Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
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SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico



Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 10, martedì 2 dicembre 2008



Audizione delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL, UGL, CIDA, CISAL, CIU, CONFEDIR, CONFEDIRSTAT, DIRSTAT, CONFSAL, CUB, FABI e SINPA

Presidenza del presidente TOFANI indi del vice presidente NEROZZI

Intervengono per la CGIL la dottoressa Paola Agnello Modica e il dottor Sebastiano Calleri; per la CISL il dottor Renzo Bellini e il dottor Luciano Barbato; per la UIL il dottor Paolo Carcassi e la dottoressa Gabriella Galli; per la UGL il dottor Nazzareno Mollicone, la dottoressa Maria Fazio e il dottor Stefano Romagnoli; per la CISAL i signori Dino Antonio Carola e Pasquale Fiore; per la CIDA il dottor Giorgio Corradini, il dottor Alberto Sartoni, il dottor Umberto Immacolato e il dottor Pasquale Michiensi; per la CIU il geometra Giuseppe Janne e la dottoressa Giovanna Cucchiara; per la CONFSAL il dottor Francesco Cagnasso; per la CONFEDIR il dottor Massimo Fiaschi e l’avvocato Luca Abbatelli; per la CUB il dottor Pierluigi Sostaro e il dottor Cataldo Di Napoli.

PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca l’audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali.
Comunico che, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso.
Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Saluto i nostri numerosi ospiti e do subito inizio all’audizione, avvisando fin d’ora che, ove non fosse possibile esaurirla nella giornata di oggi (alle ore 16 dovremo concludere i nostri lavori), ne rinvieremo il seguito ad una prossima seduta.
Il dottor Carcassi ha chiesto, se possibile, di intervenire per primo a causa di alcuni impegni. Do pertanto la parola al segretario confederale della UIL.

CARCASSI
La ringrazio, signor Presidente. Vi abbiamo inviato una richiesta di incontro, sollecitando un approfondimento, perché a nostro giudizio viviamo un momento di particolare rilevanza per quanto attiene alle tematiche degli infortuni e della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Abbiamo avuto l’approvazione di una nuova normativa – il decreto legislativo n. 81 del 2008 – su cui innanzitutto voglio esprimere una valutazione positiva: finalmente con essa si affronta il tema della salute e della sicurezza sul lavoro in maniera organica, cercando di considerarne tutti gli elementi. Non c’è un solo motivo per cui si verificano gli incidenti, ve ne sono diversi: il decreto legislativo n. 81 cerca finalmente di affrontarli in maniera organica e di predisporre un dispositivo legislativo completo che riesca ad eliminare lo zoccolo duro rappresentato dalle circa 1.200 vittime e dai 900.000 infortuni che si registrano tutti gli anni nel nostro Paese.
Un secondo motivo di apprezzamento sta nel fatto che questa normativa è stata per larga parte convenuta tra le parti, le quali hanno avuto un lunga fase di discussione e sono arrivate a definire un testo che, almeno per quanto riguarda il Titolo I, è stato largamente condiviso. Personalmente, ho partecipato a tutte le fasi della trattativa e devo dire che gli unici distinguo si sono avuti in materia di sanzioni, ma non tra organizzazioni datoriali e organizzazioni sindacali bensì tra organizzazioni datoriali e Governo, il quale, anche con la presenza autorevole del Ministro della giustizia, riteneva di introdurre una serie di sanzioni che dalle parti datoriali venivano considerate eccessive. Come organizzazioni sindacali, noi abbiamo sostenuto che non dovesse esserci un indebolimento del sistema sanzionatorio perché sarebbe stato considerato come un elemento contrastante nel momento in cui si andava a determinare un nuovo assetto giuridico complessivo.
Quindi, abbiamo una buona normativa: essa però va attuata, va applicata. Sentiamo fare tutta una serie di discorsi del seguente tenore: non bisogna ragionare di regole, ma di obiettivi; le regole costituiscono, se possibile, un ostacolo alla migliore realizzazione di processi che siano positivi per la salute e la sicurezza. A tale riguardo, è mio convincimento che le regole costituiscano la base; se ci sono delle regole e queste sono praticate, quello degli obiettivi diventa un tema perseguibile. Laddove non esistono regole praticate, prospettare degli obiettivi è assolutamente illusorio.
A nostro avviso, bisogna applicare sollecitamente il decreto n. 81: sono passati oramai sei mesi della sua approvazione; noi abbiamo calcolato che è necessario emanare ben 38 decreti ministeriali per riuscire ad applicare la normativa e che servono poi dieci accordi interconfederali.
Riteniamo pertanto che ci sia bisogno di un’accelerazione dei tempi di attuazione e di un monitoraggio per verificare come e quando si procede.
Per esempio, non è stata ancora istituita la Commissione consultiva permanente: noi abbiamo fornito i nomi per tale Commissione ai primi di settembre, siamo a dicembre e non si è ancora costituita. Ciò non è avvenuto certamente per colpa delle parti sociali, che hanno adempiuto immediatamente a quanto da parte loro doveva essere fatto.
Vi è poi la problematica relativa al sistema informativo nazionale, che rappresenta un elemento fondamentale per riuscire ad avere finalmente un quadro della situazione che sia condiviso e dettagliato. Lo sviluppo del sistema informativo deve vedere anche il coinvolgimento delle parti sociali. Ebbene, da questo punto di vista non abbiamo avuto nessun tipo di riscontro relativamente a tale problematica. Tra l’altro, siamo alla vigilia di un momento importante: tra meno di un mese, dal 1º gennaio, dovrebbe partire l’applicazione del nuovo documento di valutazione dei rischi. Non vorremmo che qualcuno prendesse a pretesto i ritardi nell’attuazione della normativa per rimandare ancora l’applicazione di tale documento che secondo noi rappresenta il primo elemento di prevenzione in materia di salute e sicurezza, perché la prevenzione si fa attraverso un documento di valutazione dei rischi che sia preciso. Noi saremmo contrari alla prospettiva di un nuovo rinvio, perché si tratterebbe di rimandare ancora l’applicazione complessiva della legge.
Analogamente, consideriamo di particolare rilievo l’applicazione dell’articolo 52, che dà la possibilità di definire e istituire gli RLST (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriale). Viviamo in azienda una situazione di grande assenza di contraddittorio e di tutela da parte del lavoratore, soprattutto perché nelle piccole e medie aziende non è possibile definire i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, quindi da questo punto di vista attuare l’articolo 52 è particolarmente importante.
Voglio fare ancora alcune considerazioni su due temi che in questo momento sono al dibattito, il primo dei quali è la questione dell’avviso comune. Noi ci stiamo incontrando in queste ore con le parti datoriali per definire un avviso comune su elementi di semplificazione. Per quanto ci riguarda siamo disponibili a trovare tutte le soluzioni che facilitino l’applicazione della legge; non siamo disponibili, però, a rimettere in discussione parti qualificanti della legge stessa. Il problema di fronte al quale ci troviamo, infatti, è che si tenta di far passare per semplificazione qualcosa che semplificazione non è. Nel momento in cui si eliminasse ad esempio, la compilazione del documento di valutazione dei rischi non si avrebbe una semplificazione (o meglio, si ha anche quella, perché si elimina un adempimento): di fatto, però (e questo è assolutamente inaccettabile) si rimette in discussione tutto ciò che è stato costruito all’interno del documento che costituisce lo ribadiamo la pietra miliare della prevenzione in azienda.
Il secondo ed ultimo argomento che voglio trattare è quello connesso alla vigilanza, che è stato collegato al tema della bilateralità. Anche in questo caso sarò molto chiaro. Noi siamo favorevoli alla bilateralità perché laddove questa si è espressa ha dato ottimi risultati. Ad esempio, in edilizia i risultati sono stati estremamente positivi, ma la bilateralità non ha niente a che vedere con la vigilanza. In una prima stesura della legge, come è noto a tutti, si prevedeva che gli enti bilaterali avessero delle funzioni che sono anche di vigilanza. Noi ci ponemmo in una posizione non favorevole relativamente a questo elemento perché la bilateralità ha altri compiti, di sostegno, di consulenza, in qualche maniera di intervento sulle aziende affinché vengano sviluppate le migliori prassi; non ha alcun collegamento invece con la vigilanza. L’idea di soprassedere alla vigilanza laddove c’è la bilateralità non ci pare sia un elemento positivo. Fra l’altro, continuo a ripetere che nei casi in cui la bilateralità ha avuto momenti di grande affermazione, come per gli edili, continua ad esserci tranquillamente la sorveglianza, che viene effettuata dagli ispettorati del lavoro. Nonostante la bilateralità, quindi, la sorveglianza continua ad essere fatta.
L’ultimo tema è quello specifico della vigilanza. Ci sono delle ipotesi che tendono a riportare il tema della vigilanza a responsabilità centrale.
Noi riteniamo sia assolutamente fondamentale un coordinamento tra tutti i diversi soggetti. I soggetti sono tanti. Abbiamo provato a fare un conto: fra Ministero del lavoro, Carabinieri, INPS, INAIL, ENPALS ci sono 6.463 persone che fanno vigilanza; all’interno delle ASL ci sono 4.107 persone che fanno parte dei servizi di prevenzione, 2.659 delle quali sono ufficiali di polizia giudiziaria, coloro cioè che sono preposti agli elementi della vigilanza. È importante innanzitutto che queste persone lavorino bene assieme. Il tema del coordinamento è importante, ma saremmo contrari a interrompere il rapporto dei servizi di vigilanza con il servizio sanitario nazionale. La riforma sanitaria ha portato a inquadrare il tema della vigilanza in stretta colleganza con il tema della salute. Interrompere questo rapporto significa – questo sì – burocratizzare, cioè portarlo ad una visione della vigilanza esclusivamente connessa all’applicazione delle regole e al rispetto delle stesse. Si tratta piuttosto di riuscire a dare ai servizi di vigilanza delle ASL un maggiore sviluppo. Era ipotizzato che per i servizi di vigilanza ci fosse una dotazione di risorse pari al 2 per cento del montante complessivo del servizio sanitario nazionale. Questa previsione è sparita. Si tratta di stabilire dei target e degli obiettivi precisi e convenuti per poi pretendere sulla base di questi degli obblighi da parte delle Regioni. Crediamo, però, che la strada sia quella del coordinamento e non quella di spostare o di assorbire all’interno del Ministero del lavoro o degli ispettorati del lavoro queste figure. Si deve, inoltre, secondo noi, mantenere un rapporto forte con il tema della salute e con il servizio sanitario nazionale.
Sono questi alcuni aspetti delle tematiche in questo momento oggetto del dibattito e della discussione che mi sembrava opportuno sottolineare, sollecitando che ci sia, se possibile anche da parte di questa Commissione, un momento di verifica rispetto ai 38 decreti da emanare e a tutti quegli accordi senza i quali il decreto legislativo n. 81 del 2008 resterebbe un mero pezzo di carta perché in assenza dei provvedimenti attuativi resterebbe senza alcuna effettività.

