SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico



Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»



Seduta 41, martedì 19 gennaio 2010

Audizione del Presidente dell’Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA)

Presidenza del presidente TOFANI

Interviene il presidente dell’Istituto di previdenza per il settore marittimo, avvocato Antonio Parlato, accompagnato dal direttore generale, dottoressa Palmira Petrocelli.

PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca l’audizione del presidente dell’Istituto di previdenza per il settore marittimo, avvocato Antonio Parlato, accompagnato dal direttore generale, dottoressa Palmira Petrocelli.
Comunico che, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
La presente audizione si ricollega all’infortunio mortale di un lavoratore portuale, occorso il 23 dicembre a Genova, ma concerne altresì, in connessione a precedenti audizioni dell’IPSEMA, un argomento a cui è interessata questa Commissione, per il quale intende concorrere a trovare elementi di equilibrio e di soluzione.
Ho fatto riferimento all’evento specifico per far comprendere come sia difficile continuare ad ignorare un problema che invece esiste. Il lavoratore della Compagnia Unica del molo di Genova è morto a bordo di una nave traghetto e, come sappiamo, i marittimi sono assicurati presso l’IPSEMA e non presso l’INAIL. La situazione dunque è abbastanza complessa e l’audizione del presidente Parlato (incontreremo in seguito anche il presidente dell’INAIL Sartori) è volta alla ricerca, in attesa di soluzioni definitive, di momenti di sintesi in ordine alle problematiche relative ai porti. Ciò anche a fronte del fatto che è attualmente in discussione presso la Commissione lavori pubblici del Senato un progetto di riforma della legge n. 84 del 1994, in materia di ordinamento portuale (Atto Senato n. 143). È necessario, pertanto, capire quale contributo sia possibile portare in questo dibattito.
Ieri una nostra delegazione si è recata a Genova per conoscere direttamente dai soggetti interessati sia la dinamica dei fatti causa dell’evento luttuoso del 23 dicembre, sia le esigenze, le prospettive e le proposte riguardo alla gestione del porto e alla sua sicurezza. Vorremmo ora ascoltare la sua opinione, avvocato Parlato, quindi le cedo immediatamente la parola.

