ad ISPESL e coinvolgendo i medici competenti, ha attivato un apposito progetto di studio che sta vagliando un campione di relazioni già pervenute nel periodo di vigenza dell'obbligo, prima del rinvio subito dal decreto legislativo n. 106 del 2009, allo scopo di valutare l'informatività dei dati e le criticità della procedura prevista.


4.4.4. Il quadro nazionale: i dati statistici
4.4.4.1. I dati statistici INAIL
Vengono qui di seguito forniti alcuni dati relativi alla distribuzione delle malattie da lavoro nel territorio nazionale, tipologia delle stesse, andamento temporale, confronti regionali.
Poiché, come abbiamo precedentemente illustrato, l'unico sistema di registrazione delle malattie da lavoro presente in forma omogenea su tutto il territorio nazionale è quello derivante dall'assicurazione INAIL la breve analisi che segue fa riferimento a tale sistema e più precisamente ai rapporti che annualmente l'istituto assicuratore redige.
L'andamento delle malattie da lavoro in Italia è sostanzialmente stabile fino al 2006; nel 2007 si è verificato, invece, un significativo aumento dei casi denunciati (1.864 casi in più; +7 per cento).
L'aumento dei casi denunciati riguarda sia l'industria (+1.592 casi; +6 per cento) che l'agricoltura (+200 casi; +14 per cento). In agricoltura si assiste ad un costante aumento del fenomeno, in continua ascesa dal 2000, pur essendo il numero assoluto sempre di modesta entità.
I casi di malattia denunciati nell’industria nel 2007 rappresentano il 93 per cento del totale.
Le malattie non tabellate rappresentano ormai da anni la componente preponderante del fenomeno tecnopatico: per l'industria e servizi la loro componente, già pari nel 2003 al 75 per cento del totale dei casi, ha raggiunto l'86 per cento nel 2006. Analogo andamento si verifica nell’agricoltura dove le malattie non tabellate rappresentano ormai il 93 per cento.
Per quanto riguarda la tipologia dei casi denunciati, al primo posto nell'industria figura sempre l'ipoacusia da rumore, la cui incidenza è però in costante diminuzione nel corso degli anni (28 per cento dei casi denunciati nel 2003, pari a 6.800 casi circa, 21 per cento nel 2007, pari a circa 5.500 casi). Seguono le tendiniti, le affezioni dei dischi intervertebrali e la sindrome del tunnel carpale che, in crescente, rilevante aumento fino al 2006, subisce un modesto decremento nel 2007 mantenendosi pur sempre su numeri elevati.
Nell’agricoltura prevalgono, invece, le malattie dell’apparato muscolo-scheletrico (26 per cento), le tendinopatie (tendinite e sindrome del tunnel carpale rappresentano insieme il 22 per cento) e quindi le ipoacusie da rumore che costituiscono il 17 per cento dei casi.
Si assiste in questi anni ad una graduale riduzione delle malattie tradizionali (ipoacusia, silicosi) accompagnata da un aumento di altre forme, principalmente quelle dovute ad agenti usuranti l'apparato muscolo-scheletrico, scarsamente riconosciute nel passato e ancora oggi sottostimate rispetto alle attese e confrontando le statistiche italiane con quelle degli altri paesi europei; basti pensare ai 40.000 casi di disturbi muscolo-scheletrici riconosciuti nel 2006 in Francia quali malattie professionali .
Un posto di rilievo è occupato dai tumori (più di 1.700 casi nel 2005 e nel 2006, 1.560 nel 2007, dato provvisorio), in particolare dell’apparato respiratorio. Si nota per questo tipo di patologie un trend in crescita fino al 2005-2006, seguito da un decremento nel 2007.

MALATTIE PROFESSIONALI manifestatesi nel periodo 2003 - 2007 e denunciate all'INAIL per gestione e stato di definizione

 

GESTIONE 2003 2004 2005 2006 2007
Denunciate
Agricoltura 1.080 1.078 1.315 1.433 1.633
Industria e servizi 23.911 25.123 24.995 24.881 26.473
Dipendenti conto Stato 229 283 318 319 391
Totale 25.220 26.484 26.628 26.633 28.497
Riconosciute
Agricoltura 334 342 464 512 406
Industria e servizi 8.390 8.201 8.022 7.788 6.181
Dipendenti conto Stato 61 62 60 45 44
Totale 8.785 8.605 8.546 8.345 6.631
Indennizzate
Agricoltura 215 236 320 361 307
Industria e servizi 4.464 4.643 4.731 4.804 3.761
Dipendenti conto Stato 61 62 60 45 44
Totale 4.740 4.941 5.111 5.210 4.112
In corso di definizione
Agricoltura 5 3 23 64 398
Industria e servizi 178 291 695 1.422 6.938
Dipendenti conto Stato 1 5 14 39 108
Totale 184 299 732 1.525 7.444


Malattie professionali per stato di definizione (rapporti percentuali - media 2003-2005)


MALATTIE PROFESSIONALI manifestatesi nel periodo 2003 - 2007 e denunciate all'INAIL per tipo di malattia e anno - AGRICOLTURA

Tipo di malattia 2003 2004 2005 2006 2007
Malattie tabellate 159 135 127 107 106
di cui
26-IPOACUSIA E SORDITÀ 54 44 45 31 34
24-ASMA BRONCHIALE 53 51 47 34 32
25-ALVEOLITI ALLERGICHE 23 14 14 21 17
27-MALATTIE OSTEO-ARTICOLARI 16 18 16 11 17
Malattie non tabellate 881 925 1.168 1.295 1.409
di cui:

- affezioni dei dischi Intervertebrali

64 90 142 156 275

- tendinite

104 119 213 227 270

- ipoacusia

180 197 227 259 237

- artrosi

38 80 94 128 158

- sindrome del tunnel carpale

80 78 116 131 98

- malattie dell'apparato respiratorio

65 89 95 101 94

- altre neuropatie periferiche

45 59 77 115 83

- tumori

15 15 38 21 26

- dermatite da contatto

14 18 13 21 17
INDETERMINATA
40 18 20 31 118
Totale agricoltura 1.080 1.078 1.315 1.433 1.633


MALATTIE PROFESSIONALI manifestatesi nel periodo 2003 - 2007 e denunciate all'INAIL per tipo di malattia e anno - INDUSTRIA E SERVIZI

Tipo di malattia 2003 2004 2005 2006 2007
Malattie tabellate 5.890 5.238 4.507 4.225 3.789
di cui
50-IPOACUSIA E SORDITÀ 2.373 1.952 1.333 1.260 1.033
56-NEOPLASIE DA ASBESTO 687 720 784 846 721
91-ASBESTOSI 510 547 608 549 581
42-MALATTIE CUTANEE 645 574 453 330 285
90-SILICOSI 407 358 311 321 247
52-MALAT. OSTEO-ARTICOLARI 235 203 180 208 221
40-ASMA BRONCHIALE 173 190 148 111 105
43-PNEUMOC. DA SILICATI 115 86 78 85 89
Malattie non tabellate 17.078 19.277 19.843 19.763 19.454
di cui:

- ipoacusia

4.413 5.233 5.330 4.788 4.488

- tendiniti

1.371 1.835 2.346 2.736 3.119

- affezioni dei dischi intervertebrali

986 1.514 2.069 2.572 2.668

- artrosi

749 1.165 1.389 1.419 1.510

- malattie dell'apparato respiratorio

1.664 1.568 1.800 1.582 1.461

- sindrome del tunnel carpale

857 1.217 1.397 1.558 1.287

- tumori

616 710 922 861 839

- altre neuropatie periferiche

469 561 736 841 822

- dermatiti da contatto

246 337 425 404 323
INDETERMINATA 943 808 645 893 3.230
Totale industria e servizi 23.911 25.123 24.995 24.881 26.473


4.4.4.2. I dati statistici di Regioni e ASL
Da diversi anni alcune Regioni presentano elaborazioni ed analisi delle informazioni contenute nei rispettivi sistemi di sorveglianza epidemiologica delle malattie da lavoro, basati sugli archivi dei Servizi PSAL. La sintesi e la raccolta di questi dati è l'oggetto di rapporti curati da ISPESL. L'ultimo è il «Quarto Rapporto ISPESL - Regioni sulle malattie professionali» pubblicato nel 2008 è riferito agli anni 2005-2006.
Nella tabella che segue si riporta l'andamento delle malattie da lavoro nelle Regioni in cui è istituito un sistema di registrazione consolidato.

anno 2002 anno 2003 anno 2004 anno 2005 anno 2006
Lombardia 3.510 3.252 2.942 3.124 2.603
Toscana 1.196 1.084 1.233 1.121 1.100
Emilia Romagna 3.375 3.253 3.777 4.091 4.164
Veneto 2.278 2.030 1.941 1.797 1.885
Piemonte 2.724 29.04 2.574 2.400 3.316
Genova * 338 350 257

*In Liguria il sistema di registrazione al momento è stato attivato solo a Genova


Il confronto tra i due sistemi di registrazione, regionale e INAIL, mette in evidenza una diversità tra le Regioni: in alcuni casi è evidente la maggior sensibilità del sistema delle ASL a rilevare il fenomeno delle malattie da lavoro (Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte), in altre come Toscana e Genova, è l'INAIL che presenta archivi più completi.

anno 2004 anno 2005 anno 2006
dati ASL dati INAIL dati ASL dati INAIL dati ASL dati INAIL
Lombardia 2.942 2.883 3.124 2.699 2.603 2.526
Toscana 1.233 2.267 1.121 2.274 1.100 2.265
Emilia Romagna 3.777 3.633 4.091 2.911 4.164 3.307
Veneto 1.941 1.952 1.797 1.987 1.885 1.815
Piemonte 2.574 1.930 2.400 2.029 3.316 1.922
Genova 338 731 350 656 257 522


4.4.5. Il problema della sottonotifica

Come rilevato nella precedente relazione, esiste un grande divario tra i casi contenuti nei sistemi di registrazione e i casi attesi sulla base delle stime conseguenti a indagini e studi scientifici condotti su tipologie o in ambiti territoriali specifici. Si tratta del fenomeno cosiddetto delle «malattie professionali perdute» che gli operatori della prevenzione da tempo denunciano.
L'argomento è stato ampiamente trattato nella precedente relazione dove ne sono state anche analizzate le possibili cause. Pertanto si rimanda alla lettura della stessa non essendo nel frattempo intervenute sostanziali modifiche.


4.4.6. Il problema del mancato riconoscimento e del mancato indennizzo da parte dell'INAIL
Il rapporto tra casi indennizzati e casi denunciati è assai basso, specialmente per le malattie non tabellate: concentrando l'analisi sul triennio 2003-2005, che si può ritenere sufficientemente consolidato, la situazione è riassunta nella tabella seguente.

Riconosciute/ Totale denunciate Indennizzate/ Riconosciute Indennizzate/ Totale denunciate

Malattie tabellate

60% 65% 39%

Malattie non tabellate

30% 50% 15%


Tra le malattie più frequentemente risarcite figura ancora l'ipoacusia da rumore, mentre negli altri paesi europei sono le malattie muscolo-scheletriche, cutanee e dell'apparato respiratorio che dominano la classifica, malattie ancora scarsamente riconosciute dall'INAIL. Occorre anche chiarire come mai un elevato numero di casi di mesotelioma non venga indennizzato, essendo tale patologia altamente correlata con l'esposizione professionale.
Si confermano le considerazioni esposte nella precedente relazione: «Per una questione di maggior equità sociale non si può sottacere la necessità di accertare i motivi che portano l'INAIL ad una così scarsa percentuale di riconoscimento e di indennizzo delle malattie professionali denunciate. Questa è, infatti, incommensurabilmente bassa rispetto a quanto avviene negli altri paesi europei ed è andata diminuendo nel corso degli anni, raggiungendo valori davvero molto bassi.
È auspicabile che nel costruendo sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro l'istituto assicuratore renda disponibili le ragioni che portano ai mancati riconoscimenti o indennizzi, sia per le malattie tabellate che per quelle non tabellate, che hanno una percentuale di riconoscimento e indennizzo ancor più bassa. Questo servirebbe a capire come migliorare le informazioni utili per la trattazione dei casi da parte dell'istituto assicuratore e a rendere più equa la politica di risarcimento di chi per lavoro ha subito importanti menomazioni.»


