SENATO DELLA REPUBBLICA

XIV LEGISLATURA

COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUGLI INFORTUNI SUL LAVORO, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLE COSIDDETTE «MORTI BIANCHE»


RELAZIONE FINALE

GRUPPO DI LAVORO «SETTORE AGRICOLO»

 

Coordinatore Sen. Luigi FABBRI

 

 

SOMMARIO

Analisi dei dati infortunistici relativi al 2004 - I dati sulle morti bianche in agricoltura - Dati statistici ed analisi dei rischi in agricoltura - Il mondo agricolo e la sua evoluzione - Il rischio chimico per l’uso dei fitofarmaci - Prevenzione, formazione e informazione - Il decreto legislativo n. 626/1994 in agricoltura - Cenni sulle malattie professionali in agricoltura - Il quadro legislativo attuale del lavoro agricolo - Alcune considerazioni conclusive.

In ‘‘Appendice’’: tabelle statistiche; esemplificazione - a cura del gruppo di lavoro - di progetto formativo per imprese agricole con basso numero di addetti; alcuni dei documenti richiamati nel testo.

 

ANALISI DEI DATI INFORTUNISTICI RELATIVI AL 2004

I numeri più completi sul fenomeno infortunistico sono quelli provenienti dalla banca dati dell’INAIL, che da decenni vengono espressamente elaborati per la prevenzione e che, avendo tra l’altro il pregio della continuità storica, consentono di osservare l’andamento infortunistico di oltre un secolo. Gli addetti ai lavori ricorderanno certamente la pubblicazione semestrale ‘‘Statistiche per la prevenzione’’, antesignana dell’attuale Rapporto Annuale.

I dati relativi agli infortuni sul lavoro denunciati ed indennizzati dall’INAIL nel 2004, aggiornati al 30 aprile 2005, che si ricavano dal consueto Rapporto Annuale, presentato alla stampa nel riepilogo nazionale e nelle elaborazioni territoriali, evidenziano che gli infortuni del settore agricolo sono 69.089 (- 2.257 rispetto al 2003), con una riduzione del 3,2%, e che i casi mortali denunciati sono 165 (dei quali quindici in itinere).



 


È innegabile, pertanto, la flessione complessiva del fenomeno infortunistico in agricoltura registrata nell’anno 2004, flessione da rivalutarsi ulteriormente in presenza di un aumento del 2,6% delle unità di lavoro dipendente e di un trend positivo costante nel tempo che, negli ultimi cinque anni, ha portato, come ha evidenziato la Coldiretti, ‘‘ad un calo record del 30%’’.

Detto calo risulta praticamente generalizzato sia per sesso che per età, anche se desta preoccupazione il dato in aumento degli infortuni mortali, del quale si parlerà più diffusamente in apposito paragrafo, e degli infortuni dalle conseguenze più gravi (indennizzati dall’INAIL con il riconoscimento di inabilità permanente), passati da 4.095 casi a 4.101 casi (cfr. l’apposita tabella Banca Dati INAIL), con particolare incidenza in Emilia – Romagna (527 casi).

Non tranquillizzante, inoltre, sotto diversi comprensibili profili, l’aumento, anche in termini assoluti, degli infortuni denunciati per le lavoratrici con meno di 17 anni. Deve, peraltro, considerarsi che il dato relativo ai minori è sicuramente sovrastimato, in quanto ottenuto come rapporto tra un numeratore inferiore al vero (comprendendo considerevoli quote di ‘‘lavoro nero’’ vengono denunciati solo i casi che, a causa della loro gravità, non possono essere nascosti) ed un denominatore per gli stessi motivi superiore al vero.

Con riferimento ai dati relativi alle donne bisogna inoltre considerare che nel mondo agricolo le addette di sesso femminile, specie in giovane età, non vengono adibite alle lavorazioni più rischiose e che, in secondo luogo, il loro apporto nelle età intermedie è mediamente ridotto per maternità ed esigenze varie di famiglia, con conseguente minore possibilità di essere colpite da infortunio sul lavoro.

 


E nella lettura dei dati distinti per fasce di età (cfr. Tabella allegata) bisogna considerare, in quelle estreme, l’influenza della ‘‘inesperienza’’ per i lavoratori della prima fascia, e quella della ‘‘decadenza fisica’’ per i lavoratori dell’ultima e della penultima, come conferma anche la tipologia degli infortuni che, per la prima fascia, sono in maggior misura riconducibili a manovre errate per inavvedutezza o scarsa preparazione (si è colpito con..., è venuto a contatto con..., si è ferito con....) tipiche della prima età lavorativa, mentre nelle due ultime fasce sono maggiormente riconducibili in forme che esprimono la passività della vittima di fronte all’attacco lesivo (colpito da..., investito da..., caduto da...) per il venir meno dei riflessi e dell’equilibrio, tipico delle età lavorative più avanzate.

Anche sotto il profilo geografico la riduzione degli infortuni appare pressoché generalizzata. Si segnalano piccoli aumenti solo in Toscana, Sardegna, Veneto, Trentino e Valle D’Aosta, con percentuali comprese tra lo 0,2 (Veneto) ed il 2,3 (Toscana).

La flessione più netta a livello regionale si registra in Liguria (- 13,4%), mentre a livello di grandi aree territoriali spicca il dato positivo del Nord – Ovest (- 6%).

In controtendenza, invece, il dato degli infortuni occorsi ai lavoratori extracomunitari, che cresce in termini assoluti passando da 5.030 unità del 2003 a 5.067 unità, con trend pressoché uniforme sull’intero territorio nazionale, con la sola eccezione delle isole, dove gli eventi indennizzati passano da 325 casi del 2003 ai 306 casi del 2004, e del nord-ovest, dove si passa dai 1033 casi del 2003 ai 955 del 2004.

 



Sempre in tema di lavoratori extracomunitari, affinando l’analisi dalle macroaree alle regioni, si può osservare che, sempre in termini assoluti, la diminuzione più consistente di infortuni si registra in Lombardia ed in Sicilia, mentre l’aumento più consistente tocca all’Emilia-Romagna.

Con riferimento al sesso si registra una netta preponderanza di infortuni indennizzati a carico di extracomunitari maschi (3218) rispetto alle femmine (627).

Ovviamente, i predetti dati vanno letti tenendo conto sia dell’aumento dei lavoratori extracomunitari assicurati (1.681.568 nel 2003 ed 1.765.578 nel 2004) sia dell’incidenza del fenomeno del "lavoro sommerso", particolarmente rilevante per gli extracomunitari e per alcune regioni del paese.

 

Nei grafici che seguono è possibile verificare come siano luglio ed ottobre i mesi dell’anno in cui si verifica il maggior numero di infortuni agricoli, e come sia il lunedì il giorno lavorativo più infausto.




L’alto numero degli eventi infortunistici agricoli in luglio trova spiegazione nelle condizioni climatiche sfavorevoli, connotate da alte temperature esterne, e nella rischiosità delle lavorazioni di raccolta, di trasporto e di spostamento dei prodotti. L’alto numero degli eventi in ottobre trova invece giustificazione nell’incremento in detto mese delle operazioni di preparazione del terreno, che risultano tra le più pericolose in assoluto.

Anche in agricoltura, al pari di quanto capita per l’industria ed i servizi, la più alta concentrazione di infortuni (15,3%) si verifica nell’ora solare che va dalle dieci alle undici antimeridiane.


 

I primi dati relativi all’anno 2005 sembrano confermare, nel quadro di una riduzione complessiva degli infortuni che dovrebbe attestarsi nel 2%, una riduzione degli infortuni agricoli superiore al 3% (cfr. tabella sul trend 2005 nel paragrafo relativo agli infortuni mortali).