PARLATO
Signor Presidente, la ringrazio anzitutto per il cortese invito.
Con riferimento alla circostanza dell’infortunio mortale verificatosi a Genova, ritengo che l’iniziativa della Commissione possa essere non dico risolutiva, ma capace di approfondire seriamente il tema. La prima considerazione è che ci troviamo di fronte ad un ambiente, il porto, che possiamo definire morbigeno. In tale ambiente i rischi coinvolgono, con incidenti a volte mortali, due tipi di lavoratori: il marittimo e il portuale. Ciò fa sì che possa diventare difficile l’individuazione della responsabilità, che è compito della magistratura. Un forte impulso è stato dato in sede europea anche per quanto concerne le inchieste sui sinistri marittimi, con il tentativo di addivenire ad ogni possibile accertamento sulla dinamica dell’evento, lasciando comunque la decisione finale alla magistratura. Lo stesso dicasi per una delle direttive del cosiddetto pacchetto Erika III che distingue i compiti delle Capitanerie di porto titolari di inchieste da quelli della magistratura.
Come anche lei ha sottolineato, Presidente, appare assai strano che dal punto di vista normativo non si preveda almeno un osservatorio su ciò che accade al lavoratore portuale e marittimo, al fine di analizzarne la dinamica. In particolare, due aspetti lasciano molto perplessi. Il primo è quello della formazione: per quale motivo queste due tipologie di lavoratori ricevono la medesima formazione laddove il profilo del lavoratore marittimo è assai più complesso quanto al quadro di inserimento? Citerò un caso che ha fatto sorridere molti. Abbiamo condotto uno studio per prevenire i rischi che corrono i cuochi di bordo, che sono diversi da quelli dei cuochi di terra. Un macellaio, ad esempio, opera all’interno di una cella frigorifera, mentre un cuoco di bordo lavora per tutta la crociera in una cabina, dove sono stivati quintali di materiale e operare in una cabina è condizione ben diversa dall’aprire lo sportello di una cella frigorifera di un ristorante. Non solo, c’è anche da tener presente che una nave è soggetta al rollio e al beccheggio, è quindi sottoposta ad un movimento continuo. Ciò di cui molti non si rendono conto è che il lavoratore portuale che entra in una nave, ossia in un ambiente soggetto al beccheggio e al rollio, si trova in un contesto che non gli appartiene, perché la sua capacità è quella di operare su una superficie completamente stabile. Questo è solo un esempio per far capire che bisogna ben distinguere la qualità e la tipologia di formazione di queste due figure.
Secondo i nostri dati, il 40 per cento degli infortuni registrati dall’IPSEMA si verifica nei porti, che rappresentano un mondo diverso. Attenzione, non sto parlando di tutti i lavoratori portuali ma di quelli che operano a fronte nave, cioè i terminalisti, come nel caso del lavoratore di Genova, che hanno ovviamente un’affinità straordinaria con i lavoratori portuali.
A questo proposito mi fa piacere che il Presidente abbia fatto cenno al progetto, che mi auguro sia coronato da successo, di riforma della legge n. 84 del 1994, perché in sede di audizione presso la Commissione lavori pubblici del Senato ho presentato la richiesta, formalizzata in seguito come a titolo completamente gratuito, che l’IPSEMA sia presente all’interno degli organi portuali portando il contributo della giunta almeno nei luoghi dove siamo direttamente presenti, e cioè nei porti di Palermo, Trieste, Genova e Napoli. Infatti, già il semplice raccordare le notizie relative agli infortuni in sede di autorità portuale consentirebbe di arricchire la consapevolezza e forse anche la responsabilità di coloro che sono preposti a vigilare sulla sicurezza, come, ad esempio, le organizzazioni sindacali o comunque tutti i soggetti che potrebbero avere qualcosa da imparare dal confronto dei diversi infortuni, sia quelli propri della tipologia di lavoro marittimo che della tipologia di lavoro portuale. In tal modo, studiando la dinamica degli eventi e stabilendo sicure coincidenze – a prescindere dalla categoria cui appartiene il lavoratore che ha subito l’infortunio – si potrebbero svolgere attività di prevenzione mirate.
Il rischio che l’IPSEMA sta correndo in questo momento, Presidente, è relativo al fatto che qualcuno pensi di stravolgere il contenuto del decreto legislativo n. 81 del 2008, sottraendoci compiti che con questo ci sono stati assegnati ovvero, oltre ad un importante riconoscimento del nostro ruolo, soprattutto l’attività di formazione (ovviamente per la parte di nostra competenza riguardante i lavoratori marittimi). Non mi riferisco solo ad una generica formazione sui rischi della navigazione, che è la base. L’IPSEMA ha avviato un grandissimo lavoro, partendo forse troppo da lontano, che mira a sviluppare la cultura del mare con mille iniziative, ivi compresa una biblioteca inserita nel circuito librario della Treccani che riguarda solo il mare, dal romanzo di Conrad alla tecnologia per guidare al meglio una nave nelle difficoltà di un mare forza sette.
Auspico quindi che non si vogliano togliere all’IPSEMA i compiti che le sono propri in materia di formazione; purtroppo vi sono varie manovre in tal senso, anche all’interno delle strutture ministeriali e non se ne comprende il motivo. Chi, come voi e come me, legge quotidianamente la Gazzetta Ufficiale, scopre ogni giorno che si concede a chiunque l’autorizzazione per tenere corsi di formazione mentre la si vuole togliere proprio all’ente istituzionale del trasporto marittimo e della navigazione.
Ci compete altresì un potere di informazione, che abbiamo fortemente esercitato organizzando, per esempio, corsi per 400 pescatori delle marinerie più affollate d’Italia. Il decreto legislativo n. 81 ha aggiunto all’informazione anche la formazione inserendo una riserva, dato che vigevano i decreti legislativi n. 271 e 272 del 1999, il primo relativo alla sicurezza nei porti e il secondo alla sicurezza del trasporto marittimo. Si è previsto che tali decreti legislativi fossero adeguati alla luce del Testo unico e del successivo decreto legislativo n. 106 del 2009. Come si fa allora ad ipotizzare che modificando il decreto legislativo n. 271 e il decreto legislativo n. 272 possa essere modificata anche la normativa principale, togliendo all’IPSEMA la formazione, che pure gli era stata assegnata e per la quale noi stiamo lavorando?
In conclusione, riteniamo che l’infortunio mortale del povero lavoratore portuale di Genova debba e possa essere l’occasione, per quanto triste, per permettere un approfondimento di tutta la materia, capace di rompere alcune strutture e ricomporre ad unità di governo i fenomeni. Dirò al presidente Sartori, se avrò tempo di incontrarlo personalmente prima della sua audizione, che sarebbe necessario mettere a confronto la rispettiva casistica per studiarne la dinamica. Cito un caso per tutti, che alcune volte riguarda il lavoratore portuale e altre volte il lavoratore marittimo, e cioè lo spezzarsi del cavo di ormeggio, che provoca un colpo di frusta tale da uccidere o comunque da provocare lesioni gravissime a chi sta lavorando nelle vicinanze.
Noi, fortunatamente, abbiamo un numero di incidenti mortali relativamente basso, anche perché la nostra platea è di circa 120.000 marinai. Negli ultimi anni, mediamente, abbiamo avuto 10-12 infortuni mortali, due sulle navi e dieci sulle barche da pesca: è una cosa incredibile ma può accadere che, per seguire la rete che magari si è impigliata, il lavoratore marittimo venga trascinato in mare. Ci sono, insomma, varie tipologie di infortunio che andrebbero messe a confronto. Per esempio, per quanto riguarda la rottura dell’ormeggio riportiamo alcuni casi di navi che sono partite per un errore di comunicazione causando un incidente mortale.
E questo è un altro problema, perché non tutti conoscono l’inglese. A tal proposito vorrei richiamare l’attenzione della Commissione su una direttiva dell’IMO (International Maritime Organization, l’Organizzazione marittima internazionale) che fornisce uno strumento, sul quale stiamo lavorando, relativo al mutamento completo del linguaggio nel quale vengono impartiti gli ordini. Se manca la comprensione può accadere che si verifichi un incidente. Nel caso al nostro esame, comunque, la lingua usata era l’italiano e non si può dire nemmeno che i lavoratori parlassero in dialetto. La nave è partita perché chi stava all’ormeggio non è riuscito a comunicare che era ancora legata alla banchina, per cui la corda si è spezzata e il lavoratore è stato gravemente ferito.

