SENATO DELLA REPUBBLICA

XIV LEGISLATURA

COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUGLI INFORTUNI SUL LAVORO, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLE COSIDDETTE «MORTI BIANCHE»


Istituita con deliberazione del Senato del 23 marzo 2005

RELAZIONE FINALE SULL’ATTIVITÀ DELLA COMMISSIONE


Appunto del collaboratore della Commissione Marco Bertorello sul settore marittimo, portuale e della cantieristica

In anni recenti i comparti interessati alle operazioni portuali, alla navigazione e alla cantieristica sono stati oggetto di regolamentazione, per quanto riguarda la sicurezza e la salute sui posti di lavoro, attraverso leggi specifiche di settore. Dopo l’approvazione del D.lgs. n. 626/1994 sono stati approvati degli adeguamenti con il D.lgs. n. 271/1999 per i lavoratori impiegati a bordo delle navi mercantili e da pesca, mentre con il D.lgs. n. 272/1999 è stata adeguata la normativa riguardante lavoratori impiegati nelle operazioni e nei servizi portuali, nonché in operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale.
La Commissione ha svolto sopralluoghi nel porto e nei cantieri navali di Genova, nonché diverse audizioni alle parti sociali e istituzionali interessate a questi settori. Il quadro emerso segna luci e ombre per quanto attiene la sicurezza e la prevenzione sui posti di lavoro, con una normativa indubbiamente più attenta alle specificità di tali settori, ma troppo spesso rispettata su un piano puramente formale, senza le conseguenti attivazioni di quegli strumenti previsti dalle leggi che dovrebbero contribuire ad attenuare ulteriormente il fenomeno infortunistico. Inoltre è emerso che le progressive trasformazioni del mondo della produzione hanno avuto negli anni delle tali ricadute nel settore dei servizi, e nella fattispecie dei trasporti, da imporre un adeguamento normativo all’organizzazione del lavoro di tale settore.
Inoltre, laddove i lavoratori marittimi e quelli portuali operano congiuntamente, l’applicazione delle normative risulta non praticabile con omogeneità, rendendo necessaria la riformulazione delle norme specifiche sotto un unico quadro legislativo/normativo. Tra operatori portuali e marittimi esistono infatti disparità di tutele che devono essere superate, come per esempio rispetto alla presenza di un’elevata fonte di rumore, superiore a 90 dbA: il portuale è tutelato, mentre il marittimo, per effetto della deroga prevista dal D.lgs. n. 277/1991, è privo di tutele. Se il luogo di lavoro per marittimi e portuali è il medesimo, cioè la nave, si devono adottare linee guida che coordinino e integrino le modalità di lavoro e di sicurezza di queste due sfere professionali, proprio a partire dall’ambiente di lavoro: concentrazione dei gas di scarico, controllo su eventuali eccedenze di peso dei mezzi diretti all’imbarco ecc.