 

I DATI SULLE MORTI BIANCHE IN AGRICOLTURA

La situazione della sicurezza nel lavoro agricolo non può però essere considerata né entusiasmante né tranquillizzante, ove dal dato infortunistico complessivo si passi all’analisi di quello relativo agli infortuni mortali.

Giova premettere che, anche per gli eventi mortali, non sempre i numeri degli infortuni denunciati, cioè prospettati come conseguenza di attività lavorativa, coincidono con quelli relativi agli infortuni indennizzati.

Ciò può avvenire sia perché l’esito mortale in qualche caso può verificarsi a distanza notevole dall’infortunio, sia perché talvolta gli accertamenti dell’autorità giudiziaria o l’istruttoria amministrativa per l’indennizzo riconducono l’evento denunciato a cause diverse dalla ‘‘occasione di lavoro’’. E nell’agricoltura non sempre tali accertamenti risultano agevoli data la sovrapposizione molto frequente fra ambito lavorativo ed ambito familiare e, quindi, fra rischi lavorativi e rischi extralavorativi.

Nel 2004 gli eventi mortali denunciati all’INAIL come connessi in qualche modo ad occasione di lavoro agricolo sono 165. Di questi, a tutto il 31 ottobre 2005, ne risultano indennizzati solo 162, ma il dato non può considerarsi stabilizzato, atteso che per i tre casi denunciati, e non ancora indennizzati, le condizioni per l’indennizzo potrebbero essere acclarate, magari anche in via giudiziaria, anche a notevole distanza di tempo dall’evento.

Si ritiene pertanto opportuno prendere in considerazione il numero dei casi ‘‘denunciati’’, che aumentano considerevolmente (sono circa quaranta in più) rispetto ai 125 (di cui tredici in itinere) del 2003, con il preoccupante e pressoché totale assorbimento dell’incoraggiante decremento registrato nel predetto anno rispetto al dato del 2002.

Degni di attente considerazioni e riflessioni non sono solo i numeri assoluti degli eventi mortali, ma anche e soprattutto gli indici di frequenza relativi alle ‘‘morti bianche’’, che tengono conto del rapporto con il numero degli occupati ed evidenziano nel triennio 2002-2004 per il settore agricolo un preoccupante 0,13 in agricoltura, quasi doppio rispetto allo 0,06 dell’industria e dei servizi ed assai vicino allo 0,19 del settore costruzioni.

Sintomatica sul punto la puntualizzazione espressa, in una dichiarazione alla stampa del 28 aprile 2005, e confermata nell’audizione presso questa Commissione d’inchiesta, dal Presidente dell’ANMIL, rivolta a frenare gli ingiustificati, a suo dire, ottimismi derivanti da un trend infortunistico complessivo considerato in discesa.

Si rileva inoltre che tale dato, da valutarsi più compiutamente in una complessiva tendenza di evoluzione al ribasso delle morti bianche nei settori dell’industria e dei servizi, non sembra significativamente influenzato, nel raffronto con l’anno 2003, dalle morti avvenute in itinere che, pur essendo decisamente in calo negli altri settori produttivi, restano invece in agricoltura, dopo la flessione registrata nell’anno 2003, quasi immutate, in termini sia numerici sia percentuali (13 nel 2003 e 15 nel 2004).

Il tutto risulta molto più evidente dal seguente prospetto riferito agli infortuni mortali registrati nell’ultimo triennio nel settore produttivo agricoltura:

– anno 2002 - 167 - dei quali 20 in itinere

– anno 2003 - 125 - dei quali 13 in itinere

– anno 2004 - 165 - dei quali 15 in itinere

Ovviamente il confronto tra i dati del 2004 e quelli relativi agli anni precedenti non può ritenersi di valore assoluto, atteso che le statistiche dei casi mortali richiedono, come si è già osservato, tempi tecnici di consolidamento molto prolungati: ne consegue che il numero degli infortuni mortali del 2004 deve essere considerato ancora provvisorio e confrontabile solo con le opportune precauzioni con quello, già consolidato, relativo agli anni precedenti.

In un’analisi più dettagliata dei casi possiamo osservare che gli eventi mortali a carico degli autonomi sono più del doppio di quelli a carico dei dipendenti e che in entrambe le categorie risultano colpiti più i maschi che le donne. Tra le donne però i decessi delle lavoratrici dipendenti (10) superano quelli delle lavoratrici autonome (4).

Nella distribuzione geografica degli eventi mortali nei primi tre posti troviamo Lombardia (21), Piemonte (17) ed Emilia – Romagna (16), mentre la Basilicata non ha per il 2004 infortuni mortali indennizzati, e Liguria e Friuli ne evidenziano uno a testa. Con riferimento alle grandi aree, il maggior numero di casi si registra nel Nord-Ovest (41), seguito dal Nord- Est (38), dal Sud (34), dal Centro (32) e dalle Isole (17).

Il riferimento alle dimensioni aziendali segnala che il maggior numero dei lavoratori deceduti per infortunio o sono autonomi o sono dipendenti da microimprese.

Interessante notare anche come vadano oltre il raddoppio gli eventi mortali che abbiano colpito lavoratori extracomunitari – essi passano dagli 8 del 2003 ai 17 del 2004, mentre la Regione con il maggior numero di eventi mortali risulta il Lazio –.

Quanto alle cause degli infortuni mortali, nelle statistiche INAIL una percentuale superiore al 50% risulta ‘‘non determinata’’, mentre per gli altri casi si evidenziano tra le cause più frequenti ‘‘schiacciato da...’’, ‘‘colpito da...’’ e ‘‘caduto, in piano, su...’’.

Tra le operazioni più rischiose le ‘‘lavorazioni ausiliarie’’ (circa 65 casi), seguite dalla ‘‘preparazione del terreno’’ (28 casi), dalla ‘‘bonifica miglioramento fondi’’ (13 casi) e dalla silvicoltura, dalla raccolta/trasferimento dei prodotti e dalle lavorazioni dopo la semina (10 casi per ciascuna delle predette attività).

Con riferimento ai rischi i dati evidenziano quelli maggiori nell’ambiente di lavoro (23 casi) e nell’uso delle macchine (22 casi), mentre per circa 80 casi mancano indicazioni che consentano di ricondurre l’infortunio alle categorie individuate. Ove si tenga conto che negli infortuni riferibili all’ambiente di lavoro ben 20 casi sono collegati alle superfici di transito e quindi agli spostamenti, è evidente che l’uso di macchine ed attrezzature costituisce la prima fonte di rischio di infortuni mortali in agricoltura.

Come i dati rilevano, sono abbastanza elevati, rispetto al numero complessivo degli eventi mortali, quelli accaduti in itinere - sia quelli che avvengono nel percorso casa/lavoro e viceversa sia quelli che avvengono sulla strada ed a causa dell’uso dei mezzi di trasporto, tutti eventi per i quali l’INAIL negli ultimi cinque anni ha ampliato la tutela, in attuazione di quanto espressamente previsto dal decreto legislativo n. 38/2000.

Anche sotto quest’aspetto il settore agricolo si segnala per una sua peculiarità, atteso che i predetti infortuni, ove se ne analizzino cause e circostanze, risultano sovente legati al particolare stato di pessima manutenzione dei mezzi utilizzati ed alle caratteristiche dei percorsi effettuati; mentre, in molti casi, si scopre con rabbia che sarebbe bastata una piccola attenzione, peraltro imposta espressamente non solo dalle norme ma dalle regole di ordinaria prudenza (l’attivazione delle luci di posizione su un carro agricolo in transito nelle ore successive al tramonto o l’utilizzo di un dispositivo di protezione individuale come il giubbotto catarifrangente), per evitare eventi con tragiche conseguenze.