PETROCELLI
Signor Presidente, vorrei riprendere le considerazioni del presidente Parlato in ordine al decreto legislativo n. 81 del 2008.
Credo che la Commissione, anche alla luce di quanto ha appreso durante la sua trasferta a Genova, abbia potuto rendersi conto della specificità delle attività di cui stiamo parlando. Fu questa la ragione per cui al decreto legislativo n. 626 del 1994 seguì l’emanazione dei decreti legislativi n. 271 e n. 272 del 1999, concernenti rispettivamente i lavoratori marittimi e il settore portuale. Il decreto legislativo n. 81 è senza dubbio il testo generale, rispetto al quale però le suddette attività richiedono una normativa specifica. È ovvio che l’IPSEMA, essendo stato dichiarato dal Testo unico uno dei tre enti che si occupano di salute e sicurezza, rivendichi il ruolo che gli è stato riconosciuto dal legislatore.
Per quanto riguarda il discorso, già affrontato dal presidente Parlato, relativo all’importanza della formazione, i marittimi devono rispettare dei requisiti per potersi iscrivere. Per diventare lavoratori marittimi occorre una serie di documenti che attestino di avere una determinata formazione e specializzazione ma, oltre ad alcuni elementi base, per svolgere tale attività è necessario che durante la vita lavorativa si segua una formazione continua. A tal riguardo, l’IPSEMA ha iniziato un importante lavoro – anche se molto rimane da fare – non solo per quanto riguarda la pesca, ma anche per coloro che sono a bordo delle navi. Abbiamo cominciato ad elaborare una serie di quaderni: ci siamo occupati della cucina ma anche delle vibrazioni, che costituiscono una caratteristica specifica in tale contesto, e ci siamo occupati della coperta. Inoltre, insieme a CONFITARMA abbiamo deciso di elaborare un quaderno sulla questione dell’interfaccia, ovvero il momento in cui la nave attracca alla banchina e riceve i servizi di terra. Si tratta di un aspetto molto particolare, che richiederebbe una formazione unica sia per il lavoratore marittimo che per quello portuale, altrimenti è come parlare due linguaggi diversi. Da tale punto di vista, senza nulla togliere all’INAIL, chi se non l’IPSEMA è in grado di rilevare tale peculiarità ed esercitare un controllo? Non prendetela come una diminutio dell’INAIL, tutt’altro, ma rispetto al suo ambito di competenza quello in esame è un settore troppo ristretto per poterlo seguire con l’attenzione che ad esso dedicherebbe l’IPSEMA, considerato che noi possiamo analizzare ogni caso singolarmente. Qualora si verifichi un incidente, noi partecipiamo per legge all’inchiesta, gli atti ci vengono trasmessi ed abbiamo un osservatorio che li registra in modo da capirne minuziosamente la causa e la dinamica: questo è il percorso necessario per comprendere come evitare che un infortunio si ripeta. Qualcuno ha proposto un coordinamento anche sulla formazione. Personalmente sono convinta che una simile proposta possa funzionare, ma è evidente che nei vari settori ciascuno deve avere delle responsabilità ben definite.
L’incidente di Genova ha provocato purtroppo una vittima, ma almeno dobbiamo cercare di trarre un insegnamento da tale drammatico evento. Occorre intervenire a livello legislativo e indicare con precisione le linee di demarcazione sulle competenze. Contemporaneamente, occorre la collaborazione di tutti, in primo luogo nostra poiché siamo un ente pubblico, per avviare una formazione seria e non formale. Sottolineo ancora l’aspetto della specificità perché l’ambiente di cui ci occupiamo è diverso da quello di un qualsiasi stabilimento dove, una volta creato il sistema di sicurezza e aver svolto i corsi di formazione, non occorre altro. In un porto, quando arriva, ad esempio, una «carretta del mare» dall’Uganda bisogna intervenire in modo profondamente differente rispetto a quando attracca una nave da crociera. Quotidianamente si pone una responsabilità importante che non può essere sottovalutata considerando tale attività simile alle altre e tale da essere disciplinata da una normativa generalizzata.
Bisogna entrare nello specifico, stabilire alcune regole e quindi controllarne l’applicazione.