4.4.7. Proposte di audizioni
Per approfondire i temi relativi a:
- il miglioramento del sistema informativo nazionale
- il sistema dei controlli e il piano di prevenzione nazionale
- il risarcimento dei danni e l'azione penale
si propongono le seguenti audizioni:
- Ministero della Salute
- Procuratore Generale di Firenze, dottor Beniamino Deidda
- Coordinamento tecnici interregionale PISLL’(prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro)
- Patronati INCA-INAS-ACLI.

Per la conduzione delle audizioni si propone la predisposizione di uno schema di domande quale traccia per la realizzazione delle stesse. Lo schema può) essere preventivamente trasmesso ai soggetti da audire unitamente alla lettera di convocazione. Ciò potrà facilitare il lavoro sia dei soggetti da audire che della Commissione e permetterà ai soggetti da audire di preparare eventuale documentazione da lasciare agli atti della Commissione.
Alla luce delle suddette audizioni e dell'esame di altra documentazione, in parte in corso di elaborazione da parte di diversi soggetti, in particolare Regioni e ISPESL, verranno approfonditi i seguenti temi:
- le novità introdotte dalla nuova legislazione con particolare riguardo ai rapporti dei medici competenti con il servizio pubblico
- l'attività del sistema pubblico di prevenzione
- i piani regionali e nazionali di sviluppo delle attività di prevenzione.
Verrà quindi verificato lo stato di attuazione delle proposte formulate nella precedente relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche» - Senato della Repubblica - XV legislatura, integrando con eventuali ulteriori proposte sia per il miglioramento della conoscenza del fenomeno delle malattie da lavoro che per la loro prevenzione e risarcimento.


4.5. Gruppo di lavoro sui trasporti e gli infortuni in itinere. «Progetto analisi e proposte sicurezza trasporti infortuni sul lavoro e in itinere»
Il gruppo di lavoro sui trasporti e gli infortuni in itinere ha realizzato un ampio ed articolato studio sulla problematica in questione, del quale la relazione che segue costituisce una breve sintesi.


4.5.1. Scopo e contenuti del lavoro.
Premessa
Il settore dei trasporti è uno dei più importanti del nostro paese, con oltre 1.142.000 addetti e circa 166.000 società operative. Un settore che ha visto in questi anni una crescita incrementale anche sul versante degli infortuni lavorativi, spesso causa di gravi costi umani ed economici per i lavoratori e per le aziende, soprattutto a causa degli incidenti che occorrono nella circolazione stradale. In particolare tra le varie tipologie di trasporto gli incidenti stradali costituiscono ormai in Italia, come nel resto d'Europa, una vera e propria emergenza sociale e sanitaria.
Analizzando il fenomeno infortunistico di tale settore emerge in modo preponderante che il principale problema di salute della comunità lavorativa, come indicato dagli ultimi dati INAIL, è rappresentato ancora oggi - per dimensione e gravità - dagli infortuni sul lavoro, nel caso specifico dai così detti infortuni in itinere.
Nasce quindi la necessita di elaborare uno specifico progetto sulla sicurezza dei trasporti che studi la dimensione reale del problema infortunistico, individui i settori che espongono maggiormente a tale rischio i lavoratori per frequenza e gravita, indichi una scala di priorità per settore di appartenenza (stradale, ferroviario, aereo, marittimo, ecc.) ed elabori una serie di azioni/indirizzi di carattere tecnico, procedurale, organizzativo e normativo per contenere e abbattere tale fenomeno.
Viene quindi proposto di seguito un approccio conoscitivo cui seguirà una fase di elaborazione dei dati raccolti e quindi una formulazione di proposte rivolte agli operatori di settore, istituzionali e privati e direttamente ai soggetti interessati.
Lo scopo dell'intervento è:
- prevedere la prevenzione degli infortuni sul lavoro derivanti da incidenti in orario di lavoro e in itinere a partire da quelli che interessano il settore stradale;
- proporre, attraverso interventi ed azioni, l'attuazione e l'articolazione delle operazioni di verifica e controllo della sicurezza nella conduzione dei mezzi di trasporto e nelle verifiche costruttive e manutentive dei mezzi stessi;
- verificare le attitudini personali e le specifiche attività mansionali degli addetti attraverso un sistema di gestione dinamico in grado di favorire l'ottimizzazione delle attuali risorse e dei mezzi di lavoro impiegati sul territorio. In tal senso possono essere sviluppate azioni di implementazione di particolari procedure di sicurezza;
- coinvolgere enti e/o soggetti esterni professionalmente competenti in grado di valutare tutti i parametri necessari alla miglior tutela della salute e sicurezza non solo del lavoratore, ma anche degli altri soggetti su cui potrebbero ricadere gli effetti di azioni scorrette od omissioni nel campo della sicurezza. In tal senso è opportuno sviluppare una parametrazione valutativa del rischio che consideri i classici elementi del triangolo della sicurezza:




In ultima analisi, lo scopo della presente proposta di progetto può) essere sintetizzata nella promozione di una serie di azioni tese a realizzare la certificazione di un processo e/o di linee guida di indirizzo nell'ambito della sicurezza dei trasporti, «Sistema prevenzionistico trasporti» (SPT), dedicato sia agli operatori del settore sia agli enti di controllo.


4.5.2. Destinatari
I destinatari dell'intervento possono quindi essere individuati negli utilizzatori finali del SPT, unitamente agli organi di vigilanza competenti per materia e territorio.
In tal senso si riportano, come da Provvedimento n. 99 Conferenza Unificata 30 ottobre 2007 (G.U. n. 266 del 15 novembre 2007) - Provvedimento 18 settembre 2008, le mansioni nel settore trasporti, che comportano particolari rischi per la sicurezza, l'incolumità e salute dei terzi.


a) Mansioni, pubbliche e/o private inerenti le attività di trasporto
Tali mansioni possono essere così classificate:
a) conducenti di veicoli stradali per i quali è richiesto il possesso della patente di guida categoria C, D, E e quelli per i quali è richiesto il certificato di abilitazione professionale per la guida di taxi o di veicoli in servizio di noleggio con conducente, ovvero il certificato di formazione professionale per guida di veicoli che trasportano merci pericolose su strada;
b) personale addetto direttamente alla circolazione dei treni e alla sicurezza dell'esercizio ferroviario che esplichi attività di condotta, verifica materiale rotabile, manovra apparati di sicurezza, formazione treni, accompagnamento treni, gestione della circolazione, manutenzione infrastruttura e coordinamento e vigilanza di una o più attività di sicurezza;
c) personale ferroviario navigante sulle navi del gestore dell'infrastruttura ferroviaria con esclusione del personale di camera e di mensa;
d) personale navigante delle acque interne con qualifica di conduttore per le imbarcazioni da diporto adibite a noleggio;
e) personale addetto alla circolazione e alla sicurezza delle ferrovie in concessione e in gestione governativa, metropolitane, tranvie e impianti assimilati, filovie, autolinee e impianti funicolari, aerei e terrestri;
f) conducenti, conduttori, manovratori e addetti agli scambi di altri veicoli con binario, rotaie o di apparecchi di sollevamento, esclusi i manovratori di carri ponte con pulsantiera a terra e di monorotaie;
g) personale marittimo di prima categoria delle sezioni di coperta e macchina, limitatamente allo Stato Maggiore e sottufficiali componenti dell'equipaggio di navi mercantili e passeggeri, nonché il personale marittimo e tecnico delle piattaforme in mare, dei pontoni galleggianti, adibito ad attività off-shore e delle navi posatubi;
h) controllori di volo ed esperti di assistenza di volo;
i) personale certificato dal registro aeronautico italiano;
j) collaudatori di mezzi di navigazione marittima, terrestre ed aerea;
h) addetti ai pannelli di controllo del movimento nel settore dei trasporti;
l) addetti alla guida di macchine di movimentazione terra e merci.

Tali mansioni dovranno inoltre essere integrate con le attività professionali autonome e/o con quelle previste dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 81 del 2008 in relazione all'utilizzo di mezzi di trasporto. Infatti molteplici sono le attività lavorative che comportano l'utilizzo di un mezzo di trasporto dalla sede aziendale e/o dalla sede personale verso il potenziale cliente.

b) Ambiti interessati
Verranno interessati principalmente i seguenti ambiti:
- trasporto merci via terra su ruota: auto, camion, motociclette
- trasporto merci via terra su rotaia: tram, metropolitana, treno
- trasporto merci via aria: aerei
- trasporto merci via acqua: imbarcazioni
- trasporto passeggeri via terra: mezzi pubblici e privati (autobus, pullman, filobus), taxi e veicoli da piazza
- trasporto passeggeri via aria: aerei
- trasporto passeggeri via acqua: imbarcazioni.


c) Soggetti giuridici interessati
- Enti e aziende pubbliche
- Enti e aziende private
L'avvio del progetto, in considerazione della casistica e delle dimensioni del numero della gravita degli eventi, avrà come primo obiettivo la seguente scala di priorità:
1) sicurezza nel settore dei trasporti merci e passeggeri via terra su ruota;
2) sicurezza nel settore dei trasporti merci e passeggeri via terra su rotaia;
3) sicurezza nel settore dei trasporti merci e passeggeri via mare;
4) sicurezza nel settore dei trasporti merci e passeggeri via aerea.


4.5.3. Articolazione operativa
Si ritiene che, per rendere operativo il progetto, sia necessario organizzare vari gruppi di lavoro monotematici che, operando in sinergia tra loro, potranno portare avanti i singoli ambiti di interesse (trasporto stradale, ferroviario, marittimo e aereo) utilizzando una matrice di linea di riferimento connessa allo sviluppo delle azioni progettuali. In tal senso, all'interno del gruppo di lavoro, potranno essere individuati dei referenti di area o di settore.
L'evoluzione del presente progetto interessa schematicamente i seguenti punti:

a) Individuazione del settore di trasporto di interesse tra le varie tipologie degli ambiti considerati
Si ritiene di dare priorità al trasporto stradale.

b) Reperimento dei dati relativi al fenomeno infortunistico in itinere
Procedura di raccolta e analisi dei dati INAIL per ogni settore riferiti all'ultimo quinquennio. Si ritiene inoltre di attivare altre forme informative in grado di fornire dati attendibili in merito a tale fenomeno, che potrebbe essere sottodimensionato con il solo dato INAIL.

c) Stesura del crono-programma delle audizioni con le parti sociali interessate
Programmazione entro la fine del 2009 di una serie di audizioni con i Presidenti e con i Responsabili di enti pubblici, associazioni sindacali e/o di categoria, altri soggetti pubblici e/o privati di settore al fine di recepire osservazioni e/o proposte utili al raggiungimento degli obiettivi: riduzione e controllo del fenomeno infortunistico in itinere.
Si riportano i principali soggetti di riferimento per le audizioni:
- INAIL (Istituto nazionale assicurazione contro gli infortuni sul lavoro)
- Associazioni di categoria, Sindacati ed Enasarco
- Enti e società autostradali
- Enti e società trasporto ferroviario
- Enti e società trasporto marittimo
- Enti e società trasporto aereo
- Rappresentante Agenzia della sicurezza di Bilbao
- Regioni e Province
- Comuni di grandi dimensioni ed aree metropolitane
- ISPESL (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro)
- ASL/Direzione Provinciale del Lavoro.

d) Definizione degli elementi di rischio specifico per attività e mansione
Aspetto da elaborare successivamente agli interventi di rilevamento/ studio del fenomeno infortunistico dei vari ambiti ed agli esiti dei lavori relativi alle audizioni effettuate.

e) Elaborazione delle misure di prevenzione e protezione necessarie per limitare e/o diminuire il fenomeno infortunistico/incidentale
f) Messa in atto di un efficiente programma di controllo e misurazione nel tempo dell'efficacia della azioni intraprese
g) Realizzazione di un osservatorio di rilevamento nazionale o comunitario degli eventi infortunistici
Proposta di predisposizione di un Osservatorio sul fenomeno infortunistico nazionale (OFIN), con finalità di armonizzazione e centralizzazione del flusso informativo, relativo agli eventi infortunistici e/o incidentali che possono interessare il settore lavorativo e sociale. La gestione dell'OFIN potrebbe essere demandata agli Assessorati regionali alla famiglia ed ai servizi sociali.