 

E, sempre con riferimento agli infortuni mortali in agricoltura, anche il trend che si profila per l’anno 2005 non sembra essere particolarmente incoraggiante, se analizziamo altri dati più recenti, sempre di fonte INAIL. Infatti, nel periodo novembre 2004 – ottobre 2005 i morti sul lavoro complessivamente registrati in tutti settori sono stati 1271 (sedici in meno rispetto al periodo novembre 2003 – ottobre 2004), di cui 169 in agricoltura (sette in più rispetto al periodo novembre 2003 – ottobre 2004).

Se ne deduce che, mentre i dati relativi agli infortuni mortali agricoli restano nel periodo considerato sostanzialmente stabili rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, per quelli concernenti gli eventi mortali verificatisi nel settore industriale e nel settore dei servizi la riduzione, che si registra nello stesso intervallo di tempo, è particolarmente marcata.

In realtà, la svolta che ci si attendeva dall’agricoltura sotto tale profilo sembra ulteriormente rinviata (cfr. dati Osservatorio Statistico INAIL – Dicembre 2005).


 

Almeno per i casi mortali, quindi, l’agricoltura sembra confermare anche per l’anno 2005 il segno di aumento, da valutarsi allo stato nella percentuale del 4,32%, mentre l’industria fa registrare una variazione in diminuzione del 2,04%.

Sembra confermarsi per l’agricoltura, sia pure limitatamente agli infortuni più gravi, un trend sicuramente meno favorevole degli altri settori produttivi.

Tutti i dati esposti vanno ovviamente letti tenendo conto di una media di occupati in agricoltura stimata nell’anno 2004, secondo fonti ISTAT, in 990.000 unità, pari al 4,4% del totale degli occupati pari a 22.404.433 unità, dato complessivo nel quale gli addetti all’industria rappresentano il 30,7% del totale e quelli ai servizi il 64,9% del totale.


 

Dalla tabella si evidenzia, a riprova di una certa tradizionale "femminilizzazione" dell’agricoltura, che sempre nell’anno 2004 le addette di sesso femminile vengono stimate in 307.488 unità, pari al 31,1% del totale degli addetti di settore, percentuale di molto superiore a quella dell’industria, dove le donne rappresentano solo il 22,9% del totale degli addetti di settore.

Anche per l’agricoltura, come nel settore delle costruzioni, si segnala una strana concentrazione di infortuni mortali nella prima settimana lavorativa, ed è quindi molto forte il sospetto che la particolare connotazione temporale degli eventi si configuri come un tentativo di regolarizzare ‘‘a posteriori’’ situazioni di lavoro sommerso.

 

DATI STATISTICI ED ANALISI DEI RISCHI LAVORATIVI IN AGRICOLTURA

È evidente dalle considerazioni svolte che, ove si prenda in esame l’indicatore della gravità delle conseguenze infortunistiche e degli infortuni mortali, il mondo agricolo accusa ancora un preoccupante ritardo nell’attenzione ai temi sostanziali della sicurezza sul lavoro.

E ad analoghe conclusioni induce la lettura dei dati assoluti filtrata attraverso l’indice di incidenza (numero degli infortuni denunciato rapportato a 1000 occupati ISTAT), giacché consente di verificare come l’agricoltura, escludendo gli infortuni in itinere, che non si intendono particolarmente ricollegati al rischio lavorativo specifico, presenti nel 2004 un’incidenza infortunistica pari a 69,8, sicuramente in discesa rispetto all’anno precedente (73,8), ma ben al di sopra della media generale dell’industria (64,2) e dei servizi (31,4) e sugli stessi livelli dei settori considerati a maggior rischio, come quello delle costruzioni.

Stessi risultati se si guarda al triennio consolidato 2000-2002, atteso che nel suddetto periodo l’indice complessivo di frequenza infortunistica in agricoltura, misurato dal numero degli infortuni indennizzati su mille addetti assicurati INAIL, si attesta su una media pari a 57,18, notevolmente più elevata rispetto alla media dell’industria e dei servizi (35,74) e molto prossima a quella delle costruzioni (58,72) considerato tra i settori più rischiosi. Tra le regioni ‘‘meno virtuose’’ Umbria, Friuli ed Emilia – Romagna, tra quelle ‘‘più virtuose’’ Lazio, Campania e Sicilia.

C’è da osservare, peraltro, che probabilmente per queste ultime regioni la ‘‘virtù’’ è solo statistica, essendo il numero degli eventi infortunistici denunciati chiaramente e fortemente influenzato dalla presenza di un ‘‘sommerso’’ particolarmente marcato, caratterizzato anche dall’impiego massiccio di lavoratori extracomunitari, che tende ovviamente ad occultare, insieme al rapporto di lavoro, anche l’infortunio.

L’INAIL, con il conforto di dati ISTAT, valuta che siano circa 330.000, su un totale di circa 3.240.000, i lavoratori ‘‘irregolari’’ in agricoltura e stima in circa 18.800 unità, su un totale di circa 125.000, gli infortuni sul lavoro con esito superiore ai tre giorni avvenuti in attualità di lavoro a lavoratori ‘‘irregolari’’ (cfr. nota Presidenza INAIL prot. 376/05 del 15.11.2005).

Non dissimile il discorso per gli indici di frequenza relativi alle ‘‘morti bianche’’: 0,13 in agricoltura, 0,06 per l’industria ed i servizi, 0,19 per le costruzioni.

Se poi analizziamo complessivamente i numeri degli infortuni in agricoltura denunciati all’INAIL nel 2004 ed indennizzati a tutto il 30 aprile 2005, con riguardo alle cause che li hanno determinati, ci accorgiamo che gli stessi colpiscono prevalentemente gli addetti compresi in una fascia di età tra i 40 ed i 65 anni, e sono connessi soprattutto a cadute, urti, contatti con agenti contundenti, superfici di transito, in definitiva alla pericolosità dell’ambiente di lavoro (casi 16.125), mentre quelli con le conseguenze più gravi (morte ed inabilità permanente media del 12%) coinvolgono quasi sempre gli utensili e le macchine (casi 3.536).

Per altro verso, il riferimento alle conseguenze degli infortuni non mortali, ci consente di rilevare che, ad essere colpiti con maggiore frequenza da lesioni, spappolamenti ed amputazioni sono gli arti, sia superiori che inferiori, e più in particolare le mani (casi 11.856), come confermano indirettamente anche i dati particolarmente elevati degli infortuni causati dagli incastramenti e delle cadute dall’alto.

Se passiamo ad analizzare dal punto di vista infortunistico le varie attività che caratterizzano il settore, ci accorgiamo che quelle più pericolose in assoluto, sia per numero degli infortuni provocati sia per gravità delle conseguenze, sono le lavorazioni ausiliarie (casi 25.031 con 65 eventi mortali), seguite dalla preparazione del terreno ( casi 9.587 con 28 eventi mortali) e dalla silvicoltura (casi 4.773 con 10 eventi mortali), mentre tra le attività meno rischiose si segnala l’allevamento degli animali (casi 1642 con 2 eventi mortali).

I dati sin qui esaminati si riferiscono a tutta la platea dei lavoratori agricoli, quindi sia a quelli autonomi che a quelli dipendenti, ma è possibile anche procedere ad un’analisi che tenga conto della predetta suddivisione.

