Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
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SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico



Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 54, martedì 15 giugno 2010



Audizione di rappresentanti della direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della salute


Presidenza del presidente TOFANI indi del vice presidente NEROZZI

Intervengono, in rappresentanza della Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute, il dottor Fabrizio Oleari, direttore generale, e il dottor Giancarlo Marano, dirigente dell’Ufficio II.


PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca l’audizione di rappresentanti della Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute. Comunico che, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori. Avverto, inoltre, che sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico.
L’audizione odierna concerne il tema delle malattie professionali, seguito in modo particolare da uno specifico gruppo di lavoro della Commissione, coordinato dal senatore Roilo, nonché lo stato di attuazione della nuova disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, introdotta dalla legge n. 123 del 2007 e dal connesso decreto legislativo n. 81 del 2008 (cosiddetto «Testo unico»), monitorato dal gruppo di lavoro coordinato dalla senatrice Donaggio.
Oggi sono presenti il dottore Fabrizio Oleari, direttore generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute, e il dottor Giancarlo Marano, dirigente dell’Ufficio II, che saluto a nome di tutta la Commissione.
I nostri ospiti ci riferiranno, per quanto di loro competenza, in merito al tema in esame, per fornire alla Commissione un ulteriore elemento necessario a comprendere un processo che appare sempre più lungo e complesso proprio nella sua fase di attuazione.
Lascio subito la parola al dottor Oleari.

