Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
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SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni

Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 23, martedì 21 aprile 2009

Audizione del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali Sacconi

Presidenza del presidente TOFANI

Interviene il ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali Maurizio Sacconi, accompagnato dall’avvocato Lorenzo Fantini.


PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca l’audizione del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali Sacconi.
Comunico che, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Comunico altresì che della seduta sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico.
Desidero ringraziare il signor Ministro per la sua presenza, anche considerato che l’audizione odierna è stato più volte rinviata per i motivi che sono a noi ben noti, legati – è proprio il caso di dirlo – a cause di forza maggiore. Oggi il Ministro è intervenuto per fornirci elementi di riflessione sul tema ampio – e di straordinaria attualità – dello stato di attuazione della disciplina di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008 (cosiddetto Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), nonché sui contenuti dello schema di decreto legislativo, recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, recante disposizioni integrative e correttive al suddetto Testo unico, già oggetto di competenza sia del tavolo Stato-Regioni, sia delle Commissioni lavoro di Camera e Senato.
Ringraziamo anticipatamente il Ministro per le indicazioni e i chiarimenti che vorrà fornirci, soprattutto in relazione alle interpretazioni che sono state formulate della norma avente ad oggetto le responsabilità del datore di lavoro e alle polemiche delle ultime ore.