Si noterà allora che in agricoltura si infortunano più spesso, e soprattutto con conseguenze più gravi, i lavoratori autonomi rispetto ai dipendenti.

Le cause di tale maggiore incidenza infortunistica vanno ricercate sia con il maggior numero di ore lavorate sia con il prevalente utilizzo di macchine.

Nel settore si evidenzia, comunque, come in generale l’autonomia costituisca fattore di scarsa sicurezza, mentre la presenza del datore di lavoro e l’organizzazione complessa e strutturata della produzione favoriscano la prevenzione e rendano meno rischiose le attività lavorative.

Sembra, cioè, che il datore di lavoro, quale soggetto responsabile secondo legge dell’adozione e del rispetto delle normative di sicurezza, si preoccupi di salvaguardare l’integrità dei propri dipendenti, più di quanto se ne preoccupino i lavoratori autonomi.

Ulteriore spiegazione al fenomeno evidenziato può essere ricercata nella ormai riconosciuta rischiosità delle microimprese, nelle quali i lavoratori agricoli autonomi si collocano ‘‘naturalmente’’, e nella diffusa sottovalutazione del rischio, con conseguente maggiore disponibilità ad ‘‘osare’’ e ‘‘sfidare il pericolo’’, da parte di chi pensa, a torto, di dover rispondere solo a se stesso dell’inosservanza delle misure di sicurezza e delle eventuali negative conseguenze della predetta inosservanza.

Quanto alla distribuzione territoriale dei rischi si osserva che in agricoltura gli stessi sono influenzati da condizioni economiche e sociali, da forme organizzative e da modelli di vita agricola. Esiste in ogni caso una forte dipendenza degli eventi infortunistici dall’altimetria e dall’accidentalità dei terreni, soprattutto nelle situazioni in cui alle difficoltà del territorio si aggiunge la presenza di condizioni climatiche caratterizzate da un ambiente umido e piovoso.

 

IL MONDO AGRICOLO E LA SUA EVOLUZIONE

Come in tutti i settori, anche in agricoltura vi è stato, in questi ultimi anni, un’innegabile riduzione di eventi infortunistici, pur rimanendo la stessa una delle attività maggiormente interessate da traumi e patologie di origine lavorativa.

In realtà non è stato mai facile convincere di tanto, anche in passato, i non addetti ai lavori o gli estranei ai grandi temi della sicurezza. A fronte della denuncia dei rischi del lavoro agricolo la reazione è stata, infatti, quasi sempre di sorpresa e di incredulità, dato che tradizionalmente l’agricoltura rimaneva e rimane per molti l’ambiente bucolico dei ricordi d’infanzia, solo marginalmente interessato dalle problematiche del lavoro moderno.

Eppure, quell’immagine ha ancora persistenti tratti di realtà soprattutto in alcune zone del paese ove lo sviluppo dell’industria ha in brevissimo tempo spostato in fabbrica la quasi totalità della popolazione attiva - popolazione che ha ritenuto la fabbrica, appunto, decisamente più ‘‘comoda’’, più remunerativa e socialmente più ‘‘elevata’’ dell’attività legata alla terra, lasciata ai ‘‘vecchi’’ ed ai non interessati dalla scolarizzazione di massa -. Quest’ultima, in effetti, è stata intesa come un’affrancazione proprio dall’arretratezza e dalle difficoltà del mondo agricolo e pertanto motivo di miglioramento soprattutto economico, mentre solo pochi hanno visto e scelto l’opportunità degli studi come occasione per rimanere o ritornare nel settore agricolo con maggiore qualificazione professionale.

La perdita, per l’agricoltura, di larga parte della sua forza lavoro più giovane non ha arrestato, comunque, in tante zone del paese lo sviluppo tecnologico del settore - sviluppo dettato sia dalla drastica riduzione delle persone nelle campagne che dalle nuove necessità produttive imposte dall’ampliamento sempre più accentuato del mercato agricolo verso dimensioni europee -.

Il confronto concorrenziale al quale sono stati sottoposti i nostri prodotti ha spinto i produttori ad organizzare l’impresa agricola con criteri di economicità e razionalità tipici dei processi industriali, e conseguentemente verso una più intensa meccanizzazione, come testimonia l’andamento costante dell’aumento dei consumi di energia.

Questa crescita in senso industriale dell’attività agricola ha spesso trovato impreparati gli addetti, sia i produttori sia gli utilizzatori delle macchine agricole. I primi, perché fuorviati dalle pressanti esigenze di produttività poste dalla concorrenza, i secondi, perché non adusi alle regole operative della meccanizzazione e non coscienti dei rischi che quest’ultima introduceva nei campi.

Ma il rapido processo di ‘‘industrializzazione’’ dell’agricoltura è caratterizzato anche dall’installazione di impianti di notevole dimensione e complessità – nonché da impianti mobili (ad esempio, gli essiccatoi mobili per il mais) che vengono gestiti dallo stesso personale o imprenditore agricolo che li affitta –.

L’agricoltura avanzata degli anni 2000, ben lontana dal modello tradizionale, implica sotto il profilo della sicurezza la necessità di padroneggiare una vasta gamma di attrezzature di lavoro e di impianti la cui complessità è tale da fare spesso invidia all’industria.

E ciò vale soprattutto per talune attività ad alto tasso di specializzazione come:

– gli allevamenti, ed annessa gestione di stalle e capannoni attrezzati e climatizzati, riforniti dei necessari mangimi precofenzionati e bilanciati per gli animali;

– le lavorazioni del latte, che non si esauriscono nella mungitura, ma si estendono alle lavorazioni casearie;

– la macellazione, la preparazione, la lavorazione e la conservazione delle carni;

– la raccolta, la classificazione, il lavaggio e la sistemazione in confezioni delle uova e di tutti i prodotti ortofrutticoli;

– il ciclo completo della vite, che si conclude nelle cantine e negli impianti di imbottigliamento;

– la preparazione dei mangimi e, di qui, ai sili di fermentazione (sia del mais che di altri vegetali), agli essiccatoi ed ai mulini per granaglie o erbe da insaccare o conservare in pallet;

– le serre e la relativa gestione, con il riscaldamento e la florovivaistica;

– la silvicoltura e lo sfruttamento del bosco per la produzione di legname o di cellulosa;

– lo stoccaggio degli idrocarburi necessari al funzionamento delle attrezzature di lavoro, e addirittura, alla produzione di ‘‘idrocarburi ecologici’’.

L’enitecnologia è infatti da tempo a disposizione delle aziende agricole, le quali sono disincentivate all’utilizzo della stessa più da ostacoli fiscali che tecnici.

Dalla complessità degli impianti all’aumento dei rischi il salto è breve. A tanto aggiungasi il rischio connesso ai fabbricati ed ai loro impianti tradizionali (elettrico, di riscaldamento e climatizzazione, idrico, con annessi dispositivi antincendio, dei gas tecnologici) e quello relativo ad officine di manutenzione, spesso dotate di attrezzature sofisticate anche per la deformazione plastica dei metalli (fucine, cesoie, piegatrici) o per la loro saldatura, nonché di mezzi di sollevamento e di trasporto di notevole potenza e portata.

E la rischiosità viene ovviamente accentuata dall’ambiente naturale nel quale le attrezzature sono impiegate, ambiente spesso caratterizzato da situazioni atmosferiche non sempre favorevoli, da piani scoscesi che favoriscono i ribaltamenti, da scoline e canali che rasentano ogni campo o bordeggiano strade e viottoli. Inoltre, potenza e pesantezza dei mezzi mettono peraltro a dura prova le vie di transito o di lavoro, già rese pericolose in molti casi da situazioni atmosferiche difficili.

