SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 29, mercoledì 26 maggio 2009

Audizione dei rappresentanti dell’Associazione italiana degli igienisti industriali (AIDII)

Presidenza del presidente TOFANI

Intervengono, in rappresentanza dell’AIDII (Associazione italiana degli igienisti industriali), l’ingegner Gianandrea Gino, consigliere direttivo nazionale, e il professor Domenico Cavallo, segretario tesoriere.


PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca l’audizione dei rappresentanti dell’Associazione italiana degli igienisti industriali (AIDII), ai quali do il benvenuto.
Comunico che, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Comunico altresì che della seduta sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico.
Saluto i nostri ospiti e cedo subito la parola all’ingegner Gianandrea Gino.

GINO
Signor Presidente, vorrei innanzitutto porgere alla Commissione le scuse del presidente e del vice presidente dell’AIDII per la loro assenza, nonostante abbiano fatto tutto il possibile per essere presenti quest’oggi.
Ad ogni modo, la società ha delegato me ed il dottor Cavallo a seguire la seduta odierna.
Vi ringraziamo per averci dato l’opportunità di fornire il nostro contributo.
Abbiamo richiesto di essere ascoltati dalla Commissione in quanto la nostra Associazione, costituitasi nel 1969, si occupa di igiene industriale per l’ambiente in generale e per l’ambiente di lavoro in particolare.
Ad essa aderiscono più di 1.500 soci che fanno parte sia di istituzioni pubbliche, quali ARPA, ASL, INAIL e ISPESL, sia di università e organizzazioni private. L’impatto della nostra organizzazione tecnico-scientifica è di tipo multidisciplinare. Ci occupiamo di tossicologia e di sicurezza e traduciamo annualmente i TLV (treshold limit values, «valori limite di soglia», ossia le soglie di concentrazione di sostanze pericolose nell’aria) elaborati dalla ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists) statunitense.
Poiché uno degli scopi statutari dell’Associazione è lo sviluppo culturale, ci è sembrato opportuno dare vita all’Istituto per la certificazione delle figure della prevenzione, l’ICFP, che ha ottenuto il riconoscimento SINCERT, per poter accreditare a sua volta in tutto il mondo, secondo le norme ISO, la figura dell’igienista industriale e del tecnico in igiene industriale. Torneremo successivamente sull’aspetto della qualificazione e dell’importanza della competenza per il miglioramento della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
L’AIDII è la terza associazione al mondo e la prima in Europa per dimensioni (le altre due sono americane). È fra i soci fondatori dell’organizzazione mondiale delle associazioni igienistiche, la International occupational hygiene association (IOHA) che l’anno prossimo terrà a Roma l’VIII Congresso mondiale delle associazioni del nostro settore, in collaborazione con INAIL e ISPESL.
Le nostre osservazioni non sono tanto correttive dei singoli articoli del decreto legislativo n. 81 del 2008 (cosiddetto «Testo Unico» delle norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) – d’altra parte, questo non è né il nostro compito né il nostro obiettivo – quanto piuttosto strategiche ed investono sia il processo che ha determinato il varo del Testo Unico, che riteniamo assolutamente positivo, sia il merito del corpo normativo.
Il documento che consegniamo alla Commissione riassume le posizioni dell’Associazione su tre temi principali: formazione e cultura, partecipazione delle associazioni scientifiche al processo di prevenzione, valutazione dei rischi e semplificazione. Siamo convinti che questi tre temi possano favorire un intervento capace di ridurre il numero sia delle morti bianche che degli infortuni, oltre a determinare effetti positivi sulla salute dei lavoratori, limitando anche il numero delle malattie professionali.
Il fenomeno è molto diffuso, radicato, epidemico, ormai da molti anni, e plurifattoriale. Per contrastarlo con efficacia è necessario essere coordinati su più fronti. È necessaria innanzitutto la consapevolezza dei rischi e non tanto delle leggi: infatti, è possibile conoscere alla perfezione un corpo normativo, anche vasto, ma se non si entra nel merito dei rischi e dei pericoli è possibile che si rimanga al punto di partenza. Sotto questo profilo, quindi, la cultura della salute e della sicurezza deve diventare un patrimonio diffuso tramite la formazione che deve coinvolgere non solo gli addetti ai lavori ma tutti i cittadini, estendendosi, quindi, a livello Paese. Ricordo che nell’incidente che si è verificato lo scorso anno a Molfetta, una delle tragedie più dolorose degli ultimi anni, il datore di lavoro è intervenuto per salvare i suoi operai colpiti dalle esalazioni dell’autocisterna, rimanendo egli stesso coinvolto nell’evento mortale. Da ciò risulta che proprio il titolare della ditta era inconsapevole della irrespirabilità dell’ambiente in cui si stava operando. La conoscenza dei pericoli, quindi, e non quella delle norme, deve essere posta al centro degli sforzi anche normativi.