PRESIDENTE
Al riguardo intendo comunicarvi che questa Commissione si è già attivata sul tema relativo all’attuazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, tant’è che tra i gruppi di lavoro ce ne sarà uno che ne seguirà con attenzione l’attuazione. Infatti anche noi abbiamo sentito in maniera forte l’esigenza di monitorare questi passaggi perché il rischio è quello che lei ha denunciato.

AGNELLO MODICA
Signor Presidente, vorrei innanzitutto ringraziare per la tempestività della nostra convocazione. Noi diamo valore e importanza al fatto che una sede istituzionale come questa si occupi di un tema così importante e significativo come quello della condizione delle donne e degli uomini che lavorano nel nostro Paese. Se mi è concessa un’osservazione, nella denominazione della Commissione figura la locuzione «morti bianche»; ebbene c’è un appello che sta circolando in questi giorni perché si modifichi questa terminologia, nata moltissimi anni fa in occasione di una manifestazione in cui i lavoratori portarono tante croci bianche per ricordare i compagni caduti sul lavoro. Oggi l’espressione ha perso quel significato per assumere in parte quello della non responsabilità, ma questo attiene alle modificazioni culturali nella società.
Il collega Carcassi si è già soffermato su alcuni aspetti, vorrei provare ad aggiungerne altri e ad integrarli. Noi abbiamo condiviso, con un lungo lavoro di confronto, sia la legge delega n. 123 del 2007 che il decreto legislativo n. 81, il cosiddetto «Testo Unico». In modo particolare, abbiamo discusso in maniera molto approfondita e intensa il Titolo I che negli assi, nel senso e quasi persino nella lettera dovrebbe essere rispettato ed attuato fino in fondo.
Oggi, però, mi corre l’obbligo di fare una premessa: temiamo che le discussioni in corso e le dichiarazioni che si leggono sui giornali possano portare a una condizione di incertezza della norma, che è quanto di più pericoloso possa esserci su temi così delicati. In particolare, se questo avviene in una fase di crisi come quella attuale c’è la reale possibilità che aumentino i rischi per i lavoratori e le lavoratrici. Sapendo che normalmente nel nostro Paese in corrispondenza di un aumento del PIL si verifica un aumento degli infortuni mentre in corrispondenza di una riduzione del PIL si verifica una riduzione degli infortuni, noi temiamo che ci sia un aumento effettivo anche se questo non dovesse risultare dalle statistiche.
Sto pensando, in particolare, al lavoro nero e al lavoro sommerso. Come diceva il collega Carcassi, noi chiediamo la piena attuazione del decreto legislativo n. 81. Quanto ci ha detto il Presidente a proposito di un gruppo di lavoro ad hoc mi pare un aspetto importante. Tuttavia, poiché alcune parti del decreto legislativo n. 81 sono state modificate o rinviate, chiediamo non solo che non vi siano ulteriori proroghe, ma anche un ripristino completo del testo. Se la Commissione e il Presidente lo ritengono utile, ci riserviamo di presentare nei prossimi giorni una nota scritta al riguardo.
Desidero comunque ricordare alcuni elementi assolutamente significativi: il fondo per i rappresentanti dei lavoratori territoriali di cui all’articolo 52; la Commissione consultiva. Inoltre mi vengono in mente alcuni provvedimenti già scaduti o emanati rifiutando il confronto con le organizzazioni sindacali. È già scaduto da tempo, senza trovare attuazione, il decreto sul rischio chimico per i livelli più bassi e questo creerà problemi di non poco conto. Tra l’altro, si è intervenuti in maniera unilaterale sulla normativa relativa ai controlli sulla tossicodipendenza, con modalità che davvero nulla hanno a che vedere con la vera salvaguardia sia dei lavoratori che dei soggetti terzi.
Prima di entrare nel merito di alcune questioni, vorrei aggiungere che abbiamo letto il resoconto dell’audizione del ministro Sacconi dinanzi alla Commissione, che contiene alcuni elementi che ci preoccupano. In primo luogo, come diceva il collega Carcassi, si parla della centralizzazione della vigilanza. Il Ministro ha riferito che le organizzazioni sindacali sarebbero d’accordo e chiederebbero da tempo la centralizzazione della vigilanza.
Tengo a sottolineare che ciò non risponde a verità e se fosse vero per qualcuno non può comunque essere presentato in questo modo.
In secondo luogo, sulla stampa e in dichiarazioni varie si fa spesso confusione tra due elementi tra loro profondamente diversi, uno dei quali è quello relativo alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro: non è compito del movimento sindacale definire se e come intervenire per modificare la Costituzione. Se del caso, ne discuteremo, questo però nulla ha a che vedere con la titolarità della vigilanza. Per noi resta essenziale che la titolarità primaria della vigilanza resti in capo alle ASL. Esiste, poi, un problema di coordinamento per il quale sono già previsti, nel decreto legislativo n. 81, una serie di strumenti che devono funzionare fino in fondo. Inoltre non condividiamo la connessione tra vigilanza e bilateralità. Premesso che per salute e sicurezza si è sempre parlato di pariteticità e non di bilateralità, espressioni che hanno accezioni diverse, questa stretta connessione rischia di essere assolutamente pericolosa, innanzitutto per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori.
Sempre considerando le parole del Ministro, abbiamo letto di una ipotesi di modifica che prevede la «cedevolezza» delle norme: dalla norma alla bilateralità. Anche in questo caso la certezza del diritto è assolutamente essenziale. Vorrei ricordare un punto primario: la normativa è diretta a salvaguardare l’integrità psicofisica delle donne e degli uomini che lavorano e solo in seconda battuta si deve tener conto, ovviamente, dei problemi dei datori di lavoro, cosa di cui molto spesso ci siamo fatti carico anche nelle semplificazioni, per cui la disponibilità continua a rimanere.
Analogamente (non so che informazioni abbia il Parlamento), si è parlato di INAIL, di ISPESL, di connessioni, di rapporti e quant’altro. Anche a questo proposito, essendo già previsto un rapporto ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo n. 81, non è chiaro come ciò si connetta con quanto previsto nel disegno di legge n. 1441-quater presentato alla Camera dei deputati, sulla riorganizzazione delle varie istituzioni; anche per questo ho parlato di incertezza normativa che rischia di essere pericolosa.
Qual è la situazione in cui ci troviamo oggi? Il Ministro ha invitato le parti sociali a produrre un avviso comune per superare la differente valutazione che a suo tempo fu data sul provvedimento. A questo proposito, cioè per quanto riguarda la differente valutazione in relazione al Titolo I sulle sanzioni, il collega Carcassi ha già spiegato come si è svolta la vicenda. Comunque ritengo utile che la Commissione abbia a disposizione alcuni elementi conoscitivi. Ci è stato detto più di una volta che un eventuale avviso comune sarebbe vincolante ma non esaustivo delle modifiche che il Governo intende apportare. Inoltre, le organizzazioni datoriali hanno consegnato al Governo il loro documento per la definizione di un avviso che dovrebbero condividere con le organizzazioni sindacali, ma di cui noi non disponiamo; non sappiamo neanche se si tratti di un lodo o di un avviso comune e chiunque abbia seguito le vicende delle relazioni sindacali e industriali sa che la differenza è consistente. Quindi tale procedura è assolutamente anomala. In terzo luogo, di questo documento noi abbiamo solo l’allegato che parla di semplificazioni, infatti è titolato «Principali semplificazioni» laddove, in realtà, si tratta di un vero smontaggio dell’impianto del provvedimento. Non sono semplificazioni, ma modifiche sostanziali, che a volte addirittura esulano dal tema della salute e sicurezza.
In conclusione, non abbiamo chiaro il quadro della situazione. Se qualcuno pensa di proporre modifiche che richiamino il vecchio Testo Unico di alcuni anni fa è chiaro che resta confermata la nostra opinione di allora; noi continuiamo a chiedere l’attuazione del provvedimento.
Non credo sia il caso di entrare ora nel merito dei dati sugli infortuni, anche se ritengo sarebbe utile avere un momento di confronto anche su tale aspetto. Vorrei però fare una segnalazione: si sta parlando troppo di patologie comportamentali e di mancata attenzione dei singoli lavoratori sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Sottolineare questo senza sottolineare altri elementi, secondo me, è assolutamente fuorviante. Il Presidente mi ha già sentito parlare di questo aspetto e perciò chiedo scusa della ripetizione: non sono i lavoratori a decidere l’organizzazione del lavoro, né la tipologia del rapporto di lavoro, né se possono lavorare in regola o in nero, né i ritmi, i turni, gli orari e quant’altro, ma è il datore di lavoro. Non sono i lavoratori a decidere delle catene di appalti e subappalti, non sono loro a decidere quali le strumentazioni di lavoro da utilizzare.
Quindi bisogna fare grande attenzione a questo punto così come a quelli relativi ai migranti, alle donne, al peso della precarietà sugli infortuni.
Ho letto che la Commissione ha deciso di costituire un gruppo di lavoro anche sulle malattie di origine professionale e la mia valutazione in merito è estremamente positiva, perché si tratta di uno dei grandi buchi neri nell’informazione e nei dati. Connetto a questi due temi, malattie professionali e infortuni, tutta la partita delle rendite e degli indennizzi per i lavoratori. Spero di potermi limitare, in questa sede, a ricordare che siamo a livelli di indecenza per persone che hanno subito menomazioni spesso pesanti.
Infine, visto che, come ha ricordato il Presidente, sono stati istituiti dei gruppi di lavoro per le singole materie, vorrei sapere se prevedete di tenere audizioni specifiche, perché credo che su ciascuna materia e su ciascun tema potremmo dare, come organizzazioni sindacali, un contributo quantomeno di conoscenza oltre che, ovviamente, di opinione.

PRESIDENTE
Ringrazio la dottoressa Agnello Modica di cui ho già avuto modo di apprezzare gli interventi e le analisi, che sicuramente rappresenteranno per la nostra attività un elemento importante. I contributi cui ha fatto riferimento sono, ovviamente, i benvenuti. È un messaggio che rivolgo a tutte le organizzazioni oggi presenti perché i rapporti con questa Commissione non si esauriscano con le audizioni: intendiamo creare dei contatti costanti e quindi più saranno vivi più ve ne saremo grati.
In secondo luogo, i vari gruppi di lavoro si avvarranno di un coordinatore e incontreranno diversi soggetti sociali per approfondimenti specifici, il più possibile articolati, che possano risultare utili per l’attività stessa della Commissione.