SACCONI, ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
Signor Presidente, fornirò alcune indicazioni sullo schema di decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei ministri, recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo n. 81 del 2008. Aggiungerò alcune considerazioni sull’attività ispettiva di nostra diretta competenza, relativa ai cantieri edili, nonché notizie sulle azioni positive che stiamo mettendo in campo.
In primo luogo, vorrei ricordare che il decreto correttivo è e vuole essere – e non può che essere così – rigorosamente coerente con i principi e i criteri direttivi della delega concessa dal Parlamento al Governo nella trascorsa legislatura con la legge 3 agosto 2007, n. 123; quindi esso non ha, né può avere, carattere innovativo, ma opera all’interno dei criteri della delega.
Un primo obiettivo del decreto è quello di correggere i molti errori materiali e tecnici presenti nell’attuale disciplina (approvata, com’è noto, la scorsa legislatura a Camere ormai sciolte e, posso dire, anche con una certa fretta nelle condizioni), alcuni dei quali suscettibili di ricadute gravi sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori: si consideri come esempio, tra i tanti, la sostituzione del valore limite del piombo nel sangue e la sua espressione non già in milligrammi – com’è attualmente, a seguito di un’erronea previsione – bensì in nanogrammi, unica unità di misura che garantisce la tutela della salute dei lavoratori esposti.
Si è quindi realizzato un perfezionamento del quadro normativo che è composto – come sapete – da ben 306 articoli e vari allegati.
Un secondo obiettivo è quello di superare le difficoltà operative, le criticità e le lacune che si sono evidenziate sin dai primi mesi di applicazione.
L’attuale disciplina equipara il volontario ad un vero e proprio lavoratore subordinato, senza considerare le peculiarità della prestazione resa dal volontario, penalizzando oltremodo le associazioni di volontariato che rappresentano una dalle manifestazioni più vitali della nostra comunità.
A questo riguardo, il correttivo garantisce al volontario non solo, in via generale, una tutela analoga a quella garantita ai lavoratori autonomi in termini di fornitura di dispositivi di protezione individuale e di attrezzature di lavoro, ma anche una tutela rafforzata ove essi siano chiamati ad operare all’interno di un’organizzazione lavorativa (si pensi al volontario che opera all’interno di un ospedale). Questa tutela consiste nella formazione sui rischi presenti nel luogo in cui siano chiamati ad operare e nell’eliminazione da parte dell’utilizzatore dei rischi derivanti dalle interferenze tra le attività del volontario e quelle dei lavoratori dell’utilizzatore.
Ancora, a titolo di esempio, si consideri l’individuazione, espressamente richiesta dalle parti sociali, dei casi in cui è necessario, nei lavori in appalto, che il committente predisponga l’importante documento unico di valutazione dei rischi da interferenza delle lavorazioni (DUVRI), tra i quali non vengono inclusi i lavori intellettuali, le mere forniture di merci e i lavori di breve durata. In pratica, tale documento (il quale, va ricordato, si aggiunge e non si sostituisce agli obblighi già imposti al committente e agli appaltatori di coordinarsi tra loro e cooperare per ridurre il rischio del personale appaltato) viene richiesto ove il rischio di interferenza tra le lavorazioni lo richieda come misura di tutela e non, invece, nelle ipotesi – si pensi alla prestazione di natura intellettuale o alla semplice fornitura di carta o di caffè ad un ufficio – di assenza di rischio da interferenza in cui esso diverrebbe un inutile fardello formale.
La principale finalità delle misure varate dal Governo resta, tuttavia, quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sul luogo di lavoro secondo le seguenti linee di azione: innanzitutto, il superamento di un approccio meramente formalistico e burocratico a tale tema, prestando maggiore attenzione ai profili sostanziali, con un approccio – come ho detto più volte – per obiettivi e non solo per regole. Ad esempio, si ribadisce l’assoluta ed inderogabile necessità per ogni impresa di valutare tutti i rischi per la salute e sicurezza dei propri lavoratori, ma nel contempo si semplifica la procedura per la determinazione della data del medesimo documento. Dunque, le imprese, specialmente se piccole e medie, pur essendo comunque tenute ad elaborare il documento senza sconti, cioè senza toccare la completezza o la puntualità del suo aggiornamento, possono anche evitare di andare dal notaio o di munirsi di posta certificata, come la norma oggi di fatto impone, perché la data del documento potrà essere anche dimostrata dalla firma del medesimo da parte di tutti coloro che, assieme al datore di lavoro, sono coinvolti in materia di salute e sicurezza: rappresentanti dei lavoratori, medico competente, responsabile del servizio di prevenzione e protezione e così via.
Un’altra linea d’azione consiste nel superamento di una cultura meramente sanzionatoria e repressiva, prestando prevalente attenzione alla prevenzione che è fatta di maggiore formazione, migliore informazione, effettività del coordinamento interistituzionale nella programmazione delle visite ispettive, uso mirato del potere di disposizione da parte degli organi di vigilanza appositamente disciplinato nel corpus normativo. A tali scopi, il decreto correttivo potenzia il coordinamento a livello territoriale tra i funzionari di vigilanza delle ASL e gli ispettori del lavoro, consentendo a pieno titolo l’espletamento della vigilanza da parte di entrambi gli organismi operanti a livello provinciale e regionale e conseguentemente ampliando le possibilità concrete di intervento ispettivo attraverso un migliore utilizzo del rispettivo personale.
Tra gli obiettivi del decreto vi è l’integrazione tra le attività del Servizio sanitario nazionale e dell’INAIL finalizzate all’assistenza e alla riabilitazione dei lavoratori vittime di infortuni, in modo da garantire loro un migliore e più rapido recupero dell’integrità psicofisica e della capacità lavorativa.
Per avere un’idea dell’importanza dell’intervento, si consideri che i soli costi sociali da infortuni sul lavoro, per il sostegno alle famiglie delle vittime e per la riabilitazione dei lavoratori, sono stati quantificati in oltre 45 miliardi di euro, pari al 3,21 per cento del prodotto interno lordo.
Altro obiettivo è rappresentato dalla rivisitazione del potere di sospensione dell’impresa, allo scopo di rendere più certi i casi di applicazione di tale straordinaria procedura, che si aggiunge alle sanzioni per lavoro nero o per violazioni in materia di salute e sicurezza. Pertanto viene sostituito l’attuale parametro della «reiterazione», di impraticabile attuazione – come riconosciuto dalla totalità degli operatori, a partire dagli stessi organi di vigilanza – con quello innovativo di «plurime violazioni», che consente la sospensione sin dal primo accesso ispettivo, qualora si rilevi la contestuale violazione di norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Inoltre l’Allegato 1, che individua le violazioni che legittimano l’adozione del provvedimento, viene modificato con l’inserimento di ulteriori fattispecie incidenti concretamente sulla tutela effettiva della salute e sicurezza dei lavoratori sin qui non considerate. Un esempio per tutti è dato dalla mancata fornitura del dispositivo di protezione individuale contro le cadute dall’alto.
Quindi, allo scopo di rafforzare la cogenza del meccanismo, viene eliminata qualsiasi discrezionalità dell’organo di vigilanza nell’applicazione della norma, laddove il testo in vigore attribuisce al personale ispettivo solo una facoltà. Infine, per evitare che l’applicazione della norma produca risultati abnormi e vessatori sulle microimprese viene chiarito che ove l’impresa occupi un unico lavoratore si applicano le sole sanzioni ordinarie, senza obbligo di chiusura.
Un obiettivo ulteriore è rappresentato dall’integrale ricezione delle proposte avanzate in sede tecnica dalle parti sociali, nell’ambito degli incontri tenutisi nell’arco degli ultimi quattro mesi del 2008 presso il Ministero del lavoro; tra queste, oltre alle già descritte misure di semplificazione degli aspetti burocratici della gestione della sicurezza (documento di valutazione dei rischi, modalità per la redazione del documento di valutazione dei rischi da interferenza tra lavorazioni, e così via), si considerino l’eliminazione della notifica di costruzione di nuovo edificio all’organo di vigilanza quando si siano già fornite alle pubbliche amministrazioni informazioni analoghe, per esempio in sede di denuncia di inizio attività o, ancora, la previsione della possibilità che il medico competente verifichi l’idoneità del lavoratore alla mansione prima della sua assunzione, in modo da tutelarne ex ante la salute. A proposito della visita preassuntiva voi sapete – almeno questa è la nostra opinione – che il divieto della stessa non faceva riferimento ai criteri di tutela della salute e sicurezza sul lavoro (che, anzi, sono meglio rispettati garantendola), ma ad una presunzione di discriminazione nel momento in cui viene la visita realizzata.
Vi è poi la definizione di un corpo normativo coerente anche con le realtà e le caratteristiche delle piccole e medie imprese e con le peculiarità delle forme di lavoro atipico e temporaneo: a queste ultime viene attribuita in concreto una particolare tutela, che parte dall’obbligo del datore di lavoro di riservare un’attenzione specifica a tali lavoratori in sede di valutazione del rischio, con ogni conseguenza in termini di maggiore informazione e formazione nei loro confronti. Questa rappresenta un’importante novità, perché una simile previsione non era contenuta nel testo precedente.
Pertanto, in sede di redazione di quel fondamentale documento che riguarda la valutazione del rischio vi deve essere una specifica attenzione alle forme di lavoro atipico e temporaneo che, soprattutto in certi contesti produttivi, sono quelle in cui i lavoratori sono più esposti a rischi relativi alla salute e sicurezza.
Un altro obiettivo è rappresentato dalla valorizzazione del ruolo degli enti bilaterali e delle università, quali strumenti di ausilio alle imprese e ai lavoratori per il corretto adempimento degli obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro e per l’innalzamento dei livelli di tutela negli ambienti di lavoro. È previsto, ad esempio, che gli enti bilaterali e le università, in quanto espressione di competenze tecniche adeguate, certifichino non il rispetto delle norme bensì i modelli di organizzazione della sicurezza in azienda, al fine di incentivare la diffusione di tali strumenti di gestione della sicurezza, per riprodurre quelle procedure in ogni ambiente di lavoro. Lo scopo è, insomma, la diffusione delle buone pratiche, che sarebbero certificate dal controllo sociale, per un verso, cioè dalla collaborazione tra le parti e, per altro verso, dalle università o da ambienti di provata competenza scientifica.