La tecnologia, peraltro, non sempre in agricoltura si rivela alleata della sicurezza: i mezzi, spesso usati solo in determinato periodo dell’anno, quando vengono riutilizzati, nella stagione successiva, non sempre sono sottoposti alle necessarie manutenzioni. Inoltre le macchine sono sovente affidate a personale poco esperto e privo della necessaria formazione multifunzionale, soprattutto in quelle aziende a carattere familiare ove tutti i componenti, impegnati abitualmente in altre attività, si dedicano in via sussidiaria alla comune coltivazione di piccoli poderi.

Dalle predette considerazioni, peraltro parziali e non riferibili a tutto il territorio nazionale, si può ben comprendere come le attrezzature di lavoro siano una delle cause principali degli infortuni nell’agricoltura "degli anni 2000", sicuramente lontana dall’immagine oleografica che ancora alberga nei ricordi dell’infanzia.

Indicativo, in proposito è quel dato statistico che evidenzia come siano in maggioranza gli infortuni occorsi ai ‘‘lavoratori autonomi’’ (leggasi imprenditori agricoli) rispetto a quelli occorsi ai dipendenti.

Detto numero, inoltre, è decisamente sottostimato in quanto non vi confluiscono gran parte di quegli eventi, solitamente di non grave entità, che colpiscono i familiari dell’imprenditore e che sono considerati più ‘‘incidenti domestici’’ che infortuni sul lavoro. Gli addetti agricoli, inoltre, sono restii ad interrompere il lavoro per piccole lesioni o traumi connessi alla loro attività, con la conseguenza che i microinfortuni vengono curati in casa, atteso che il ritmo e l’urgenza delle operazioni sono scandite dal tempo (‘‘è il tempo che fa i mestieri’’), più che dalle condizioni fisiche del contadino.

 

IL RISCHIO CHIMICO PER L’USO DEI FITOFARMACI

I fitofarmaci hanno un ruolo determinante nell’attuale agricoltura, essendo usati per difendere le colture dai parassiti (soprattutto insetti e acari) e patogeni (batteri, virus, funghi), per controllare lo sviluppo di piante infestanti e per assicurare l’ottenimento di elevati standard di qualità dei prodotti agricoli.

Tuttavia, essendo i fitofarmaci generalmente costituiti da sostanze tossiche (in alcuni casi cancerogene), il loro uso improprio, non sperimentato e non autorizzato, determina rischi e pericoli per la salute umana e animale.

Ciò è dimostrato anche dalla direttiva CEE 152/99, che impone limiti molto restrittivi (soprattutto per erbicidi e insetticidi), sulla loro presenza nelle acque destinate a fini potabili. La limitazione al minimo necessario dell’uso di questi mezzi tecnici in agricoltura, dovrebbe essere asse portante non solo di qualsiasi politica per progredire verso forme più evolute di agricoltura sostenibile ma più in generale di ogni seria strategia di tutela dell’ambiente e della salute non solo dei lavoratori agricoli ma di tutti i cittadini.

- Effetti sulla salute -

L’esposizione ai prodotti fitosanitari può provocare intossicazione acuta, sub-acuta, cronica, nonché malattie allergiche, indipendentemente dalla classe di pericolosità di appartenenza del prodotto (molto tossico, tossico, nocivo, ecc.).

L’intossicazione acuta si verifica quando l’organismo è esposto a quantità massicce di fitofarmaci in tempi brevi. Si tratta in questo caso di infortunio sul lavoro.

L’intossicazione cronica si verifica quando l’organismo è esposto a quantità relativamente piccole di prodotti fitosanitari per lunghi periodi di tempo: in questo modo, il prodotto si accumula nelle cellule dell’organismo e determina alterazioni generalmente irreversibili. Si tratta, quindi, di una malattia professionale.

È possibile fare qualche esempio di intossicazione acuta:

– gli esteri fosforici, quali parathion, methil parathion, diazinone, ecc., e i carbammati, come il carbaryl, il methomyl ecc., possono provocare lacrimazione, produzione eccessiva di saliva, vomito, dolori all’addome;

– i preparati a base di stagno possono causare mal di testa, ronzii alle orecchie, vertigini, ritenzioni urinarie, insufficienza nella respirazione e nella circolazione sanguigna.

Inoltre gli studi sperimentali condotti su cavie da laboratorio hanno consentito di dimostrare che alcuni fitofarmaci sono dotati di azione:

– mutagena (cioè, provocano alterazioni del patrimonio genetico dell’individuo);

– cancerogena;

– teratogena (cioè, alterano le cellule del feto provocando anomalie nel nascituro).

 

Modalità di intossicazione

Le vie attraverso le quali si possono verificare delle intossicazioni sono:

– per ingestione: è la via meno frequente di intossicazione, tuttavia, oltre ad errori grossolani, può accadere che si portino alla bocca le mani o la sigaretta imbrattate dal prodotto;

– per contatto: cioè, per assorbimento di fitofarmaco, attraverso la pelle. È la via più comune di intossicazione, soprattutto quando non si utilizzano i dispositivi di protezione individuale (DPI), quali tute, maschere protettive, guanti, stivali ecc., ed anche quando la pelle è bagnata dal sudore, ragion per cui si può verificare l’assorbimento del prodotto attraverso la pelle, nel sangue;

– per inalazione: è la modalità più subdola di intossicazione e si può verificare anche se, apparentemente, sono state adottate tutte le misure di protezione consigliate (ad esempio, mal funzionamento del filtro della maschera o esaurimento dello stesso).

 

Prevenzione delle intossicazioni -

Si ribadisce che l’uso dei DPI, l’adozione di comportamenti e norme igieniche al termine dei trattamenti (non consumare cibi o bevande e non fumare con le mani sporche ma, lavarsi abbondantemente con acqua e sapone al termine dei trattamenti), rappresenta la prima norma essenziale, determinante per la salvaguardia della salute dell’operatore.

Si ricorda che con il D.Lgs. n. 25/2002 è stata recepita la direttiva 98/24/CE, sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro.

Con l’emanazione di tale decreto legislativo (che ha inserito un titolo VII-bis nel D.Lgs. n. 626/1994), oltre ad essere ribaditi i principi generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori che impiegano prodotti chimici di qualsiasi tipo, vengono ulteriormente dettagliate le procedure per l’adozione delle misure di prevenzione e protezione nell’impiego degli agenti chimici pericolosi e quindi anche dei fitofarmaci. Secondo questa normativa, infatti, i medesimi, rispondono alla definizione di agente chimico pericoloso, sia a causa delle loro proprietà fisico-chimiche e tossicologiche che a causa delle peculiari modalità d’impiego (irrorazione).

Per questo motivo, l’impiego di fitofarmaci è soggetto ad una valutazione del rischio preliminare (giustificazione del rischio) ed eventualmente ad una successiva valutazione del rischio più dettagliata.

In pratica l’agricoltore è tenuto a raccogliere tutte le informazioni connesse alla pericolosità dei prodotti impiegati, tramite una richiesta da effettuare nel momento dell’acquisto, al proprio fornitore.

Il fornitore, cioè la rivendita di prodotti fitosanitari, cui l’agricoltore si rivolge per gli acquisti, dovrà consegnare o trasmettere tutte le informazioni concernenti la composizione degli ingredienti pericolosi per la salute dell’uomo. Tali informazioni potranno pervenire all’agricoltore tramite la consegna o l’invio, su supporto cartaceo o in via informatica, di una scheda di sicurezza analoga a quella vigente in Italia per i preparati chimici pericolosi definiti dal D.Lgs. n. 285/1998.