OLEARI
Se lei consente, Presidente, vorrei suddividere la mia esposizione in due parti. Una prima parte riguarderà più specificamente i quesiti che ci sono stati posti, relativi essenzialmente a tutto l’ambito della malattie professionali. Una seconda parte rappresenterà una sintesi dei documenti attuativi relativi al decreto legislativo n. 81 del 2008.
La prima questione che ci è stata posta riguarda «la registrazione dei casi di malattia da lavoro affidata ad INAIL, che è notoriamente, e per diverse ragioni» – leggo testualmente la domanda postaci – «poco rappresentativa del fenomeno. Non ritiene il Ministero necessario attivare, nell’ambito del costruendo SINP, un sistema di registrazione che prescinde totalmente da finalità assicurative, la cui gestione sia affidata ad enti con compiti istituzionali diversi da quello assicurativo?».
Rispondiamo subito dicendo che la vigente normativa nazionale – mi riferisco in particolare all’articolo 53 del Testo unico, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965 – prevede l’obbligo per il datore di lavoro di denunciare all’INAIL, con certificato medico, le malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura comprese nella tabella allegata al decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 9 aprile 2008. Stiamo parlando in questo caso delle malattie cosiddette tabellate, per le quali in qualche modo, in ragione della forza dell’associazione fra l’esposizione ad una determinata noxa e il relativo effetto, si giunge alla seguente conclusione: una volta accertato uno degli elementi del problema attraverso – per così dire – una equazione, si arriva automaticamente ad affermare che quella malattia non può che essere attribuibile ad una causa di lavoro.
Il problema più rilevante è rappresentato, invece, dalle cosiddette malattie non tabellate, per le quali occorre provare l’origine lavorativa. Ovviamente in questo caso è il lavoratore che si deve fare carico di ciò, con tutto l’aggravio che ne deriva. In sostanza, non si può usufruire di un meccanismo di controllo top-down, ma di uno bottom-up.
Questo ci riconduce al decreto di aggiornamento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali dell’11 dicembre 2009, nel quale si fa riferimento alle malattie con probabile o possibile origine lavorativa, con un approccio quindi di tipo probabilistico, attraverso una sorta di ranking che colloca in tre range di certezza sul piano dell’evidenza scientifica se una malattia sia attribuibile o meno ad una determinata noxa o comunque ad una multifattorialità dell’esposizione. Tutti siamo a conoscenza del fatto che le malattie professionali possono essere attribuibili – è il caso più semplice – ad una sola noxa, ossia ad un solo agente, ad un solo pericolo.
Possono, però, verificarsi anche a causa di una multiesposizione, per cui occorre verificare, in relazione all’esposizione, qual è il rischio corrispondente per arrivare alla conclusione di come si sia potuta manifestare la malattia, e ciò diventa evidentemente più problematico.
Pur in presenza di tali obblighi, i dati relativi al fenomeno delle malattie professionali, sia ai fini assicurativi che prevenzionali, restano in Italia fortemente sottostimati – verrà consegnata alla Presidenza una relazione in merito – risultando pesantemente e negativamente condizionati dall’attuale sistema di rilevazione.
È evidente che, nella domanda stessa, era insita l’individuazione di un problema. Ogni qual volta noi facciamo delle proporzioni e rileviamo delle percentuali, individuiamo un rischio che non è altro che il rapporto fra la frequenza di un fenomeno negli esposti rispetto a quanto si verifica nei non esposti. È chiaro che utilizziamo una definizione di caso e andiamo poi ad individuare dei denominatori. In questo senso intendiamo che il denominatore, che ci è possibile desumere a livello del settore che chiamiamo assicurativo, risente fortemente di alcune distorsioni come – per esempio – la presunzione legale. Quest’ultima fa sì che, per le malattie cosiddette tabellate, il comportamento sia completamente diverso sul piano assicurativo rispetto alle malattie non tabellate.
Peraltro, si tratta di un problema che non è limitato al nostro Paese, come si evince anche dalla raccomandazione della Commissione europea 2003/670/CE che adesso cito solo per una parte, che ha evidenziato a livello europeo la sottostima sia delle denunce che dei riconoscimenti delle malattie professionali. Vedremo successivamente quali sono le percentuali delle richieste presentate e quali di esse giungono a buon fine. Potremo rilevare differenze abbastanza consistenti sul piano statistico fra i diversi Paesi europei, anche nelle graduatorie delle patologie più frequenti. Questo probabilmente dipende anche dai criteri che vengono applicati e dalle norme che li sorreggono e, quindi, non solo esclusivamente dalla realtà che dietro si nasconde.
Il SINP (Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro) può essere una soluzione alternativa rispetto a tutto ciò, nel senso che può condurci – per esprimerci in termini scolastici e di questo mi scuso – ad individuare denominatori più ampi, all’interno dei quali andare ad operare proporzioni «più veritiere». Trattandosi comunque e pur sempre di una stima – ogni qualvolta si parla di stima si parla non di un valore numerico esatto, ma di uno che si approssima alla realtà quanto più è probabile che la misura si verifichi – è chiaro che in questo caso il SINP può esserci utile, ma non in quanto contrapposto al sistema assicurativo.
Il SINP non è altro in realtà che l’interoperabilità fra i diversi sistemi e flussi informativi che, intersecandosi, possono consentire di ampliare il denominatore di cui ho parlato in precedenza, secondo un approccio che non può essere solo assicurativo – anche se il flusso assicurativo comunque non verrebbe meno – ma anche preventivo. In questo caso è evidente che andiamo a prescindere in qualche modo dalle malattie cosiddette tabellate e non tabellate per utilizzare indicatori che, applicati alla popolazione dei lavoratori, possono fornire stime più vicine alla realtà di quanto non risulti dall’analisi dei semplici dati INAIL, come è dimostrato – per esempio – da un rilevante progetto di cui anche la Commissione ha chiesto delucidazioni.
Mi riferisco al cosiddetto MALPROF, un progetto sostenuto dal Ministero della salute dal 2007 e coordinato dall’ISPESL (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro) in collaborazione con le Regioni.
Esso mira a costruire un sistema di sorveglianza delle malattie professionali che, libero da vincoli rappresentati dai meccanismi valutativi legati alla tutela assicurativa, possa consentire tempestivamente una valutazione dei rischi corrispondenti e di mettersi sull’avviso circa l’incidenza o, meglio, la prevalenza di determinate patologie nella popolazione, attraverso un lavoro di formazione e di aggiornamento professionale, che peraltro dura tuttora, cui finora hanno partecipato più di 400 operatori dei servizi delle ASL, in modo tale che si passasse ad un approccio preventivo, non contrapposto a quello assicurativo, che per sua natura, come ci dice il decreto relativo alle malattie tabellari del 9 aprile 2008, è abbastanza deterministico. Con il meccanismo bottom-up l’approccio assicurativo diventa meno deterministico, però con tutte le difficoltà che ci sono.
Sul piano delle grandi popolazioni epidemiologiche può diventare predittivo, con una certa significatività statistica, qualora si disponga di informazioni che arrivano da tutti i flussi che vengono sovrapposti in modo da consentire maggiore significatività alle nostre conclusioni.
Il sistema MALPROF è nato nel 1999 in Lombardia e ha coinvolto la Toscana nel 2000. Tali regioni comprendono da sole circa il 25 per cento degli occupati in Italia e rappresentavano un discreto osservatorio per i rischi inerenti le condizioni di salute dei lavoratori. Il patto per la tutela della salute e l’interesse del Ministero, che ha anche finanziato tutte le relative iniziative, hanno consentito poi di aggiungere altre regioni e di pubblicare dei rapporti. In una prima fase si sono aggiunte altre quattro regioni (Emilia-Romagna, Liguria, Piemonte e Veneto). Al rapporto del 2009, il quarto, hanno dato il loro contributo altre sei regioni (Campania, Lazio, Marche, Puglia, Sicilia, Umbria e Valle d’Aosta), cui si è aggiunta poi il Friuli-Venezia Giulia. Partecipano poi ai lavori del sistema anche i referenti delle regioni Abruzzo, Calabria e Sardegna, per un copertura del territorio che assomma a 17 regioni.
Quanto alla domanda che veniva formulata dalla Commissione circa le prospettive future, noi crediamo che il patrimonio che è stato costituito con la partecipazione di tutti gli operatori, come ho detto prima, i corsi di aggiornamento, la formazione dei referenti, l’individuazione dei focal point, la messa a regime di un sistema di informazione che ci consente di fare dei rapporti nazionali, pur essendo tutto il lavoro svolto a livello regionale, non possa che essere ampliato.
La Commissione poneva un quesito specifico sul tema delle cosiddette, è un neologismo che si è inventato il dottor Marano e che ha avuto molta fortuna nell’inconscio collettivo, «malattie professionali perdute» e dei «tumori perduti». Nel nostro Paese la sottostima delle denunce si affianca ad una limitazione dei riconoscimenti/indennizzi rispetto alle denunce presentate. Nel 2007 su 28.497 denunce ne sono state indennizzate 4.112, pari a meno del 15 per cento del totale, anche se occorre tener conto che l’eziologia multilafattoriale cui prima facevo riferimento rende in molti casi particolarmente difficoltoso e complesso l’accertamento del nesso di causa/concausa lavorativa. Insomma il risk assessment non è così facile da effettuare in alcuni casi, ma questo indirettamente era riconosciuto anche nella raccomandazione europea, che peraltro utilizzava un sistema vicino al decreto che tabella le patologie, perché in fondo andava a identificare, da una parte la noxa o l’hazard o la sostanza pericolosa, dall’altra dei possibili effetti. Ma un approccio di tipo preventivo, piuttosto che quello che si utilizza nelle malattie non tabellate (vi lasceremo poi delle pubblicazioni, che comunque sono già sul nostro sito), implica anche una classificazione ICD-10, perché con la classificazione che comprende anche le malattie è possibile, indipendentemente da ragionamenti di stretta epidemiologia, coinvolgere tutti gli stakeholder, quindi immaginare che nel SINP o già nel MALPROF tutti i medici del Servizio sanitario nazionale possano portare un contributo. Questo non può che alzare il livello, cioè consentire, non solo rispetto a rischi emergenti o riemergenti, ma anche rispetto ad una più concreta ed esatta valutazione dei tumori, la cui frazione eziologica per fare un esempio, sia attribuibile ad una noxa lavorativa, di poter estendere questa stima e quindi di andare verso una stima più veritiera rispetto alla realtà.
In questo caso, come dicevo poco fa, è necessario procedere su più piani. Per esempio, con un coinvolgimento di tutti i medici. Noi sappiamo che in qualunque struttura sanitaria si fa l’anamnesi. Lo stesso vale per il medico di base. Occorre avere molta attenzione a fare una anamnesi lavorativa accurata. Se non viene fatta ...