Viene inoltre stabilito che nel settore edile, caratterizzato da alti indici infortunistici, la formazione dei preposti, che rivestono un ruolo fondamentale in cantiere in materia di salute e sicurezza, vada favorita anche programmandola e realizzandola presso gli enti bilaterali o le casse edili e non solo nelle imprese.
Si interviene, infine, per il miglioramento dell’efficacia dell’apparato sanzionatorio, con l’obiettivo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni. A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l’utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. Così la prescrizione obbligatoria, che consente di mettere in sicurezza gli ambienti di lavoro, viene estesa ai reati puniti con la sola ammenda e un analogo istituto viene introdotto per le violazioni punite con sanzione pecuniaria amministrativa, con la chiara finalità, palesata nella legge delega, di puntare all’effettività della reazione punitiva, mediante ripristino delle condizioni di legalità; in altri termini, va incoraggiato il ravvedimento operoso.
Al contempo, si riserva la sanzione penale ai casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle unicamente formali, come la trasmissione di documentazione o le notifiche. Inoltre, si provvede alla complessiva rivisitazione dell’entità delle sanzioni, in modo da rendere le ammende e le sanzioni pecuniarie proporzionate non solo alle violazioni, ma anche all’aumento dei prezzi al consumo verificato su base ISTAT dal 1994 (anno in cui venne emanato il decreto legislativo n. 626) ad oggi.
In base all’indice ISTAT, l’aggiornamento delle sanzioni sarebbe del 36 per cento mentre l’incremento adottato dal decreto è del 50 per cento. Peraltro, per la prima volta esso è destinato ad essere aggiornato periodicamente con un meccanismo automatico, cosa che non era prevista né nel decreto legislativo n. 626 del 1994, né nel Testo unico che viene ora modificato.
A titolo di esempio, si consideri che la più grave delle omissioni previste dal decreto legislativo n. 626 (omessa valutazione dei rischi), sanzionata con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 1.549 a 4.131 euro, viene ora punita, nelle disposizioni correttive, con la sanzione dell’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro. In ogni caso, nel pieno rispetto dei criteri di delega sulle sanzioni, viene mantenuto il solo arresto e non anche l’ammenda per l’omessa valutazione del rischio nelle aziende a rischio incidente rilevante, in quanto condotta gravemente pericolosa per la salute dei lavoratori.
Pertanto la scelta compiuta dal Governo è stata quella di dare una ratio all’incremento delle sanzioni. Se il collega Damiano fosse qui gli chiederei se non ritenga che il testo originario, da lui stesso elaborato quando era Ministro del lavoro, non fosse in verità molto dissimile da quello ora proposto dal Governo; fu poi il concerto con altre amministrazioni (i Ministeri della giustizia e della sanità, secondo le funzioni di Governo di allora) a determinare quella diversa definizione delle sanzioni poi comparsa nel Testo unico e che noi proponiamo di correggere.
Ci sembra che nessuno abbia mai criticato la modulazione delle sanzioni nell’ambito del decreto legislativo n. 626 del 1994, il cui testo – prodotto, vorrei ricordarlo, dal primo Governo Berlusconi – è stato largamente apprezzato. Nessuno ha contestato ciò, ma piuttosto si è rilevato come valori fissi nel tempo abbiano perso la loro efficacia perché logoratisi con l’andamento dell’inflazione che, come ho ricordato, è stata del 36 per cento. Abbiamo quindi rispettato la modulazione delle sanzioni e incrementato le stesse in una misura superiore all’inflazione (cioè del 50 per cento, a fronte appunto di un’inflazione cumulata del 36 per cento).
Desidero aggiungere alcune considerazioni con riferimento all’articolo 15-bis introdotto dal Governo nel Testo unico, recante una norma sulla responsabilità del datore di lavoro, in merito alla quale ieri la FIOM-CGIL ha voluto sollevare pesanti polemiche. Considero infamante il sospetto avanzato che tale norma possa interferire con il processo ThyssenKrupp.
Se ciò fosse vero dovremmo ritenere debolissimo il quadro accusatorio di tale processo e ritenere invece verosimile una consistente responsabilità dei sottoposti. Al contrario, voglio ricordare che la magistratura ha delineato un quadro accusatorio rilevante, che ha condotto i magistrati ad ipotizzare addirittura l’omicidio doloso, proprio perché il datore di lavoro, sulla base delle indagini, è risultato essere pienamente consapevole delle carenze che riguardavano in modo particolare il sistema antincendio (questi sono i dati a nostra conoscenza e che abbiamo ricavato in modo corposo dai mezzi di informazione).
Il caso in oggetto evidenzia, semmai, un problema di altro genere e certamente muove da un certo orientamento giurisprudenziale che, in alcuni casi, è arrivato a definire in termini oggettivi la responsabilità penale del datore di lavoro. Chiedo alla Commissione se creda nella tesi per cui la responsabilità penale può essere oggettiva o se invece, secondo i principi del nostro ordinamento, la responsabilità penale non debba comunque essere definita sulla base di un nesso causale, che in questo caso non riguarda ovviamente soltanto le azioni che competono al datore di lavoro, ma anche le eventuali omissioni di cui egli può essersi reso responsabile o un’insufficiente attività di vigilanza. Peraltro, anche nel caso in cui si configuri una responsabilità della catena di comando, che va dai preposti alla sicurezza fino all’ultimo lavoratore, ciò non significa ovviamente (e questo vale anche per l’articolo 15-bis) che si esclude un concorso di colpa del datore di lavoro. Infatti, il datore di lavoro potrebbe aver incaricato un lavoratore particolarmente esposto al rischio, come un immigrato appena giunto dal Paese di origine, all’impiego di un determinato attrezzo e quest’ultimo potrebbe essere stato utilizzato impropriamente, magari perfino consapevolmente, come nel caso di un lavoratore cui sia stato affidato l’impiego di una pompa con un getto ad altissima potenza e che, per gioco, l’abbia rivolta verso di sé. È evidente che in una simile fattispecie, considerato altresì che potrebbe essere il primo giorno di lavoro di una persona che si presume non adeguatamente informata e formata affinché non commetta un simile atto, pur in sé colpevole, può configurarsi un concorso di colpa.
Quindi, nessuno vuole ridimensionare la responsabilità del datore di lavoro anche nei casi in cui sia evidente una responsabilità del lavoratore, e soprattutto di una persona più consapevole come il preposto alla sicurezza, che gode anche di una maggiore autonomia gestionale. Il problema che sottopongo alla Commissione – pur dichiarandoci assolutamente pronti e disponibili a riscrivere il testo della norma per raggiungere la finalità che abbiamo inteso perseguire nel modo più trasparente, efficace e meno soggetto a interpretazioni capziose o malevole, nel caso della polemica politica, ma soprattutto meno soggetto a interpretazioni diverse rispetto agli intendimenti di cui vi ho detto – è il seguente: c’è qualcuno all’interno di questa Commissione o delle Commissioni di merito tenute ad esprimere i pareri in materia che difenda in assoluto la teoria di una responsabilità oggettiva a prescindere? Se non è questa – come credo – la tesi prevalente, vi chiedo allora di concorrere ad individuare un modo certo di circoscrivere l’ambito delle responsabilità e una gamma di responsabilità che comprenda forme anche significative di concorso di colpa, ancorché soltanto determinato da insufficiente vigilanza o magari dalla scelta incauta di un preposto alla sicurezza che si dovesse rivelare di scarsa capacità e competenza.
Come imposto dalla delega, tutti gli interventi proposti garantiscono il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in ogni ambiente di lavoro e in ogni parte del territorio nazionale e al contempo il rispetto dell’equilibrio delle competenze tra lo Stato e le Regioni.
Nell’ambito dell’attività intrapresa dal Ministero per contrastare il fenomeno degli infortuni sul lavoro, l’attività di vigilanza esercitata dai servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro fa riferimento soltanto ad alcune specifiche attività ricollegabili, in sintesi estrema, al settore edile ove si verifica il maggior numero di incidenti mortali: nel 2007 ricordo che sono stati registrati oltre 100.000 infortuni, di cui 275 mortali. È bene ricordare che la competenza primaria in materia di vigilanza e controllo sulla sicurezza è attribuita dalla legge alle Aziende sanitarie locali competenti per territorio. Per quanto di competenza di questa Amministrazione ritengo doveroso rappresentare che nel corso del 2008 sono stati ispezionati oltre 22.000 cantieri, dove operavano più di 38.000 aziende, e sono state impartite 27.000 prescrizioni in materia di salute e sicurezza.
Per quanto attiene al merito delle violazioni, la voce di maggiore rilevanza è stata quella relativa alle disposizioni in materia di cadute dall’alto (circa il 46 per cento del totale). A seguire sono state accertate violazioni degli obblighi in materia di formazione e informazione (12 per cento), rischio elettrico e macchinari (9 per cento), investimento e seppellimento da mezzi o materiali (8 per cento). Nel corso di tali attività sono state individuate violazioni anche con riferimento alla regolarità del rapporto di lavoro che – com’è noto – è fondamentale per garantire la sicurezza globale del lavoratore. Delle aziende ispezionate circa il 55 per cento è risultato irregolare, ossia 20.491 aziende; in particolare, sono stati individuati oltre 15.000 lavoratori occupati in violazione della normativa vigente, di cui quasi 4.500 totalmente in nero. A fronte di tale ultima violazione sono stati adottati oltre 1.500 provvedimenti di sospensione.
Al fine contrastare il fenomeno infortunistico sono state avviate una serie di iniziative promozionali volte alla diffusione della cultura della sicurezza: oltre ai tradizionali incontri a livello imprenditoriale con i comitati paritetici, nel mese di novembre è stata avviata la seconda edizione del progetto europeo «Alleggerisci il carico», campagna di comunicazione e ispezione sulla movimentazione manuale dei carichi promossa dal comitato degli alti responsabili dell’Ispettorato del lavoro. L’iniziativa, che ha riguardato il settore delle costruzioni dove le percentuali di operazioni di movimentazione manuale dei carichi sono molto alte e quindi molto elevato è il rischio di patologie muscolo-scheletriche, ha avuto diffusione sul sito del Ministero del lavoro e sulla rete radiofonica della RAI.