Da aggiungere altresì che, dal 30 luglio 2004, il nuovo quadro normativo in materia di immissione sul mercato dei fitofarmaci impone che questi siano venduti accompagnati da una scheda informativa in materia di sicurezza compilata secondo i criteri dettati dalla Normativa Europea in materia di preparati pericolosi (direttiva 1999/45/CE).

Bisognerà fare, comunque, ogni sforzo e controllo, affinché tale scheda venga effettivamente allegata al prodotto e consegnata all’acquirente; ma bisognerà anche intraprendere ogni opportuna iniziativa affinché l’acquirente la legga e ne tragga precauzioni ed insegnamenti.

 

Attività di rientro

Le attività di rientro includono tutte le operazioni manuali e meccaniche su colture in precedenza trattate con fitofarmaci, la raccolta dei frutti, dei vegetali e dei fiori, l’irrigazione, il diradamento dei frutticini, la legatura delle viti e molte altre.

L’esposizione è in questo caso dipendente dalla quantità di pesticida applicata e dal tempo trascorso dal trattamento. Il tempo di rientro viene definito come "il tempo che deve intercorrere, dopo che un pesticida è stato distribuito, prima che un lavoratore possa rientrare in coltura, per attività manuali senza mezzi di protezione e senza che si abbiano effetti avversi sulla salute".

I fattori che influenzano tali intervalli di rientro, sono numerosi. Essi vanno stabiliti per i diversi pesticidi e il loro valore è determinato attraverso il monitoraggio del decadimento dei residui sulle foglie, a sua volta dipendente da fattori quali la natura chimico-fisica del pesticida, la capacità del composto di penetrare nella pianta e da fattori microclimatici o ambientali, quali temperatura e irradiazione solare.

In generale, per quel che concerne l’uso dei prodotti fitosanitari, le fasi maggiormente pericolose in agricoltura sono quelle in cui si esegue la preparazione della miscela fitosanitaria e la successiva distribuzione del prodotto sulle piante. D’altra parte, c’è un generale accordo di diversi ricercatori che hanno esaminato l’esposizione occupazionale a pesticidi, secondo il quale l’esposizione respiratoria, legata alla presenza nell’aria inspirata di fitofarmaco sotto forma di aerosol (nebbie, polveri e fumi) e sotto forma di vapore, fatta eccezione per sostanze estremamente volatili, assume un’importanza inferiore rispetto alla via cutanea.

Quest’ultima, legata alla contaminazione da pesticida soprattutto a livello delle mani e di altre parti di cute scoperta oppure non adeguatamente protetta da indumenti, contribuisce solitamente con quote ben superiori al 50% dell’intera quota assorbita. Nel caso specifico delle ‘‘attività di rientro’’, la dose cutanea risulta essere ancora più prevalente.

 

PREVENZIONE, FORMAZIONE E INFORMAZIONE

La necessità e l’affidabilità dei dati relativi al fenomeno infortunistico in agricoltura non costituiscono solo qualità indispensabili per un’analisi, il più possibile dettagliata, del fenomeno, ma si pongono anche come condizione essenziale per una seria sottolineatura dei rischi connessi alle varie lavorazioni e, quindi, per un’efficace attività di prevenzione.

Ma nessuna seria politica di prevenzione può prescindere da un’attenta politica di formazione che, correttamente intesa quale conoscenza dei rischi da parte degli addetti e consapevolezza della necessità del rispetto della normativa di sicurezza, risulta ancora fortemente carente nel mondo rurale.

Nel settore agricolo, infatti, non sempre è agevole l’organizzazione di eventi e di iniziative formative ed informative, in quanto esiste una difficoltà obiettiva, per le modalità e le condizioni di tempo e di luogo delle attività svolte e per la dispersione delle aziende sul territorio, a spostare i lavoratori e, comunque, a riunirli in gruppo per sottoporli a stages formativi.

Quanto alla qualità della predetta formazione è del tutto evidente che l’offerta in agricoltura, per essere efficace, va pensata e calibrata nello specifico aziendale, e su una particolarmente analitica e precisa mappatura delle fonti di rischio, che possono essere molteplici (ambientali, meccanici, chimici, biologici, elettrici, acustici) e non sempre di agevole individuazione.

Non bisogna dimenticare che mansioni e rischi variano durante l’anno ed anche nel corso di una giornata per lo stesso lavoratore e che in agricoltura spesso esiste una quasi totale coincidenza, soprattutto nella famiglia "diretto-coltivatrice", fra ambiente di lavoro ed ambiente di vita.

Tra l’altro, sempre con riferimento alla molteplicità delle fonti di rischio ed alle connesse difficoltà di formazione dei lavoratori, va evidenziato che molte aziende si sono dotate di vere e proprie officine di manutenzione, nelle quali l’operatore agricolo si improvvisa di volta in volta meccanico, fabbro, elettricista, idraulico.

Si pensi, inoltre, alla difficoltà di selezionare con precisione le varie tipologie di rischio biologico cui può essere esposto un agricoltore, non solo con il classico riferimento alle malattie infettive ma anche con riferimento all’esposizione ad allergeni o a fattori scatenanti di shock anafilattico.

Detta operazione di individuazione dei rischi lavorativi, che per le aziende con meno di dieci addetti, in base alla legislazione attualmente vigente, non è obbligatorio tradurre in un documento e può essere semplicemente autocertificata, va comunque sollecitata con la promozione e l’intervento di operatori pubblici di sostegno, in quanto è presupposto essenziale per ogni corretta politica di sicurezza.

Questa, inoltre, deve prendere in considerazione non solo le specifiche attività lavorative, ma anche gli ambienti nei quali le stesse vengono esercitate ed ai quali non sempre nel mondo agricolo si concede la dovuta attenzione.

Dovrebbero suonare come preciso monito in tal senso i numerosi infortuni, molto spesso dalle conseguenze mortali, riconducibili proprio agli ambienti di lavoro e, tanto per fare un esempio, quelli connessi alla fragilità delle coperture di capannoni e fabbricati o alla scarsa tenuta di piattaforme sopraelevate e soppalchi, nonché alla rischiosità delle superfici di transito.

A questi rischi vanno sommati: quelli derivanti dalle esigenze di autonomia proprie del mondo agricolo - molto spesso le aziende incorporano, come si è visto, officine e falegnamerie -; quelli connessi alla sovrapposizione ed alla coincidenza tra ambiente di lavoro ed ambiente di vita domestico; quelli che scaturiscono dalla "senilizzazione" e dalla "femminilizzazione" delle campagne, dal lavoro in solitudine, dalle asperità del terreno, dalla distanza che separa i luoghi di lavoro dai corpi aziendali, dalle difficoltà di raggiungere le aziende situate in collina ed in montagna.

Non solo per la "polverizzazione" delle singole realtà aziendali, ma anche per la particolarità delle situazioni che caratterizzano le attività agricole, per le variazioni del tipo di lavoro svolto nel corso della stessa giornata, per la contemporanea esposizione del lavoratore in ogni momento a rischi molteplici e diversi, sarebbe forse opportuno pensare, nell’elaborazione dei moduli formativi, alla costituzione di nuclei itineranti, attenti soprattutto alle necessità delle aziende con meno di dieci dipendenti, pronti ad analisi dei rischi e dimostrazioni pratiche di messa in sicurezza da effettuarsi in loco, durante lo svolgimento delle normali attività lavorative.