Le associazioni tecnico-scientifiche in questo settore possono fare molto. L’AIDII, insieme alle altre società scientifiche italiane, è spesso riconosciuta a livello internazionale e tale riconoscimento verrà a concretizzarsi nella presidenza dell’IOHA che l’AIDII assumerà a partire da quest’anno e nel Congresso mondiale delle associazioni, che – ripeto – avrà luogo il prossimo anno a Roma, quale coronamento della presidenza italiana.
A fronte di tale credito che possiamo vantare all’estero, non solo sotto il profilo delle interazioni con le istituzioni quanto anche dal punto di vista normativo, manca del tutto un riconoscimento interno, a livello di istituzioni nazionali, del ruolo di interlocutori che possiamo avere. Infatti, mentre molte organizzazioni di consumatori o ambientaliste sono riconosciute come interlocutori a vario titolo, le associazioni tecnico-scientifiche italiane non riescono ad avere questo ruolo nel nostro Paese. Accade addirittura che si partecipi agli stessi congressi ma poi non c’è traccia della nostra presenza. Teniamo presente che il Testo unico prevede molti ambiti di partecipazione, ma non prevede alcun possibile link a livello nazionale, regionale, locale con le associazioni scientifiche maggiormente rappresentative.
Il problema del riconoscimento formale è, quindi, una delle questioni che abbiamo voluto porre all’attenzione della Commissione. Il fatto di essere riconosciuti a livello istituzionale, infatti, ci consentirebbe di esprimere il nostro punto di vista non sui principi ma sull’applicazione pratica delle norme e sugli elementi innovativi che a noi sembra sbagliato non recepire.
Un secondo aspetto che ci pare importante sottolineare fa riferimento all’opportunità di individuare più incisive modalità di interazione e di raccordo con le strutture degli enti centrali, quali ISPESL, INAIL, Ministero del lavoro, ma anche regioni e enti territoriali. Ovviamente, non sta a noi definire le forme per raggiungere tale obiettivo. L’AIDII, ad esempio, opera anche con sezioni regionali, come altre società, quali la Società italiana di medicina del lavoro ed igiene industriale, anch’essa fra le più grandi del suo settore.
Un secondo punto, a nostro avviso, importante concerne il livello di formazione. Negli anni si è acquisita una sempre crescente consapevolezza, ma con una sottovalutazione del ruolo della formazione sia delle scuole secondarie sia delle università (mi viene in mente la laurea magistrale per responsabili dei servizi di prevenzione e protezione, posto che abbiamo pochi corsi per incentivare l’offerta formativa delle università), in modo da creare un concetto di competenza.
Nei primi anni di applicazione del decreto legislativo n. 626 del 1994 poteva sussistere il problema di «sanare» l’esistente, perché effettivamente ci si è trovati a far fronte ad un impatto nuovo in termini numerici rispetto alle esigenze di sicurezza. Ora, però, dobbiamo cominciare a porre alcuni paletti che facciano crescere il livello medio di competenza di chi si occupa della materia.
Questo è solo uno dei punti della formazione, che invece è un concetto che deve riguardare non solo coloro che specificamente si occuperanno di sicurezza, ma tutti coloro che entreranno nel mondo del lavoro (anche perché oggi le forme del lavoro stanno cambiando).
Un ulteriore punto che vorremmo toccare, prima di tornare sui temi che eventualmente vorrete approfondire, è quello della diffusione delle conoscenze che già abbiamo. Sono attivi moltissimi enti (territoriali o centrali), ma spesso la maggior parte delle inchieste e delle indagini viene gestita più a livello giornalistico o con i processi ed il segreto istruttorio, piuttosto che diventare un patrimonio in grado di realizzare azioni di prevenzione concrete nel breve periodo. In proposito vorrei riportare due esempi, il primo dei quali è relativo alle atmosfere irrespirabili: ogni anno aumenta il numero dei casi dovuti a tale fenomeno, con conseguenti decessi (per la fermentazione del vino, le atmosfere da ossido di carbonio o lavorazioni industriali di altra natura). Si ripropone, pertanto, questo problema di inconsapevolezza e gestione irresponsabile di rischi immediati per la vita. Perché si devono andare a cercare in fonti straniere gli elementi contenuti nelle indagini e nelle inchieste che vengono fatte? Non mi riferisco alle responsabilità del singolo, che giustamente devono essere lasciate ad altri ambiti. Ci devono però essere visibilità e capacità: oggi, per esempio, il Centro federale per la prevenzione dei disastri chimici negli Stati Uniti d’America (il CDC) addirittura diffonde i risultati delle sue indagini tecniche su YouTube, per cui i filmati sono disponibili on-line.