Per quanto riguarda l’attività ispettiva per il 2009, la vigilanza programmata dei cantieri edili costituisce la naturale prosecuzione dell’attività di vigilanza mirata effettuata nei precedenti anni per periodi limitati e per specifiche tematiche e si svolgerà nell’arco dell’intero anno utilizzando le metodologie di individuazione dei siti sulla base delle precedenti esperienze. La scelta dei cantieri dovrà rispettare indicativamente i seguenti criteri: 5 per cento per i cantieri grandi (importo dei lavori maggiore di 10 milioni di euro), ove presenti; 30 per cento per i cantieri medi (importo dei lavori compreso fra 1 milione e 10 milioni di euro), ove presenti; 65 per cento per i cantieri piccoli. Tale ripartizione trova fondamento nella considerazione che gli infortuni più gravi avvengono normalmente nei cantieri di più piccola dimensione. Ad ogni modo, la vigilanza sarà condotta in modo completo, sia per quanto riguarda gli aspetti tecnici sia per quanto riguarda gli aspetti amministrativi, con particolare attenzione alla catena di appalti e subappalti, ove esistenti.
Al fine di dare completa attuazione alle previsioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2007 (Coordinamento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro), verranno trimestralmente monitorati i dati relativi alla costituzione e all’operatività dei Comitati regionali di coordinamento, che rappresentano la sede naturale di programmazione e di confronto sulle problematiche in materia prevenzionistica.
A proposito della maxidirettiva sui servizi ispettivi, della quale qualcuno ha incredibilmente scritto che voleva quasi essere l’espressione di una sorta di atteggiamento distratto nei confronti del lavoro nero, per ragioni inerenti alla crisi che stiamo vivendo, spiace veramente dire che mai menzogna è stata così facilmente denunciabile. Infatti la direttiva (oltre al mio intervento esplicativo della stessa davanti a tutti i rappresentanti delle parti sociali e delle istituzioni coinvolte nell’attività di vigilanza, quindi anche forze armate e di polizia), ma soprattutto l’oggettività delle carte, spiega come, avendo noi obiettivamente una limitata capacità di vigilanza (ragionevolmente stimata intorno alle 300.000 imprese nell’anno, se non ricordo male), lo stesso concetto di irregolarità (nel quale troppo spesso si confondevano violazioni formali di poco conto e violazioni sostanziali gravissime) andasse riletto invitando i servizi ispettivi, anche con la predisposizione di incentivi in loro favore, a realizzare obiettivi di carattere sostanziale, a partire dal lavoro nero e dalle attività totalmente sommerse, a tutto ciò che fa sicurezza nei luoghi di lavoro. Troppo spesso, infatti, ci è capitato di constatare che le attività ispettive si orientavano dove in qualche modo era più facile andare, in quanto si trattava di attività emerse, iperstrutturate, ipervigilate dagli attori sociali oltre che dalle funzioni amministrative, mentre meno immediata poteva essere l’attività di vigilanza da svolgere magari nottetempo, in condizioni per vari aspetti più complesse, che si è invece realizzata con azioni ispettive mirate, anche con l’impiego del nucleo Carabinieri come, ad esempio, nel caso di attività manifatturiere totalmente sommerse, in modo particolare in alcuni territori.
Ho seguito una trasmissione televisiva in cui si citava il caso di Prato, portando dei numeri incredibili; si parlava, in particolare, di soli tre dipendenti nella nostra Direzione provinciale del lavoro preposti all’attività ispettiva, cosa che non è assolutamente vera, soprattutto se poi si aggiunge a queste unità l’integrazione con altri Corpi e le azioni ispettive mirate condotte proprio nel territorio pratese, anche attraverso l’impiego dei Carabinieri e di task-force rivolte a tale scopo. Ma evidentemente tutto è lecito e consentito!
Voglio svolgere infine alcune considerazioni sulle azioni positive. È intenzione di questo Ministero procedere, oltre che alla rivisitazione delle regole sulla sicurezza e sullo svolgimento delle attività di vigilanza, ad attivare ogni possibile sinergia con soggetti pubblici o privati per migliorare in concreto i livelli di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro pubblici e privati. In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con accordi in sede di Conferenza Stato-Regioni del 20 novembre, dei criteri di impiego ed attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro, di cui all’articolo 11, comma 7, del Testo unico) da destinare ad attività promozionali della salute e sicurezza sul lavoro, tra le quali una campagna di comunicazione per l’importo complessivo di 20 milioni di euro, e ad attività di formazione su base regionale per complessivi 30 milioni di euro.
Tali somme sono state regolarmente impegnate e sono a disposizione per le relative attività: è stato chiesto, ad esempio, a ciascuna Regione, al fine di ottenere l’erogazione del dovuto da parte del Ministero del lavoro, la presentazione di un programma di attività formative coerenti con i contenuti dell’accordo. È inoltre intenzione del Ministero procedere ad alcune specifiche attività. Innanzitutto, si intende definire compiutamente l’attivazione del sistema di governo su base tripartita delle attività in materia di salute e sicurezza sul lavoro, che consenta, in particolare tramite le Commissioni di cui agli articoli 5, 6 e 12 del Testo unico, l’individuazione di indirizzi ed attività uniformi sul territorio nazionale, nel pieno rispetto delle competenze regionali. Al riguardo, si segnala la ricostituzione della Commissione consultiva di cui all’articolo 6 del decreto legislativo n. 81, con decreto ministeriale 3 dicembre 2008, alla quale sono devolute importanti funzioni di attuazione della riforma della sicurezza: si pensi, per tutte, all’elaborazione delle procedure standardizzate per la valutazione del rischio nelle piccole e medie imprese o alla validazione delle buone prassi. Tale Commissione si è insediata in data 17 marzo 2009 e, se non vado errato, si riunirà di nuovo domani.
Si vuole poi garantire la razionalizzazione ed il coordinamento degli interventi ispettivi su tutto il territorio nazionale, con l’obiettivo di rendere maggiormente valida la vigilanza, al fine di evitare che vi siano sovrapposizioni e duplicazioni tra i soggetti istituzionalmente a ciò deputati e di consentire a ciascuno di operare al meglio. L’intenzione è anche quella di assicurare la pronta e piena attivazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (cosiddetto SINP), di cui all’articolo 8 del Testo unico, per un’efficace organizzazione e circolazione di informazioni e quindi una migliore finalizzazione degli interventi pubblici di prevenzione e vigilanza, nonché per la diffusione di dati certi e condivisi in materia di infortuni sul lavoro. Ho insistito sempre molto sulla necessità di una strumentazione di questo tipo, utile non solo ad orientare le azioni prioritarie ma anche a verificarne nel tempo l’efficacia, sulla base di uno strumento di monitoraggio condiviso.
Il Governo intende poi procedere all’ulteriore valorizzazione degli accordi aziendali, territoriali e nazionali, nonché dei codici di condotta ed etici e delle buone prassi in materia. Si vuole costruire inoltre, come previsto dall’articolo 27 del decreto legislativo n. 81 – nell’ambito della Commissione consultiva di cui all’articolo 6, di cui ho già detto – un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che tenga conto dell’esperienza, delle competenze e conoscenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro acquisite attraverso percorsi formativi mirati; con particolare riferimento alle attività in appalto, che costituiscono una criticità in termini infortunistici, saranno introdotti strumenti in grado di valutare l’idoneità delle aziende, utilizzando come parametro il rispetto delle norme di salute e sicurezza sul lavoro, considerato preferenziale anche per l’accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica, di cui quindi usufruiranno solo le aziende virtuose.
Infine, si provvederà a definire ulteriori misure di semplificazione degli adempimenti in materia di sicurezza, specie per le piccole imprese, costituendo un tavolo di lavoro per l’attuazione della previsione di cui all’articolo 53, comma 5. L’intento è consentire la ricerca di misure che favoriscano la garanzia della sicurezza in azienda, in modo che essa non venga più vista come un obbligo da adempiere, ma come un obiettivo della gestione dell’impresa e parte integrante di essa. Tra queste ci saranno sicuramente misure di finanziamento per gli adeguamenti tecnologici e la riorganizzazione del lavoro sul modello reso maggiormente efficace e fruibile dai finanziamenti erogati dall’INAIL, nonché per progetti di formazione elaborati con la partecipazione delle parti sociali ed erogati anche per il tramite di organismi paritetici.
Ho letto una critica – anche questa incredibile! – secondo la quale nel redigere le correzioni al Testo unico non avremmo incrementato i finanziamenti dell’INAIL per varie attività dell’Istituto stesso. Come ho già detto, il decreto correttivo di cui stiamo discutendo si deve muovere all’interno di una legge delega: dov’è la copertura per azioni di questo tipo nella legge delega? Com’è noto, per ogni aumento di spesa dell’INAIL che non rientri all’interno di un’attività interpretativa delle sue funzioni (per precise regole di contabilità, dal momento che le entrate dell’Istituto fanno parte del bilancio dello Stato e per ragioni che sono state spesso illustrate nella precedente ed in questa legislatura dal senatore Morando) deve essere individuata una copertura. Qualunque nuova misura noi dovessimo deliberare dovrà essere coperta finanziariamente. Per la sua natura giuridica, il decreto legislativo entro il quale abbiamo operato non fornisce alcuna copertura, dal momento che coloro che hanno redatto il Testo unico non vi hanno provveduto e non certo per mancanza di volontà.
Ricordo, infine, che il Ministero del lavoro ha ereditato la Fondazione per la responsabilità sociale dell’impresa, con sede a Milano, che è stata riorganizzata e ha appena ripreso la sua attività con programmi che concentrano la spesa su due obiettivi principali: la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e la conciliazione dei tempi di vita con i tempi di lavoro.
È una fondazione istituita presso il Ministero del lavoro con obiettivi di responsabilità sociale in ambito strettamente lavoristico.