BELLINI
Innanzitutto ringrazio lei, signor Presidente, e tutti i membri della Commissione per l’invito rivoltoci, scusandomi anticipatamente per le inevitabili ripetizioni che saranno contenute nell’intervento che mi accingo ad illustrare.
Rispetto al decreto legislativo n. 81 anche il mio giudizio è assolutamente positivo e lo è per due ragioni. In primo luogo, perché sul piano metodologico si è avviata una vera concertazione a livello istituzionale, che ha visto coinvolti due Ministeri e la Conferenza Stato-Regioni, cui è seguita una concertazione tra le parti sociali.
In secondo luogo, per il merito, i contenuti del provvedimento. Ritengo, infatti, che il citato decreto legislativo tenda a migliorare le norme e gli obblighi finalizzatati a realizzare con più efficacia ed efficienza una politica di prevenzione nei luoghi di lavoro, così come ritengo che in esso siano contenute delle novità tese a portare a sistema l’agire istituzionale, che molte volte è apparso confuso e disordinato.
È stata prevista una serie di coordinamenti relativi alla vigilanza, al controllo, al sistema di formazione, all’informazione e alla banca dati, tutte misure che tendono a focalizzare l’attenzione sul ruolo istituzionale.
Sono, inoltre, convinto che tale provvedimento tenda a valorizzare il momento partecipativo delle parti sociali coinvolte sul piano istituzionale non solo nell’attività descritta, ma altresì nei luoghi di lavoro, garantendo certezza alla rappresentanza sindacale. La complessità dei temi e dei problemi evidenzia una maggiore responsabilità da parte di tutti i soggetti interessati a realizzare politiche di prevenzione rispetto ai temi della salute e della sicurezza sul lavoro.
Anch’io sono fermamente convinto che sia prioritario dare pratica attuazione a questi aspetti. Saranno necessari molti interventi da realizzarsi attraverso decreti attuativi e ciò richiederà un grande lavoro. Ho quindi accolto con piacere la comunicazione del Presidente circa l’istituzione di specifici gruppi di lavoro all’interno della Commissione per facilitare questo percorso. Naturalmente, ci rendiamo disponibili fin d’ora ad interagire con tali gruppi perché riteniamo estremamente importante e significativo tutto ciò che può aiutare a velocizzare questo processo.
Desidero sottolineare due temi che richiedono la nostra attenzione. Il primo riguarda l’avviso comune. Siamo stati favorevoli all’impostazione del Ministro tesa a ricercare, su alcuni aspetti non condivisi tra le parti sociali durante la stesura del decreto legislativo n. 81, una condivisione che per noi rappresenta un valore aggiunto poiché consente di gestire e applicare meglio i contenuti del decreto. Ci siamo resi disponibili in quella circostanza e continuiamo ad esserlo e perciò stiamo lavorando in questa direzione. Voglio precisare, tuttavia, che la ricerca di un avviso comune deve, a nostro avviso, concretizzarsi in aspetti che possono alimentare un sistema di semplificazione delle norme, ma non deve destrutturare quegli elementi innovativi di contenuto politico che prevedono una maggiore attribuzione di responsabilità agli attori coinvolti nel processo e maggiore attenzione alle politiche di prevenzione.
Infine, vorrei far rilevare che, nonostante il nostro impegno a ricercare un avviso comune tra le parti sociali, non abbiamo alcuna notizia su quali linee intenda seguire il Ministero nell’attuazione del decreto. Anche a tal riguardo occorrerebbe rivitalizzare la politica di confronto e concertazione tra le parti sociali. Il Ministro ha sottolineato che tutto quanto sarà oggetto di avviso comune verrà recepito, ma ha altresì aggiunto – come hanno ricordato i colleghi che mi hanno preceduto – che non sarà esaustivo. Riteniamo, pertanto, sia necessario ed utile conoscere le intenzioni del Ministero al riguardo per poterne discutere e ragionare. Gli interventi più significativi su cui potrebbe concentrarsi l’attenzione del Ministero sembrerebbero essere proprio quelli relativi alla vigilanza, ma al riguardo non abbiamo notizie precise: ci rifacciamo a quanto riferito dal Ministro nel corso dell’audizione presso questa Commissione.
Per essere chiaro, non sono contrario ad un’idea di vigilanza di tipo centralizzato; tant’è vero che il ragionamento su un coordinamento dell’intera attività di controllo e vigilanza va in questa direzione. Si tratta di capire, però, come si intende strutturare questo ambito e rispondere ai due veri problemi che si pongono. Il primo riguarda il rapporto con il sistema sanitario. Mi preme ricordare che stiamo parlando non solo di sicurezza nei luoghi di lavoro, ma di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Come si intende risolvere, dunque, questo problema? Il secondo problema riguarda la legislazione concorrente in questa materia: come si intende risolvere il rapporto con le Regioni? Ritengo che questi temi meritino un’approfondita discussione. Infatti, affinché le idee si concretizzino e diventino poi efficaci è necessario che siano condivise.
Concludendo il mio intervento, auspico un ulteriore confronto con i gruppi di lavoro della Commissione. Auspicherei inoltre una sollecitazione affinché il Ministero, oltre a sostenere il tavolo per l’avviso comune, si confronti con le parti sociali in merito agli interventi che intende attuare con riferimento al decreto legislativo n. 81.

NEROZZI (PD)
Voglio fare una precisazione per evitare confusione.
Le Regioni hanno due competenze: l’una di tipo sanitario, attraverso i controlli sulle aziende, l’altra – che in parte non hanno ancora applicato – di tipo normativo per quello che riguarda la sicurezza, materia oggetto di legislazione concorrente. Sono due aspetti che bisogna tenere separati.

PRESIDENTE
Quello del riparto di competenze tra Stato e Regioni in questo come in altri campi è un grande tema di dibattito, come il senatore Nerozzi ha ricordato. Anche nell’ambito della Commissione ci stiamo interrogando su questi temi e stiamo cercando di arrivare, se possibile, ad una proposta condivisa per poterci confrontare con tutti gli altri soggetti, voi compresi, per dare un taglio più netto e chiaro proprio là dove ci sono zone d’ombra.
Do ora la parola al segretario confederale dell’UGL.

MOLLICONE
Signor Presidente, voglio anch’io ringraziare la Commissione, che prosegue il lavoro che aveva già iniziato nella precedente legislatura dedicandosi esclusivamente al problema degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.
Ribadisco quanto hanno già affermato i miei colleghi in termini di positivo apprezzamento del decreto legislativo n. 81 del 2008. Anche noi abbiamo partecipato ai lavori relativi e vorrei sottolineare che è stato trovato un punto di equilibrio tra le diverse posizioni (le nostre, quelle dei datori di lavoro e naturalmente anche quella del Governo) che ha soddisfatto sostanzialmente tutte le parti. Ma proprio per questo noi consideriamo con molta perplessità il fatto che si vogliano rimettere in discussione alcune parti del decreto con il pretesto della cosiddetta semplificazione, che certo può andare bene per alcuni aspetti marginali, (per esempio, qualche comunicazione in meno da fare), ma non se tende ad alterare un equilibrio molto delicato. Tra l’altro, abbiamo fatto presente che con riguardo ad una normativa così complessa (che per giunta ha abolito le disposizioni precedenti, lasciando quindi un vuoto), che a sei mesi dall’entrata in vigore è ancora incompleta perché mancano una serie di decreti ministeriali e di organismi previsti dallo stesso decreto, ci sembra improprio pensare a cambiare qualcosa che ancora non si è messo in moto. Questa è la nostra posizione, anche se naturalmente su alcuni punti si può trovare un accordo, ferma restando la critica – che condivido – sulla metodologia seguita, ovvero di fare proposte su aspetti che una parte conosce e l’altra no; ma questo è un problema particolare.
Vorrei fare una precisazione per quanto riguarda la centralizzazione.
Forse saprete che la nostra confederazione ha avviato una raccolta di firme proprio sull’aspetto della legislazione concorrente. Sappiamo bene, infatti, che qualsiasi norma, a cominciare dal decreto legislativo n. 81 del 2008, richiede un’estenuante ricerca di consenso da parte della Conferenza Stato-Regioni, il che naturalmente complica i lavori. Vi è poi – è inutile nasconderlo – il problema delle ASL: la parte relativa al controllo per quanto attiene alla sicurezza sul lavoro gestita dalle ASL, quindi gestita dalle Regioni, con la relativa fornitura di strumenti, materiali e risorse umane, è largamente deficitaria. C’è stato il caso di Torino in cui sembrerebbe che la ASL – e parliamo di Torino, del Piemonte – abbia tenuto comportamenti non proprio lineari. Quindi, non demonizzerei il tentativo di far funzionare meglio una parte importante della vigilanza e della tutela in materia di sicurezza sul lavoro e malattie professionali; senza ovviamente cancellare tutto, qualcosa indubbiamente va fatto.
Tornando al discorso del cosiddetto Testo Unico, vi sono aspetti a cui noi annettiamo grande importanza. Tra questi, l’innovazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza a livello territoriale, che copre tutta l’area delle piccole imprese che non hanno possibilità di eleggere al loro interno i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Era una vecchia richiesta sindacale che è stata recepita dal decreto legislativo e che andrebbe attuata rapidamente. Si parla certamente di accordi interconfederali, però anche il Ministero può fare la sua parte. Vi è poi la questione della Commissione consultiva, che dovrebbe entrare in vigore, così come i comitati di coordinamento a livello territoriale. In sostanza, c’è un gran lavoro da fare.
Ancora, vi è il problema dell’informazione, che noi vorremmo cominciasse già nella scuola, e della formazione, con la previsione dell’articolo 52.
In conclusione, mi auguro che si possano accelerare i tempi di attuazione del decreto e che la Commissione, nella sua autonomia parlamentare, voglia sentire nuovamente anche il Ministro del lavoro per sapere come procede l’iter dei decreti attuativi.