PRESIDENTE
Mi scusi se la interrompo. Credo che questo sia uno dei nodi centrali da affrontare, perché fermo restando la professionalità dei medici di base, nei confronti della quale non si ha nulla da eccepire, penso ci sia spesso un deficit di riferimento a problematiche legate all’attività lavorativa del soggetto. Non ritenete opportuno attivare, in un tavolo con le regioni, un percorso – noi come Commissione ci siamo già mossi in questo senso – per portare ad una maggiore all’attenzione e, se necessario, a delle attività specifiche di formazione che riguardino gli stessi medici del territorio? Uno dei grandi fronti dell’assistenza sanitaria dovrà essere quello del territorio e sarebbe opportuno avere elementi tali da poter cogliere fin dall’inizio eventuali sintomatologie che in qualche modo potrebbero riscontrarsi in stato avanzato in fenomeni derivanti da malattie legate a situazioni specifiche di salubrità o, come sarebbe meglio dire nella fattispecie, di insalubrità nei nostri posti di lavoro.

OLEARI
Concordiamo assolutamente su questo punto, perché il Servizio sanitario nazionale non è diviso in compartimenti stagni.

PRESIDENTE
Ma voi cogliete questo aspetto?

MARANO
Questo aspetto sicuramente viene colto ed è sottolineato anche dal dato contenuto nel registro per le patologie professionali istituito presso l’INAIL. Attualmente abbiamo verificato che presso l’INAIL i flussi relativi a malattie di probabile o possibile origine professionale vengono esclusivamente dai medici dell’INAIL. Solo oggi cominciano a venire anche dai medici competenti. Attualmente le segnalazioni raggiungono qualche migliaio. Sicuramente non bisogna coinvolgere soltanto i medici di medicina generale, ma tutti i sanitari quasi devono ritenersi interessati, dagli ospedalieri, ai medici, agli specialisti perché manca, di base, una sensibilità e una conoscenza del problema.