Non meno importante la necessità di un potenziamento del supporto informativo e tecnico alle aziende agricole fornito da INAIL, ISPESL, ASL ed Enti Locali, e della capillare diffusione ed illustrazione, anche da parte delle associazioni di categoria, di materiale informativo appositamente elaborato per il settore e tale da sopperire alle omissioni del datore di lavoro nell’assolvimento degli obblighi di formazione e di informazione che la legge pone a suo carico in occasione di assunzioni, trasferimenti, cambi di mansione, introduzione di nuovi strumenti e tecnologie, utilizzo di nuovi sostanze o preparati pericolosi.

Esistono, inoltre, problemi più specifici legati all’abilitazione degli addetti all’uso di alcune macchine e ad una formazione mirata al corretto uso delle stesse, che spesso vengono acquistate, ma soprattutto utilizzate, sulla scorta di conoscenze tecniche di base insufficienti e molto approssimative.

Alla soddisfazione della predetta esigenza vanno sollecitate sia le industrie produttrici, sia le catene di distribuzione e commercializzazione, che troppo sovente si limitano alla vendita, senza preoccuparsi di fornire alcun tipo di assistenza al consumatore nell’apprendimento delle nozioni minime di uso e di manutenzione della macchina acquistata.

Eppure, decespugliatori, motozappe, macchine tagliafieno, trattori, trebbiatrici, nastri trasportatori e macchine destinate alla movimentazione dei materiali costituiscono per gli addetti all’agricoltura un pericolo assai serio e costante che impone l’adeguata preparazione degli addetti e dei conduttori e livelli di attenzione molto elevati.

Va, pertanto, incoraggiata nel mondo industriale la consapevolezza che macchine ed utensili progettati e realizzati con criteri di sicurezza attiva - i quali le rendano intrinsecamente sicure e limitino i rischi dei lavoratori anche con riferimento alle patologie da rumore o da vibrazioni - costituiscono valido argomento di marketing ed elemento di promozione del marchio; essi non garantiscono solo la sicurezza di coloro che a prodotti con quel marchio affidano la propria integrità fisica, ma migliorano complessivamente la redditività delle aziende.

È degna di nota, sotto il profilo dell’impegno per la sicurezza delle macchine, l’attività svolta dall’Unacoma - Unione Nazionale dei Costruttori di Macchine Agricole -, dall’Enama - Ente Nazionale per la Meccanizzazione Agricola -, dall’Unima - Unione Nazionale delle Imprese meccanizzazione agricola - e dal Conama - Consorzio Nazionale di Meccanizzazione Agricola -, che offrono, spesso in collaborazione con l’ISPESL, l’ulteriore garanzia di una certificazione di rispondenza della macchina ‘‘alle normative di legge in materia di sicurezza’’, certificazione allo stato non obbligatoria, ma che risulta di particolare utilità non solo per gli utenti finali, ma anche per i produttori ed i rivenditori.

Appare indispensabile, inoltre, incidere su quel formidabile fattore di rischio costituito dall’obsolescenza delle macchine, sia di quelle più spiccatamente professionali, sia degli autoveicoli utilizzati per gli spostamenti, alla riduzione del quale forse potrebbe contribuire, almeno nel primo caso, la previsione di incentivi alle aziende mirati proprio alla sostituzione ed al ritiro di macchine professionali potenzialmente pericolose o comunque prive della tecnologia più avanzata in materia di sicurezza.

Quanto sia drammaticamente di attualità questo problema, lo si coglie soprattutto con riferimento ai tentativi più volte effettuati, anche dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali (cfr. la circolare n. 11/2005) per sollecitare l’adeguamento dei trattori già in servizio con dispositivi di protezione dell’operatore in caso di ribaltamento, vale a dire telai cosiddetti ROPS abbinati a sedili muniti di cinture di sicurezza, intese come sistema per trattenere il lavoratore all’interno del volume di sicurezza garantito dal telaio.

E sempre in tema di rischiosità delle macchine è opportuno rilevare come l’estrema diversificazone delle colture e delle necessità lavorative crei una domanda di ausili meccanici molto particolari, alla quale rispondono spesso aziende artigiane o aziende industriali di ridotte dimensioni, non sempre a conoscenza dei dispositivi antinfortunistici tecnologicamente più avanzati.

A tanto aggiungasi che sempre più spesso macchine ed attrezzature agricole vengono modificate dagli stessi lavoratori ed adattate ad esigenze non previste dai costruttori: molto frequente è, ad esempio, l’utilizzo improprio di alcune macchine agricole per il trasporto di persone e di materiali, anche quando risulta espressamente escluso dal costruttore, e la rimozione delle strutture di protezione tese a limitare i danni in caso di ribaltamento/ impennamento.

Né sotto il profilo della sicurezza in agricoltura giova, infine, al corretto utilizzo di strumenti e macchine, una composizione della forza lavoro nella quale prevalgono gli addetti in età avanzata, per comprensibili ragioni non sempre inclini ad accettare le innovazioni tecnologiche e comunque naturalmente in difficoltà nel padroneggiare meccanismi complessi.

E sempre con riferimento al rischio derivante dall’età degli addetti, accanto a quello derivante dai lavoratori in età avanzata, non va trascurato quello connesso alla forte presenza dei minori, stimata per il settore agricolo nel 10% dell’intera forza lavoro minorile.

Ma qualcosa si sta muovendo nell’agricoltura anche sotto tale aspetto. Si stima in oltre 50.000 il numero dei giovani che nei prossimi anni, avvieranno una nuova attività agricola puntando soprattutto su innovazione tecnologica e biotecnologie.

E la cosa conforta non poco ove si consideri che l’ISTAT stima che più del 90% delle aziende agricole non ha oggi un successore.

Attualmente, solo nel 4,1% delle oltre 2 milioni di aziende agricole presenti nel paese la conduzione è affidata a giovani al di sotto dei 35 anni: di questi, un quarto è donna, il 70% è diplomato ed il 35% è laureato.

Esiste, in ogni caso, nel mondo agricolo, un drappello molto qualificato di giovani, che si occupa non solo di derrate alimentari, ma anche di nuove attività nel campo dei beni paesaggistici ed ambientali e della tutela dell’habitat.

 

IL DECRETO LEGISLATIVO N. 626/1994 IN AGRICOLTURA

Quando si riflette, pur con le precisazioni innanzi esposte, sull’evidente trend in discesa del fenomeno infortunistico in agricoltura, ci si chiede quanto abbia inciso la normativa di cui al decreto legislativo n. 626/1994, e successive modifiche.

Ma la risposta, anche se il bilancio complessivo dei risultati della legge è sicuramente positivo, non è agevole.

Sicuramente l’introduzione della nuova normativa d’ispirazione comunitaria, e soprattutto il gran dibattito che ne ha accompagnato la progressiva entrata in vigore, hanno contribuito non poco a focalizzare l’attenzione di lavoratori ed addetti sulle esigenze di prevenzione ed a far lievitare una cultura più attenta ai rischi lavorativi. Si ha però, per altro verso, l’impressione che la normativa di cui al decreto legislativo n. 626/1994 si ispiri ad un modello prossimo alla realtà dell’industria e dei servizi, e resti assai distante dalle peculiarità del settore agricolo, in cui operano circa 350.000 imprenditori, con oltre un milione e duecentomila addetti assunti, per il 90% con contratti di lavoro a tempo determinato in coincidenza di particolari necessità stagionali.

Se a questi si aggiungono le circa 450.000 aziende "diretto-coltivatrici", che impiegano un numero di addetti di poco inferiore al milione, appare chiaro come il quadro produttivo risulti estremamente frammentato, con grande difficoltà nell’assolvimento degli obblighi imposti dalla normativa di sicurezza, non di rado ancora vissuta come una fastidiosa e costosa sovrastruttura burocratica priva di concreta utilità e significato.