h) Estensione della rete di collegamento informatizzata con l'Agenzia europea per la sicurezza di Bilbao
L'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul Lavoro di Bilbao ha elaborato un «Piano di gestione annuale e programma di lavoro per il 2008» che prevede tra i suoi obiettivi principali quello di migliorare l'informazione per il settore dei trasporti stradali, ivi comprese informazioni su come risolvere alcuni problemi di salute e sicurezza del lavoro (SSL) del settore.
Sempre secondo il piano dell'Agenzia europea, i programmi e le pratiche che riguardano le principali questioni di SSL del settore devono quindi essere incentrati sul luogo di lavoro e si devono rivolgere in particolare alle PMI e ai conducenti di veicoli che lavorano in modo autonomo. Devono inoltre fornire un quadro delle condizioni di sicurezza e salute sul lavoro dei conducenti di veicoli e concentrare l'attenzione sul trasporto stradale di merci, ivi compreso il trasporto di sostanze pericolose e il trasporto di persone.

i) Promozione e sviluppo di nuove tecnologie per la tutela del conducente, dei trasportati e della popolazione ambientale: tecnologie dedicate alle macchine, tecnologie dedicate all'uomo e tecnologie dedicate all'ambiente viabilistico
Di grande rilevanza riveste l'impiego di nuove tecnologie da impegnare nel campo della sicurezza, anche nel settore dei trasporti con il diretto coinvolgimento dei progettisti e dei costruttori delle varie tipologie dei mezzi di trasporto.

l) Piano di implementazione della cultura della sicurezza nel settore trasporti attraverso momenti informativi, formativi e di addestramento professionale
A seguito degli interventi di rilevamento, analisi ed elaborazione dati precedentemente effettuati, si potrà predisporre un piano informativo/formativo verso i soggetti destinatari del presente progetto, che tenga conto non solo dell'evoluzione tecnologica della sicurezza, ma anche di un massivo e qualificato investimento verso un coinvolgimento attivo psico-sociale, teso a realizzare un reale cambiamento della abitudini comportamentali dei conducenti dei mezzi di trasporto.
In tale ambito, considerati i risultati ottenuti dalle suddette valutazioni, potranno essere sviluppate iniziative nel campo scolastico e professionale destinate a modificare atteggiamenti non conformi e abitudini anomale che rappresentano, in percentuale, uno degli elementi di maggior causa del fenomeno infortunistico incidentale.

m) Sistema di comunicazione della sicurezza attraverso i media
Predisposizione di un adeguato «sistema di comunicazione sulla sicurezza» con il coinvolgimento armonizzato dei vari enti di comunicazione privati e pubblici, che devono necessariamente coordinarsi al fine di produrre un flusso informativo di sicurezza mirato alle reali necessita dei vari settori.

n) Riorganizzazione e ottimizzazione dell'attività degli enti di controllo e di vigilanza competenti in materia
In attesa di decreti attuativi e di linee guida, si propone di monitorare e seguire l'attività di controllo stimolando i vari enti, che operano sul territorio, a momenti di integrazione, aggiornamento e cooperazione.
Gli enti principalmente interessati a tal fine sono:
- ASL
- INAIL
- ISPESL
- Direzione Provinciale del Lavoro
- Regioni, Province e Comuni
- Forze dell'ordine.

o) Sistema di monitoraggio degli eventi, proposte e integrazioni tecniche, organizzative comunicative e formative aggiornamenti normativi
In relazione al numero degli infortuni ed alla gravita, si può) considerare prioritario il settore stradale rispetto a quelli ferroviario, marittimo ed aereo.


4.5.4. Organismi di vigilanza e controllo
Alle funzioni di vigilanza e di controllo in materia di sicurezza e salute sul lavoro sono preposti, con incarichi differenti, i seguenti enti:
- Azienda Sanitaria Locale
- Direzione Provinciale del Lavoro
- INAIL
- ISPESL
- Vigili del Fuoco
- Polizia municipale, comunale e regionale
- Polizia stradale, Carabinieri, Guardia di Finanza
- Corpo forestale dello Stato
- Enti di controllo marittimo
- Enti di controllo aereo
- INPS.


4.5.5. Conclusioni

- Gli obiettivi di tale progetto riguardano:
- promuovere la consapevolezza di un'azione organizzativa orientata alla sicurezza, come strumento gestionale concreto, fattibile e poco oneroso;
- raccogliere dati del fenomeno infortunistico e analizzare gli infortuni nel settore trasporti, suddivisi per ambiti, tipologie aziendali e mansioni lavorative;
- garantire linee informative per la prevenzione anche a proposito di sicurezza nell'impiego di apparecchiature di sollevamento, orario e modalità di lavoro;
- diminuire l'incidenza di infortuni, per tipologia di rischi, connessi all'attività lavorativa;
- reperire dati e monitorare l'infortunio in itinere;
- controllare e verificare le azioni di sicurezza adottate;
- creare una rete tra enti locali, associazioni e sindacati per promuovere, monitorare e garantire la sicurezza sul luogo di lavoro.


4.6. Gruppo di lavoro sull'edilizia, le costruzioni e gli appalti pubblici
Nel mondo dell'edilizia, come è noto, si registra il più alto numero di incidenti e di morti sul lavoro. Dagli ultimi dati INAIL emerge infatti che quasi il 40 per cento dei morti sul luogo di lavoro si verifica in questo comparto.
Le associazioni datoriali, quindi l'ANCE (Associazione nazionale costruttori edili), e i sindacati del settore edile (auditi dalla Commissione nella seduta del 25 marzo 2009), hanno condiviso con qualche proposta, per ora di natura contrattuale, il problema relativo al fenomeno degli infortuni sul luogo di lavoro.
Allacciandoci al Testo unico sulla tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro, si potrebbe far riferimento ad una disposizione contrattuale cui si dà molto valore, che prevede un corso di formazione obbligatorio di 16 ore per tutti i nuovi assunti nel settore edile.
Con i sindacati si è concordato, in via sperimentale per un biennio, una norma contrattuale in base alla quale tutti i lavoratori che per la prima volta accedono ad un cantiere devono prendere parte ad un corso formativo di 16 ore prima dell'assunzione.
Il corso si svolge presso le scuole edili.
Ricordiamo, inoltre, che in considerazione dell'attuale grave crisi economica, che coinvolge anche e soprattutto l'edilizia, tutte le parti sociali del settore hanno firmato un protocollo d'intesa di più ampio respiro, all'interno del quale è stata confermata l'esigenza di supportare, anche con agevolazioni contributive e fiscali, le imprese più virtuose che si avvalgono del sistema degli enti paritetici, ivi compresi tra l'altro i rappresentanti territoriali per la sicurezza (RLST), presenti ormai su ben oltre il 50 per cento del territorio italiano.
Altra proposta ANCE, che si avvale di utilizzare nuove tecnologie, è appunto un progetto denominato «Cantiere intelligente» per mettere a punto alcuni sistemi tecnici (ad esempio, sensori acustici) che consentono di allertare direttamente l'operatore che non sta adottando le misure di sicurezza (nel caso delle cadute dall'alto, ad esempio, indossare l'imbracatura e agganciarsi al ponteggio). Si tratta di sistemi tecnici molto banali, facilmente realizzabili dal punto di vista tecnico anche nei cantieri; pensiamo, ad esempio, all'inserimento di sensori acustici nelle cinture di sicurezza e negli elementi che scattano in caso di non utilizzo.
L'ANCE, il CNR (Consiglio nazionale delle ricerche), il Ministero del Lavoro, l'INAIL, l'ISPESL e tutti i soggetti coinvolti nella prevenzione devono lavorare congiuntamente per una proficua rivisitazione del Testo unico sulla sicurezza sui luoghi di lavoro.
Un altro aspetto tecnico sul quale soffermarci concerne la pianificazione della sicurezza. Sappiamo che esiste l'obbligo normativo della predisposizione di piani di sicurezza e coordinamento per tutti i cantieri. La predisposizione di questi piani a progetto della sicurezza è fatta dalle stazioni appaltanti, senza tenere assolutamente conto della specifica realtà dei cantieri.
Esistono piani di sicurezza scritti male, con costi spesso sottostimati o addirittura non evidenziati.
Sappiamo invece che uno dei principali obiettivi della direttiva comunitaria 92/57 sui cantieri temporanei e mobili - da cui è scaturito il decreto legislativo n. 81 del 2008 - è evitare che i costi della sicurezza siano assoggettati a ribasso d'asta, così come avviene per le opere. Nei bandi di gara il costo della sicurezza deve essere indicato a parte e su di esso non deve essere praticato alcun ribasso. Molto spesso le stazioni appaltanti sottostimano l'onere per la sicurezza o, addirittura, non lo evidenziano. Su questo aspetto la Commissione deve riflettere e produrre modifiche al Testo unico in modo tale da stigmatizzare ancora di più tali comportamenti. Quindi, vigilare e punire chi disattende tali norme. La validazione dei piani di sicurezza deve, quindi, essere sempre precedente e attenta, proteggendo massimamente il lavoratore; questo è l'impegno di questa Commissione; questo dovrebbe essere l'impegno del Governo.
Questa Commissione ha analizzato e approfondito, chiaramente, in questo primo anno di lavoro i possibili interventi per la prevenzione degli infortuni nel settore delle costruzioni, avvalendosi anche della consulenza tecnica dell'ISPESL, che ha svolto al riguardo una specifica ricerca, i cui risultati sono illustrati di seguito.
Le costruzioni sono da sempre uno dei comparti a maggior rischio di infortunio e le problematiche di sicurezza sono più difficili da affrontare, soprattutto nel settore delle PMI (piccole e medie imprese) che generalmente non possiedono una organizzazione aziendale ed una struttura adeguata in grado di realizzare agevolmente la necessaria politica di prevenzione9.
Per la riduzione del fenomeno è necessario agire in diverse direzioni e l'individuazione delle misure progettuali, organizzative e tecniche, adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi con le attività effettuate nei cantieri temporanei o mobili, si rende ancor più necessaria in virtù di aspetti come la frammentazione delle imprese con la nascita di piccole entità.
Nell'ambito delle problematiche evidenziate una soluzione è affidata alla innovazione tecnologica relativa al miglioramento della sicurezza delle opere provvisionali, ma anche ad un efficace controllo delle opere provvisionali utilizzate.
Le opere provvisionali costituiscono una grande varietà di apprestamenti.
Il Testo unico sulla sicurezza richiama gli obblighi sulle misure preventive/protettive, ma mentre per le attrezzature di lavoro richiede che siano oggetto di idonea manutenzione e di controlli periodici (articolo 71), per le opere provvisionali, se si escludono i ponteggi (articolo 137 - «Manutenzione e revisione», ed allegato XIX - «Verifiche di sicurezza ponteggi metallici fissi») non fa cenno specifico a questa tipologia di prescrizione, se non in forma generale (articolo 112 - «Idoneità delle opere provvisionali») prescrivendo il mantenimento «in efficienza per la intera durata del lavoro».
Resta, quindi, per le opere provvisionali fare riferimento, in congiunta all'articolo 112, alle misure generali di tutela ed agli obblighi dettati 1) dall'articolo 15, comma 1, lettera f), «la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso», e 2) dall'articolo 18, comma 1, lettera z), «aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza sul lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione».
Al fine di evitare di favorire una interpretazione personalizzata ed una ricerca a macchia di leopardo alquanto dispersiva dei disposti che riguardano il controllo e la manutenzione delle opere provvisionali (apprestamenti che ricadono in un settore come quello delle costruzioni ad alto rischio di accadimento di incidenti), si ritiene opportuno suggerire di modificare l'articolo 112 del decreto legislativo n. 81 del 2008, introducendo un comma riguardante la manutenzione ed i controlli delle opere provvisionali, prescrivendo eventuali sostituzioni degli elementi non più idonei.
Si ritiene inoltre opportuno, in similarità con l'articolo 72 («Obblighi dei noleggiatori e dei concedenti in uso delle attrezzature di lavoro») del sopracitato decreto, introdurre un nuovo articolo che disponga che chiunque venda, noleggi o conceda in uso o locazione finanziaria opere provvisionali, deve attestare, sotto la propria responsabilità, che le stesse siano conformi, al momento della consegna a chi acquisti, riceva in uso, noleggio o locazione finanziaria, ai requisiti di sicurezza disposti dalla legislazione e/o dalla normazione tecnica di prodotto applicabile.
Quanto sopra dovrebbe «costringere» i soggetti interessati a valutare lo stato delle opere provvisionali e a sostituirle quando valutate non più idonee all'uso.
La sicurezza strutturale nelle opere provvisionali, che ha un rilievo essenziale, dipende da numerosi parametri, quali: la frequenza d'uso, il numero dei montaggi e smontaggi, il corretto stoccaggio dei componenti. In relazione a ciò, non essendo possibile stabilire una durata limite della loro vita, la valutazione della loro dismissione potrebbe consistere, in analogia con le sopracitate verifiche sui ponteggi, in dei controlli minimali, riguardanti ad esempio, lo stato di conservazione della protezione contro la corrosione, gli spessori, la linearità degli elementi in strutture snelle, la mancanza di deformazioni e/o danneggiamenti negli elementi portanti, l'efficienza dei sistemi di collegamento e di fissaggio. Le suddette verifiche, tenendo conto che gli accertamenti dovrebbero essere effettuati principalmente in cantiere, dovrebbero essere eseguite solo in modalità visiva e/o funzionale, mentre la modalità strumentale riguarderebbe solo la misura degli spessori in presenza di corrosione. Dovrebbero essere previsti controlli mirati prima, durante e dopo un nuovo ciclo di impiego.
Per i ponteggi, in aggiunta alle verifiche disposte dall'allegato XIX del decreto legislativo n. 81 del 2008, che interessano la sicurezza strutturale, si potrebbe richiedere la sostituzione dei ponteggi a telai utilizzanti «parapetti tradizionali», con quelli impieganti «parapetti di sicurezza temporanei o permanenti», che riguardano la protezione contro le cadute dall'alto, tipologia di incidente che più frequentemente accade nelle fasi di montaggio e smontaggio del ponteggio.
La seguente descrizione dovrebbe chiarire il concetto di sicurezza intrinseca contro le cadute dall'alto, fornito dai «parapetti di sicurezza».
Il criterio di fondo da adottare per lo svolgimento di tale attività, sottolineato dal decreto legislativo n. 81 2008, relativo alle misure generali di tutela (articolo 15) e ai requisiti minimi di sicurezza e di salute per l'uso delle attrezzature di lavoro per eseguire lavori temporanei in quota (articolo 75), è quello di dare la priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuali.
Inoltre, lo stesso decreto, sempre con l'articolo 15, al comma 1, lettera c), dispone che le misure di tutela dei lavoratori prevedano «l'eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico».
Allo stato attuale del progresso tecnologico sono stati approntati, per alcune tipologie di ponteggio, dei parapetti di tipo permanente o temporaneo, a seconda che vengano mantenuti in opera o meno nella fase di esercizio del ponteggio, progettati per essere montati dal basso per la protezione del piano di lavoro superiore a mezzo di un opportuno sistema di vincoli, realizzato sui montanti di piano.
Lo scopo perseguito con l'utilizzo di tali misure di protezione contro la caduta risulta quello di proteggere i lavoratori che si portano al livello superiore per il montaggio, smontaggio e trasformazione, riducendo notevolmente il rischio, che si concretizza, invece, quando si utilizzi come protezione soltanto un DPI (dispositivo di protezione individuale) di arresto della caduta, sia nella fase di collegamento del cordino di trattenuta alla linea di ancoraggio (linea di vita), sia durante tutte le fasi lavorative per la presenza costante dei rischi residui dovuti allo stesso intervento del DPI di arresto della caduta.
La misura di protezione collettiva risulta efficace per la riduzione del rischio anche nelle operazioni di sollevamento e di ricevimento degli elementi prefabbricati da parte del lavoratore. Il lavoratore risulta infatti protetto dal rischio connesso allo sporgersi per il recupero del materiale sollevato.
In sintesi gli interventi proposti sono:
- modifica dell'articolo 112 del decreto legislativo n. 81 del 2008, con l'introduzione di un comma riguardante la manutenzione, i controlli delle opere provvisionali e la prescrizione di eventuali sostituzioni degli elementi non più idonei;
- introduzione, in similarità con l'articolo 72 del decreto legislativo n. 81 del 2008 («Obblighi dei noleggiatori e dei concedenti in uso delle attrezzature di lavoro») di un nuovo articolo che disponga che chiunque venda, noleggi o conceda in uso o locazione finanziaria opere provvisionali, deve attestare, sotto la propria responsabilità, che le stesse siano conformi al momento della consegna a chi acquisti, riceva in uso, noleggio o locazione finanziaria, ai requisiti di sicurezza disposti dalla legislazione e/ o dalla normazione tecnica di prodotto applicabile;
- per i ponteggi, in aggiunta alle verifiche disposte dall'allegato XIX del decreto legislativo n. 81 del 2008, che interessano la sicurezza strutturale, si potrebbe richiedere la sostituzione dei ponteggi a telai utilizzanti «parapetti tradizionali», con quelli impieganti «parapetti di sicurezza temporanei o permanenti», che riguardano la protezione contro le cadute dall'alto, tipologia di incidente che più frequentemente accade nelle fasi di montaggio e smontaggio del ponteggio;
- programma di rottamazione e/o sostituzione delle opere provvisionali affiancato da una serie di incentivi, soprattutto di carattere economico e fiscale, che spingano le aziende ad intervenire in tal senso.