PRESIDENTE
Volevo fare una precisazione per capire meglio la questione. Lei ha fatto riferimento all’anamnesi. Tutti sappiamo che deputati all’anamnesi del soggetto sono i cosiddetti medici di medicina generale.
Il soggetto deve rivolgersi al proprio medico di base per poter ottenere il certificato anamnestico in riferimento a certificazioni che dovessero servirgli per altre richieste. Questo è il motivo per il quale ho pensato essenzialmente al medico di base. Sono tuttavia pienamente d’accordo sul fatto che il discorso vada esteso a tutti i medici, in modo particolare a coloro i quali alla fine devono redigere il certificato anamnestico.

OLEARI
Consentitemi una precisazione. Nel nostro Servizio sanitario nazionale distinguiamo tre livelli essenziali di assistenza che corrispondono ad altrettante strutture operative. Il primo è quello che si traduce nelle attività del Dipartimento di prevenzione, denominato tutela della salute negli ambienti di vita e di lavoro. Il secondo è il livello distrettuale, all’interno del quale operano i medici. Il terzo è il livello ospedaliero. Il medico – come prevede anche il piano nazionale della prevenzione, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni – opera all’interno di ogni distretto, come vi operano i medici del distretto. Questi devono sicuramente avere una grande attenzione.
A mio giudizio, occorre procedere ad un’attenta opera di formazione, come è stato fatto con il sistema MALPROF. Infatti, poiché la situazione si traduce essenzialmente nell’individuare da una parte gli azzardi, i pericoli e, dall’altra, nel valutare il rischio e il grado di esposizione per arrivare infine a capire se quella particolare malattia è attribuibile all’esposizione o a quel pericolo, è evidente che occorrono cultura e conoscenze specifiche che non devono essere esclusivo appannaggio dei servizi specialistici; anche se nessuno ritiene che ciascun medico debba avere la stessa cultura di chi opera all’interno dell’unità operativa di tutela della salute nei luoghi di lavoro piuttosto che all’interno dei suoi osservatori epidemiologici.
Credo che una maggiore conoscenza e attenzione di questi problemi, anche a livello di medici di medicina generale, sia assolutamente necessaria per consentire di migliorare l’accesso. Il lavoratore ha accesso ai servizi sanitari non solo nel momento in cui compare la malattia professionale, ma anche prima, quando lavora, attraverso una serie di servizi che hanno un significato preventivo e che dovrebbero occuparsi proprio della valutazione del rischio. Lo scopo è cercare il più possibile di evitare il rischio e quindi l’esposizione alle eventuali sostanze nocive evitando la conseguente malattia.
Questa cultura della prevenzione, che per certi versi non ha nulla a che vedere con l’approccio assicurativo, non può non essere quella prevalente, come mi è parso di capire anche dalla prima domanda del vostro questionario. Certamente l’approccio preventivo è eminentemente diverso da quello assicurativo. Non si può immaginare di ridurre questa attività a settori specialistici del Servizio sanitario nazionale perché deve esserci un sistema di livelli che, in qualche modo, consenta di fare uno screening delle persone e quindi di avere i possibili «sospetti» per poter in qualche modo anticipare i tempi. In questo senso siamo completamente allineati.
Quindi la segnalazione di probabili patologie lavorative e di patologie riscontrate non può basarsi su delle impressioni, per cui alla fine nascono dilemmi interpretativi tra chi si occupa professionalmente di una cosa e chi la segue. La questione dovrebbe implicare un livello di integrazione notevole.
Diversi studi europei, e in particolare lo studio francese Eurogip, hanno consentito di valutare la situazione in 13 Paesi europei in un periodo compreso tra il 1990 e il 2006. Consentitemi un piccolo inciso. È evidente che tutta la procedura per la segnalazione delle malattie e le sanzioni corrispondenti è diversa nel caso delle malattie tabellate e non tabellate.
Questo è un altro problema, ma rientra nel quadro della situazione e potendo incidere sui dati a disposizione volevamo segnalarvelo.
Nello studio Eurogip risulta che i 15 Paesi dell’Unione europea, con la sola eccezione della Grecia e dei Paesi Bassi, per l’anno di riferimento dispongono di un sistema di assicurazione.
Riporto soltanto alcuni numeri. Sui problemi segnalati della sottostima, da una parte, e della sottosegnalazione, dall’altra – sottosegnalazione che può essere interpretata su due diversi livelli, come propria degli addetti ai lavori e delle modalità proprie della segnalazione degli infortuni sul canale assicurativo, o come lampadina che si dovrebbe accendere per qualunque medico operi all’interno del Servizio sanitario nazionale –, è stata posta particolare attenzione con riferimento ai medici di medicina generale. Ebbene, se teniamo conto del numero di domande di riconoscimento ogni 100.000 assicurati, nell’anno 2000 in Germania erano 211 su 100.000, nell’anno 2006 erano 162 su 100.000. In Italia il numero di domande di riconoscimento ogni 100.000 assicurati era di 160 nel 2000 e 132 nel 2006.
I rapporti non sono molto distanti, ma se si ragiona sui grandi numeri e si fa una proiezione sulla popolazione generale, i numeri tendono a discostarsi.