Settore marittimo
Questo settore appare in forte trasformazione sotto l’effetto di un crescendo di traffici a livello internazionale e contemporaneamente dell’affermarsi di un processo di de-territorializzazione delle navi e di un sovrapporsi di nazionalità tra il personale imbarcato. Sono necessari in questo senso nuovi strumenti che prevedano l’effettiva applicazione di una normativa sulla sicurezza oltre che al personale straniero imbarcato su navi battenti bandiera italiana, anche al personale italiano imbarcato su navi battenti bandiera straniera, ma la cui proprietà mantenga in qualche modo evidenti rapporti e radici con il territorio nazionale. Un altro caso da considerare è rappresentato dal personale italiano o straniero che naviga principalmente, se non esclusivamente, in acque nazionali, ma su navi con bandiera straniera, il quale è escluso dal sistema assicurativo fornito dall’IPSEMA.
Un altro aspetto da affrontare è la forte crescita del personale femminile nel comparto del trasporto di passeggeri e crocieristico, crescita che pone l’esigenza di nuove forme di tutela per la donna. Dal diritto alla maternità fino all’organizzazione di locali adeguatamente separati. Lo stesso codice della navigazione non tiene in debito conto questo tendenziale riequilibrio dei generi impiegati a bordo.
L’adeguamento e l’applicazione in mare delle norme previste a terra non devono essere intesi come un appesantimento burocratico alle norme preesistenti, ma come un’integrazione alle procedure di prevenzione del D.lgs. n. 626/1994. In una logica di omogeneizzazione e semplificazione, inoltre, sarà necessario comprenderne limiti applicativi ed eliminare storture o duplicazioni ove realmente esistano.
La normativa sulla sicurezza in mare si sovrappone spesso alle normative in corso di applicazione negli ultimi anni a livello internazionale.
Da esse deve prendere spunto e adeguarsi per non creare inutili e contraddittorie sovrapposizioni, ma le necessarie integrazioni. Per esempio nelle normative internazionali come la Convenzione Solas che istituisce l’ISM Code (International Safety Management, cioè il sistema di gestione per il sicuro esercizio delle navi) il coinvolgimento diretto del lavoratore e della lavoratrice non sono previsti. A questa lacuna tenta di sopperire l’articolo 16 del D.lgs. n. 271/1999, con l’istituzione del Rappresentante dei Lavoratori alla Sicurezza, seppur introducendo elementi di sovrapposizione e incertezza con il ruolo del Responsabile della Sicurezza previsto dall’articolo 15 (e dall’ISM Code).
Perché tale normativa non sia applicata in maniera puramente formale, il D.lgs. n. 271 prevedeva, all’articolo 34, un regolamento applicativo riguardante la tecnica di costruzione e sistemazione degli ambienti di lavoro a bordo delle navi e da pesca nazionali, da emanarsi da parte del Ministero dei Trasporti e della Navigazione, di concerto con i Ministeri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità. Tale regolamento non è ancora stato approvato svuotando la normativa di contenuto operativo.
Valutando i dati sugli infortuni forniti dall’IPSEMA, risultano quantitativamente significativi gli incidenti determinati dalla mancanza di uso dei Dispositivi Di Protezione Individuale e molti sono quelli che dimostrano l’inefficacia dei mezzi di protezione collettivi. Per quanto attiene l’inadeguatezza dei dispositivi di protezione, siano essi collettivi o individuali, è necessario rafforzare i sistemi di controllo, prevedendo ad esempio il coinvolgimento della ASL nei controlli a bordo.
Per quanto attiene i Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza il problema è nuovamente sostanziale. Si registra una difficoltà obiettiva ad eleggere gli RLS in quanto la precarietà del rapporto di lavoro non semplifica tale procedura. Il lavoratore o la lavoratrice investito di tale incarico con l’imbarco lo conclude con lo sbarco. La periodicità costante di tale sistema indebolisce la capacità di svolgere questa funzione per la gran parte dell’armamento nazionale. Per sopperire a tali difficoltà è necessario rafforzare il sistema formativo degli addetti e dei loro rappresentanti alla sicurezza, prevedendo forme di coordinamento degli RLS anche dopo lo sbarco, magari in forme consorziate tra più aziende o attraverso la stessa Confitarma.
Riguardo all’orario di lavoro delle navi impiegate in servizi marittimo- portuali, esse possono derogare, in base al comma 7 dell’articolo 11 del D.lgs. n. 271/1999, ai commi 2 e 3 del medesimo articolo, sulle ore di lavoro e di riposo previste per le navi mercantili e da pesca, ma solo attraverso una contrattazione collettiva che ad oggi non è stata ancora effettuata. In assenza di tale contrattazione va chiarito che la deroga non può essere prevista.
Un ultimo aspetto da dover affrontare per aumentare il grado di efficienza e razionalizzazione dell’apparato assicurativo e di controllo riguarda l’IPSEMA. Nel corso dell’audizione il Presidente dell’ente ha auspicato un’unificazione di tutto il personale marittimo sotto la competenza dell’IPSEMA stesso. Attualmente, per esempio, gli addetti imbarcati in pescherecci fino a 10 tonnellate di stazza sono di competenza dell’INAIL.
L’IPSEMA assiste circa 42.000 marittimi di cui 5.000 non comunitari, mentre la gran parte dei marittimi non comunitari non hanno un’assicurazione pubblica, bensì privata e regolamentata da contratti siglati a livello internazionale. L’esigenza di rafforzare l’inquadramento assicurativo pubblico e unico per i marittimi appare ragionevole se avviata in un contesto di razionalizzazione e armonizzazione dei soggetti erogatori. Si potrebbero ipotizzare un distaccamento esclusivo nell’INAIL di tutti i marittimi, con un assorbimento dell’IPSEMA, fornendo un rafforzamento e una completezza del servizio precedentemente svolto dall’IPSEMA stesso, garantendo il ricompattamento delle mansioni, l’unicità del settore e la professionalità acquisita in tanti anni.