SOSTARO
Ringrazio il Presidente e la Commissione per questa opportunità e per la possibilità di presentare dei contributi scritti successivamente all’odierna audizione.
Personalmente sono alla quarta audizione su questo tema in un anno e mezzo, o poco più. Secondo me dovremmo interrogarci su cosa accade realmente nella vita delle aziende, nei luoghi di lavoro, mentre noi discutiamo, per vedere se le decisioni che vengono prese dalle istituzioni sono poi davvero efficaci. Ricordo alcuni gravi episodi che si sono verificati: il più clamoroso e drammatico è stato indubbiamente quello della strage alla Thyssen Krupp di Torino. Ne abbiamo già parlato nella precedente legislatura in questa Commissione: la novità mi sembra il rinvio a giudizio del responsabile dell’azienda da parte del tribunale di Torino con una motivazione nuova, quella della dichiarazione di presunta – per ora – volontarietà dell’omicidio. In qualche modo, è una novità che ci pone anche il problema di cambiare le espressioni che usiamo: non si dovrebbe parlare di morti bianche, ma di omicidi veri e propri.
Comunque, l’approvazione del decreto legislativo n. 81 è stato un fatto certamente positivo; anche se, è stato già detto in alcuni interventi, mi sembra che ci siano segnali che vanno nella direzione di un suo ridimensionamento e dello snaturamento di alcuni punti qualificanti. Si tratta per ora solo di segnali, ma sono di questi ultimi mesi. Se dovesse verificarsi un’inversione di tendenza noi la giudicheremmo come un elemento negativo. Cito alcuni fatti: l’eliminazione del libro paga e del libro matricole; l’eliminazione del modulo per le dimissioni dei lavoratori; la normativa che prolunga l’orario di lavoro, con tutti i rischi connessi; il differimento al 2009 dei termini per la presentazione del documenti di valutazione dei rischi; la modifica della norma per il controllo dei cantieri. E mi fermo qui.
I dati sugli infortuni (che sono la realtà con cui dobbiamo confrontarci) sono leggermente diminuiti nell’ultimo anno, anche se a mio giudizio dovremmo porci in termini di confronto con i Paesi più sviluppati dell’Unione europea. Rimane inaccettabile il numero dei morti. Ci sono al riguardo dati pubblicati da giornali collegati al gruppo de «Il Sole 24 Ore» (quindi la fonte mi sembra assolutamente fuori di ogni sospetto) che indicano incongruenze tra il numero dei lavoratori extracomunitari che subiscono infortuni gravi e quello, assolutamente non proporzionale, delle denunce di infortunio per questi lavoratori, il che sta ad indicare una omissione di denunce di infortunio. Dobbiamo valutare quali sono i settori in cui si verificano gli infortuni, che non sono solo quelli arretrati, non solo il settore delle costruzioni: sono invece principalmente i settori industriali e dei servizi, quindi anche quelli per così dire più moderni.
Per quanto riguarda le malattie professionali, già nelle richieste di convocazione delle audizioni tenute lo scorso anno si chiedeva che fossero individuate le aree delle malattie professionali. Io credo che quando si parla di tale materia si debba smettere di pensare istintivamente alle ipoacusie; dobbiamo concentrarci su nuove patologie. Ne indico alcune. La prima è quella derivante da lavoro prestato nel settore dei servizi alle persone, siano esse malate o anziane. Ormai, tale settore è diventato importante sia come fornitore di servizi sia come numero di occupati. Ci sono malattie professionali assai chiaramente correlate al tipo di lavoro che si svolge, che riguardano, ad esempio, la colonna vertebrale sottoposta a sforzi per lo spostamento manuale compiuto dalle persone. L’INAIL, però, non riconosce l’origine professionale di queste patologie. Vi invito a pensare al fatto che tutti diventeremo anziani e saremo nelle mani delle persone che si prendono cura degli anziani. Sono, inoltre, in espansione nuove forme di malattie da organizzazione del lavoro costrittiva, che non origina solo stress, ma anche una serie di altri problemi. Vi è, infine, il caso del lavoro notturno che da un anno è indicato, nelle monografie dell’International Agency for Research on Cancer (IARC) – l’istituto dell’Organizzazione mondiale della sanità che studia i tumori provocati dalle sostanze presenti nel luogo di lavoro o dall’organizzazione del lavoro –, come potenzialmente cancerogeno. C’è poi tutta la partita dell’amianto cui accenno soltanto: siamo di fronte a una forbice tra la diminuzione delle nuove attività correlate all’amianto e l’aumento del numero di malattie professionali quali il mesotelioma ed altre.
Nel capitolo delle malattie professionali emerge il ruolo assolutamente sconcertante dell’INAIL che dovrebbe essere l’istituto che contribuisce alla prevenzione (tra l’altro, il decreto legislativo n. 81 del 2008 gli conferisce in parte anche nuovi compiti in questa direzione), laddove si assiste spesso ad un’incredibile e inspiegabile sottovalutazione dell’origine professionale di alcune patologie. Si tratta, da una parte, di una sottovalutazione delle diagnosi e delle prognosi (spesso vengono rimandati al lavoro lavoratori con ferite ancora aperte e non sto facendo demagogia perché si tratta di casi concreti, di cui ho conoscenza diretta) e, dall’altra, di non riconoscimento dell’origine professionale delle patologie che ho citato.
Venendo al problema della prevenzione, mi sembra che ci sia una tendenza ad individuare in tutto ciò che è legato alla formazione dei lavoratori e, comunque, alla soggettività dei lavoratori la soluzione al problema degli infortuni. Mentre da una parte è assolutamente vero che il vecchio – ma sempre giovane – Statuto dei lavoratori affidava ai lavoratori il compito di provvedere alla tutela della loro salute, dall’altra però mi sembra che ci sia il tentativo di attribuire ai lavoratori e alle loro condizioni particolari la responsabilità degli infortuni. A volte si parte da nobili intenti, come nel caso dei lavoratori stranieri e dei precari, dicendo che devono avere una formazione adeguata. Se si individua, però, esclusivamente nell’attenzione da parte dei lavoratori l’elemento decisivo per la prevenzione degli infortuni, si va nella direzione sbagliata. Va riconfermato che c’è necessità di una sicurezza intrinseca nei luoghi di lavori. Devono essere realizzati investimenti che prevengano gli infortuni. Il luogo di lavoro deve essere a misura anche del lavoratore distratto e poco consapevole.
Questo non è per teorizzare la distrazione e la poca consapevolezza, ma per sottolineare che devono essere adottate tutte le tecnologie e fatti tutti gli investimenti necessari per rendere i luoghi di lavoro intrinsecamente sicuri.
Sul problema degli ispettori e del personale ASL, penso che non ci sia soltanto un pur reale problema di coordinamento: c’è un precedente e più importante problema di risorse e mi soffermo un attimo su questo aspetto. La legislazione ha previsto che il potenziamento di questi ruoli di ispezione e di controllo avvenisse senza ulteriori aggravi per i conti dello Stato. Capisco tutti i problemi di bilancio dello Stato, ma penso che sia letteralmente impraticabile una soluzione a costo zero; a meno che non si decida di spostare risorse, come è avvenuto, ad esempio, in Lombardia dove sono stati eliminati adempimenti quali le visite ai lavoratori impiegati nel settore dell’alimentazione, che dovevano avere un libretto sanitario per poter esercitare quelle mansioni. I medici prima addetti a queste funzioni sono stati dirottati verso servizi ispettivi nell’ambito delle ASL. Sorge a questo punto un problema di quantità e di qualità: non si può senza un’adeguata formazione realizzare questi spostamenti di personale medico perché un conto è una visita medica per verificare l’idoneità a una mansione, un altro è svolgere compiti ispettivi in luoghi di lavoro dotati magari di particolari tecnologie. Dico questo affinché non accada più ciò che è accaduto ad un medico della ASL di Torino che aveva fatto un sopralluogo presso la Thyssen Krupp: ebbene, costui ha confessato che non aveva mai visto un laminatoio prima di quel momento.
È un dato che ho appreso da un’audizione svolta da questa Commissione. Concludo con alcune proposte. Va superata la carenza degli organici per quanto riguarda le figure ispettive. Pongo il problema anche dal punto di vista dello sfondamento rispetto ai costi per lo Stato. È necessario superare la mancanza di professionalità e di formazione, eliminare le consulenze esterne per il personale ispettivo oppure le forme di compensazione tipo l’affido di attività quali l’arbitrato. Va, infine, cancellato il preavviso al datore di lavoro prima delle ispezioni.