Presidenza del vicepresidente NEROZZI

(Segue OLEARI).
Se prendiamo la Danimarca, osserviamo che nell’anno 2000 registra 545 domande ogni 100.000 assicurati, mentre nell’anno 2005, rispettando questo trend, il numero di domande di riconoscimento è di 626 su 100.000 abitanti. In Portogallo, invece, nel 2000 si registrano 55 domande ogni 100.000 assicurati e nel 2006, 80 domande su 100.000 assicurati. Le differenze sono abbastanza evidenti. Se poi esaminiamo i casi riconosciuti per 100.000 assicurati, rileviamo che in Germania nel 2000 sono 49 su 100.000 – ricordo che in Germania le domande di riconoscimento erano 211 –, nel 2006 erano 40 su 100.000 assicurati e 162 domande presentate.
In Italia, dove nel 2000 e nel 2006 rispettivamente le domande presentate erano state 160 e 132 ogni 100.000 assicurati, i casi riconosciuti sono rispettivamente 33 e 38. Ho ritenuto opportuno indicare qualche cifra perché i numeri sono significativi.

MARANO
Volendo sintetizzare, tutti questi dati dimostrano sostanzialmente che l’Italia è agli ultimi posti per quanto riguarda la denuncia di malattie professionali. Anche per quanto riguarda i riconoscimenti siamo la retroguardia europea. Questa è l’estrema sintesi di una lettura puntuale dei dati.

OLEARI
Questo può dipendere da tanti fattori, come – ad esempio – la conoscenza del sistema. Al di là delle conoscenze che bisogna avere in merito alle malattie professionali, è necessaria anche una conoscenza dell’assetto del sistema e delle dinamiche che guidano il comportamento del sistema stesso, dei medici da una parte e del pubblico dall’altra. Per pubblico intendo quello non sanitario.
Anche l’accesso quindi può essere profondamente diverso. Voi capite bene che, se non si conoscono le regole prima ancora della teoria e della pratica, diventa problematico l’accesso. D’altra parte, esiste il problema degli attori in qualche modo abilitati come punto di partenza e, quindi, come momento dell’accesso, iniziando dal medico che fa la denuncia – prima abbiamo parlato della differenza tra le malattie cosiddette tabellate e non tabellate – dal datore di lavoro fino ad arrivare al terminale, per accedere fondamentalmente alle prestazioni assicurative.
Abbiamo preso in esame le malattie cosiddette non tabellate. Diciamo che solo dall’1 al 10 per cento dei casi riconosciuti concerne le malattie non comprese nelle tabelle di legge. La caratterizzazione deterministica, quella per la quale, accertato un evento, risulta automaticamente la concatenazione, rappresenta un discorso. Devo dire che la Direzione si è mossa in maniera attenta anche nei confronti dei suoi dirigenti nella passata elaborazione per arrivare a un qualcosa che non fosse così deterministico e che in qualche modo lasciasse la strada aperta – per esempio – ad una valutazione di tipo multiesposizione, che risulta molto complessa da fare. In ogni caso, se questa deve essere compiuta dall’interessato, diventa ancora più complicato.

MARANO
Manca anche una consapevolezza dello stesso lavoratore nei confronti della possibile origine professionale della propria malattia.
Ciò limita anche le richieste. Faccio l’esempio di chi è colpito da una malattia e ha diritto ad un risarcimento, ma non sa di trovarsi nella posizione di poter richiedere una prestazione avendo subito una lesione a seguito di esposizione lavorativa. Riscontriamo tragicamente ciò con il registro dei mesoteliomi. L’ISPESL ha evidenziato proprio questo fattore. Sicuramente i mesoteliomi hanno per la gran parte origine professionale. Tuttavia, solo in circa la metà dei casi registrati risulta all’ISPESL che sia stata fatta richiesta di riconoscimento di malattia professionale. Si tratta di una ulteriore spia che ci permette di capire che anche al lavoratore, molte volte, manca l’informazione di base sul fatto che la propria patologia potrebbe essere dovuta ad esposizione professionale. Bisogna, pertanto, intervenire a livello sanitario per migliorare l’anamnesi lavorativa. Quando si parla di anamnesi lavorativa, potrebbe sembrare un discorso semplice. Basta chiedere ad una persona quale lavoro svolge per sapere quale rischio espositivo corre. Ma non è così semplice. Oggi infatti abbiamo una estrema precarietà nell’ambito dei rapporti di lavoro ed una estrema varietà, per cui l’anamnesi lavorativa dovrebbe essere fatta risalire nel tempo. Bisognerebbe verificare se il lavoratore ha svolto negli anni sempre lo stesso lavoro, o capire quali altri lavori ha compiuto. Il medico dovrebbe avere una conoscenza diretta dei fattori di rischio insiti in ogni tipo di attività. Capite bene che non si tratta di un qualcosa di semplice da valutare.