PRESIDENTE
Ringrazio l’onorevole Ministro per l’ampia e puntuale relazione sullo schema di decreto legislativo recante modifiche al Testo unico per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Signor Ministro, desidero farle presente, per espressa volontà del senatore Nerozzi, che egli non ha potuto partecipare ai nostri lavori per motivi di salute. Vorrei altresì informarla che uno dei gruppi di lavoro tematici costituiti nell’ambito della nostra Commissione, coordinato dalla senatrice Donaggio, si è occupato proprio del monitoraggio sull’attuazione del Testo unico.

DONAGGIO (PD)
Signor Presidente, ringrazio il ministro Sacconi per la sua ampia esposizione delle disposizioni integrative e correttive al decreto-legislativo n. 81 del 2008. Intendo riferire le mie prime impressioni rispetto a quanto relazionato dal Ministro e a quanto ho avuto modo di constatare confrontando il testo del decreto-legislativo n. 81 del 2008 e le modifiche proposte dal Governo.
In primo luogo, sottolineo che non si tratta di norme meramente correttive o di una semplice opera di aggiustamento, bensì di un intervento molto corposo: si è scelto di revisionare la metà degli articoli del suddetto decreto e non sono revisioni di carattere esclusivamente formale bensì interventi consistenti che esprimono altresì orientamenti culturali e politici diversi. Il decreto-legislativo n. 81, che ho seguito da un’altra prospettiva, era stato concepito per stabilire delle regole che fossero finalizzate alle garanzie di tutela, laddove il testo che stiamo esaminando mi pare si ponga come obiettivo principale la limitazione degli obblighi dei datori di lavoro e l’indebolimento delle sanzioni per le imprese. Se si dovesse ricavare una valutazione delle finalità del provvedimento, a mio avviso, con il testo al nostro esame si cambia la logica di fondo del concetto stesso di prevenzione.
Ad una prima lettura, lascia sconcertati una modifica particolarmente grave, ossia la cancellazione dell’ipotesi di sospensione dell’attività in riferimento alle violazioni in materia di riposi e di orari di lavoro. Infatti, la condizione fisica con la quale ci si presenta all’impatto con lavorazioni pesanti, nocive e pericolose non è indifferente rispetto alla frequenza con la quale si possono verificare infortuni, anche gravi o, nel peggiore dei casi, la morte del lavoratore. D’altronde, secondo una recente ricognizione, i casi di invalidità permanenti o di invalidità molto gravi sono in crescita.
Al contrario, merita apprezzamento l’interessamento che ha mostrato il Governo nei confronti della norma che impedisce la partecipazione a gare e appalti pubblici da parte di imprese che siano state sospese per reiterate violazioni in termini di sicurezza. In una iniziale stesura della rivisitazione del testo il Governo aveva cancellato questa norma, ma ora ha deciso di reintrodurla e non si può che esserne contenti.
È preoccupante, altresì, l’indebolimento della rappresentanza dei lavoratori attraverso una differente ripartizione delle somme del Fondo già previsto all’articolo 52 del decreto legislativo n. 81: non più almeno il 50 per cento delle risorse alle rappresentanze per la sicurezza e al sostegno della piccola impresa, ma agli organismi paritetici. È un cambio di asse che non abbiamo mai condiviso perché gli organismi paritetici nascono per altre finalità, sicuramente non per quella di sovrintendere alle ragioni della sicurezza.
Inoltre, con le modifiche introdotte si stravolgono le norme sulla sorveglianza sanitaria e si verifica un incomprensibile ritorno al passato per quanto concerne la gestione della cartella sanitaria e di rischio: da un lato, non si semplifica e, dall’altro, si incide negativamente sul livello della prevenzione.
Devono essere anche stigmatizzate, perché in contrasto con le garanzie di tutela, le modifiche che riguardano la valutazione dei rischi, per cui apparenti semplificazioni formali possono avere conseguenze sostanziali incidendo sul livello di certezze e di applicazione delle regole. Risulta abbastanza inspiegabile e pericoloso l’affidamento della certificazione sulla correttezza dei sistemi di gestione in materia di salute e sicurezza agli enti bilaterali e alle facoltà di diritto del lavoro. Questa certificazione non può che essere affidata allo Stato, come avviene negli altri Paesi (e come abbiamo appurato, tra l’altro, nella ricognizione che abbiamo condotto a livello europeo), ad un’Autorità in materia, ma non può essere di sicuro affidata agli enti bilaterali.
C’è poi la normativa concernente gli appalti, cui mi riservo di dedicare una lettura più approfondita, perché alcune modifiche risultano assai poco chiare e necessitano di una valutazione molto più attenta.
Per quanto riguarda le sanzioni, alla conferma dell’ipotesi di arresto obbligatorio da quattro a otto mesi in caso di mancata valutazione del rischio nei settori pericolosi fa da contraltare una diffusa riduzione dell’entità delle sanzioni, seppure giustificata affermando che è comunque in aumento rispetto a quanto previsto dal decreto legislativo n. 626 del 1994.
Peraltro, anche a confronto con tale provvedimento, in molti casi gli aumenti delle sanzioni pecuniarie sono inferiori all’inflazione basata sull’indice ISTAT. Ad esempio, per aziende con lavorazioni sotterranee in cisterna (prendiamo il caso di Molfetta e Mineo, in cui sono morti rispettivamente cinque e sei operai), il testo del decreto legislativo n. 81 del 2008 prevedeva una sanzione fino a 16.000 euro, laddove nel suo testo, signor Ministro, facendo un conteggio delle diverse sanzioni, tale cifra è ridotta a 6.000 euro.
Pare anche opportuno segnalare una novità che è stata introdotta e che riteniamo pedagogicamente sbagliata per le garanzie di sicurezza. Si tratta della presunzione di conformità alle prescrizioni contenute nel decreto per le aziende che attuino efficacemente le norme tecniche e le buone prassi. Attraverso il malinteso obiettivo, secondo la mia valutazione, di venire incontro alle aziende, si rischia paradossalmente di premiare le imprese non virtuose che creano, peraltro, distorsioni a una sana concorrenza. Questa scelta deve essere stigmatizzata, perché non solo incide sulle potenzialità e sulla deterrenza delle sanzioni, ma penalizza le imprese virtuose, per le quali le sanzioni dovrebbero essere non più basse, ma si dovrebbe prevedere un maggiore sostegno, soprattutto per quelle piccole e medie imprese che andrebbero incentivate secondo logiche di tipo premiale. Tali misure erano state inserite, nella stesura del decreto legislativo n. 81, nel Fondo di sostegno alle piccole e medie imprese.
Da anni si insiste sull’efficacia delle norme sulla sicurezza al lavoro nel nostro Paese. Ricordo che il precedente Governo, quando il ministro Sacconi era ancora Sottosegretario, non riuscì a concludere la stesura del Testo unico perché c’erano delle resistenze oggettive da parte delle parti sociali. Il ministro Damiano è arrivato in fondo a questo lavoro.
Credo che sarebbe stato più utile cercare di far funzionare un risultato che era stato finalmente raggiunto e apportare delle modifiche a valle, avendo verificato e sperimentato l’efficacia di quanto si stava proponendo.
Questo ritorno ad una concezione del passato certamente comporta un ampliamento delle responsabilità per la nostra Commissione, richiamandoci ad un’attenzione molto più precisa e puntuale sull’applicazione e sull’efficacia di queste norme, innanzitutto proprio nell’ambito del gruppo di lavoro che personalmente coordino concernente il monitoraggio sull’attuazione del Testo unico.
Penso che sia utile svolgere da parte nostra una riflessione tecnica e specifica sui singoli provvedimenti nonché sull’attuazione e sull’efficacia del Testo unico, avvalendoci magari anche del contributo che potrebbe venire dalle audizioni di tutti i soggetti coinvolti nell’applicazione di tali norme, in modo da controllare che le modifiche introdotte non allentino l’attenzione sul problema, soprattutto in una fase di crisi come quella attuale.
Vorrei sottolineare, infatti, come nel momento in cui la competitività viene giocata sui prezzi sia evidente che molto spesso la si fa svalutando i diritti. Da questo punto di vista è emblematico il caso della ThyssenKrupp: lo stabilimento doveva essere chiuso; non è stato così perché mantenere aperto l’impianto significava comunque garantire dei posti di lavoro.
Signor Presidente, non intendo certamente fare qui oggi un processo alle intenzioni, ma vorrei ricordare che la nostra Commissione ha anche poteri di indagine: penso allora che dovremmo rivolgere un’attenzione particolare alla vicenda della ThyssenKrupp, al fine di valutare come si dispiega concretamente l’efficacia delle norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e di individuare le persone responsabili di quanto accaduto, affinché non ci siano solo delle generiche fatalità, ma si indichino precise responsabilità.