5. GLI APPROFONDIMENTI su TEMI PARTICOLARI

5.1. L'attuazione e le modifiche del decreto legislativo n. 81 del 2008
Come si è accennato all'inizio della presente relazione, fin dall'avvio dei suoi lavori la Commissione si è dovuta confrontare con i problemi e le novità legate all'attuazione della disciplina recata dalla legge n. 123 del 2007 e dal connesso decreto legislativo n. 81 del 2008, meglio conosciuto - sebbene in maniera impropria - come Testo unico delle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
La riforma ha da un lato confermato e dall'altro profondamente innovato l'assetto preesistente, riunendo per la prima volta in un corpus finalmente organico ed esaustivo le varie norme di una materia complessa e multiforme e definendo in maniera puntuale istituti e figure prima non chiaramente riconoscibili. Tutto ciò ha comportato però notevoli esigenze di adeguamento per tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti nel sistema della prevenzione degli infortuni sul lavoro, ponendo una serie di problemi interpretativi e applicativi nonché, soprattutto da parte del mondo imprenditoriale, richieste di semplificazione di alcuni adempimenti ritenuti eccessivamente formali o burocratici e di rimodulazione dell'apparato sanzionatorio.
Di tali aspetti si è cercato di dare conto nelle pagine precedenti, sia per richiamare l'attenzione su quelli che erano e sono tuttora i punti più cruciali per il successo delle strategie di prevenzione e repressione del fenomeno infortunistico, sia per illustrare quella che è stata l'attività conoscitiva della Commissione in tale contesto. L'impegno della Commissione d'inchiesta su tale fronte non è stato però solo di indagine e di approfondimento: pur nei limiti previsti dal proprio mandato istitutivo, infatti, la Commissione ha cercato anche di segnalare eventuali modifiche normative che apparivano utili per una migliore applicazione delle disposizioni, come pure quelle innovazioni che erano invece suscettibili di determinare problemi interpretativi o applicativi e che, in quanto tali, era preferibile non adottare.
Questa attività, che si è sempre esplicata mediante uno stretto e costante raccordo istituzionale con il Governo e le Commissioni parlamentari competenti per materia, ha conosciuto una fase importante nel febbraio 2009, in occasione della discussione in Senato del disegno di legge n. 1305, di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti. Nel corso dell'esame in Assemblea, infatti, erano stati presentati una serie di emendamenti al suddetto testo che modificavano varie disposizioni del decreto legislativo n. 81 suscettibili, ove approvati, di determinare un vulnus ad alcuni importanti istituti di tutela e di garanzia per la salute e la sicurezza dei lavoratori, con il rischio anche di accreditare presso l'opinione pubblica l'impressione erronea di una scarsa attenzione verso tali tematiche.
Tra le proposte emendative in questione, ve ne erano in particolare alcune che tendevano a derogare all'obbligo di comunicare entro il giorno antecedente le nuove assunzioni di talune categorie di lavoratori, con il rischio che infortuni sul lavoro di lavoratori irregolari venissero denunciati artificiosamente come verificatisi il giorno stesso dell'assunzione. Altre proposte escludevano l'elezione e la designazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza nelle aziende con meno di 15 dipendenti, anche nell'ipotesi di un unico rappresentante in ambito territoriale o settoriale per più aziende, vanificando di fatto uno dei punti più qualificanti della normativa recata dal Testo unico.
Proprio al fine di scongiurare tale evenienza, il presidente Tofani, a nome della Commissione, in data 11 febbraio 2009 ha inviato una lettera al Ministro del lavoro, per segnalare in maniera puntuale gli effetti dei vari emendamenti, chiedendo che gli stessi non fossero inclusi nel testo finale dell'atto Senato n. 1305, sul quale peraltro il Governo aveva posto la questione di fiducia. Il Governo ha dimostrato notevole sensibilità su questo punto e, pertanto, le proposte emendative segnalate non sono state recepite nel testo finale del disegno di legge (successivamente approvato come legge 27 febbraio 2009, n. 14).
Il contributo della Commissione si è esplicato però soprattutto con riferimento al complessivo processo di rivisitazione e riscrittura del decreto legislativo n. 81 del 2008, avviato dal Governo con un ampio confronto tra le parti sociali e sfociato nella presentazione, nel marzo 2009, di uno schema di decreto legislativo correttivo. Tale schema ha ricevuto da subito notevole attenzione, anche dai mezzi di informazione e dall'opinione pubblica, divenendo oggetto di un dibattito ampio, articolato e a tratti perfino aspro sia in sede politica che sindacale. Al di la delle singole disposizioni, infatti, vi era una valutazione divergente tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione, come pure tra le organizzazioni imprenditoriali e sindacali.
Per tali ragioni ed in considerazione anche del proprio mandato istituzionale, la Commissione d'inchiesta ha ritenuto di non potersi esimere dall'approfondire gli effetti derivanti delle modifiche ed integrazioni al Testo unico proposte dallo schema di decreto del Governo. Pur senza interferire con le attribuzioni spettanti alle Commissioni parlamentari di merito, chiamate a rendere il prescritto parere al Governo, la Commissione ha quindi avviato un'attenta disamina del testo.
In primo luogo, nelle sedute del 21 e 28 aprile 2009, è stato audito lo stesso Ministro del lavoro, il quale ha illustrato le linee guida generali dello schema di decreto correttivo, soffermandosi in particolare sulle questioni concernenti gli articoli 2-bis e 15-bis che lo schema intendeva introdurre nel Testo unico e sulle quali si era particolarmente concentrata l'attenzione delle forze politiche e della stessa opinione pubblica. Proprio alla luce dei chiarimenti forniti dal rappresentante del Governo e tenuto conto anche del parere negativo espresso poco tempo prima in merito dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, la Commissione ha avviato una riflessione riguardo a queste due disposizioni e alle conseguenze della loro concreta applicazione. Come risulta anche dai resoconti delle sedute del 12 e del 19 maggio 2009, nel relativo dibattito, pur nell'articolazione delle posizioni tra la maggioranza e l'opposizione, sono emersi a giudizio della Commissione una serie di problemi interpretativi riguardo alle disposizioni citate, meritevoli di un'attenta valutazione e tali da consigliare una eventuale riscrittura delle norme stesse.
Per quanto riguarda l'articolo 2-bis, lo stesso conferiva una presunzione di conformità alle prescrizioni del decreto legislativo n. 81, a fronte dell'assunzione da parte delle aziende di una serie di comportamenti tecnico-organizzativi (buone prassi, modelli organizzativi e gestionali certificati, utilizzo di macchine marcate CE). Le perplessità derivavano dal fatto che la formulazione della disposizione, non specificandosi che la presunzione di conformità aveva solo valore relativo e non assoluto, poteva configurare una sorta di esimente giuridica generale per la responsabilità delle aziende in materia di salute e sicurezza del lavoro, senza possibilità di controverifica da parte delle autorità preposte. Ne l'affidamento della certificazione dei modelli di organizzazione e gestione a commissioni costituite da enti bilaterali ed università sembrava offrire le necessarie garanzie di terzietà e di competenza tecnico-scientifica. Infine, forti dubbi sollevava la previsione di una presunzione di conformità legata al semplice utilizzo di macchine marcate CE, posto che la Commissione aveva verificato direttamente, specie nel campo delle macchine agricole e forestali, che tale marchio non è di per sé sempre garanzia che le macchine siano dotate di tutti i necessari dispositivi di sicurezza.
L'altra norma, quella recata dal nuovo articolo 15-bis, riguardava la delimitazione dei soggetti responsabili per i reati commessi mediante la violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni e sull'igiene sul lavoro. L'articolo introduceva alcune condizioni, ai fini dell'imputazione della responsabilità a tutti i soggetti per i quali le singole norme del Testo unico comminano in astratto le sanzioni, ossia i titolari di una specifica posizione di garanzia (datori di lavoro, dirigenti, medici competenti, consulenti esterni, preposti, lavoratori, ecc.), onde evitare incongrue ipotesi di «responsabilità oggettiva» a carico degli stessi soggetti. Venivano individuati così ulteriori presupposti, rispetto a quelli generali di cui al codice penale, in ordine alla sussistenza del dolo o della colpa. La formulazione della norma, tuttavia, lasciava adito a notevoli dubbi interpretativi, in quanto sembrava introdurre una sorta di esimente generale per la responsabilità omissiva di determinati soggetti (in particolare del datore di lavoro o del dirigente) qualora l'evento lesivo fosse altresì riconducibile alla condotta colposa di uno degli altri soggetti titolari delle posizioni di garanzia. In pratica il rischio era che, essendo spesso l'infortunio riconducibile almeno in parte ad un concorso di colpa del lavoratore, venisse in tutti i casi esclusa la responsabilità del titolare dell'azienda o del dirigente, con ciò configurando una sorta di impunita degli stessi.
Il presidente Tofani, a nome della Commissione, ha quindi indirizzato una lettera al Ministro Sacconi, in data 19 maggio 2009, al fine di renderlo partecipe delle considerazioni emerse dal dibattito in Commissione, segnalando oltre alle posizioni di maggioranza ed opposizione, alcune ipotesi di riformulazione delle disposizioni. I rilievi individuati dalla Commissione hanno del resto trovato puntuale corrispondenza anche nei pareri espressi al Governo dalle Commissioni di merito: peraltro, già nelle audizioni davanti alla Commissione d'inchiesta, il Ministro del lavoro si era subito detto disponibile a rivedere le disposizioni di cui agli articoli 2-bis e 15-bis, al fine di escludere ogni possibile fraintendimento o effetto indesiderato.
Nel testo definitivo del decreto legislativo n. 106 del 2009 sono stati espunti sia l'articolo 2-bis sia l'articolo 15-bis. Per quanto riguarda i profili dell'articolo 2-bis,è da segnalare una norma contenuta nell'articolo 30 del testo correttivo, la quale si limita a prevedere che gli organi di vigilanza, ai fini della programmazione della propria attività, possano tener conto del fatto che un'azienda sia stata eventualmente oggetto di un accertamento positivo - da parte degli organismi paritetici - circa l'adozione e l'efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza.
Per quanto concerne invece i profili dell'articolo 15-bis, nel testo correttivo vi è una norma dell'articolo 13, il cui ultimo comma prevede che i datori e i dirigenti non siano responsabili qualora la mancata attuazione degli obblighi sia addebitabile unicamente agli altri soggetti (preposti, medici, e così via) e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore e del dirigente.
Va osservato, infine, che il decreto legislativo n. 106 ha accolto numerose altre indicazioni contenute nei pareri delle Commissioni di merito e scaturite anche dal lavoro di approfondimento svolto dalla Commissione d'inchiesta. Naturalmente molte questioni rimangono ancora aperte ed è prematuro formulare una valutazione circa l'efficacia o meno delle nuove disposizioni. Ciò che comunque può essere affermato è, ancora una volta, la necessità che si proceda quanto prima ad una piena e completa attuazione di tutti gli aspetti della disciplina, per superare le incertezze normative degli ultimi mesi ed offrire finalmente un quadro di riferimento chiaro a tutti gli operatori del settore, sul quale si possa esercitare e misurare la nuova politica di prevenzione e repressione del fenomeno degli infortuni sul lavoro.