PRESIDENTE
Come sapete, noi ci stiamo ponendo da molto tempo questo problema e ci auguriamo, tra l’altro, che maturi un nuovo modo di relazionarsi, non antagonista bensì collaborativo. Inoltre, dato che si è posta l’esigenza di dare una maggiore uniformità alla disciplina dei porti, che sono realtà di complessa gestione, questo potrebbe essere il momento giusto per una risposta anche sui temi che trattiamo in questa Commissione e che ci stanno a cuore.
Valuteremo come fare, magari organizzando, se sarà possibile, un incontro per ragionare e discutere insieme; ad esempio, l’idea di una scuola di formazione all’interno dei porti, emersa nel corso delle audizioni svolte a Genova, è importante. Ieri abbiamo ascoltato sia il Presidente dell’autorità portuale sia altri soggetti interessati che ci hanno confermato l’importanza della formazione nonché le difficoltà che si creano nel momento in cui arriva una nave. Si tratta di una zona, diciamo, di limite, nella quale nascono le situazioni di cui ci hanno parlato a Genova e che voi, molto cortesemente, ci avete illustrato.
Il nostro obiettivo è dare delle risposte proprio su quelle zone che rimangono in un cono d’ombra. Il richiamo dell’avvocato Parlato è giusto: è vero che scattano meccanismi diversi nel momento in cui il lavoratore marittimo, il terminalista – o camallo in quella circostanza per adoperare un linguaggio caro alla tradizione del porto di Genova – sale su una nave sulla quale effettua delle operazioni. Per questo è necessario un approccio diverso e quindi una formazione diversa perché in quel momento il terminalista è un lavoratore marittimo. Tra l’altro, è vero anche il contrario: si sono riscontrati, ad esempio, casi di marinai colpiti dalle cime che venivano strappate da navi in partenza proprio per un difetto di comunicazione: in quel momento il marinaio non era più un lavoratore marittimo perché si trovava sulla terraferma per svolgere un ruolo completamente diverso.
Noi ci auguriamo che i tempi siano maturi per poter parlare anche di questi argomenti, per poter riflettere e ragionare su di essi e per fare in modo che almeno per coloro che operano come interfaccia della nave si crei una cultura uniforme.
Infine, anche per portarvi a conoscenza del lavoro della Commissione, ieri ci siamo soffermati, in particolare il collega Nerozzi, proprio sull’aspetto del linguaggio. E ` vero che è necessaria la conoscenza e la comprensione delle lingue parlate sulle navi non italiane che attraccano nei nostri porti, ma è anche vero che esiste un linguaggio fatto di consuetudini gestuali diverse tra gli stessi soggetti italiani di differente provenienza, il che può indurre in errori che rischiano di rivelarsi fatali. L’argomento, quindi, è ampio e complesso ma ritengo che insieme a tutti gli altri soggetti che intendono intervenire, si possa anche creare, in tempi spero brevi, un momento di sintesi.

