SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico



Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 9, mercoledì 19 novembre 2008



Audizione del presidente dell’istituto di Previdenza per il Settore Marittimo (IPSEMA)

Presidenza del presidente TOFANI

Interviene il presidente dell’Istituto di previdenza per il settore marittimo, avvocato Antonio Parlato, accompagnato dal direttore generale, dottoressa Palmira Petrocelli.


PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca l’audizione del Presidente dell’Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA), avvocato Antonio Parlato.
Comunico che, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso.
Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Saluto l’avvocato Parlato ed il direttore generale, dottoressa Palmira Petrocelli, che lo accompagna.
L’avvocato Parlato, in data 12 novembre 2008, ha inviato una lettera alla Commissione, di cui prendiamo formalmente atto, nella quale rappresenta alcune importanti e significative tematiche sulla razionalizzazione delle politiche di prevenzione volte a tutelare specificamente la salute e la sicurezza dei lavoratori marittimi, che oggi sono assicurati in parte dall’INAIL (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) e in parte dall’IPSEMA.
Essendo il problema evidenziato dall’avvocato Parlato di grande rilevanza, chiedo ai colleghi della Commissione di porre particolare attenzione a tale argomento. Effettivamente ci troviamo di fronte ad una situazione che anziché creare realtà ottimali ai fini della prevenzione degli infortuni sul lavoro crea sovrapposizioni che vanno in qualche modo risolte.
Spero di aver rappresentato in modo sintetico gli argomenti contenuti nella lettera dell’avvocato Parlato, che comunque è stata depositata agli atti della Commissione ed è quindi a disposizione di quanti volessero prenderne visione.
Cedo immediatamente la parola al nostro ospite.

PARLATO
Signor Presidente, ringrazio lei ed i commissari per aver voluto procedere a questo importante aggiornamento della situazione. Abbiamo già avuto modo di incontrarci in passato con questa Commissione per una ricognizione della situazione degli infortuni nel settore marittimo.
Nell’aggiornamento odierno vorremmo segnalare alcuni aspetti che, se il Presidente lo permette, tratterà successivamente il direttore generale dell’Istituto, dottoressa Petrocelli.
Attualmente lamentiamo una sorta di «qualunquistizzazione» degli infortuni. Voi che, come me, leggete periodicamente le statistiche sugli infortuni, avrete notato che esse riguardano esclusivamente i lavoratori di terra. Si dice che il numero dei morti (1.300-1.400 a seconda degli anni) è spaventoso, ma lo è in relazione al numero dei lavoratori impiegati e censiti, non certo in rapporto ad una realtà come quella del settore marittimo che, con circa dieci morti l’anno rispetto a 42.000 posti di lavoro (in cui si alternano 120.000-130.000 persone, proprio per le caratteristiche dell’attività marittima), evidenzia un numero di incidenti mortali percentualmente maggiore.
L’aspetto più grave è che continua ad essere sottovalutata la specificità di queste morti in relazione alle categorie di naviglio, dati che l’Istituto, ormai da qualche tempo, è in grado di fornire. L’IPSEMA, infatti, per ciascun settore di naviglio (navi da carico, da trasporto, da diporto, da pesca) è in grado di rilevare le specificità degli incidenti. Da questa analisi emerge con grandissima forza che circa otto dei dieci morti l’anno appartengono al settore della pesca, dove alcune regole non sono vigenti come lo sono per gli altri lavoratori. In questo caso al lavoratore va una retribuzione e una partecipazione agli utili del viaggio. Tutto questo fa sì che, al fine di massimizzare il profitto della spedizione (non sempre fortunata per i pescatori), purtroppo vengano omessi gli investimenti relativi agli apparati di sicurezza, sia individuali che collettivi. Non stiamo parlando dei 13 milioni di lavoratori dell’INAIL rispetto ai quali 1.400 morti costituiscono una proporzione, a nostro avviso, meno preoccupante rispetto al numero complessivo dei lavoratori e comunque rispetto al numero degli infortuni rilevati dall’IPSEMA.
Prima di dare la parola al direttore generale dell’Istituto per illustrare alcuni dettagli, vorrei fare un riferimento alle difficoltà che stiamo incontrando, e che speriamo vengano superate, in relazione all’Osservatorio sui sinistri marittimi (quindi non sugli infortuni), che possono però tradursi in infortuni e su cui va esercitato un fortissimo controllo. Quando una barca sale per otto volte sul molo del porto di Capri o del porto di Ischia, strutture portuali molto precarie, anche se non si è verificato alcun incidente mortale c’è da preoccuparsi per il fatto che esso avrebbe comunque potuto verificarsi; senza contare che spesse volte l’incidente ha coinvolto i passeggeri, che noi non copriamo, e non l’equipaggio. Dico questo perché la dottoressa Petrocelli accennerà ad una questione inquietante emersa in questi giorni. Mentre noi tergiversiamo sulla possibilità di realizzare l’Osservatorio sui sinistri marittimi, che peraltro stiamo già gestendo per capire la dinamica degli eventi che portano al sinistro, con o senza l’infortunio (dobbiamo comunque operare come se tutti i sinistri potessero portare ad infortuni), l’Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) riferisce che in Europa, Mediterraneo compreso, il numero dei sinistri marittimi cresce in maniera esponenziale. Su quanto accade in questo comparto leggiamo a volte una pagina di giornale, altre volte solo un trafiletto, laddove noi concordiamo con le preoccupazioni dell’EMSA su questi eventi perché effettivamente siamo dinanzi ad una preoccupante escalation dei sinistri e quindi degli infortuni. Quasi sempre, infatti, il sinistro si traduce in infortunio.