Tante delle iniziative che vengono condotte, anche a livello diffuso sul territorio, vanno disperse: prima non si facevano affatto, adesso si fanno ma devono essere raccolte.
Occorre un maggior coordinamento fra tutti gli enti: è un passaggio che sicuramente avrete già affrontato, anche in altri incontri in questa sede; si potrebbe pensare ad un portale Internet nazionale per la sicurezza, cioè a qualcosa di concreto, semplice, visibile e accessibile non solo agli addetti ai lavori, ma a tutti, in modo efficace ed effettivo, dove fornire soluzioni e dare segnalazioni di allarme se succede qualcosa o si presenta una novità o una non conformità che può diventare di patrimonio comune.
Insomma, non bisogna proseguire con il concetto in base al quale deve essere sempre l’ispettore ad arrivare per correggere le storture; deve esserci una proattività di tutti coloro che partecipano ai processi che generano rischi.
Oggi c’è una certa difficoltà a coordinare questa molteplicità territoriale di enti che intervengono nel settore della sicurezza, per cui ci siamo resi conto di dover trovare forme di azione molto più incisive. Le cause degli incidenti, a nostro avviso, sono abbastanza riconducibili a violazioni sistematiche di aspetti relativamente noti: nei cantieri si verificano per lo più investimenti o cadute dall’alto; nelle aziende, invece, incendi di sostanze notoriamente infiammabili, presenza di atmosfere irrespirabili o accessi a luoghi ristretti.
Per avere un radicale miglioramento, non c’è bisogno dell’improvvisa scoperta di qualcosa di ignoto, ma di un processo a vasto raggio per gestire quanto già conosciamo. Probabilmente, rimarrà fuori ancora qualche elemento, ma il cambiamento qualitativo può essere importante. Quindi c’è la necessità di fare formazione e cultura diffusa. Il documento di valutazione dei rischi disponibile nelle aziende deve migliorare qualitativamente, prestando minore attenzione alla parte burocratica e maggiore a quella sostanziale. Bisogna disporre di linee guida e standard tecnici, anche in questo caso da non intendere come vincolanti, obbligatori e sempre legati ad una sanzione più o meno elevata, ma come strumenti guida, disponibili per chi realmente deve utilizzarli a fini di prevenzione. Da questo punto di vista, spesso i documenti sono vuote ripetizioni enciclopediche di norme e non entrano nel merito dei rischi veri, importanti (come una caduta dall’alto nel cantiere, un incendio o un infortunio nella produzione manifatturiera).
La ricerca di una perfezione più burocratica che sostanziale ci pone spesso di fronte ad un linguaggio che spesso non consente la comprensione né al datore di lavoro né ai dirigenti preposti né agli operai, che sono i reali destinatari. Dobbiamo quindi mirare sempre più non a metodi semplificati, che banalizzino in tre o quattro schemi i risultati della valutazione, ma ad analisi sito-specifiche delle strategie, che possono essere semplificate per le aziende a basso rischio, ma non per le piccole aziende poiché il rischio e la dimensione non viaggiano insieme. Bisogna riuscire ad avere la medesima pazienza che si è avuta per gli studi di settore, per cercare di seguire l’andamento economico dei settori più disparati; lo stesso si deve fare per le linee guida sulla sicurezza nei vari settori produttivi, dal piccolo al medio; le analisi di rischio, cioè, devono essere adeguate alla natura del processo produttivo. Quindi, occorrono linee guida di buona tecnica e check-list: in Europa siamo perfettamente in grado di essere propositivi e non solo ricettivi, per cui dobbiamo percorrere questa strada, a volte anche adottando non già il criterio di dare uno strumento semplice da applicare autonomamente, ma aumentando il livello di formazione per gli addetti che devono validare alcune situazioni a maggior rischio.
Questo accade oggi per gli impianti elettrici, dove l’installatore deve essere qualificato, per gli ascensori, dove ci deve essere un terzo responsabile, e per le caldaie. Mi sorprende perciò che non si pensi a fare qualcosa di simile per le attività maggiormente critiche, che non si avverta la necessità di collegare la competenza di chi valuta determinate situazioni di rischio; si è cominciato a fare qualcosa, ma secondo me il processo deve essere ripensato.