Settore portuale
I processi economici di globalizzazione hanno reso centrale il ruolo dei trasporti, in particolare di quelli su nave, e hanno permesso una crescita dei traffici portuali, con un deciso incremento dell’occupazione. A ciò non ha corrisposto un’adeguata attenzione alla sicurezza. Il fenomeno degli infortuni non può essere direttamente proporzionale allo sviluppo della portualità. Nell’arco degli ultimi otto-dieci anni sembrerebbe che l’incremento degli incidenti su scala nazionale nel settore delle operazioni portuali sia pari al 40 per cento.
Esistono modalità di monetizzazione del rischio che stanno tornando di attualità per poter tenere il passo con la concorrenza. Troppo spesso le imprese chiedono ai lavoratori turnazioni ripetute senza soluzione di continuità; oppure offrono la possibilità di lasciare anzitempo il posto di lavoro non appena vengano raggiunti obiettivi prefissati, possibilità che implica pericolose accelerazioni di tutto il ciclo portuale, infatti, come ha ricordato la rappresentante dell’Asl genovese durante il sopralluogo, il criterio cosiddetto «della nave a finire» provoca un’intensificazione del lavoro che è fonte di infortuni.
Rispetto a tali problemi è necessario rafforzare la norma vigente. A partire dal prevedere l’obbligatorietà, da parte delle Autorità Portuali e Marittime, della costituzione dei Comitati di Igiene e Sicurezza del lavoro, che attualmente sono previsti come facoltativi dall’articolo 7 del D.lgs. n. 272/1999. Questi organismi possono rappresentare la sede naturale del confronto tra i differenti soggetti protagonisti della prevenzione (Autorità portuale e Marittima, Asl competente, rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori) e allo stesso tempo la sede istituzionale di coordinamento.
A tale organismo dovrebbe spettare la facoltà di formulare proposte in ordine alle misure di prevenzione e di tutela da adottare in ambito portuale, di proporre e promuovere campagne di educazione alla sicurezza, di verificare che la formazione degli addetti alle operazioni e ai servizi in ambito portuale sia effettuata.
Rispetto al tema della formazione il quadro normativo è ancora incerto, in quanto si attende, sulla base dell’articolo 6 del D.lgs. n. 272/ 1999, un decreto del Ministero dei trasporti e della navigazione in cui vengano stabiliti i criteri di formazione e aggiornamento per gli addetti alle operazioni e ai servizi portuali, e senza tale codificazione ad oggi non esistono standard formativi a cui adeguarsi, rendendo sufficiente l’autocertificazione alla formazione che ogni singola impresa fornisce. Per porre ordine all’indeterminatezza vigente sarebbe necessaria, oltre al decreto del Ministero, la costituzione di vere e proprie scuole portuali in grado di certificare un’adeguata formazione per i nuovi assunti, con la partecipazione dei vari soggetti, a partire dalle Autorità portuali, dai datori di lavoro, dai sindacati e, ove esistono, dalle ex-compagnie.
Un altro decreto attuativo del Ministero dei trasporti e della navigazione ancora atteso riguarda l’articolo 14 del D.lgs. n. 272/1999, attinente al registro degli apparecchi di sollevamento, degli accessori e, limitatamente alla nave, di quei mezzi non fissi in dotazione della nave. Tale registro deve essere custodito dal datore di lavoro.