PETROCELLI
Signor Presidente, illustrerò in maniera più dettagliata la relazione che abbiamo predisposto e provveduto a consegnare alla Commissione, unitamente all’analisi degli infortuni avvenuti nel 2007, nella quale, al fine di rendere possibile un confronto, abbiamo riportato anche i dati relativi al 2006, che in verità avevamo già fornito alla Commissione nella scorsa legislatura in occasione dell’incontro del gennaio 2007.
Come già accennato dal presidente Parlato, nel 2007 abbiamo registrato 1.470 infortuni, su un numero di lavoratori che in verità è più ampio di quello indicato poc’anzi. Si è parlato, infatti, di circa 43.000 posti di lavoro; tuttavia, se si considera che il lavoro nel settore marittimo è articolato su più turni (perché logicamente quando la nave va, si lavora 24 ore su 24), ciò significa che su uno stesso posto di lavoro ruotano da tre a quattro marittimi. Ne consegue che la proporzione tra gli infortuni e il numero dei lavoratori deve essere calcolata in base alle persone che effettivamente lavorano a bordo.
Per quanto riguarda gli infortuni, la maggior parte di essi si verifica nella categoria navi passeggeri, non solo perché sulle navi da crociera vi è un maggior numero di addetti – si arriva anche alle 1.500 unità – ma anche perché vi è una serie di servizi aggiuntivi (ad esempio la cucina), in relazione ai quali possono verificarsi vari incidenti, anche se non gravi. In proposito ricordo che l’IPSEMA ha curato una serie di pubblicazioni, dal titolo «Quaderni di formazione per la sicurezza sul lavoro»; nel materiale che abbiamo consegnato alla Commissione, troverete uno di questi Quaderni dedicato, in particolare, alla prevenzione degli incidenti sul lavoro che si verificano in cucina a bordo delle navi. Vorrei chiarire, al riguardo, che non si può paragonare l’infortunio che avviene in un ristorante a quello che si verifica, ad esempio, nella cucina di una nave. Questo per ragioni diversissime: innanzitutto, perché la nave non è un luogo fermo, oltre ad avere caratteristiche particolari (ad esempio, i tavoli e i mobili devono avere un’alzata), e ciò può causare incidenti diversi rispetto a quelli che si verificano nello svolgimento dello stesso tipo di lavoro a terra. Potrei portare moltissimi esempi. Si è poi riscontrato che, nel corso dell’anno, il maggior numero di infortuni si registra nei mesi estivi, ovvero quei mesi in cui il numero di persone che lavorano sulle navi è più elevato.
Per quanto riguarda i lavoratori del settore della pesca il ragionamento è completamente diverso. Innanzitutto, la pesca ha caratteristiche particolari: oltre a quelle economiche, legate alla specifica tipologia contrattuale che si applica ai lavoratori impiegati in quest’attività (vale a dire il contratto alla parte), si deve considerare che i pescatori escono con qualsiasi tempo, proprio perché quello è il loro lavoro e da esso traggono i mezzi per vivere. Ne consegue che numerosi sono gli infortuni che coinvolgono questi lavoratori, colpiti principalmente alle mani, a causa della lavorazione del pescato o della movimentazione delle reti.
In proposito, vorrei precisare che nella nostra analisi abbiamo suddiviso gli infortuni non solo per categoria di lavoro, ma altresì per tipologia di incidente, anche al fine di una migliore prevenzione e quindi di una riduzione del numero di incidenti, essendo stato peraltro il nostro Istituto delegato a tale compito dal decreto legislativo n. 81 del 2008.
Per quanto concerne, più in generale, il discorso delle morti bianche, con riferimento al nostro settore devo ripetere quanto detto dal presidente Parlato: i morti sul lavoro sono una cosa, i morti annegati per lavoro un’altra. Intendo dire che purtroppo non sembra esservi molta attenzione da parte delle istituzioni per chi muore in mare, nonostante i casi non siano poi così pochi (si parla di 11 casi nel 2007 e di ben 18 nel 2006). Di questi incidenti mortali oltre l’80 per cento colpisce i lavoratori del settore della pesca, per le ragioni che abbiamo indicato. A tal proposito, ricordo alla Commissione che l’IPSEMA nel 2007 si è fatto tra l’altro anche parte diligente, tenendo corsi sulla sicurezza nelle più importanti marinerie ittiche d’Italia, quelle cioè in cui vi è maggiore attività (Mazara del Vallo, che, come sapete tutti, è il più grande porto peschereccio d’Europa, Chioggia, Pescara, Gaeta, Anzio), proprio per aiutare i lavoratori del settore nella prevenzione degli infortuni, mostrando, dati alla mano, come questo tipo di lavoro necessiti di un’attenzione maggiore rispetto ad altri.