CORRADINI
Signor Presidente, per prima cosa vi ringraziamo per averci invitato a partecipare all’audizione odierna. In un secondo momento vi invieremo un documento con articolazioni maggiori e proposte concrete.
Il mio intervento, dunque, si limiterà ad alcune considerazioni principali.
Noi dirigenti di azienda siamo convinti che il problema della sicurezza sul lavoro possa essere affrontato seriamente non attraverso adempimenti formali e burocratici ma promuovendo efficacemente la cultura della prevenzione. Sul problema della sicurezza si inciderà efficacemente solo quando gli adempimenti per la prevenzione non saranno più sentiti come un vincolo ma come un’opportunità. L’eccesso di burocrazia e formalità e l’inasprimento delle pene non hanno portato e non porteranno, a nostro avviso, a nulla ma si continua purtroppo su tale strada, anche con l’ultimo Testo Unico. Una normativa è necessaria e ne condividiamo l’esigenza.
Riteniamo comunque che si debba fare uno sforzo di semplificazione affinché la stessa non sia solo formale ma divenga sostanziale e quindi possa essere uno strumento di comportamento per tutti gli attori sociali.
Credo sia importante la prevenzione e, all’interno della prevenzione, l’informazione e la formazione senza le quali qualsiasi tentativo di risolvere il cancro sociale delle morti bianche non avrà successo.
Vorrei portare alla vostra attenzione tre proposte concrete. Innanzitutto, a nostro avviso, è indispensabile che le forze sociali dedichino rinnovata attenzione allo sviluppo dell’attività di formazione dei lavoratori ma anche degli imprenditori. Non c’è, all’interno della classe imprenditoriale, la cultura della sicurezza sul lavoro. Per gli imprenditori si tratta di incidenti di percorso, specialmente nelle imprese di minori dimensioni dove tale cultura è assente e quindi va, diciamo, perseguita attraverso un nuovo impulso allo strumento della bilateralità.

Presidenza del vice presidente NEROZZI

(Segue CORRADINI)
In secondo luogo, è opportuno un intervento finalizzato al rafforzamento di sistemi incentivanti per coloro che applichino soluzioni organizzative secondo norme di buona tecnica che accrescono l’efficacia del sistema di prevenzione e protezione dai rischi, anche attraverso agevolazioni fiscali in funzione degli investimenti fatti. L’attenzione alla sicurezza va incentivata e credo che questo sia uno strumento da mettere in atto. Infine, circa la problematica della vigilanza e del controllo, riteniamo necessaria, non solo utile, l’istituzione di un’Agenzia nazionale per l’ispezione unica (noi siamo per l’accorpamento delle funzioni di ispezione, vigilanza e controllo nei luoghi di lavoro) nella quale far confluire tutti i corpi ispettivi. Dovrebbe trattarsi di un organismo dotato di personale tecnico e amministrativo adeguato per numero e per professionalità. All’interno di questa Agenzia dovrà essere costituito l’Osservatorio nazionale dei sinistri negli ambienti di lavoro, espressione dello Stato, delle Regioni, delle parti sociali e degli istituti specializzati. Sono questi i tre punti fondamentali: formazione attraverso la bilateralità, incentivazione agli investimenti sulla sicurezza e costituzione di un’Agenzia nazionale per l’ispezione unica nei luoghi di lavoro. Strumenti da mettere in atto immediatamente in modo tale che si possa finalmente risolvere il problema delle morti bianche.

FIASCHI
Signor Presidente, ringraziamo la Commissione per averci dato la possibilità di partecipare a questa audizione. La CONFEDIR MIT associa attualmente 65.000 manager direttivi, funzionari e quadri del terziario pubblico e privato, dunque i responsabili dell’effettiva applicazione delle disposizioni in materia di prevenzione, formazione e vigilanza contro gli infortuni sul lavoro nelle aziende e nella pubblica amministrazione, cioè per alcuni milioni di lavoratori italiani. Da tale aspetto nasce una prima riflessione (anche noi depositeremo un documento con alcuni approfondimenti, quindi mi limiterò ad alcune notazioni). Occorre tener presente che il terziario, il settore per il quale lavorano i dirigenti che noi rappresentiamo, è caratterizzato da imprese piccole e medie che, proprio per le ridotte dimensioni, risultano maggiormente esposte alle dinamiche di competizione del mercato e alle crisi economiche. Sono spesso imprese a conduzione familiare e dunque a bassa occupazione manageriale, con scarsa sensibilità e attenzione alla formazione che percepiscono molto spesso come un costo non sostenibile.