Nei porti esistono molteplici soggetti atti alla vigilanza sulla sicurezza i quali mancano di adeguato coordinamento e armonizzazione. Sono allora urgenti interventi regolatori a livello centrale per favorire forme di integrazione e razionalizzazione delle risorse esistenti. In questo quadro, la L. n. 84/1994 forniva all’Autorità portuale la competenza sulla sicurezza attraverso la vigilanza e il controllo sul territorio, a partire da un reale esercizio dei poteri di polizia amministrativa. Tale ruolo è stato esercitato con difficoltà, a causa della posizione di cerniera esercitata tra funzione commerciale e organismo istituzionale di coordinamento. Si potrebbe prevedere la possibilità di collocare il personale ispettivo delle Autorità portuali alle dipendenze funzionali delle Aziende Sanitarie Locali: tale eventualità consentirebbe a queste ultime di incrementare gli organici senza oneri di carattere economico ed alle Autorità portuali di concentrare l’attività di controllo di tipo amministrativo nei confronti delle imprese autorizzate. Nell’ambito di questa nuova regolamentazione, deve essere previsto l’aggiornamento del decreto ministeriale n. 585/ 1995, vincolando il rilascio delle relative autorizzazioni a chiari indicatori in materia di salute e sicurezza.
Per quanto attiene la messa in sicurezza dei porti e la possibilità di porre le premesse, anche da un punto di vista infrastrutturale, per un’organizzazione del lavoro corrispondente a canoni di sicurezza sufficienti sono necessari investimenti reperibili da un’autonomia finanziaria delle Autorità portuali, in cui si prevedano quote di finanziamento per progetti che rendano vivibili e sicuri i luoghi di lavoro e per interventi che facilitino il concreto ed effettivo funzionamento dei Comitati di Igiene e Sicurezza. Infine, nel febbraio del 2005 è stato pubblicato il nuovo codice di sicurezza e salute nei porti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Si tratta di un importante e completo documento condiviso da una conferenza tripartita che si è tenuta a Ginevra nel dicembre 2003.
Le indicazioni di carattere tecnico contenute nel codice si rivolgono a tutti coloro, tanto nel settore pubblico che in quello privato, che hanno delle responsabilità per la gestione della sicurezza del lavoro. Vengono, inoltre, analizzati tutti gli aspetti delle operazioni portuali che coinvolgono le merci o i passeggeri, con particolare attenzione alle misure di sicurezza da adottare in ogni singolo caso previsto. L’obiettivo è quello di fornire un orientamento alle Autorità di Governo nazionali e locali, ai Comitati di Igiene e Sicurezza, agli imprenditori, ai lavoratori e alle loro organizzazioni sindacali per l’elaborazione di programmi e procedure di prevenzione. Si pone ora la necessità di rendere pienamente fruibile il codice con la prossima pubblicazione del testo in lingua italiana a cura dell’ISPESL e con la consegna di una copia da parte dei datori di lavoro a tutti i rappresentanti della sicurezza dei lavoratori dei porti.