PRESIDENTE
Senatrice Donaggio, mi permetto di farle presente che i drammatici eventi della ThyssenKrupp sono sempre stati oggetto di attenzione da parte della nostra Commissione, come del resto possono testimoniare i colleghi qui presenti, già membri della Commissione sul fenomeno degli infortuni sul lavoro nella passata legislatura. Vorrei ricordare, peraltro, che esiste anche un rapporto di interlocuzione con la magistratura di Torino, al fine di seguire gli sviluppi della vicenda. Quindi sicuramente quanto da lei chiesto trova ampio albergo perché completamente condiviso.

DE LUCA (PD)
Signor Presidente, ringrazio innanzitutto il Ministro per la sua relazione. Cercherò di dare un contributo positivo alla discussione sullo schema correttivo del decreto legislativo n. 81 del 2008; credo infatti che, al di là delle diverse posizioni di maggioranza ed opposizione, vi sia un senso di preoccupazione diffuso e la chiara volontà da parte di tutti di affrontare la tragica piaga delle morti sui luoghi di lavoro.
Da questo punto di vista, vorrei sottolineare che certamente tale testo può rappresentare un utile strumento, nell’ambito di un confronto molto franco, anche rispetto ad alcuni dei profili evidenziati sia dal Ministro che dalla collega Donaggio. Ritengo tuttavia che dovremmo aggredire con più forza il problema, perché la questione vera – come spesso capita in questo Paese – non è rappresentata tanto dall’introduzione delle norme, quanto dal modo in cui le stesse vengono poi fatte rispettare. In altre parole, il problema principale è quello di individuare chi controlla l’attuazione delle norme, soprattutto nel momento in cui non si prevedono più controlli a campione, che consentirebbero invece di dare una risposta più organica.
Nell’ambito del gruppo di lavoro in materia di edilizia, costruzioni e appalti pubblici, da me coordinato, sono stati recentemente auditi i rappresentanti dell’ANCE (Associazione nazionale costruttori edili) e dei sindacati del settore edilizio, nel quale si registra il maggior numero di incidenti sul lavoro. Proprio da quell’audizione, all’interno del percorso che stiamo portando avanti con grande intensità e con grandissimo impegno, è emersa la necessità di intervenire con maggior vigore rispetto al problema della sicurezza sui luoghi di lavoro, nonché di creare opportunità per le imprese, comunque previste nel Testo unico e nello stesso schema correttivo.
Sono d’accordo con la senatrice Donaggio quando richiama l’attenzione sul rischio che una riduzione delle sanzioni comporta. A questo proposito vorrei soffermarmi in particolare sulla questione degli appalti pubblici, in cui manca un responsabile unico della valutazione dei rischi che il lavoratore corre. Forse si potrebbero prevedere, in accordo con l’ANCE, con le forze sociali e con le Regioni stesse, incentivi per quelle imprese che investono sulla sicurezza, giacché spesso uno dei problemi principali, specialmente in quelle aree del Paese in cui si annida la criminalità organizzata, è rappresentato dai ribassi d’asta sugli appalti, con conseguenti risparmi proprio sulla sicurezza. Al riguardo vorrei fare un esempio, che riporto spesso. Signor Ministro, una legge della Regione Campania in materia di appalti, approvata nel 2007 (ero allora assessore regionale), stanziava 20 milioni di euro a titolo di incentivo per quelle imprese che investissero sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Ebbene, neppure un’impresa ha utilizzato le premialità previste, adottando ad esempio iniziative sul piano della prevenzione. Ritengo, pertanto, che si dovrebbe intervenire nel settore degli appalti, e attraverso un inasprimento delle sanzioni, fino a prevedere l’espulsione delle imprese responsabili di violazioni, e soprattutto adottando il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in luogo di quello del ribasso d’asta.
Vorrei infine sottolineare – pur nella consapevolezza che siamo in Europa e che non possiamo pensare di muoverci in maniera del tutto svincolata – che in materia di appalti il Governo potrebbe chiedere a livello europeo la possibilità di una verifica, con riferimento particolare a quelle aree nelle quali non solo è presente la criminalità organizzata, ma dove, in ragione dei ribassi d’asta, la sicurezza sui luoghi di lavoro diventa praticamente inesistente; ciò al di là del problema del lavoro nero, che in quelle realtà ha una diffusione che va ben oltre la misura del 20-30 per cento.
Nell’audizione che ho prima ricordato ci si chiedeva proprio questo, cioè di introdurre nel decreto, sul piano più generale, dei meccanismi premiali per favorire la sicurezza sui luoghi di lavoro, nonché di creare maggiori opportunità di formazione, al di là delle risorse appostate. Non dobbiamo dimenticare infatti che, come diceva il Ministro, al di là del ruolo degli enti bilaterali, delle casse edili e della stessa ANCE, sono poi le imprese più piccole a vivere questa tragedia. Occorre quindi creare le condizioni per un più ampio controllo preventivo, con maggiori appostamenti al riguardo. Spesso gli auditi ci dicono che il problema è legato ad una questione culturale, di formazione e di informazione; sono d’accordo su questo ma, una volta sottolineato tale aspetto, dobbiamo chiederci quale sia la molla che può consentire di superare tali difficoltà.
Vorrei concludere il mio intervento con un’ultima notazione sullo schema correttivo: com’è stato richiesto da tutti, si potrebbe tentare di dare maggior forza alle deleghe previste nel testo, proprio al fine di una risposta più omogenea a livello territoriale, ovviamente anche in raccordo con le Regioni. In questo modo si potrebbe altresì cercare di intervenire sulla tragedia delle morti bianche, fenomeno che non può certamente caratterizzare un Paese civile come il nostro. Sono quindi da valutarsi positivamente gli sforzi compiuti in questa direzione (da tale punto di vista, credo che non vi siano divisioni tra maggioranza e opposizione); si potrebbe però affrontare con maggiore incisività sia il problema del controllo preventivo, sia quello delle sanzioni, in particolar modo relativamente alla questione degli appalti pubblici e dei ribassi d’asta, posto che in quel settore specifico si registra una situazione davvero drammatica.