OLEARI
È molto complesso.
Come ha già detto il dottor Marano, i mesoteliomi, che – come potete immaginare – sono una patologia molto grave che normalmente porta la persona colpita al decesso, possono purtroppo colpire le persone anche indipendentemente dall’esposizione lavorativa. Ma pur facendo correzioni di tal genere, è comunque un fatto che stupisce. Immaginate che cosa potrebbe succedere per patologie meno impegnative dei mesoteliomi. Cito quelle dell’apparato locomotore e quelle muscoloscheletriche.
All’inizio del mio intervento ho citato la raccomandazione della Commissione europea, emanata con una logica di armonizzazione. A livello europeo le liste e i criteri per il riconoscimento differiscono fondamentalmente o sostanzialmente – che dir si voglia - nel senso che non esiste una regolamentazione comunitaria stringente in questo campo. La lista allegata alla raccomandazione della Commissione europea del 2003 pone l’accento sulla prevenzione e ha un carattere puramente indicativo e non vincolante, trattandosi di raccomandazione. Faccio l’esempio di alcuni Paesi che, per quanto riguarda le patologie muscoloscheletriche, hanno una percentuale di riconoscimento davvero elevata. Tra questi cito la Francia, la Spagna e in misura minore la Svezia.
Ovviamente interviene anche il problema della presunzione legale di origine professionale. Aggiungiamo pure che, se andiamo a vedere quali sono le cinque malattie più frequenti del 2006, possiamo rilevare – cito solo la prima in graduatoria – che per la Germania e l’Austria è la sordità; per il Belgio le malattie osteoarticolari; per la Danimarca le malattie della pelle; per la Francia, l’Italia, il Portogallo e la Svezia le malattie dell’apparato locomotore; per il Lussemburgo le malattie infettive. È chiaro che questo può dipendere da una serie di fattori, come – per esempio – le diverse lavorazioni che si fanno e la struttura dell’area di produzione. Pertanto, possiamo affermare che può derivare da un peculiare profilo di esposizione della popolazione di lavoratori in quei Paesi.
Diciamo anche che tutto è da valutare. Si tratta di capire se non si riconduce tutto solo ad una diversità delle liste, dei criteri e soprattutto di quelli di valutazione dell’esposizione che poi implicano un riconoscimento del rapporto o della forza dell’associazione causa ed effetto. Oltre tutto, si rileva una tendenza all’aumento, perché è evidente che queste classifiche hanno il tempo che trovano. Sappiamo che la nostra popolazione invecchia costantemente e il problema si pone, anche nel settore lavorativo, dal momento in cui si organizzano i servizi sul territorio. È evidente che, se si allunga l’età lavorativa, non può non intervenire uno shift delle patologie più frequenti. Le patologie dell’apparato locomotore, se l’età lavorativa si allunga fino ai 65 o 70 anni, avranno sul complesso dei lavoratori una proporzione completamente diversa da quella che avrebbero – ritorno a quanto ho accennato all’inizio del mio intervento in merito ai denominatori – sul denominatore, che è continuamente cangiante.
Proprio per questo è importante avere il SINP, in quanto consente di sovrapporre diverse banche di dati e quindi di capire in modo migliore qual è l’evoluzione della domanda per modificare in qualche modo l’offerta. In caso contrario, potremo assistere a regole fisse in una situazione in cui tutto cangia e non è esattamente questo il modo, ai sensi dell’equità, di rispondere a bisogni diversi con risposte diverse, e non sempre con la stessa risposta a bisogni di tipo diverso.
Detto questo, avevamo parlato di «malattie professionali perdute» e di «tumori perduti». Sul tema dei «tumori perduti», noi abbiamo finanziato il MALPROF, che ha dato, secondo noi, un buon risultato. In questo momento c’è una situazione critica rappresentata dal fatto che, come stabilito dal decreto-legge n. 78 del 2010 in materia finanziaria, l’ISPESL è stato soppresso e accorpato in un nuovo ente che comprende anche l’INAIL e l’IPSEMA, che io non ho citato, ma che è l’istituto di previdenza per il settore marittimo.
Abbiamo lanciato questo progetto di prevenzione dei tumori nei luoghi di lavoro – piattaforma web tumori professionali, che rifletteva la logica del MALPROF. Dicevamo che non è solo attraverso i canali assicurativi che possiamo avere notizie estensibili de facto a tutta la popolazione.
Bisogna, prima di tutto, fornire ai medici e agli operatori della prevenzione una formazione sufficiente. In secundis, occorre un software per l’individuazione dei tumori di sospetta origine professionale tra i lavoratori.
Non posso infatti pensare che ci si compri un libro di oncologia e ci si metta a studiarlo. Si devono invece fornire gli strumenti agili affinché, se viene il tragico dubbio, se viene citata una sostanza chimica, si possano stabilire, pure di larga massima, dei rapporti di causa/effetto. Inoltre è necessario fornire ai tecnici della prevenzione del Servizio sanitario nazionale e ai medici competenti validi strumenti per una corretta identificazione e una corretta gestione normativo-procedurale dei soggetti esposti.
Sembra una cosa evidente questa storia annunciata in più direttive, che va dagli alimenti al discorso del REACH, che qui non c’entra ...