Presidenza del presidente TOFANI

(Segue FIASCHI)
Se poi consideriamo l’accentuata instabilità e mobilità dei lavoratori che non consente il radicarsi della cultura della sicurezza nonché l’evidenza del lavoro irregolare – sicuramente uno dei fattori rilevanti sull’incidenza degli infortuni –, sembra a ragione di potere dedurre che nessuna legge potrà mai affrontare in modo efficace il problema della sicurezza e delle morti bianche finché le normative in materia continueranno ad essere disapplicate e ad essere considerate come un costo. È più difficile che ciò accada quando c’è un dirigente, quando c’è un investimento in cultura manageriale, un investimento in organizzazione del lavoro idonea. In Italia, almeno nel privato, il numero dei dirigenti è troppo scarso: secondo alcune statistiche, sono lo 0,9 per cento dei lavoratori, mentre in Francia sono il 3 per cento e in Inghilterra il 6 per cento.
Entrando nel merito del decreto legislativo n. 81, noi riteniamo fondamentali gli interventi in direzione della formazione e dei controlli.
Come già detto, la formazione deve partire dal sistema culturale del datore di lavoro e delle istituzioni e quindi deve essere sostenuta da adeguati investimenti. In seno alle aziende, sia pubbliche che private, appare ancora poco consolidato il ruolo del RLS (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza), che spesso non ha strumenti di formazione sufficienti. Per quanto riguarda i controlli, pur riconoscendo la necessità di semplificare atti e procedure, si reputa necessario rendere più adeguati i requisiti, anche culturali, necessari per potere svolgere le attività di RSPP (responsabile del servizio di prevenzione e protezione), ma soprattutto occorre consolidare gli strumenti pubblici di controllo, facendo attenzione a non scendere nei tecnicismi del sistema sicurezza, sminuendo i fondamentali aspetti esperienziali e umanistici.
Questo argomento interessa la questione generale del corretto funzionamento della pubblica amministrazione. Ad esempio, il Ministero del lavoro utilizza molti ispettori che non hanno capacità e requisiti idonei in quanto non provengono da concorsi pubblici per funzionari e direttivi, assunti e formati per svolgere i compiti tipici degli ispettori, ma si trovano in questo ruolo e in questa qualifica funzionale a seguito delle riqualificazioni di personale generico che hanno determinato un massiccio passaggio di livello tra gli impiegati del Ministero stesso in applicazione dei contratti collettivi nazionali. Anche tale aspetto meriterebbe una specifica analisi statistica e funzionale.
Mi soffermo ancora sulla pubblica amministrazione, in quanto rappresenta un’impresa con molti addetti, circa 3 milioni e mezzo. Come tale meriterebbe un riferimento al decreto legislativo n. 81, una trattazione specifica per consentire, da un lato, la corretta applicazione dei principi di salute psicofisica e sicurezza sul lavoro negli uffici, nelle aule scolastiche e di università, nei laboratori di ricerca, nelle corsie di ospedale e quant’altro, dall’altro per mettere finalmente a fuoco il ruolo e le responsabilità dei funzionari e dei dirigenti che non possono essere definiti datori di lavoro con la medesima semplicità con la quale può essere fatto nel settore privato.
Inoltre, manca, ad oggi, un settore di indagine dedicato ai fattori di rischio specifico nella pubblica amministrazione. Ovviamente l’incidenza è inferiore rispetto al privato, settore certamente più esposto al fenomeno delle cosiddette morti bianche, ma lo Stato, come datore di lavoro, deve dare il buon esempio.
CONFEDIR MIT intende esprimere un momento culturale e l’impegno del management associato confermando l’interesse sul tema e la volontà di offrire la collaborazione al Governo e al Parlamento, in questo come nelle prossime occasioni di incontro, e si impegna a realizzare opportune iniziative sul tema.

PRESIDENTE
Ringrazio il dottor Fiaschi per il suo intervento.