Un aspetto da tenere comunque in conto è quello riguardante la nuova classificazione delle aziende. Il Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (il decreto legislativo n. 81 del 2008) distingue tra imprese «a rischio convenzionale», che sono sostanzialmente affidate alla competenza delle ASL, e imprese «a rischio rilevante» sottoposte alla cosiddetta legge Seveso (decreto legislativo n. 334 del 1999); in una posizione intermedia, però, c’è una serie di aziende abbastanza grandi per essere già paragonabili a quelle che rientrano nella soglia prevista dalla legge Seveso (sui rischi di incidente rilevante), che possono creare le condizioni per il verificarsi di incidenti che definisco «significativi» (per non ripetere l’aggettivo «rilevante») e che a mio avviso richiedono un’ulteriore restrizione normativa nelle valutazioni.
Di qui la necessità di un maggiore livello di formazione dei responsabili per la sicurezza e dei dipendenti per le aziende a rischio convenzionale ma significativo, non coperte dalla legge Seveso. Vorrei citare i casi della ThyssenKrupp o della ex Pharmacia a Milano, dove si sono verificati decessi dovuti a incidenti gravi, ma non rilevanti. Esiste pertanto una lacuna normativa proprio nel punto di congiunzione fra le competenze dei servizi di prevenzione delle ASL e quelli delle ARPA. I servizi delle ARPA, dei vigili del fuoco, dei comitati tecnici regionali si occupano delle aziende a rischio di incidente rilevante, mentre i servizi di prevenzione territoriale delle ASL si occupano della parte relativa al rischio convenzionale, anche se in realtà, per motivi organizzativi e culturali, si occupano dei piccoli incidenti convenzionali. Rimane quindi un buco costituito dalle aziende a rischio maggiore o significativo, che non viene gestito né dalle ARPA né dalle ASL. A mio parere, tale aspetto andrebbe chiarito meglio, individuando con precisione questo tipo di attività. Inoltre, la valutazione dei rischi maggiormente critici deve far parte del documento di valutazione dei rischi aziendali, diversamente non si saprà mai se tale buco sia stato coperto.

CAVALLO
Signor Presidente, vorrei fare tre puntualizzazioni. Per quanto concerne i valori limite di esposizione professionale, i noti TLV (treshold limit value), il contratto collettivo nazionale di lavoro dei chimici li recepisce da ormai cinquant’anni e colmano un gap normativo esistente anche nel resto d’Europa (almeno fino quando non sono state promosse nel 2004 le liste delle sostanze chimiche). Essi disciplinano l’esposizione ad agenti di rischio, sia sotto il profilo della sicurezza (quindi assolutamente pertinenti con la competenza di questa Commissione), sia dal punto di vista della salute; d’altra parte, tutelare la sicurezza significare tutelare la salute dei lavoratori. Tutti gli anni traduciamo i TLV di circa 800 sostanze, adeguate di volta in volta con lo stato delle conoscenze, cercando di colmare un gap a livello europeo, dal momento che vengono normate solo 80 sostanze.
L’Associazione internazionale degli igienisti occupazionali, oltre a promuovere un convegno in Italia per il 2010, ha avuto la sensibilità di premiare la nostra Associazione attribuendo all’Italia la Presidenza nel prossimo biennio. Il nostro Paese è infatti considerato a livello internazionale la culla della prevenzione. Insegno medicina del lavoro e non posso non ricordare che la prima istituzione di medicina del lavoro al mondo è stata fondata a Milano più di cento anni fa. Le competenze interdisciplinari devono essere riprese, a nostro avviso, anche nei processi di normazione che vi vedono coinvolti.
Vorrei inoltre collegarmi all’ultima parte dell’intervento dell’ingegner Gino riguardo alle competenze necessarie a colmare il gap che va dal rischio cosiddetto irrilevante, come definito nell’ultima versione del decreto legislativo n. 81 del 2008 (che ha cancellato e rivisto la definizione di rischio moderato, con tutte le difficoltà dell’aggettivazione di un fenomeno come quello del rischio), fino alle industrie a rischio rilevante. Tra la totale assenza o trascurabilità del rischio e la concezione di danno significativo per la salute, citato dall’ingegnere Gino per quanto riguarda il decreto legislativo n. 334 del 1999, vi è l’85-90 per cento della realtà produttiva italiana. Bisogna capire quanti sono gli infortuni o le malattie professionali, e in generale tutto ciò riguarda la prevenzione nei luoghi di lavoro, che si collocano tra l’irrilevanza e la rilevanza del rischio. Le malattie professionali, così come gli infortuni, si collocano quasi sempre in scenari esistenti all’interno dei due estremi. Circa la migliore aggettivazione da utilizzare, come igienisti industriali riteniamo che la definizione più adeguata sia quella di rischio controllato, poiché viene conservata la natura probabilistica di un evento ma, al tempo stesso, si mettono in evidenza le azioni che possono essere adottate per tenere sotto controllo il rischio.