PRESIDENTE
Dottor Oleari, scusi se la interrompo. Siccome tra poco dovremo recarci in Aula a votare, o lei ci consegna la documentazione e facciamo una domanda sull’attuazione della legge, oppure rinviamo il seguito dell’audizione ad una prossima seduta.

OLEARI
Come vuole lei, Presidente. Noi abbiamo predisposto una cartella di documentazione, che vi lasciamo.

PRESIDENTE
La ringrazio. Forse comunque sarebbe interessante avere qualche dato rispetto all’attuazione della legge.

OLEARI
Quanto tempo abbiamo?

PRESIDENTE
Una ventina di minuti.

MARANO
Vediamo quali sono le domande e se siamo in grado di rispondere immediatamente.

PRESIDENTE
Il quesito riguarda l’attuazione del Testo unico.

MARANO
L’argomento è un po’ complesso.

PRESIDENTE
Possiamo allora rinviare questa parte ad una seduta successiva.
Mentre sul precedente argomento erano state predisposte delle domande precise, sul Testo unico volevamo sapere dal punto di vista del Ministero della salute cosa c’è ancora da attuare e se ci sono problemi in tal senso.

MARANO
In riferimento alla domanda specifica, sicuramente si deve rendere coerente l’intero quadro normativo che non è stato inserito nel cosiddetto testo unico, che è il decreto legislativo n. 81 del 2008, e che riguarda settori specifici, come quello dei trasportatori (decreti legislativi nn. 271 e 272 del 1999) e quello ferroviario (legge n. 191 del 1974).

PRESIDENTE
C’erano delle deleghe.

MARANO
Ci sono delle deleghe. Stiamo lavorando su vari tavoli tecnici per un’armonizzazione della normativa. La complessità ha richiesto un differimento di un anno del termine inizialmente previsto, ma credo che, per come stanno andando i lavori, avremo bisogno di un ulteriore slittamento.
Siamo a buon punto, ma le difficoltà non mancano. Pur essendo di natura un pessimista-ottimista, ritengo che i tempi saranno sufficientemente rispettati, ma al riguardo non ho certezza.
Per quanto riguarda invece i decreti attuativi, stiamo lavorando su parecchi tavoli. Molti decreti sono in fase avanzata, come nel caso di quelli che riguardano il Ministero della giustizia ed il Ministero dell’istruzione.
È prossimo al termine anche il decreto sulle ferrovie in materia di primo soccorso. Siamo a buon punto per quanto riguarda il decreto per la modifica dell’allegato 3B dell’articolo 40 del decreto legislativo n. 81 del 2008. Questo è di estrema importanza per le segnalazioni sanitarie da parte dei medici competenti e anche per la revisione di cartelle sanitarie e di rischio.
Siamo una fase di attivazione del comitato ex articolo 5 – il Ministro ne ha fissato per il 24 la prima riunione –, che dovrà dare gli indirizzi per quanto riguarda le politiche nazionali e il coordinamento nazionale della vigilanza. È ugualmente in fase avanzata il decreto, particolarmente importante e strategico, del SINP. Senza il SINP il comitato ex articolo 5 in pratica è privo di qualsiasi strumento di valutazione, di controllo e di monitoraggio utile ad indirizzare le politiche in maniera mirata.
Questa è la breve sintesi della situazione.