5.2. Le macchine e le attrezzature agricole e forestali e quelle per l'edilizia10
La questione degli infortuni sul lavoro legati all'utilizzo delle macchine e delle attrezzature agricole e forestali è emersa la prima volta in occasione dell'audizione delle organizzazioni del comparto agricolo svoltasi il 27 gennaio 2009, quando è stato evidenziato come la principale causa di infortuni del settore sia appunto l'uso di macchine ed attrezzature, principalmente per errori e negligenze degli operatori, ma spesso anche per un'intrinseca inadeguatezza dei macchinari stessi, che non sono a norma o non risultano comunque muniti di tutti gli idonei dispositivi di sicurezza.
Tali problemi riguardano in genere le macchine più vecchie e tecnologicamente obsolete, purtroppo ancora molto diffuse: in Italia, infatti, il parco delle macchine agricole e forestali attualmente circolante è assai vecchio, con un'età media di 25 anni, in quanto a causa degli alti costi molti preferiscono tenere le vecchie macchine piuttosto che sostituirle o adeguarle. Le organizzazioni del settore, però , hanno segnalato come talvolta anche le macchine di nuova immissione sul mercato, pur formalmente in regola, possano presentare difetti o non essere dotati dei dispositivi più adeguati per garantire la sicurezza degli operatori in determinate condizioni lavorative.
Questa segnalazione, di per se preoccupante, è stata raccolta dalla Commissione, che ha approfondito la questione nella successiva audizione dell'11 febbraio 2009, nella quale sono state ascoltate e messe a confronto le organizzazioni rappresentative del settore dell'agricoltura e di quello dei costruttori di macchine agricole. Il dibattito ha fatto riferimento ai dati ufficiali degli infortuni legati all'uso di macchine agricole e forestali contenuti nel V Rapporto biennale dell'ISPESL (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro) sull'attività di sorveglianza del mercato delle macchine con il marchio CE, svolta dall'Istituto per conto del Ministero dello sviluppo economico, tendenti a dimostrare che i casi di macchine agricole non a norma o comunque non corredate di adeguati dispositivi di sicurezza sono in numero abbastanza esiguo, in quanto sono solo quelli riscontrati dall'ISPESL che, operando solo su segnalazione, non possono esaurire l'intero parco macchine circolante.
Al fine di acquisire elementi più chiari sulla questione, in una successiva audizione del 17 febbraio 2009 la Commissione ha quindi interpellato sulla questione i rappresentanti dell'ISPESL che, come indicato prima, è l'organismo ufficiale incaricato dal Ministero dello sviluppo economico di svolgere la sorveglianza di mercato delle macchine a marchio CE e che ha, inoltre, un rilevante know-how proprio per quanto riguarda i mezzi del settore agro-forestale.
Gli esperti dell'ISPESL hanno chiarito come, in base alle attuali direttive dell'Unione europea, tutte le macchine agricole in uso debbano obbligatoriamente essere munite di specifiche dotazioni di sicurezza. In particolare, i trattori e le motrici devono avere sia le cinture di sicurezza che i dispositivi antiribaltamento, in quanto indispensabili per prevenire le più frequenti cause di incidenti che si riscontrano per questi veicoli. Sul tema sono state peraltro elaborate già da tempo specifiche linee guida mediante il confronto tra i Ministeri competenti, l'ISPESL ed i rappresentanti delle organizzazioni agricole e dei costruttori, alle quali però non risulta ancora sia stata data completa attuazione.
Purtroppo, si dimostra che il problema della sicurezza delle macchine agricole non riguarda solo i mezzi vecchi già in circolazione che non vengono adeguati, ma talvolta anche i mezzi nuovi. Nei controlli effettuati dall'ISPESL, infatti, sono emersi vari tipi di anomalie spesso di carattere strutturale, anche su macchine nuove le quali, pur munite delle relative certificazioni (rilasciate dallo stesso costruttore o anche emesse da un ente esterno), possono però talvolta presentare ugualmente carenze oggettive sul fronte della sicurezza. In termini numerici, delle macchine di nuova immissione sul mercato controllate dall'ISPESL il 65,6 per cento sono risultate non conformi, il 27 per cento sono state rese conformi in seguito agli accertamenti e solo il 7,4 per cento sono risultate pienamente a norma.
Purtroppo l'ISPESL effettua i suoi controlli sulle macchine in casi limitati, dietro segnalazione degli ispettori ministeriali o in seguito ad incidenti. Se le verifiche riscontrano carenze, queste vengono segnalate agli organismi competenti, anche in sede europea: in molti casi si è riusciti ad esempio ad obbligare i costruttori ad adeguare le macchine difettose e anche a modificare le normative di settore, quando si sono rivelate insufficienti. Sfortunatamente, nonostante le ripetute sollecitazioni dell'ISPESL e dei competenti organismi di vigilanza, non sempre i costruttori di macchine risultano aver pienamente adeguato i mezzi prodotti con tutti i necessari dispositivi di sicurezza.
Peraltro, occorre distinguere fra i trattori e le macchine agricole in genere, essendo i primi, in quanto veicoli stradali, sottoposti ai fini della messa in commercio esclusivamente all'omologazione del Ministero dei trasporti, sia per i profili della sicurezza stradale che per quelli della sicurezza lavorativa. Ciò ha determinato alcune lacune normative, specie per i trattori di massa ridotta, per i quali ad esempio non era previsto l'obbligo delle cinture di sicurezza. Altro problema molto rilevante è l'assenza dei dispositivi antiribaltamento sia sui trattori che sulle macchine semoventi, di grandi e di piccole dimensioni. Solo nel 2008 l'ISPESL, sulla base di ricerche effettuate sui principali mezzi di informazione ovvero a seguito di comunicazioni da parte degli organi di vigilanza territoriale, ha rilevato 168 eventi infortunistici connessi con l'uso del trattore, dei quali 126 sono stati mortali. Quelli determinati dal capovolgimento del trattore ammontano a 153 di cui 114 mortali. Tale tendenza è purtroppo confermata anche dai dati parziali per il 2009: da gennaio a luglio si sono avuti 113 eventi infortunistici legati all'uso del trattore di cui 75 mortali. Quelli determinati dal capovolgimento del trattore ammontano a 98, di cui 68 mortali.
Le cifre indicate sono superiori a quelle solitamente registrate dall'INAIL, in quanto quest'ultimo, ai sensi della legge n. 243 del 1993, rileva solo gli infortuni occorsi ai lavoratori professionalmente addetti, escludendo quelli (pur numerosi) che riguardano operatori agricoli occasionali e non professionali. Si tratta dunque di un problema molto serio, che investe molteplici profili, da quello delle carenze nei dispositivi di sicurezza o nelle normative di settore, a quello del comportamento dell'operatore, che si ricollega al tema più ampio della formazione-informazione in tema di sicurezza dei lavoratori.
Gli esperti dell'ISPESL, come pure i rappresentanti delle imprese del settore agricolo, hanno però evidenziato chiaramente che qualunque soluzione normativa o campagna di sensibilizzazione risulterebbe inefficace se non fosse accompagnata da adeguate misure di incentivazione volte a favorire la sostituzione delle macchine ed attrezzature più obsolete ovvero la loro messa in sicurezza, specialmente per prevenire il ribaltamento del mezzo (tipicamente il trattore) mediante l'installazione a bordo delle cinture di sicurezza e della cellula di sicurezza. È infatti il caso di ribadire che il ribaltamento costituisce la principale causa di infortunio grave o mortale connessa all'utilizzo del trattore e che in Italia su 1.600.000 trattori circolanti, all'incirca 900.000 sono sprovvisti di strutture di protezione in caso di capovolgimento e circa 1.300.000 non sono muniti di cinture di sicurezza.
Nel corso della sua attività d'indagine, peraltro, la Commissione ha avuto modo di constatare che le problematiche rilevate per le macchine ed attrezzature del settore agro-forestale sono, purtroppo molto simili a quelle del settore edile, dove si riscontrano ugualmente frequenti incidenti legati all'utilizzo dei mezzi, specie quelli per il movimento terra, anche in questo caso generalmente per il ribaltamento degli stessi. Per quanto riguarda invece le attrezzature, gli infortuni più gravi o mortali nel settore edile sono legati all'instabilità o all'inadeguatezza delle cosiddette «opere provvisionali», in particolare le strutture di sostegno come impalcature, ponteggi e piattaforme, in ordine alle quali si verificano frequentemente cedimenti o cadute, per l'assenza di elementi di protezione. Nel caso specifico, la causa è legata generalmente alla presenza di strutture assai vecchie e tecnologicamente superate che vengono, per evidenti motivi di risparmi sui costi, riutilizzate più volte da un cantiere all'altro. Peraltro, gli esperti del settore segnalano che il modo più efficace di ridurre al minimo il rischio di caduta dall'alto è quello di privilegiare le misure di protezione collettiva rispetto a quelle di protezione individuale generalmente utilizzate.
Al fine di raccogliere le sollecitazioni provenienti sia dagli operatori del settore agricolo che di quello edile e di offrire un contributo concreto alla risoluzione delle problematiche accennate, la Commissione ha quindi assunto l'iniziativa di promuovere, in accordo con i Ministeri competenti, un'iniziativa legislativa mirante a predisporre forme di incentivazione economico-fiscale per la rottamazione delle macchine ed attrezzature più obsolete, nonché per la messa in sicurezza delle altre. Il primo passo di questa iniziativa si è concretizzato nella presentazione di due ordini del giorno in tal senso (G/1503/2/6 e 10 e G/1503/1/6 e 10) durante l'esame dell'Atto Senato n. 1503, di conversione del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, accolti dal Governo, in data 7 aprile 2009, dinanzi alle Commissioni riunite 6a e10a. Tale iniziativa è stata accolta con grande favore da tutte le categorie produttive interessate, a ulteriore dimostrazione di una esigenza fortemente sentita fra gli operatori.
In secondo luogo, su incarico della Commissione, l'ISPESL ha predisposto una specifica relazione sulla questione, contenente anche una indicazione delle modifiche normative necessarie per assicurare una maggiore sicurezza delle macchine e delle attrezzature stesse ed una maggiore efficacia dei controlli da parte degli organi preposti. Nella stessa relazione, inoltre, sono stati individuati gli interventi tecnici più efficaci per la sostituzione e la messa in sicurezza delle macchine e delle attrezzature, con una stima dei relativi costi.
La relazione è stata poi messa a disposizione anche dei Ministeri competenti, con i quali sono stati già avviati i necessari contatti per addivenire alla presentazione vera e propria delle norme di incentivazione, assicurando nel contempo la correttezza tecnica e la necessaria copertura finanziaria.