ROILO (PD)
Signor Presidente, vorrei ringraziare il Ministro per essere intervenuto in questa Commissione ad illustrare i contenuti, oltre che la filosofia, del decreto attuativo della delega di cui all’articolo 1, comma 6, della legge n. 123 del 2007. Ho letto anch’io lo schema correttivo del decreto con la dovuta e necessaria attenzione, data la materia oggetto del provvedimento, e mi è sembrato che la criticità di fondo, richiamata anche dalla collega Donaggio, riguardi la mancata coerenza del provvedimento – questa è la mia impressione – con i princìpi stabiliti dalla legge delega. In sostanza, non mi pare che siamo in presenza – cito l’articolo 1, comma 6, della legge n. 123 del 2007 – di «norme integrative e correttive», bensì di misure con caratteristiche diverse e di assai maggior entità. Non solo si tratta di un testo composto di ben 136 articoli, ma la criticità maggiore sta nel contenuto e nelle caratteristiche delle nuove misure.
Le norme meramente integrative e correttive che a me è sembrato di cogliere sono davvero poche, mentre vengono sviliti aspetti sostanziali e molto significativi del precedente provvedimento. D’altra parte, proprio nella relazione di accompagnamento si dice espressamente che l’obiettivo del decreto «è la creazione di un modello legale differente da quello vigente». C’è coerenza – qui sì – tra l’obiettivo di modificare il modello legale ed i contenuti del provvedimento, naturalmente anche per quanto concerne l’estensione degli interventi.
Sono favorevole a raccogliere la sfida che il Ministro – se non ho inteso male – ha lanciato, invitando la nostra Commissione ad approfondire soprattutto alcuni aspetti, come è avvenuto anche nella precedente legislatura e come posso testimoniare essendo già allora membro di questa Commissione, sotto la medesima Presidenza. Ritengo che l’invito che il ministro Sacconi ha rivolto debba essere accolto e che la Commissione debba, in modo particolare, fornire il proprio contributo sugli aspetti di maggiore rilievo.
A mio avviso, nello schema correttivo al nostro esame vi sono due aspetti che meritano un giudizio negativo: da una parte, si deresponsabilizza fortemente il datore di lavoro e, dall’altra, si colpiscono i diritti dei lavoratori. Faccio alcuni esempi, anche se non entrerò nel merito dei singoli articoli perché sarebbero troppi quelli da richiamare. Per quanto riguarda le sanzioni, senza essere animati da volontà persecutoria, dobbiamo chiederci se esse debbano mantenere un carattere di deterrenza o solamente una veste formale. Mi riferisco, ad esempio, al fatto che con la modifica all’articolo 301 del Testo unico le disposizioni in materia di prescrizione vengono estese anche alla pena della sola ammenda pecuniaria, differentemente da quanto previsto in precedenza. Quindi, vi è un abbassamento delle sanzioni penali e pecuniarie e l’estensione della prescrizione a queste ultime.
In particolare, riflettendo sulle affermazioni del Ministro in merito al documento di valutazione dei rischi, da esse traspare davvero la volontà – non lo dico con intenzione polemica – di rendere meramente formale questo strumento che è fondamentale non solo per conoscere i rischi, ma per cercare di mettere in campo un’attività di prevenzione. Qui si rischia davvero di diventare, in nome della lotta alla burocrazia, dei formalisti.
Mi riferisco altresì alle modifiche apportate alle sanzioni di cui all’articolo 2-bis del Testo unico che disciplina la presunzione di conformità e, in particolare, all’introduzione dell’articolo 15-bis, da cui origina la denuncia avanzata oggi da alcuni esponenti sindacali, che personalmente, signor Ministro, non reputo infamante: è una denuncia forte, alla quale bisogna rispondere con atti legislativi adeguati.

SACCONI, ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
Secondo lei non è infamante attribuire al Governo la volontà di interferire in procedimenti penali come quello della ThyssenKrupp di Torino?

ROILO (PD)
Non ci riferiamo alle volontà soggettive.

SACCONI, ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
Ho ricevuto un attacco di volontà soggettiva.

ROILO (PD)
Così lo ha interpretato lei. Il fatto è che la norma, per come è scritta la lettera b) del comma 1 dell’articolo 15-bis, non solo deresponsabilizza il datore di lavoro sul versante penale, ma si intravede la possibilità, essendo il decreto attuativo di una delega approvata lo scorso anno, di una valenza retroattiva, con probabili conseguenze anche sui processi aperti di recente. Non sono animato da volontà polemiche, perché sarebbe fin troppo semplice su questa materia: cerco anch’io – e mi auguro che i colleghi facciano altrettanto – di operare un confronto di merito per verificare se le norme al nostro esame possano effettivamente dare adito ad alcune situazioni. Oltretutto, l’articolo 15-bis è in pieno contrasto con l’articolo 2087 del codice civile.
Anche gli interventi correttivi agli articoli 5, 9 e 13 del Testo unico, in particolare quelli riferiti alle visite preassuntive e alla sorveglianza sanitaria, colpiscono i lavoratori e sono lesivi di normative attualmente vigenti e molto importanti, come la legge n. 300 del 1970.