DE ANGELIS (PdL)
Signor Presidente, ringrazio i nostri ospiti e, visto che il Presidente dell’IPSEMA ci ha parlato di uno screening effettuato sugli infortuni, vorrei sapere se ci possono fornire alcuni dati. Esiste, ad esempio, una statistica sugli infortuni avvenuti nel 2009? Qual è la casistica principale che si verifica? Questo ci aiuterebbe a meglio comprendere il fenomeno.
In secondo luogo, l’avvocato Parlato ha molto insistito sul testo attualmente in discussione al Senato, ovvero la legge di riforma sui porti, dicendo che è preoccupato per la possibilità che si preveda un passaggio di consegne in materia di sicurezza. Proseguendo il discorso, sia relativamente alla sicurezza dei lavoratori marittimi che dei portuali, vorrei aggiungere che per quanto riguarda i primi comincia ad esserci una predominanza di manovalanza straniera, mentre per i portuali esistono tradizioni diverse da porto e porto, tra il mare Adriatico, il mar Tirreno e le Isole. In questi ultimi anni, si è avvertito un certo miglioramento delle condizioni di lavoro sia per i lavoratori marittimi che per i portuali, dovuto anche ai progressi tecnologici. Per prevenire eventuali altri incidenti, che tipo di informazione e di formazione avete operato in questi anni? Inoltre mi è parso di capire che, anche in virtù del nuovo testo in discussione, auspicate un nuovo tipo di formazione che preveda il coinvolgimento di tutte le autorità presenti all’interno del porto e che riguardi il lavoro marittimo nel suo complesso, informando meglio i nostri giovani, anche perché lo sviluppo di questo settore sarebbe importantissimo per l’economia nazionale che ne trarrebbe grande vantaggio.
Rispetto a queste tematiche, quali sono state le azioni che avete intrapreso e quali i risultati ottenuti? Inoltre, come diceva il direttore Petrocelli, un maggiore coinvolgimento sarebbe di vostro gradimento e potrebbe essere vantaggioso per tutti?