Il presidente Parlato ha fatto riferimento anche all’attività dell’EMSA, l’Agenzia europea per la sicurezza marittima, istituita proprio in ragione della specificità del lavoro marittimo che, non essendo paragonabile ad altre tipologie di attività, magari uguali ma svolte a terra, non si è ritenuto potesse ricondursi nell’ambito della famosa Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro. Ho qui un documento dell’EMSA – che posso depositare – nel quale si afferma chiaramente che il rischio di incidenti in mare va crescendo: quasi 160 sinistri in più nel 2007, rispetto al 2006. Si tratta quindi di un problema che va attenzionato. I dati dell’EMSA, confrontati con quelli del nostro Osservatorio, cui faceva cenno il presidente Parlato, confermano l’analisi italiana anche a livello europeo, per cui la maggior parte delle morti bianche si verifica proprio nel settore della pesca, mentre le altre riguardano i grandi incidenti (nel 2007 – lo ricorderete tutti – vi è stato quello dello Stretto di Messina) che sono quelli che portano alla morte di alcuni lavoratori.
Nel settore della pesca purtroppo questa è una costante che non viene neanche menzionata. Forse si può trovare su qualche giornale locale la notizia che il tale peschereccio è affondato perché c’è stato un nubifragio ed il pescatore è morto, laddove quando un agricoltore muore magari per il ribaltamento del trattore se ne dà sempre notizia.
Vorrei richiamare – siamo nel massimo consesso, per cui credo che sia il luogo giusto per parlare di questo aspetto – l’attenzione dello Stato italiano sul settore del mare in generale, un settore molto importante dal momento che incide per il 3 per cento sul PIL italiano. Ricollegandomi alla lettera del presidente Parlato, che è stata di stimolo a questa audizione, vorrei far notare che l’INAIL è competente per il settore della piccola pesca. Questo vuol dire che tutti i lavoratori del settore della pesca sono iscritti presso di noi, mentre i pescatori autonomi, che hanno barche al di sotto delle dieci tonnellate, sono iscritti presso l’INAIL; questa è la differenza. Allora, proprio al fine di una razionalizzazione (a livello legislativo ormai sempre più richiesta), proponiamo di accorpare tutto il settore delle attività acquatiche. L’Italia, infatti, è circondata dal mare e il lavoro che lì si svolge va tenuto in debita considerazione, però nel nostro Paese abbiamo anche fiumi, laghi, lagune, con lavoratori che fanno attualmente capo all’INAIL. Costoro rappresentano lo 0,01 per cento, quindi l’INAIL non potrà mai fornirvi un rapporto dettagliato su tali realtà; dovrebbe esserci un ente che in materia possa rappresentare un punto di riferimento.
La nostra proposta è appunto quella di portare all’IPSEMA tutto il comparto delle attività in acqua.
Lo Stato italiano ha sempre ritenuto che questo settore dovesse avere una legislazione particolare, come dimostra il codice della navigazione.
Anche oggi, nel momento in cui si elaborano le grandi riforme, il settore marittimo rimane sempre al di fuori, perché ad esso si applicano non soltanto le norme italiane ma anche quelle internazionali e comunitarie. In occasione di importanti riforme, quale ad esempio quella che ha accentrato tutto il collocamento sul Ministero del lavoro, per poi trasmettere da questa unica fonte le notizie a tutti gli attori, per il settore marittimo il Ministero ha dovuto creare – e noi abbiamo collaborato – l’UNIMARE, cioè il collocamento marittimo, posto che non si riusciva ad inserire tale settore nel collocamento dei lavoratori di terra.
A livello normativo questa specificità viene costantemente fuori ed è questa la ragione per cui continuiamo a sottolineare la peculiarità di questo tipo di rapporto, senza contare che esso ha grandissime potenzialità a livello di richiesta da parte degli armatori; posti di lavoro che purtroppo l’Italia non copre e quindi gli armatori sono costretti a reperire questo personale al di fuori dello Stato italiano. Ribadisco pertanto che occorre dedicare maggiore attenzione a tale settore.