DE ANGELIS (PdL)
Signor Presidente, ringrazio il Ministro per la sua illustrazione, accalorata e convinta, dello schema correttivo del decreto legislativo n. 81 del 2008.
La nostra Commissione ha fino ad oggi ha effettuato 24 audizioni, oltre a missioni in Italia e all’estero per confrontarsi con le normative europee in materia. Ci siamo recati in Francia, Germania e Gran Bretagna per avere un raffronto tra la nostra situazione e quella degli altri Paesi europei; da tali missioni è emerso, talvolta con imbarazzo, come la gravissima problematica delle morti sul lavoro riguardi in particolar modo l’Italia, anche a fronte di normative che nel nostro Paese sono molto più rigide.
Questo va riconosciuto senza alcuna remora.
Ecco perché esprimo al Ministro la mia più sentita solidarietà rispetto alle accuse che gli sono state rivolte. La nostra Commissione, anche raccogliendo il suo invito, ha una grande responsabilità, fermo restando che un problema del genere, al di là della retorica, non deve assolutamente creare tra noi divisioni. Per tale motivo occorre individuare delle soluzioni che siano in grado se non di risolvere almeno di attenuare un problema che si sta trasformando in una piaga nazionale.
Al riguardo ritengo potrebbe essere utile – e invito il Presidente a sollecitare i vari gruppi di lavoro in tal senso – la predisposizione da parte della Commissione di una relazione intermedia. Infatti, fermo restando che non si deve condurre una battaglia ideologica in questo campo, potrebbe risultare prezioso per il Ministro un indirizzo da parte nostra, anche al fine di correggere determinate situazioni, pur mantenendo saldi alcuni princìpi.
All’interno della Commissione coordino il gruppo di lavoro in materia di personale della pubblica amministrazione e controlli pubblici antinfortunistici.
Ebbene, sin dalle prime audizioni svolte, ascoltando sia il ministro Sacconi che il Presidente dell’INAIL (era l’ottobre dello scorso anno), abbiamo evidenziato la gravissima situazione degli edifici pubblici nel nostro Paese, in particolare delle scuole, che presentano significative carenze strutturali, come testimoniato anche dai frequenti incidenti nel frattempo verificatisi. Più specificamente, abbiamo sottolineato che oltre l’80 per cento dei nostri edifici scolastici non è a norma e sicuramente una percentuale analoga riguarda anche gli altri edifici pubblici. A questo proposito, ci permettiamo di suggerire due proposte di intervento che, a nostro avviso, andrebbero inserite all’interno del decreto legislativo n. 81. Innanzitutto auspichiamo un’assunzione di responsabilità piena da parte degli enti pubblici competenti in ordine alla valutazione dei rischi collegati alle strutture, agli impianti, alle caratteristiche igieniche e di salubrità degli edifici scolastici. Attualmente l’obbligo di compilare il documento di valutazione del rischio è in capo ai dirigenti scolastici, pena l’adozione nei loro confronti di sanzioni penali e amministrative. A nostro avviso, però, non è possibile immaginare una situazione di questo tipo, laddove riteniamo che la responsabilità in materia dovrebbe essere ricondotta all’interno degli enti pubblici competenti, fermo restando l’obbligo per i dirigenti scolastici di segnalare eventuali problematiche.
Bisognerebbe, inoltre, dare effettiva attuazione al famoso fascicolo di fabbricato (che in alcune Regioni è stato deliberato, ma mai applicato per tutti gli edifici), che le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di redigere attraverso propri esperti, per i 42.000 edifici scolastici presenti nel nostro Paese, assumendo conseguentemente tutte le responsabilità del caso. Al riguardo, peraltro, non si pone neppure un problema insuperabile di fattività, visto che si potrebbe pensare, ad esempio, ad una partecipazione dello Stato simile a quella che si è avuta quest’anno, quando è stato destinato all’UNIRE lo 0,07 per cento delle entrate derivanti dai giochi, oltre ovviamente alla partecipazione dei Comuni.
Il problema, signor Ministro, potrebbe essere tranquillamente risolto prima dell’approvazione definitiva della normativa, assegnando alle amministrazioni competenti la totale responsabilità degli edifici scolastici e, più in generale, di quelli pubblici. Si tratta di un nodo che è necessario sciogliere, considerato anche – come lei sicuramente saprà – che ogni anno ciascun dirigente scolastico compila un vademecum indirizzato a tutte le pubbliche amministrazioni (dal sindaco, al Presidente della Provincia), nel quale indica le problematiche esistenti in relazione all’edificio scolastico di sua competenza, problematiche che nessuno andrà a risolvere: perciò sostengo che se questo problema non viene affrontato in maniera seria, assegnando la relativa responsabilità ai Comuni, non riusciremo a dargli soluzione.
La seconda proposta riguarda l’attività ispettiva. Confrontando la situazione italiana con quella degli altri Paesi europei, ci siamo resi conto che l’Italia ha in assoluto il numero più alto di agenti che si occupano di vigilanza: tra le varie competenze amministrative, raggiungiamo le 10.000 unità circa, contro le 1.000 della Gran Bretagna e le 2.000 di Francia e Germania, a fronte di un numero di incidenti mortali che nel nostro Paese è pari a 1.500, contro i 500 di Francia e Germania e i 300 della Gran Bretagna.
Una soluzione molto semplice al riguardo, signor Ministro, potrebbe essere quella di adottare procedure standardizzate per la redazione del modello di verbale utilizzato dagli organi di vigilanza per la contestazione delle infrazioni nei luoghi di lavoro, ovviamente a seconda delle tipologie lavorative (cantieri edili, pubbliche amministrazioni e così via). Tale modello unico potrebbe essere elaborato dalla Commissione consultiva prevista dall’articolo 6 del Testo unico. Prendiamo il caso dei cantieri edili: oggi quando gli ispettori si recano presso un cantiere non hanno un modello di verbale standard, per cui le modalità di verifica di quanto accade all’interno del cantiere sono spesso lasciate alla discrezionalità dei controllori.

BUGNANO (IdV)
Signor Ministro, ringraziandola per la sua presenza, vorrei sottoporle due questioni. In un passaggio della sua relazione lei ha detto, molto correttamente, che l’approccio del Governo è per obiettivi, e non solo per regole, e che la filosofia adottata è quella del superamento di un sistema unicamente sanzionatorio, nell’ottica anche di garantire maggiore formazione e prevenzione.
Accogliamo di certo positivamente questo tipo di impostazione e di filosofia, perché crediamo molto nella formazione e nella prevenzione, soprattutto per le piccole e medie imprese; ci chiediamo però perché si debba intervenire nel ridurre l’apparato sanzionatorio, visto che i due aspetti non sono tra loro incompatibili. Cito ancora una volta la vicenda della ThyssenKrupp di Torino, già più volte richiamata. In quel caso avremmo potuto fare tutta la formazione e la prevenzione possibili, ma sappiamo bene – io per prima, posto che facevo parte del collegio difensivo dei familiari delle vittime – che non si è trattato di un problema di mancata formazione e prevenzione.
Ritengo quindi che la previsione di un apparato sanzionatorio anche rigoroso sia necessaria e costituisca un elemento di giusto equilibrio.

SACCONI, ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
Lei sa bene però, senatrice Bugnano, che il quadro sanzionatorio ragionevolmente applicabile a quel caso qui non è minimamente toccato.

BUGNANO (IdV)
Certamente, signor Ministro. Tutti abbiamo citato la vicenda della ThyssenKrupp perché è stata indubbiamente particolare; potrei comunque richiamare molti altri casi di infortuni sul lavoro rispetto ai quali è certamente importante prevedere una sanzione adeguata.
Inoltre, signor Ministro, da giurista la invito – non accusandola di alcunché, me ne guardo bene – a pensare ad una riformulazione dell’articolo 15-bis. Al riguardo lo stesso procuratore di Torino Raffaele Guariniello, in una recente intervista rilasciata al quotidiano «La Repubblica», in modo molto equilibrato (senza entrare ancora una volta specificamente nel caso ThyssenKrupp), ha richiamato l’attenzione sul problema dell’errata interpretazione che la norma, per come è scritta, potrebbe avere. E poiché nella relazione introduttiva, proprio rispetto all’articolo 15-bis, è scritto che è vostra intenzione limitare la discrezionalità dell’interprete con riferimento all’individuazione delle responsabilità, ritengo che questa norma vada ripensata.

ROILO (PD)
Signor Presidente, ho letto oggi su alcuni quotidiani che la scadenza per la conclusione dell’iter del provvedimento sarebbe stata prorogata al prossimo 16 agosto. Vorrei averne conferma dal Ministro, anche per avere la possibilità di discuterne in Commissione.

PRESIDENTE
Possiamo confermarlo; sono stati concessi tre mesi di proroga.
In considerazione del limitato tempo a disposizione, propongo di rinviare il seguito dell’audizione, anche per consentire al ministro Sacconi di approfondire adeguatamente le questioni segnalate dai commissari nei loro interventi e ai colleghi di maturare elementi definiti di proposta.
Consentitemi di ringraziare il Ministro per l’attenzione che ha voluto rivolgere alla nostra Commissione e per aver reso possibile una collaborazione più diretta ed istituzionale. In modo particolare, desidero ringraziarlo per l’attenzione giustamente posta all’articolo 15-bis, che mi sembra opportuno venga valutato e possibilmente riformulato con le finalità che il ministro Sacconi ci ha esposto e che magari, ad una prima lettura, possono destare alcuni equivoci.
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Fonte: Senato della Repubblica