FIORE
Rivolgo un ringraziamento ed un saluto a lei, signor Presidente, e a tutti i membri della Commissione. I problemi legati alle morti bianche sono noti, così come lo sono i dati statistici che, in qualsiasi modo vengano letti, portano sempre alle stesse conclusioni. Farò, quindi, solo su alcune brevissime considerazioni.
A fronte delle ispezioni attivate, risulta che le violazioni accertate in materia di prevenzione, sicurezza e igiene del lavoro sono percentualmente elevatissime. La causa delle morti bianche va ricercata nell’assenza o scarsità di controlli, nella mancata attuazione di regole e di prevenzione, nella scarsa considerazione del lavoro. C’è da rilevare, inoltre, che un gran numero di infortuni non vengono denunciati e che i dati ufficiali sono, comunque, incompleti e si riferiscono soltanto al lavoro visibile. Le cifre ufficiali sulle morti bianche fotografano il lavoro regolare, ma non tengono conto degli incidenti che passano sotto silenzio, quelli che coinvolgono i lavoratori irregolari, che non possono essere contabilizzati.
Devo sottolineare come nel nostro Paese non vi sia un problema di normativa in materia di sicurezza e prevenzione degli infortuni, già adeguatamente corposa, bensì manchi un efficiente apparato informativo ed organismi adeguati ad un controllo efficace e coordinato. Pare opportuno, dunque, soffermarci su punti cardine della questione, quali la prevenzione e il sistema dei controlli.
Per quanto concerne il primo punto, riteniamo indispensabile l’inserimento della materia della prevenzione e sicurezza sui posti di lavoro nei programmi didattici, nelle scuole di ogni ordine e grado, al fine di promuovere la consapevolezza e la sensibilità dei futuri lavoratori e datori di lavoro. Risulta, a nostro avviso, necessario inoltre predisporre una campagna informativa diretta alle famiglie, con opuscoli che illustrino le norme comportamentali principali da seguirsi sul posto di lavoro nonché in ambito domestico al fine di ridurre il rischio di incorrere in un infortunio.
Coordinata con tale campagna pare opportuna l’istituzione di un numero verde ove ogni cittadino possa segnalare casi di evidente mancato rispetto della normativa antinfortunistica. Capita spesso girando per le strade di vedere operai edili sprovvisti di essenziali strumenti di prevenzione, come il casco.
Passando al tema dei controlli, dobbiamo sottolineare che le risorse disponibili per l’effettuazione degli stessi sono del tutto insufficienti, come denunciano gli ispettorati del lavoro e le ASL. L’insufficienza complessiva, che provoca l’assoluta inadeguatezza del livello di tutela, è determinata sia dal blocco del turn over nella pubblica amministrazione, sia dal taglio delle specifiche risorse previste dalle leggi finanziarie, apparso come volontà politica di smantellare, se non fermare, l’attività delle strutture ispettive. L’eventualità che le autorità ispettive effettuino un sopralluogo è quindi assai remota. Le disposizioni normative esistono ma, in assenza di controlli sistematici, vengono puntualmente disattese tanto da realizzare un tragico vuoto operativo. Peraltro, troppe ispezioni, in misura percentuale, risultano dedicate ad aspetti burocratici ed amministrativi, ininfluenti in modo diretto sul tema della sicurezza e sulla frequenza degli infortuni sul posto di lavoro che quindi resta altissima. Sottolineiamo altresì come, a peggiorare la situazione, vi sia la problematica relativa al fenomeno del lavoro in nero, purtroppo ancora di là dall’essere risolta.
Perfino il datore di lavoro pubblico non risulta immune da questi comportamenti. Sembra, anzi, che le irregolarità nei lavori pubblici siano in aumento rispetto a quelle delle aziende private. In questo modo il committente pubblico apparentemente risparmia facendo però ricadere gli oneri del rischio infortunistico sulla collettività.
Le cause delle morti bianche hanno precise motivazioni: flessibilità, precarietà, ricatto permanente esercitato in particolare sui minori, sulle donne, sui più anziani, sugli immigrati, aumento incessante dei ritmi di lavoro, scarsi investimenti in sicurezza (purtroppo anche nelle aziende pubbliche, dove un ruolo particolarmente negativo va attribuito ai processi di terziarizzazione che hanno relegato le mansioni di facchinaggio, trasporto, manutenzione, pulizia a ditte esterne sempre più piccole, ovvero a cooperative con minori tutele) e, infine, mancanza della cultura della prevenzione e della sicurezza.
I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza istituiti dalla legge in pochi casi riescono a far rispettare le norme previste dal decreto legislativo n. 626 del 1994 e successive modifiche, in mancanza di un coinvolgimento attivo dei lavoratori. Per non parlare delle piccole aziende dove la figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza non è nemmeno prevista. Non a caso risulta che il fenomeno infortunistico si registra con maggiore frequenza nelle aziende fino a 15 dipendenti. La sicurezza è considerata ancora un costo aggiuntivo, un abbassamento di produttività e, talvolta, un inopportuno strumento di controllo in mano ai lavoratori.
Purtroppo, riteniamo che si stia facendo strada nel Paese l’idea che l’infortunio sia una tragica fatalità, una eventualità da mettere in conto, un effetto collaterale fisiologico del lavoro.
Per spezzare la catena delle morti bianche è necessaria un’azione organica e complessiva. La sicurezza sul lavoro rappresenta il primo diritto dei lavoratori e il primo inderogabile dovere del datore di lavoro.