PETROCELLI
Per quanto riguarda i dati, ogni anno presentiamo un rapporto molto dettagliato sugli infortuni, che viene pubblicato sul nostro sito Internet e contiene informazioni sul tipo di nave dove l’incidente è avvenuto, sul luogo preciso e sulla tipologia dell’infortunio.
Come l’avvocato Parlato diceva, rileviamo che il 40 per cento degli infortuni avviene in porto mentre il restante 60 per cento avviene in mare.
Inoltre, se si esaminano le singole categorie di navi – passeggeri, gassiera, petroliera e quant’altro – si vedrà che gli incidenti in mare sono più numerosi per quanto riguarda il naviglio da pesca. Infatti oltre l’80 per cento sul 60 per cento degli infortuni in mare è relativo alle navi da pesca, che escono in mare indipendentemente dalle condizioni meteo perché, come sapete, vige ancora il contratto alla parte, secondo il quale una parte viene pagata in denaro e un’altra con il pescato.

DE ANGELIS (PdL)
Viene pagata sul reddito del peschereccio.

PETROCELLI
Ma è calcolata sul pescato. Una volta veniva dato il pesce, adesso il peschereccio deve uscire per forza in mare, altrimenti la seconda parte non viene data.
Gli incidenti in porto, per collegarci a questo discorso, sono anche più numerosi se si osservano le singole categorie. Se alla Commissione può interessare possiamo inviare un fascicolo con i dati relativi agli ultimi anni, messi a confronto. Il presidente Parlato ha parlato di 10-12 morti, ma fortunatamente negli ultimi anni il numero è stato anche inferiore; si registra, quindi, una bassa mortalità e la più alta purtroppo si ha nel settore della pesca, anche per le ragioni che vi ho esposto.
Uno dei due argomenti importantissimi che lei ha toccato è quello dei lavoratori extracomunitari di cui vi parlerà il presidente Parlato, la cui linea di pensiero condivido.