5.3. Gli infortuni nel settore del recapito postale
Nel marzo 2009, la Commissione ha ricevuto la segnalazione di una serie di incidenti, anche mortali, nel settore del recapito postale, che avrebbero coinvolto in particolare i portalettere circolanti su ciclomotori. Sempre secondo le notizie raccolte dalla Commissione, dal marzo 2008 al gennaio 2009 si sarebbero avuti ben 12 decessi di questo tipo, in netto aumento rispetto agli anni precedenti.
Al fine di verificare la fondatezza di tali notizie e gli eventuali rimedi da predisporre, la Commissione ha quindi convocato in audizione, nella seduta del 24 marzo 2009, sia i sindacati del settore post-telegrafonico che i vertici dell'azienda Poste Italiane S.p.A. I sindacati, dal canto loro, hanno confermato il numero crescente di incidenti che ha interessato, soprattutto nei due anni precedenti, i lavoratori adibiti al recapito della corrispondenza. Sui circa 40.000 addetti del settore, oltre 20.000 utilizzano motocicli e proprio tra questi si concentrerebbe la più alta percentuale di infortuni, di cui alcuni mortali. I rappresentanti dei lavoratori post-telegrafonici hanno evidenziato le problematiche legate all'uso di tali mezzi, trattandosi di un unico modello di ciclomotore (Piaggio Liberty 125) assegnato indistintamente a tutti gli addetti, senza tenere conto delle differenti caratteristiche di genere o di corporatura. Al riguardo, i sindacati hanno altresì lamentato che l'adozione di questi mezzi sarebbe avvenuta in base ad una scelta unilaterale dell'azienda, senza preventivo confronto con i sindacati stessi. Peraltro, la riorganizzazione delle zone di recapito in corso da parte di Poste Italiane S.p.A. determina un incremento dei rischi a causa dei maggiori carichi di corrispondenza e, quindi, del peso trasportato da ciascun mezzo.
Altro problema segnalato è stato quello della sicurezza legata alle rapine negli uffici postali, aggravato dalla sostituzione in talune zone dei presidi fissi con forme di vigilanza itineranti, che si sarebbero rivelate meno efficaci nella prevenzione dei crimini.
In generale, i sindacati hanno sollecitato una maggiore attenzione al rispetto delle regole per la sicurezza e all'igiene dei luoghi di lavoro, spesso ubicati in strutture non sempre adeguate, soprattutto nella trasmissione delle direttive fra il centro e la periferia, auspicando il più forte coinvolgimento degli organismi esistenti in materia (comitati bilaterali rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) ed un più frequente dialogo con i vertici di Poste Italiane S.p.A.
A queste indicazioni fornite dai sindacati del settore postale, si sono contrapposte le argomentazioni avanzate dai vertici di Poste Italiane S.p.A., i quali hanno illustrato nel dettaglio i dati sugli incidenti e sulle morti avvenute negli ultimi due anni fra i lavoratori addetti al recapito della corrispondenza, evidenziando come una quota degli stessi sia in realtà riferita a infortuni in itinere e come l'uso del motomezzo incida solo nel 45 per cento circa degli infortuni complessivi del settore postale, la maggior parte essendo legati all'uso di autoveicoli.
Sono state quindi illustrate le iniziative messe in campo da Poste Italiane S.p.A. per ridurre l'utilizzo dei motoveicoli nel recapito postale e, conseguentemente, i rischi connessi, attraverso l'aumento del numero di veicoli a quattro ruote (auto e quadricicli), certamente più sicuri, e l'aumento delle zone di recapito a piedi e in bicicletta. Inoltre, si è messo in evidenza come l'azienda svolga da tempo corsi di formazione adeguati per gli addetti, in collaborazione con il Ministero dei trasporti. Pur dichiarandosi disponibili ad un confronto diretto con i sindacati sulle problematiche richiamate, quindi, i vertici dell'azienda hanno sostanzialmente negato l'esistenza di un problema grave o allarmante in merito agli incidenti occorsi ai portalettere, che rientrerebbero nei limiti fisiologici degli infortuni stradali e sarebbero anzi nettamente inferiori alla media nazionale.
Per quanto riguarda la scelta di utilizzare un unico tipo di ciclomotore (definito in gergo «mezzo universale unificato») indipendentemente dalle caratteristiche fisiche o di genere degli addetti, si è fatto presente che lo stesso è stato scelto sulla base di una gara internazionale e che si tratta di un mezzo perfettamente omologato e certificato per l'utilizzo cui è adibito. Peraltro, Poste Italiane S.p.A. sostiene di avere sempre mantenuto un confronto costante con le rappresentanze sindacali su tutte le problematiche lavorative. D'altra parte, mentre è evidentemente impensabile ritirare immediatamente tutti gli oltre 20.000 ciclomotori attualmente in dotazione, l'azienda ha già avviato da tempo iniziative volte a ridurne, per quanto possibile, il numero. Infine, si è ribadito che le misure di sicurezza adottate per la vigilanza degli uffici postali contro il rischio di rapine sarebbero in ogni caso adeguate, tenendo anche conto del fatto che esiste un corpo delle forze dell'ordine, la Polizia Postale, che segue specificamente le problematiche di ordine pubblico del settore.
La Commissione ha acquisito anche i dati ufficiali dell'INAIL sugli infortuni avvenuti negli ultimi due anni ai danni di portalettere, ma gli stessi non presentano il grado di dettaglio necessario per confermare o smentire l'esistenza di un rischio rilevante nella guida dei ciclomotori. Tenuto conto, quindi, del fatto che anche il confronto tra le posizioni dei sindacati e quelle dei vertici di Poste Italiane S.p.A. non ha offerto elementi risolutivi sulla questione, la Commissione ha deciso di avviare uno specifico approfondimento, chiedendo a tutte le Procure competenti per ciascuno dei 12 infortuni mortali avvenuti tra il marzo 2008 ed il gennaio 200911 informazioni sulla dinamica e sulle eventuali risultanze delle inchieste avviate.
Tale lavoro di approfondimento è al momento ancora in corso, per cui non è possibile trarre alcuna conclusione in merito. Peraltro, non si può negare comunque l'esistenza di un rischio più elevato per chi utilizza il ciclomotore universale, sia per il notevole carico che il mezzo può talvolta portare nei tre contenitori della posta (anteriore, centrale e posteriore) montati su di esso, sia per il fatto già evidenziato che il mezzo stesso viene utilizzato indistintamente da tutti gli addetti, senza adattamenti che tengano conto delle differenze di corporatura o di genere. Un altro elemento emerso nel confronto con i sindacati e l'azienda, che potrebbe in qualche modo influire sui rischi per la sicurezza dei lavoratori del settore, è il fatto che i portalettere che partono dai cosiddetti Centri primari di distribuzione (CPD) sono soggetti ad un preposto che si occupa anche di controllare e di far rispettare le regole per la sicurezza sul lavoro: esistono però anche i centri secondari, dove la presenza del preposto non è sempre possibile, con il rischio quindi di non poter verificare costantemente il rispetto delle procedure. In base ai rapporti trasmessi dalle Procure sugli incidenti esaminati, ad esempio, è emersa in taluni casi la circostanza che i portalettere coinvolti negli incidenti alla guida di ciclomotori non indossavano il casco ovvero lo tenevano slacciato, con ciò denotando una scarsa attenzione alle regole ed una esigenza di maggiori controlli.
Al di là dunque delle procedure attuate dall'azienda Poste Italiane per garantire la sicurezza dei propri dipendenti e dei luoghi di lavoro, esistono però tutta una serie di aspetti, che possono senz'altro suggerire la necessità di interventi migliorativi o correttivi. Naturalmente la Commissione non ha mancato, anche recentemente, di segnalare tali profili sia all'azienda che ai sindacati di settore e, per quanto di sua competenza, continuerà ad operare per approfondire tali questioni nonché, ove necessario, per offrire il proprio contributo alla risoluzione dei problemi.