PARLATO
Ho il torto di non aver risposto adeguatamente, anzi per nulla affatto all’introduzione del Presidente. Siamo dinanzi ad una situazione particolare: se, ad esempio, accade un gravissimo incidente a fondo stiva di una nave con la morte di un lavoratore, dobbiamo capire da chi costui è assicurato: può essere assicurato dall’IPSEMA in quanto marittimo o dall’INAIL in quanto lavoratore portuale. Per la verità, non è tanto questo che mi preoccupa, quanto il sapere se la prevenzione svolta dall’INAIL è uguale a quella svolta dall’IPSEMA. C’è la necessità di valorizzare la specializzazione.
L’ultima osservazione che mi permetto di fare riguarda un ambiente misteriosissimo, quanto altri mai, specie oggi che si parla tanto di Alitalia, di CAI: quello del volo. Da chi è assicurato il personale aeronavigante?
Secondo la Costituzione della Repubblica tutti i lavoratori che hanno problemi in ordine alla salute, all’assistenza, agli infortuni devono essere tutelati dallo Stato o da enti da esso controllati. In questo caso non è così.
Esiste una legge fascista, che risale al 1922-1923 (epoca in cui volavano forse trenta aerei), in cui si afferma che l’assicurazione è obbligatoria, ma non si precisa – come è stato poi fatto con la Costituzione – se debba essere fatta dagli enti pubblici, quindi l’INAIL o, trattandosi di navigazione (per quanto Scialoja aveva detto nella relazione al codice della navigazione), l’IPSEMA. Ebbene, in questo settore l’IPSEMA tutela solo la maternità delle hostess, nient’altro; non abbiamo alcuna competenza sui lavoratori del volo.
Signor Presidente, sa quali sono gli infortuni e le malattie professionali che colpiscono i lavoratori di questo settore? Posso anticiparvi i dati non quantitativi ma qualitativi: gli stessi infortuni che l’IPSEMA verifica per il settore marittimo (perché la superficie di lavoro è instabile), ovvero quelli dovuti a cadute; anche le malattie professionali sono le medesime e cioè l’ipoacusia bilaterale, dovuta al rumore di bordo, e altre patologie provocate dall’amianto. Al riguardo ho interessato, senza ottenere grandi risultati, il sostituto procuratore della Repubblica Guariniello che alcuni anni fa aveva chiesto all’ISPESL (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro) di fornire dati in merito. Si tratta di una vicenda misteriosa, visto che il casellario centrale degli infortuni dovrebbe registrare, nella volontà del legislatore, anche gli infortuni occorsi in volo, laddove non se ne conosce né l’entità, né la tipologia. Tutto ciò aggravato dal fatto che la cultura giuridica italiana, che qualche volta ignoriamo, prevede la garanzia della prestazione al lavoratore da parte dell’ente pubblico (INAIL o IPSEMA che sia) anche se il datore di lavoro non ha versato i contributi; un’alta civiltà giuridica. L’ente pubblico, inoltre, si occupa della prevenzione, a differenza delle assicurazioni private che, altrimenti, vedrebbero diminuire gli incassi. Ma la loro attività prevede business di altro tipo; tutti voi sapete – perché tutti siamo assicurati contro la responsabilità civile auto – che se non si paga il premio è impossibile pensare che l’assicurazione risarcisca il danno. Ebbene, ciò non vale per l’ente pubblico (mentre, purtroppo, è ciò che accade al personale di volo) che, oltretutto, fa prevenzione, esclusa invece dalle competenze delle compagnie assicurative private.

PRESIDENTE
Vorrei sottolineare il valore delle tematiche sottoposte alla nostra attenzione, peraltro non nuove, come posso io stesso testimoniare. Insieme ai colleghi, analizzerò a fondo la questione per individuare percorsi chiari che possano condurre, tra l’altro, a procedure uniformi.
Dinanzi a temi così importanti e reali, pur non essendo un atto dovuto, credo sia nostro dovere fornire delle risposte e cercare soluzioni idonee.
Come di consueto, manterremo con voi rapporti di collaborazione, peraltro già consolidati in passato. Devo, infatti, dare atto all’IPSEMA di aver sempre dimostrato disponibilità in termini di collaborazione nei confronti di questa Commissione anche perché, di fatto, insieme cerchiamo di lavorare al meglio nel tentativo di rendere concrete le iniziative tese a contenere, ridurre e, ci auguriamo, azzerare gli infortuni e le morti sul lavoro.
Ringrazio i nostri ospiti e i colleghi che sono intervenuti e dichiaro conclusa l’audizione.
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Fonte: Senato della Repubblica