La CISAL è assolutamente convinta che gli interventi messi in atto fino ad oggi non sono sufficienti. Per contrastare l’illegalità diffusa sono necessarie iniziative di tipo preventivo, formazione, sensibilizzazione sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, ma occorre anche rafforzare la vigilanza. In primo luogo, è necessario coordinare e programmare i controlli nelle aziende. Le ispezioni devono essere effettuate da task force costituite da soggetti che operino congiuntamente: un funzionario ispettivo amministrativo, un tecnico che effettui i controlli sui macchinari (strutture e pericolosità ambientale), un funzionario sanitario per il controllo sullo stato di salute dei lavoratori. A tali soggetti deve essere garantita una formazione specifica, al fine di renderli figure altamente specializzate, nonché strutture adeguate di supporto. Sarebbe pure opportuno che la task force sopra delineata possa, in caso di rilevanti inadempienze da parte delle aziende, chiedere l’intervento del settore ispettivo della Guardia di finanza. In tal modo, si otterrebbe il duplice scopo di combattere l’evasione fiscale (se un’azienda non paga i contributi, ovvero opera con un numero di dipendenti ridotto, quasi certamente vi è evasione fiscale) e di creare un forte effetto deterrente.
In questo quadro va sottolineata la centralità del soggetto che ha subito l’infortunio, ovvero ha contratto una malattia professionale. Dobbiamo ricordare, infatti, come sia assolutamente indispensabile porre mano a strumenti operativi in grado di realizzare una gestione unitaria dell’intero fenomeno infortunistico, dal momento della prevenzione fino al reinserimento sociale del lavoratore infortunato, passando attraverso le fasi dell’assicurazione, della cura, dell’indennizzo e della riabilitazione.
Per quanto concerne la recente normativa di settore, il decreto legislativo n. 81, pur avendo rappresentato un tentativo apprezzabile, è risultato strumento non sufficientemente idoneo a risolvere le problematiche inerenti al tema trattato. Dall’esame di tale complesso normativo (oltre 300 articoli), infatti, non sono risultate del tutto chiare le funzioni attribuite agli enti interessati e, soprattutto, non è stato messo a punto un sistema efficace di coordinamento operativo di tali istituzioni. Stante quanto sopra, dubitiamo che tale provvedimento possa avere l’efficacia necessaria per contrastare alla radice il fenomeno infortunistico.
La CISAL ritiene inoltre opportuno riconsiderare, alla luce delle norme contenute in tale decreto, che si muovono invece in una direzione opposta, il ruolo dell’INAIL quale agente primario fra i soggetti che operano nel campo della sicurezza. Tale ente, infatti, possiede una specifica competenza, sia relativamente alle malattie professionali, sia sul piano della riabilitazione totale, sia infine su quello della formazione e informazione riguardo ai temi della prevenzione. L’INAIL possiede, poi, strutture diffuse su tutto il territorio, banche dati e figure professionali specializzate e può dunque dialogare ed operare in sinergia con istituzioni e parti sociali, nonché rappresentare un interlocutore tecnico e consulenziale primario nei confronti dell’impresa.
Sempre a proposito dell’INAIL, non vorrei contraddire i colleghi che vi hanno fatto cenno, ma il problema non sta nel fatto che l’INAIL eroga rendite considerate basse. Occorrerebbe rimettere mano al decreto legislativo n. 38 del 2000 per recuperare un equilibrio tra i premi pagati dai datori di lavoro e le prestazioni erogate agli infortunati. Per fare questo sarebbe però il momento di stabilire come vengono gestite le finanze dell’Istituto che, lo ricordo a tutti, sono depositate in modo infruttifero presso la Tesoreria e che fanno parte del famoso «tesoretto» di cui tanto si è parlato e di cui si sono perse le tracce.
Questi aspetti, che sono importanti, andrebbero tenuti presenti in una fase dove, peraltro, gli enti previdenziali sono oggetto di esame da parte dei presidenti-commissari appena nominati per un riordino degli enti stessi che, vi ricordo, hanno l’obiettivo di realizzare economie entro dieci anni per evitare l’aumento della contribuzione. Poiché in quest’ottica l’INAIL è uno degli enti maggiormente interessati, dal momento che rappresenta forse un’anomalia nel Paese essendo l’unico ente che dispone di risorse, sentire che non fa il proprio dovere e che addirittura eroga rendite da fame mi pare una contraddizione rispetto a quello che si potrebbe fare mettendo mano a queste situazioni.
Concludo, ringraziandovi per l’attenzione ed anticipando che invieremo alla Commissione altre osservazioni scritte.

PRESIDENTE
Mi sembra chiaro che il discorso non fosse rivolto all’INAIL come soggetto diretto, ma alla normativa che vi presiede.

AGNELLO MODICA
L’ente pagatore INAIL paga delle rendite, degli indennizzi, da fame; in alcuni casi addirittura non è in condizione di pagarli. È tutta la normativa che va rivista.

PRESIDENTE
Quindi è un problema di carattere generale.

CAGNASSO
Signor Presidente, per non essere ripetitivo rispetto alle osservazioni formulate da chi mi ha preceduto – secondo me assolutamente attendibili e condivisibili, soprattutto per quanto riguarda le forze sindacali alle quali mi associo – faremo pervenire alla Commissione un breve documento in cui formuleremo osservazioni che credo possano essere interessanti, in quanto, come è noto, noi rappresentiamo un sindacato di tipo autonomo.

JANNE
Signor Presidente, anch’io mi riservo di far pervenire alla Commissione una memoria scritta specifica sul tema oggetto dell’audizione, con le nostre indicazioni.

PRESIDENTE
Dichiaro conclusa l’audizione, ringraziando le organizzazioni sindacali presenti per il prezioso contributo che hanno fornito ai nostri lavori. Senz’altro ci incontreremo ancora, in sede di Commissione o di gruppi di lavoro, per individuare risposte capaci di dare efficacia ed efficienza alle normative vigenti.
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Fonte: Senato della Repubblica