PARLATO
Signor Presidente, la questione non è fuori tema perché abbiamo tutti, credo, una grande sensibilità sociale.
Denunzio come estremamente negativo il fatto che lo Stato italiano non abbia ancora ratificato la Convenzione dell’OIL sul lavoro marittimo, firmata a Ginevra nel 2006, dedicata in particolare al benessere dei marittimi.
Infatti, vi è un rapporto – peraltro accertato anche dagli armatori, senza alcuna riserva – non soltanto tra il benessere (tempo libero, alloggi, servizi igienici, in molti casi ancora in comune per donne e uomini) e l’infortunio o la malattia, ma anche un aspetto socialmente più significativo: se si opera con soddisfazione sicuramente si è meno portati alla distrazione, talvolta fatale. Si tratta di una delle questioni di fondo, che genera dei contrasti sull’orario di lavoro a bordo: ci sono interpretazioni diverse, ma logicamente quando c’è uno stress che potrebbe essere collegato a turni faticosi c’è anche il rischio – è stato scientificamente dimostrato in Inghilterra – di maggiore distrazione e quindi di un più elevato numero di eventi infortunistici. Questo è un aspetto fondamentale.
Quanto è stato detto è verissimo: l’istituto del Port State Control, ovvero il diritto di controllo di tutte le navi straniere, una volta era meno rigido, adesso è rivolto a tutte le navi che arrivano nei porti. Il controllo è fondamentale e gli accertamenti vengono svolti dalle Capitanerie di porto. Purtroppo sussistono altri problemi: non è la nave proveniente da Malta o da altro Stato extraeuropeo a crearne, ma la quantità di navi che navigano sotto bandiera ombra, che risparmiano sugli investimenti relativi alla sicurezza.
Quanto a tale aspetto, dopo una lunga battaglia – ma è solo un caso – l’IPSEMA è riuscita a far dichiarare il fallimento di una società con navi battenti bandiere ombra. Per notificare il credito – peraltro cospicuo – siamo dovuti andare alla ricerca di una casella postale nelle Isole Vergini britanniche (l’armatore invece era di Venezia). Questa era la sede dell’azienda ombra, che continuava ad essere italiana sotto tutti gli aspetti, ma senza più subire i controlli relativi al lavoro in nero. Senza voler fare il nazionalista, devo constatare che a bordo delle navi italiane viene imbarcata una percentuale molto modesta di connazionali. Qualcuno dice che non ci sono le vocazioni, allora facciamo in modo di conquistarle! Questo è il motivo per cui la citata Convenzione del 2006 andrebbe ratificata: essa, infatti, introduce il concetto di benessere organizzativo a bordo della nave, un elemento che concorre alla serenità e alla sicurezza.
Come sapete – sarò un po’ spregiudicato facendo affermazioni di tipo politico – con assoluta continuità tra Ministri di opposti schieramenti è stata approvata un’ottima legge sullo sgravio contributivo (circa la quale sono molto preoccupato in quanto la finanziaria di quest’anno non ha rinnovato ancora il finanziamento): le navi italiane che si iscrivono al registro internazionale, parallelo a quello italiano, godono dell’esenzione al 100 per cento dei contributi perché vengono assorbiti dallo Stato. Ciò è avvenuto, diversamente da quanto si pensa, non per favorire gli armatori ma per rendere competitiva la flotta italiana di fronte a un liberismo selvaggio che riguarda la conduzione di molte navi straniere. Qual è stato l’effetto negativo? Gli armatori sono riusciti ad imbarcare marittimi extracomunitari – cosa che può essere considerata ottima – senza permesso di soggiorno e con divieto di sbarcare a terra, secondo la vigente disciplina; non hanno altro che un legame con il sistema di protezione sociale nel loro Paese di origine. Per costoro, soprattutto filippini, si verifica una circostanza particolare: vengono sviluppati dall’armamento (io stesso faccio parte del comitato scientifico dell’Accademia della marina mercantile di Manila perché è noto che i filippini sono ottimi marinai). Questo però non può eliminare il rischio che l’armatore, non avendo più lo sgravio contributivo, se ne vada o apra una bandiera ombra per avere più vantaggi.
Questo accade perché gli extracomunitari imbarcati in Italia, in virtù di queste leggi, hanno una misteriosa copertura sociale. Dal punto di vista retributivo i loro interessi sono ben tutelati in Italia dall’International transport workers federation (ITF), di cui è responsabile per l’Italia Remo Di Fiore. La distanza tra la retribuzione del marittimo nazionale e quella del marittimo extracomunitario si sta, pertanto, sempre più accorciando (è evidente che bisogna affrontare la questione dei minimi – e ci si sta arrivando – della retribuzione dei lavoratori extracomunitari rispetto a quelli degli italiani).
Soprattutto, ci lascia non poco perplessi – ricordo infatti che prima di diventare parlamentare ho svolto la professione di avvocato marittimista – la logica di copertura assicuratoria sociale, degli infortuni e delle malattie professionali, che è del tutto discutibile: mi chiedo se su una nave italiana sia possibile che un marittimo extracomunitario abbia un tipo di trattamento diverso e inferiore a quello di un marittimo nazionale in caso di infortunio o di malattia professionale. Il nostro tentativo, avviato da tempo, è quello di aprire un dialogo con queste categorie. Certo, se lo sgravio non verrà confermato, c’è il rischio che abbiano a soffrirne anche gli imbarchi dei marittimi italiani.

PRESIDENTE
Ringraziamo il presidente Parlato e la dottoressa Petrocelli che hanno approfondito molte problematiche, fornendoci importanti elementi di conoscenza e di riflessione sulle questioni oggetto del nostro lavoro, ossia le garanzie in tema di salute e sicurezza sul lavoro.
Dichiaro conclusa l’odierna audizione.
_______
Fonte: Senato della Repubblica