5.4. La sicurezza del lavoro nel settore ferroviario
La notte del 29 giugno 2009, presso la stazione di Viareggio, un treno merci con un convoglio di 14 carri cisterna contenenti GPL è deragliato, per cause probabilmente legate al cedimento del carrello del primo carro cisterna, trascinando fuori dai binari altri 4 carri. Sfortunatamente, dal primo carro è fuoriuscito il gas GPL che, a contatto con l'ossigeno, si è incendiato, determinando una terribile esplosione. Le conseguenze sono state drammatiche: diversi edifici circostanti al luogo dell'incidente sono stati completamente distrutti o danneggiati e, soprattutto, si è avuto un elevatissimo numero di vittime, alcune delle quali decedute a distanza di mesi (in totale si contano 30 morti e 25 feriti).
I due macchinisti che guidavano il convoglio sono usciti miracolosamente illesi dall'incidente e hanno quindi contribuito a chiarire la dinamica dell'accaduto che, come già accennato, sembra da ricondurre al cedimento strutturale del carrello del primo carro cisterna, dovuto ad un difetto insito all'interno della struttura stessa dell'elemento, forse già usurato in quanto piuttosto vecchio.
Le indagini e gli accertamenti della magistratura sono ancora in corso ed è quindi prematuro trarre conclusioni in merito. Tuttavia, questo tragico incidente ha riproposto con forza la problematica della sicurezza del trasporto ferroviario e la Commissione ha pertanto ritenuto opportuno approfondire la questione, sia pure nell'ambito dei profili di sua stretta competenza, ossia quelli della sicurezza sul lavoro. A tal fine nelle sedute dell'8 e del 21 luglio 2009 sono stati convocati in audizione i sindacati del settore ferroviario, i vertici dell'azienda Ferrovie dello Stato S.p.A. ed il direttore dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF).
Com'era prevedibile, le posizioni dei diversi interlocutori e la loro valutazione sul tema della sicurezza nel comparto ferroviario sono risultate alquanto divergenti, sebbene sia comunque emersa con chiarezza l'esistenza di una serie di problemi che occorrerà affrontare e risolvere, proprio al fine di ridurre al minimo i rischi sia per i lavoratori che per i passeggeri del trasporto ferroviario.
In estrema sintesi, i sindacati hanno evidenziato come, pur a fronte di un elevato livello di sicurezza del sistema italiano, permangano ancora molti punti critici legati agli infortuni sul lavoro, soprattutto nel settore della manutenzione delle infrastrutture, per il calo dei relativi investimenti e per le interferenze tra il personale delle Ferrovie dello Stato e quello delle ditte esterne appaltatrici, spesso indotte, per risparmiare i costi, ad abbassare i livelli di tutela e di sicurezza dei lavoratori. Altri problemi segnalati sono legati alla riduzione costante del personale delle Ferrovie, sia nell'ambito dei servizi di manutenzione, affidati appunto sempre più spesso a ditte esterne, sia tra il personale viaggiante ed in particolare tra i macchinisti: al riguardo, notevole preoccupazione è stata espressa per la decisione di portare, in un prossimo futuro, tutti i treni a viaggiare con un unico macchinista, decisione che i sindacati ritengono foriera di gravi rischi per la sicurezza dei convogli.
La preoccupazione maggiore deriva però dai problemi legati all'avvenuta liberalizzazione del mercato ferroviario europeo, che ha portato numerosi operatori stranieri a circolare con i propri mezzi sulla rete ferroviaria italiana, senza che però si sia nel frattempo affermata una completa armonizzazione delle regole e delle procedure di controllo fra i vari Stati dell'Unione europea, ciò che innalza notevolmente il livello di rischiosità del settore. Più in generale, i sindacati ritengono necessario un rilancio complessivo del trasporto ferroviario, mediante adeguati investimenti ed interventi legislativi ad hoc da parte del Governo e del Parlamento.
Dal canto loro, i vertici delle Ferrovie dello Stato S.p.A., dopo aver riferito sulle prime risultanze degli accertamenti riguardanti il tragico incidente di Viareggio, hanno evidenziato come la sicurezza del comparto ferroviario sia regolata da un insieme complesso di normative e di standard nazionali ed internazionali, in particolare europei, che rende assai difficile la gestione del sistema. Peraltro, Ferrovie dello Stato S.p.A. si pone all'avanguardia in Europa per i requisiti di sicurezza del trasporto, grazie ad una attenta politica di investimenti. Ciò che i responsabili dell'azienda hanno voluto chiarire è che il loro Gruppo è ormai un'impresa privata, che agisce sulla rete a fianco di tutti gli altri operatori ferroviari: di conseguenza appare sterile ed incoerente ritenere che l'azienda abbia ancora competenze generali di controllo sull'intero settore, che sono state invece trasferite in capo al Ministero dei trasporti e all'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria.
Per quanto riguarda ancora l'incidente di Viareggio, gli organi di stampa hanno a loro avviso riportato nei giorni immediatamente successivi una serie di inesattezze, che dimostrano la poca conoscenza delle problematiche del settore. Viceversa, l'incidente ha dimostrato le problematiche derivanti dalla liberalizzazione del mercato ferroviario europeo (ricordate come già detto anche dai sindacati) per l'assenza di procedure ed enti unificati di controllo tra gli Stati europei: le cisterne del convoglio, fra cui quella da cui è fuoriuscito il gas che ha innestato l'incendio, appartengono alla multinazionale americana GATX, attraverso la controllata austriaca KVG, e sono poi state date in locazione a FS Logistica che ha utilizzato i carri per il trasporto del gas alla raffineria SARPOM a San Martino di Trecate, in provincia di Novara.
L'aspetto più preoccupante è che il vagone deragliato a Viareggio, alla fine di febbraio, era entrato negli stabilimenti della Cima Riparazioni a Bozzolo (Mantova), dove i tecnici di questa azienda, incaricata della manutenzione, avevano scoperto che alcune ruote dei carrelli erano molto consumate e quindi da sostituire. Il proprietario del vagone, il gruppo americano GATX, ha quindi recapitato altri carrelli in sostituzione, sebbene non nuovi. Purtroppo, sembrerebbe che il carrello che ha ceduto a Viareggio sia proprio uno di quelli sostituiti, il che solleva pesanti dubbi sulla qualità delle riparazioni e dei collaudi effettuati, anche nelle fasi successive.
Al di la dell'accertamento di eventuali responsabilità o negligenze che, è bene ribadirlo, è tuttora in corso, appare certamente condivisibile la preoccupazione di Ferrovie dello Stato S.p.A. affinché venga finalmente introdotto un unico ente nazionale incaricato dei controlli e delle certificazioni sui mezzi ferroviari, il quale possa anche omologare le officine e i centri attrezzati per le riparazioni e le manutenzioni.
Ferrovie dello Stato S.p.A. ha comunque sempre declinato qualunque responsabilità, segnalando come in Italia dal 1993 ad oggi si sia registrato un drastico calo degli infortuni sul lavoro, grazie ad un'accorta politica. Ha contestato peraltro l'accusa di una riduzione degli investimenti e delle spese di manutenzione, osservando come la riduzione del personale addetto sia stata più che compensata da un aumento del ricorso alla tecnologia e da un innalzamento del livello qualitativo degli interventi. Infine, proprio in relazione alla ancora incompleta armonizzazione delle regole e delle procedure a livello europeo, ha auspicato la piena introduzione anche in Italia, delle procedure COTIF (Convenzione relativa ai trasporti internazionali per ferrovia), che permetterebbe una chiara distinzione tra le figure dell'impresa ferroviaria proprietaria dei mezzi, dell'utilizzatore e del manutentore, fissando i compiti e le responsabilità di ciascuno. Sempre al riguardo, è stata inoltre sottolineata l'esigenza di una omogeneità delle regole a livello europeo, per garantire una corretta liberalizzazione delle attività nel settore ferroviario, sul modello di quanto già avvenuto in quello del trasporto aereo. Tra i punti critici, sono stati richiamati soprattutto il rilascio delle licenze e del certificato di sicurezza agli operatori, per i quali non è sempre richiesta l'esistenza di una struttura industriale in capo all'azienda.
Particolarmente importante è stata infine l'audizione del direttore dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle Ferrovie, il quale ha innanzitutto richiamato le attività di verifica e di indagine in corso di svolgimento, per quanto di sua competenza, in relazione all'incidente di Viareggio, anche in collaborazione con le agenzie omologhe degli altri Paesi europei. Ha quindi evidenziato che, in ogni caso, l'incidente di Viareggio, al di la del fatto in se, impone una riflessione complessiva sul funzionamento del sistema ferroviario in Italia ed in Europa, in seguito al processo di liberalizzazione che ha portato ad un aumento del numero degli operatori, anche esteri, sulla rete. A tal fine, è necessario un ampio confronto sia con le altre agenzie per la sicurezza ferroviaria dei Paesi europei che con i vari operatori del settore che agiscono in Italia.
Svolgendo poi un'ampia disamina sull'attuale assetto del sistema ferroviario in Italia, il direttore dell'ANSF ha evidenziato come il processo di liberalizzazione e il conseguente aumento del numero degli operatori non si possa tradurre affatto, come sostenuto da taluni nelle settimane precedenti, in una deresponsabilizzazione di fatto degli operatori e soprattutto delle imprese ferroviarie e dei gestori della rete sul fronte della sicurezza, quasi che ciascuno in questo ambito potesse operare d'ora in avanti a compartimenti stagni. Il rilievo riguarda in particolare Ferrovie dello Stato S.p.A., in qualità di principale operatore nazionale che, al pari degli altri, è in ogni caso responsabile per l'adozione di tutte le necessarie misure di sicurezza, nei confronti dei clienti e degli altri operatori, e tale resterà anche quando verranno recepite in Italia le direttive europee che istituiscono le ulteriori figure del detentore e del manutentore dei carri ferroviari, la cui assenza è stata spesso indicata come causa di un abbassamento dei livelli di sicurezza.
Rispetto al regime previgente, infatti, la differenza sostanziale è che i vari operatori non creano più direttamente le regole per la sicurezza del comparto, compito demandato appunto alle agenzie nazionali, ma sono comunque chiamati ad assicurarne il rispetto per la parte loro affidata. La posizione dell'ANSF è stata quindi quella di un forte richiamo per tutti gli operatori del sistema, e segnatamente per Ferrovie dello Stato S.p.A., ad assumere tutte le iniziative di loro competenza per garantire un sempre più elevato livello di sicurezza nel comparto ferroviario, sia per quanto concerne i lavoratori che i passeggeri.
Il direttore dell'Agenzia ha infine evidenziato le tappe del progressivo trasferimento all'ente delle competenze previste dal decreto legislativo n. 162 del 2007, nonché delle relative risorse finanziarie da parte del Ministero dei trasporti e, soprattutto, di quelle del personale da parte delle Ferrovie dello Stato, riferendo altresì dell'attività ispettiva fin qui svolta dall'Agenzia. Purtroppo, i ritardi nel processo di trasferimento hanno determinato l'impossibilita dell'Agenzia di operare a pieno regime e di assumere tutte quante le funzioni che dovrà avere a regime. In tal senso, vi è stata anche una richiesta forte affinché il personale trasferito sia dotato delle necessarie competenze tecniche e di un adeguato inquadramento economico-giuridico.
Il quadro emerso dunque dal confronto con i responsabili del sistema ferroviario italiano, pur nella evidente parzialità delle informazioni finora raccolte, segnala il permanere di situazioni di rischiosità in alcuni aspetti dell'attività, anche a fronte dei notevoli e significativi progressi compiuti negli ultimi anni. Le aree maggiormente critiche sono, come indicato, quelle relative ai servizi di manutenzione affidati in particolare alle ditte esterne, anche per le possibili (e tutt'altro che infrequenti) interferenze con il lavoro del personale delle Ferrovie dello Stato. Altri elementi critici riguardano poi l'assetto complessivo del sistema scaturito dal processo di liberalizzazione europeo, a cui non è corrisposto un uguale processo di armonizzazione delle norme e dei controlli.
La Commissione si ripropone quindi di approfondire ulteriormente le problematiche del settore, attraverso una interlocuzione costante con tutte le parti coinvolte, al fine di offrire anche in questo settore, per quanto di propria competenza, un contributo concreto alla conoscenza e alla risoluzione dei problemi.


5.5. La cultura antinfortunistica nelle scuole
La Commissione ha da tempo rilevato l'esigenza, segnalata da più parti, di promuovere la cultura della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro all'interno delle scuole come uno dei più importanti veicoli per garantire una efficace attività di prevenzione e contrasto alla piaga degli infortuni sul lavoro. L'articolo 11 del decreto legislativo n. 81 del 2008, del resto, già prevede la possibilità di attivare specifici percorsi formativi su tali tematiche all'interno delle scuole, sia pure nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili.
La stessa Commissione è intervenuta sul tema, attraverso l'iniziativa del presidente Tofani, che ha presentato uno specifico ordine del giorno (numero G200) nell'Assemblea del Senato durante la discussione del disegno di legge n. 1108, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università, poi divenuto la legge n. 169 del 2008.
L'ordine del giorno, accolto dal Governo in data 23 ottobre 2008, impegnava a predisporre fin dall'anno scolastico 2008/2009 specifiche attività formative sulla cultura e sulla sicurezza del lavoro nei programmi scolastici, proprio al fine di avviare in tempi rapidi una politica precisa in questo campo. Dalle informazioni ricevute nei mesi successivi dal Ministero dell'istruzione, risulta che attività formative del tipo indicato siano state avviate in alcuni istituti scolastici, in via sperimentale. Proprio al fine di approfondire la questione è dare nuovo impulso a questa importante iniziativa, la Commissione intende intensificare la propria collaborazione con il Dicastero di settore e a tal fine è già stata fissata un'audizione dello stesso Ministro su tali tematiche.



6. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

In sede di sintesi del primo anno di attività della Commissione, sembra opportuno tracciare alcune considerazioni conclusive e proposte, sia per indicare le direttrici lungo cui la Commissione intende orientare il prosieguo della sua inchiesta, sia anche al fine di concorrere allo sviluppo della riflessione, nonché alla corretta applicazione ed alle eventuali verifiche delle normative vigenti.
La prima esigenza fondamentale, riscontrata tante volte nel corso dell'attività della Commissione, è quella di assicurare una rapida e completa attuazione della riforma introdotta dal Testo unico, anche alla luce delle ultime modifiche apportate con il decreto legislativo n. 106 del 2009. La complessità della disciplina e degli adempimenti tecnici ad essa legati richiede infatti che tutti coloro che a vario titolo hanno competenze nel settore della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (imprese, lavoratori, enti istituzionali) possano disporre, nell'ambito del quadro di riferimento normativo vigente, di un'interpretazione certa e di un'applicazione uniforme delle disposizioni.
Si tratta di una condizione imprescindibile per il successo di qualsiasi politica di prevenzione, di intervento e di vigilanza in questa materia, oltre che di una evidente esigenza di carattere tecnico ed economico per le imprese, che debbono adeguare la loro organizzazione e la loro struttura in funzione delle nuove disposizioni, e per gli stessi lavoratori, chiamati anch'essi a fare la loro parte per accrescere la sicurezza quotidiana dei luoghi di lavoro. A tal fine, è quindi auspicabile che gli organismi preposti, a cominciare dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, impartiscano indicazioni chiare sulle procedure da seguire e si adoperino per semplificare al massimo gli adempimenti di carattere amministrativo, anche mediante la realizzazione di strumenti informativi ad hoc di facile consultazione e reperibilità (vademecum, siti Internet, ecc.).
La Commissione, sempre nell'ambito delle competenze stabilite dalla sua delibera istitutiva, intende pertanto continuare l'attività di monitoraggio e verifica sull'attuazione del Testo unico, mediante i vari strumenti a sua disposizione ed in particolare mediante audizioni e confronti diretti con i soggetti coinvolti. Tale attività, in linea con quanto avvenuto finora, consentirà di valutare gli effetti concreti derivanti dalle nuove disposizioni e gli eventuali problemi applicativi, al fine di individuare e proporre possibili soluzioni operative.
Nell'ambito di tale attività, si inquadrano anche i sopralluoghi che la Commissione si propone di continuare a svolgere sul territorio, al fine di acquisire informazioni dirette sui problemi, ma anche sulle soluzioni, con le quali nelle varie parti del Paese si cerca di realizzare la prevenzione ed il contrasto contro gli infortuni e le malattie professionali. Questa presenza della Commissione, oltre ad essere un doveroso segnale di attenzione da parte delle istituzioni verso coloro che si occupano di tali questioni in ambito locale, rappresenta infatti anche un'importante occasione per raccogliere utili conoscenze e spunti di riflessione che sarebbe altrimenti difficile acquisire.
Un ulteriore aspetto che la Commissione ha avuto modo di verificare nel corso della sua inchiesta riguarda l'esigenza di rafforzare in maniera sempre più incisiva il coordinamento e la collaborazione fra tutti gli enti istituzionali che si occupano, a vario titolo, della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, sia a livello centrale che locale, secondo quanto espressamente previsto dal Testo unico. In taluni casi, infatti, in questo campo si rileva ancora una sovrapposizione e duplicazione di competenze (ad esempio nella fase ispettiva e di controllo) che certamente non aiuta l'efficacia e la speditezza dell'azione amministrativa.
Si tratta, in verità, di un problema annoso, che si ricollega da un lato a quello più generale di razionalizzazione degli enti previdenziali ed assistenziali, e dall'altro a quello del complessivo rapporto tra Stato e Regioni nelle materie di legislazione concorrente. Tali questioni sono entrambe da tempo all'attenzione della riflessione politica su questo fronte, ma sono evidentemente temi assai complessi, la cui soluzione definitiva richiederà ancora del tempo. In attesa quindi di eventuali riforme di carattere più generale, è comunque auspicabile che si proceda con decisione sulla strada del coordinamento e delle sinergie tra i diversi attori istituzionali statali e non statali, sviluppando e affinando le procedure di comunicazione e di cooperazione, al fine non solo di svolgere l'attività in modo sempre migliore, ma anche di offrire alle imprese, ai lavoratori ed ai cittadini, un approccio univoco e coerente della pubblica amministrazione tanto nell'interpretazione delle norme quanto nella loro concreta applicazione.
La Commissione si è da tempo fatta interprete di tale esigenza, sia per quanto riguarda il problema del coordinamento fra i diversi enti, sia ponendo la questione di un ripensamento complessivo dell'organizzazione del settore, specie per quanto attiene all'aspetto della legislazione concorrente Stato-Regioni. Pur nell'ambito delle sue attribuzioni, la Commissione intende quindi approfondire ulteriormente la riflessione su queste tematiche, cercando di favorire il dialogo tra le diverse amministrazioni pubbliche centrali e periferiche e la ricerca di soluzioni condivise.
Il problema della collaborazione e del coordinamento in materia di tutela della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, tuttavia, non riguarda solo i rapporti tra gli enti della pubblica amministrazione, ma anche quelli tra pubblica amministrazione e soggetti privati, in primo luogo datori di lavoro e lavoratori. La promozione di una vera cultura della sicurezza - condizione indispensabile per una sempre più efficace attività di prevenzione e contrasto del fenomeno infortunistico - passa infatti non solo attraverso la formazione e l'addestramento dei datori di lavoro e dei lavoratori, ma anche attraverso una intensa opera di diffusione e scambio di informazioni sui rischi e sugli incidenti più frequenti legati alle diverse attività produttive.
Imparare dagli incidenti è infatti possibile ed utile, specie considerando che si tratta spesso di eventi di tipo ripetitivo. Riprendendo una proposta già evidenziata nel paragrafo 2.7., dedicato alle indicazioni fornite dagli esperti della sicurezza, è quindi auspicabile che si mettano a disposizione tutte le informazioni esistenti sugli infortuni occorsi nei vari settori, istituendo siti coordinati di banche dati on-line dove, nel rispetto della privacy e degli eventuali segreti istruttori, siano consultabili i dati tecnici, le inchieste svolte dai servizi di vigilanza, filmati e materiali, ed ogni altra risorsa utile, unificando anche i siti tematici già disponibili.
Come si è ampiamente illustrato nei paragrafi 2.6., 4.2., 4.6. e 5.2., tanto nel settore agricolo quanto in quello edile esiste un grave problema di sostituzione ed ammodernamento delle macchine ed attrezzature obsolete ovvero non munite di tutti i requisiti necessari per garantire la sicurezza degli operatori, che costituisce una delle cause principali di infortunio in questi due settori, di tipo anche mortale.
La Commissione intende quindi proseguire nei contatti già avviati sia con i competenti Ministeri di settore che con quello dell'economia e delle finanze per promuovere iniziative legislative, volte a istituire incentivi economico-fiscali per favorire la rottamazione e la messa in sicurezza delle macchine ed attrezzature agricole, forestali ed edili. Si tratta di un'iniziativa che ha già riscosso il sostegno di tutte le categorie degli operatori interessati e sulla quale è auspicabile possa altresì raccogliersi un'adesione convinta di tutte le forze politiche.
Uno dei settori più critici per il rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro è certamente quello degli appalti, di cui si è trattato diffusamente nei paragrafi 2.6. e 4.6. Sebbene le disposizioni vigenti (in particolare l'articolo 26, comma 5, del decreto legislativo n. 81 del 2008, come modificato dal recente decreto legislativo n. 106 del 2009) impongano agli appaltatori di indicare chiaramente nei contratti i costi delle misure adottate per garantire la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, precisando che gli stessi non sono soggetti a ribasso, ciononostante, come segnalato da più parti alla Commissione, tale norma è spesso disattesa o violata, specie nel caso di piccole e medie imprese appaltatrici o subappaltatrici di enti pubblici o imprese più grandi, che per abbattere i costi e garantire offerte più convenienti tagliano spesso proprio le spese per la sicurezza, riducendo così il sistema delle tutele e accrescendo i rischi per i lavoratori.
Per superare tale situazione, la Commissione auspica con forza, accanto ad un necessario rafforzamento dei controlli, un intervento normativo che elimini o quanto meno riduca drasticamente, nelle gare d'appalto, il ricorso al criterio del massimo ribasso d'asta in favore di quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa ai fini della valutazione delle offerte, sia nella fase di progettazione che in quella di realizzazione dell'opera o della prestazione. Tale modifica normativa, pur nel rispetto delle disposizioni comunitarie e tenendo conto delle specificità dei singoli settori produttivi, appare indispensabile per garantire adeguati livelli di tutela e di sicurezza ai lavoratori ed impedire situazioni abnormi di pericolo o di vero e proprio sfruttamento.
Infine, la Commissione ribadisce la propria profonda convinzione della necessita di promuovere la più ampia diffusione della «cultura della sicurezza» all'interno della scuola, come passo indispensabile per una più efficace opera di prevenzione contro gli infortuni e le malattie professionali.
Essa si propone, pertanto, di favorire il completamento dell'introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado di moduli didattici relativi ai temi della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, continuando il proficuo dialogo già avviato in merito con il Governo e nel cui ambito è stata già programmata una specifica audizione con il Ministro dell'istruzione.


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1 In particolare, nella X legislatura, venne istituita una Commissione parlamentare monocamerale d'inchiesta del Senato «sulle condizioni di lavoro nelle aziende», presieduta dal senatore Lama, la quale operò) tra il 1988 ed il 1989. Durante la XIII legislatura, negli anni 1996-1997, la 11a Commissione permanente del Senato (Lavoro e previdenza sociale) e la XI Commissione permanente della Camera (Lavoro pubblico e privato) svolsero congiuntamente un'indagine conoscitiva sulla sicurezza e l'igiene del lavoro. Nel corso della medesima legislatura, dal 1999 al 2000, la 11a Commissione del Senato condusse una nuova indagine conoscitiva, ai fini della «verifica della situazione a due anni» dalla precedente indagine.
2 Com'è noto, nelle statistiche degli infortuni sul lavoro, oltre ai valori assoluti occorre tenere conto dei valori relativi rappresentati dagli indici di incidenza, espressi dal rapporto tra infortuni rilevati dall'INAIL e occupati di fonte ISTAT (in genere si fa riferimento al numero di incidenti ogni 1.000 occupati). Gli indici in questione offrono un valore indicativo della tendenza temporale di un determinato fenomeno, esprimendo, in pratica, quanto «incide» il fenomeno su una certa collettività (popolazione generale, occupati, lavoratori assicurati, ... ) rappresentata in termini di persone.

3 Si tratta di una distinzione fondamentale, soprattutto nell'analisi degli infortuni mortali. Si può ragionevolmente ritenere, infatti, che i decessi in itinere non siano strettamente collegati alla specifica attività svolta dall'infortunato e quindi richiedano anche una diversa valutazione nella lettura del rischio che determina il fenomeno infortunistico, il che spiega perché questi incidenti siano esclusi nella costruzione degli indicatori di rischio (indici di frequenza). Occorre ricordare, inoltre, che la metodologia adottata da EUROSTAT, l'Ufficio statistico dell'Unione Europea, esclude nella rilevazione degli infortuni sul lavoro quelli occorsi in itinere.

4 Su 60 milioni di persone complessivamente residenti in Italia, le pili recenti cifre diffuse dall'ISTAT stimano oltre 3,9 milioni di stranieri residenti, di questi circa la meta di sesso femminile. Oltre 800.000 i minori.

5 Il rischio infortunistico viene valutato mediante l'elaborazione degli indici di frequenza, che derivano dal rapporto fra infortuni indennizzati ed addetti/anno di fonte INAIL (unita di lavoro annuo ottenute a calcolo sulla base delle retribuzioni dichiarate dalle aziende); tali indici esprimono più precisamente la frequenza infortunistica rispetto al tempo di effettiva esposizione al rischio.

6 Si veda, ad esempio, l'articolo «Le vittime delle cisterne. Numerosi gli incidenti in cui muoiono operai impegnati nella pulizia di contenitori silos o vasche», Corriere della Sera, 26 maggio 2009.

7 Si segnalano, in particolare, le audizioni svolte nella seduta del 20 maggio 2009.

8 Per ulteriori approfondimenti sulla questione delle macchine agricole e forestali, si veda il paragrafo 5.2.

9 Sul tema delle macchine ed attrezzature per l'edilizia si veda anche il paragrafo 5.2.

10 Si vedano al riguardo anche i paragrafi 2.6., 4.2. e 4.6.

11 Si tratta precisamente delle Procure di Alessandria, Brescia, Como (dove sono morte due persone), Lucca, Messina, Milano, Nola, Padova e Trapani.

 

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Fonte: Senato della Repubblica