In conclusione, non possiamo che confermare la piena disponibilità della nostra associazione scientifica, che è un ente no profit, composta da 12 membri del direttivo (che vengono dalle università, da istituzioni come le ASL e le ARPA, dall’Istituto superiore di sanità, dall’ISPESL e dall’INAIL) e da circa 1.500 associati. L’AIDII organizza anche eventi nazionali annuali, che vedono ogni anno 300-400 persone impegnate a discutere i temi di attualità sulla prevenzione nei luoghi di lavoro e negli ambienti di vita.

PRESIDENTE
Vorrei rivolgere un ringraziamento ai nostri ospiti poiché considero molto importante l’audizione odierna, dal momento che offre alcuni spaccati su cui sarà necessario un lavoro di riflessione e di approfondimento. La prima questione che avete sollevato, e che mi sembra molto verosimile, è quella del ruolo non sufficientemente valorizzato delle associazioni tecnico-scientifiche; ci faremo parte attiva affinché tale deficit possa essere colmato. Molto rilevante – del resto sono aspetti che abbiamo già avuto modo di verificare nella nostra attività – è altresì l’aspetto complesso della materia, che deve coniugare la normativa con la conoscenza dei rischi; diversamente rischiamo di essere corretti ed attenti conoscitori delle norme, ma non altrettanto corretti ed attenti conoscitori dei rischi: proprio questo è l’aspetto centrale della questione.
Vorrei chiedervi di inviare una nota scritta alla Commissione per permetterci di acquisire maggiori conoscenze sulla zona grigia che avete descritto, sul gap esistente tra le competenze delle ARPA e quelle delle ASL. Di ciò vi saremmo molto grati, in quanto dalle vostre dichiarazioni sembra emergere un varco molto ampio e di importanza non irrilevante. Il vostro contributo potrebbe aiutarci a comprendere dei fenomeni che sono rimasti poco chiari anche dopo le nostre inchieste. Disporre di un maggiore approfondimento in proposito sarebbe quindi importante, considerato che ci troviamo in una fase delicata.
Come sapete, le Camere dovranno esprimere il parere sullo schema di decreto di integrazione e correzione al decreto legislativo n. 81 del 2008; ci faremo pertanto carico della vostra richiesta, che ci appare degna di grande attenzione. La scienza non può non essere coinvolta nel momento in cui si affrontano problemi che implicano aspetti sia normativi sia di altra natura che la scienza stessa è chiamata a risolvere.
Rivolgendoci quindi al Ministro mediante un atto formale, valuteremo la possibilità di tenere in maggiore considerazione la vostra Associazione, attese le osservazioni che avete reso oggi in questa sede e che ci hanno suggerito elementi di valore per lo sviluppo di una ricerca sulle tematiche affrontate. Si parla spesso di formazione, ma è anche necessario dare concretezza ad interventi in tal senso mediante argomenti, conoscenze e strategie. È il principio del «politicamente corretto», perché nessuno si oppone alla formazione, ma poi si pone il problema di renderla effettiva.
Avrò modo e tempo di leggere attentamente il documento che ci avete consegnato e congiuntamente ai colleghi qui presenti valuteremo gli aspetti che avete rilevato perché li consideriamo di evidenza tale da poter corroborare un lavoro sinergico relativo non solo alla formazione, come già detto, ma anche alla cultura lato sensu della prevenzione, della salute e della tutela, da diffondere sia nei posti di lavoro sia nelle scuole.
A tal proposito, la Commissione intende ascoltare prossimamente il Ministro dell’istruzione perché vorremmo definire un indirizzo che il Governo ha comunque intenzione di seguire. Pertanto, sarebbe auspicabile poter cogliere il vostro contributo in considerazione del ruolo centrale che la vostra Associazione potrebbe avere nell’indicare, sotto il profilo metodologico e didattico, le buone prassi pedagogiche per far nascere sentimenti di attenzione alla problematica anche negli allievi della scuola primaria e secondaria.
I temi trattati nell’odierna audizione erano già stati presi in considerazione dalla Commissione ma, anche in base alle osservazioni dei nostri ospiti, avvertiamo la necessità di svilupparli ulteriormente dedicandovi maggiore attenzione. Per questo motivo consideriamo molto importante l’incontro con i rappresentanti dell’AIDII, nella speranza che ad esso possa fare seguito un rapporto di collaborazione.
Dichiaro conclusa l’audizione.
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Fonte: Senato della Repubblica