PRESIDENTE
Nel rispetto dalla differente responsabilità tra tecnici, amministrativi e politici lei ha dato una risposta. Un’altra risposta non l’ha potuta né voluta dare anche perché non era suo compito. Noi chiameremo in audizione il Ministro della salute, perché in diversi abbiamo l’impressione che non si voglia applicare, glielo dico in modo esplicito, il decreto legislativo n. 81 del 2008. Vediamo molte resistenze, che non sono tecniche, bensì politiche.

MARANO
Confermo che ci sono delle resistenze.

PRESIDENTE
Io non la voglio mettere in difficoltà.

MARANO
Resistenze non politiche, né dell’amministrazione.

PRESIDENTE
Lei è stato esaustivo.

OLEARI
Non certo da parte del Ministro.

PRESIDENTE
Questo non è un problema. Ci sono resistenze. Siccome non credo ad un ente sovrannaturale, qualcuno le avrà. Non sono resistenze tecniche. Posso avere una mia opinione su quale Ministero sia coinvolto, ma quella è solo la mia opinione. Consulteremo i vari Ministri.
Secondo me non è il Ministero della salute, ma è una impressione del tutto personale. D’altronde, dalle cose che ha detto correttamente lei si evince che tutti i decreti sono in avanzato stato di preparazione.

MARANO
A livello tecnico.

PRESIDENTE
A livello tecnico e sanitario, perché ovviamente siete sanitari e dipendete dal Ministro della salute, che vi ha dato delle indicazioni.
Noi consulteremo il Ministro della salute, che dirà le cose che ha detto lei. Dopodiché ci rimarrà un altro Ministro, che prima o poi dovrà dire perché il decreto legislativo n. 81 del 2008 non viene applicato.
Ma questa è un’altra questione.
Lei aveva un compito – io l’ho interrotta – complicato, perché le domande che avevamo fatto erano molte. La voglio rassicurare che il problema che lei, con grande correttezza istituzionale – la stessa correttezza usata anche dal dottor Marano, per la parte che lo riguardava –, ha posto, quello dell’ISPESL, stiamo vedendo unitariamente come risolverlo. Forse stiamo anche trovando la soluzione con il Ministero competente e con l’INAIL per mantenere vivi tutti i finanziamenti internazionali, sia di ruolo che di convenzioni fatte, rispettando l’idea di aggregazione. Mi pare che la soluzione per l’ISPESL, a differenza di quanto accade per altri enti, si stia trovando con il consenso di tutti, parti sociali comprese, quindi manteniamo un lavoro che ha avuto degli aspetti positivi. Vedremo le scelte che farà il Parlamento. Nello stesso tempo rafforzeremo un polo che ha la sua ragion d’essere, anche perché´ il modello tedesco, probabilmente quello più funzionante, ha in sé l’aspetto assicurativo e l’aspetto di agenzia, quindi di ricerca. Se non accade nulla di nuovo nei prossimi giorni, la soluzione trovata può essere di soddisfazione dell’insieme delle parti sociali, sia di maggioranza che di opposizione, almeno fino a questo momento. Le cose poi possono sempre cambiare. Gli stessi operatori si sono dimostrati, anche pubblicamente, molto corretti, nel senso che si sono adoperati ad affrontare il problema per risolverlo. E quando da parte di tutti si affronta seriamente un problema, alla fine lo si risolve. La soluzione verso la quale stiamo andando preserva tutti gli aspetti positivi dell’ISPESL. Altrettanto importante e necessario appare un coordinamento ed una unificazione del settore preventivo. Questo progetto andrà senz’altro avanti. Non so se è previsto un finanziamento comunitario al riguardo.

OLEARI
Questo l’abbiamo fatto noi come Ministero, ma certamente l’ISPESL, che collabora nella rete delle agenzie che si occupano della materia, potrà accedere a qualche finanziamento.

PRESIDENTE
Poiché l’INAIL è un istituto assicurativo, non può avere o ricevere finanziamenti. Si sta studiando pertanto una forma giuridica che riesca a garantire sia l’unificazione che l’autonomia. Anche l’incontro con le parti sociali è stato positivo e vedremo come l’emendamento verrà portato avanti.
Vi ringraziamo per la collaborazione che, come quella con altri Ministeri, reputiamo estremamente utile. Infatti, al di là degli aspetti politici, occorre monitorare una legge che per la sua complessità necessita comunque di un costante monitoraggio nonché valutare, in corso d’opera, l’eventualità di aggiustamenti. La materia che oggi avete illustrato ha per oggetto questioni che riguardano sia lo Stato centrale che le Regioni, con una complessità istituzionale elevata.
Ringrazio entrambi per le preziose informazioni fornite e per la documentazione che verrà depositata agli atti e pubblicata nel nostro sito.
Dichiaro conclusa l’audizione odierna.

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Fonte: Senato della Repubblica