Settore cantieristica
La cantieristica è un settore che gode dell’espansione dei traffici marittimi sia per quanto attiene le costruzioni sia per le riparazioni navali.
Entrambi i comparti rappresentano un caso significativo nei processi di terziarizzazione dell’impresa contemporanea. All’interno di uno stesso luogo produttivo, infatti, sia esso un cantiere o un bacino, esistono un’infinità di micro-aziende che vi operano, spesso sotto la regia di un’impresa madre (costruzioni), ma a volte senza neppure questa presenza sovraordinatrice (riparazioni). In questi siti i principali fattori che causano incidenti sono proprio riconducibili all’organizzazione del lavoro.
Nel sopraluogo effettuato alla Fincantieri di Genova si è potuto constatare che il numero dei dipendenti diretti dell’azienda madre è inferiore alla metà del complesso del personale impiegato; il rapporto diventa inferiore a uno a quattro se si considera che tra i dipendenti diretti la gran parte è utilizzata nel settore amministrativo e nella ricerca. Ecco allora che proprio nel comparto più strettamente esecutivo si sovrappongono una molteplicità di soggetti aziendali formalmente autonomi tra loro, formati per lo più da piccole imprese, con propri dipendenti e con propri piani operativi e di prevenzione agli infortuni, quando non addirittura da imprese individuali. La micro-azienda è caratterizzata da un basso grado di formazione alla sicurezza e manca di un’idea generale dell’organizzazione del lavoro: non è un caso che i tassi di infortuni siano inversamente proporzionali alle dimensioni dell’impresa.
Le cosiddette interferenze di lavoro sono diffuse e rappresentano la principale causa di incidenti e di pericolo. Negli anni le ragioni dell’insicurezza sono passate dalla criticità oggettiva all’inaffidabilità degli strumenti utilizzati fino all’organizzazione del lavoro. Spesso non è tanto un problema di messa in sicurezza degli apprestamenti, ma di fattori organizzativi incompatibili, frutto anche di inadeguate analisi dei rischi e di insufficienti capacità operative. La sovrapposizione esecutiva di differenti soggetti crea come risultante le condizioni per l’insicurezza. Nei cantieri navali, come del resto in edilizia, le cadute dall’alto spesso non avvengono per l’assenza di opere provvisionali, ma più frequentemente per la loro rimozione non controllata o per esigenze tecniche dell’ultimo soggetto che opera in un determinato luogo protetto. In questo senso, il grado di responsabilizzazione dell’azienda madre deve essere aumentato, quest’ultima deve essere corresponsabile dei piani organizzativi per la sicurezza e del loro controllo costante. Un altro fattore di rischio nell’impresa terziarizzata è dovuto all’elevato livello di mobilità all’interno del sito produttivo da parte di persone e soprattutto mezzi.
Esiste poi un problema tecnico sulle lavorazioni pericolose che riguarda in particolare la saldatura con CO2, la quale utilizza gas inerte che crea problemi nel processo di aspirazione (troppa aspirazione rovina la saldatura, troppo poca intossica i lavoratori), mentre la somma di lavorazioni quali verniciatura, saldatura, molatura, ecc. effettuate in contemporanea rende pericolose anche queste operazioni all’apparenza tranquille.
Per quanto concerne la saldatura sarebbe necessario un tavolo di confronto tecnico tra imprese, rappresentanti dei lavoratori e organismi istituzionali preposti per ipotizzare adeguamenti degli strumenti utilizzati in maniera tale che non risultino più nocivi.
Il sistema di assistenza alle lavorazioni obbligatoriamente gestito dall’azienda madre risulta spesso insufficiente, creando un pericoloso meccanismo di sostegno spontaneo ad opera diretta delle ditte in appalto e subappalto.
Quelle che hanno necessità di ponteggi, ad esempio, non attendono i tempi lunghi del cantiere che le impiega, dando vita ad una pericolosa messa in moto propria (fuori dall’organizzazione prevista); lo stesso avviene per il carico e scarico del materiale e per la movimentazione dello stesso.
Nel settore della cantieristica dunque i principali problemi sono riconducibili alla questione della frammentazione del ciclo di lavorazione e al nesso insufficiente tra organizzazione e formazione. Per tali motivi sono necessari provvedimenti che ricompongano il ciclo produttivo almeno per quanto riguarda la prevenzione e la salute dei luoghi di lavoro, a partire da nuove e più efficaci forme di rappresentanza dei lavoratori ivi impiegati, da un coordinamento costante degli RLS di tutte le aziende impegnate nel cantiere, fino a forme di rappresentanza uniche per tutti gli addetti utilizzati nel medesimo sito.
Il settore delle riparazioni navali condivide le stesse problematiche del ramo delle costruzioni, ma con un grado di complessità maggiore dato che spesso non esiste una vera e propria azienda madre, ma un cosiddetto capo-commessa, azienda principale che opera in relazione all’armatore, in un luogo non necessariamente proprio (i bacini di riparazione sono di competenza delle aree portuali). Perciò è necessario un Coordinamento dei lavori composto da capo-commessa, armatore, Autorità portuale per cui valgano le responsabilità dell’azienda madre sull’interezza del ciclo delle lavorazioni.
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Fonte: Senato della Repubblica