Ulteriore conseguenza negativa di tale percezione, emersa peraltro anche in un’indagine territoriale svolta di recente dalla Regione Emilia- Romagna su oltre un migliaio di imprese di tutti i settori, è una generale tendenza, fortemente accentuata in agricoltura rispetto agli altri settori produttivi, ad assolvere, nell’ambito della normativa sulla prevenzione, i doveri meramente formali ed a tralasciare poi, nello svolgimento delle singole attività, i precetti sostanziali di prudenza e di sicurezza.

Per semplificare, si ha l’impressione che l’agricoltore sia più preoccupato dell’apposizione dei cartelli di pericolo che della necessità di manutenzione delle macchine agricole.

In realtà, appare ancora lontana un’adesione convinta ai principi fondamentali ed ispiratori della normativa ed altrettanto lontana la traduzione dello spirito reale del decreto legislativo nel modello organizzativo che propone, nelle attività che si sarebbero dovute porre in essere, nel sistema partecipativo che vi è sotteso (cfr. i dati resi disponibili dal Coordinamento Tecnico del ‘‘Progetto interregionale di monitoraggio e controllo sull’applicazione del 626/94 sui luoghi di lavoro’’, posto in essere dalle regioni Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Sicilia, Sardegna, Molise).

Ne consegue la necessità di un’esigenza, fortemente avvertita tra gli operatori, di una sostanziale razionalizzazione e semplificazione della legislazione in materia di sicurezza volta proprio a renderla meglio applicabile al settore, ed un’altrettanta forte esigenza di snellimento del carico burocratico soprattutto per quanto attiene le denunce degli operai stagionali.

Su quest’ultimo aspetto, lo stesso Ministero delle Politiche Agricole ha più volte dimostrato di guardare con interesse ad un provvedimento normativo, ricalcato sul modello tedesco, che prevede l’esenzione da parte degli imprenditori agricoli degli oneri previdenziali per i lavoratori stagionali extracomunitari nei primi sessanta giorni di prestazione lavorativa, provvedimento questo che dovrebbe favorire la riduzione del numero di lavoratori extracomunitari che vivono in totale assenza di regolarità lavorativa.

L’evidenziata "polverizzazione" delle aziende, prevalentemente a carattere familiare, con le annesse difficoltà di controllo, non favorisce inoltre quello stimolo virtuoso alla sicurezza, che può nascere dalla sensibilità della grande impresa alla responsabilità sociale che le compete in un modello di sviluppo della produzione, in cui la dimensione umana resti centrale ed in cui anche moduli organizzativi e gestionali siano sempre rispettosi dell’integrità fisica e psichica dei lavoratori.

L’agricoltura rappresenta, comunque, un settore con caratteristiche sociali e culturali molto particolari e non sempre uniformi sul territorio, nel quale, anche per i problemi legati alla prevalenza di manodopera a tempo determinato, alla bassa scolarità ed alle diverse nazionalità degli operatori, risulta oggettivamente difficile la crescita della cultura della prevenzione.

Il settore è ancora caratterizzato, spesso con nette demarcazioni territoriali, da profondi squilibri tra aziende tecnologicamente avanzate ed aziende tradizionali, nelle quali, al contrario, prevale l’utilizzo di strumenti e mezzi meccanici obsoleti, di fabbricati vetusti ed in cattivo stato di manutenzione, di impianti elettrici non a norma, della mancanza di spogliatoi, docce e servizi igienici, di dispositivi antincendio non funzionanti o mai collaudati, di prodotti fitosanitari non correttamente conservati.

Le considerazioni che precedono rendono possibile immaginare alcune modifiche legislative alla disciplina prevenzionale vigente, che, senza snaturarne l’impianto e tenendo conto di quanto emerso dalle esperienze applicative, la rendano meno farraginosa e più compatibile con l’innegabile specificità del mondo agricolo.

Tra l’altro, allo stato, per come risulta articolato il settore, sono soltanto circa 350.000 le aziende sottoposte concretamente alle disposizioni del decreto legislativo n. 626/1994, essendo praticamente escluse tutte le aziende familiari e quelle in contoterzismo, nelle quali si verifica il 70% degli infortuni.

Risulta così che circa l’80% degli addetti del settore è praticamente privo di ogni forma di tutela e, quindi, anche sotto tale profilo, qualche correttivo legislativo non solo appare opportuno, ma sicuramente necessario.

Sempre con riferimento alle iniziative finalizzate alla crescita della cultura della sicurezza ed all’applicazione della normativa del decreto legislativo n. 626/1994 nelle aziende di piccole dimensioni si ritiene opportuno allegare un’ipotesi di progetto complessivo di formazione, con taglio particolarmente aderente alla specificità del mondo agricolo, che si snoda attraverso una fase formativa specifica del datore di lavoro, la predisposizione attenta del documento di valutazione dei rischi, un corso antincendio ed un corso di primo soccorso.

 

CENNI SULLE MALATTIE PROFESSIONALI IN AGRICOLTURA

Solo un accenno, atteso che il fenomeno è complessivamente oggetto di studio specifico da parte di un altro gruppo di lavoro della Commissione, alle malattie professionali proprie del settore agricolo, per evidenziare che le tecnopatie manifestatesi in agricoltura nel triennio 2002 – 2004, denunciate all’INAIL, e quelle manifestatesi nello stesso periodo ed indennizzate a tutto il 30.4.2005, recano i seguenti dati (tra parentesi quelli riferiti alle malattie non tabellate):

2002 tecnopatie denunciate 1029 (756) - riconosciute 303

2003 tecnopatie denunciate 1068 (828) - riconosciute 275

2004 tecnopatie denunciate 1030 (808) - riconosciute 181

Si registra, in primo luogo, una preponderanza di ipoacusie (sia tabellate che non tabellate); in secondo luogo, una presenza significativa anche di ipoacusie, di asma bronchiale ed alveoliti allergiche tra le malattie tabellate, e di tendiniti, sindrome del tunnel carpale ed artrosi tra quelle non tabellate.


 

La tavola precedente, e quella che segue, mostrano rispettivamente il quadro delle tecnopatie denunciate all’INAIL e quello delle tecnopatie definite.


 

Pur tenendo conto dell’alto numero di denunce non ancora definite (34 per il 2002, 84 per il 2003 e 291 per il 2004), colpiscono nei dati sopra riportati il divario abissale tra tecnopatie denunciate e tecnopatie riconosciute, il trend comunque decrescente negli anni sia delle denunce che dei riconoscimenti, la lunghezza dei tempi di definizione delle denunce.

Se ai predetti dati si aggiunge l’ulteriore considerazione che un’elevata percentuale di riconoscimenti di tecnopatie avviene per decisione della magistratura, al termine di lunghi ed estenuanti giudizi, appare evidente che la situazione merita forse qualche ulteriore attenzione anche da parte dell’INAIL.

Osservando la distribuzione geografica del fenomeno, si nota che il numero delle tecnopatie denunciate nell’anno 2004 risulta più rilevante in Emilia-Romagna (191 casi), Marche (127 casi), Abruzzo (114 casi), Toscana (111 casi), mentre è stranamente ridotto in Lombardia (25 casi), in Calabria (21 casi) ed in Campania (13 casi).

I dati, soprattutto ove siano presi in considerazione taluni inspiegabili squilibri rilevabili all’interno di aree geografiche omogenee, appaiono comunque in netta contraddizione rispetto alla quantità ed alla qualità dei rischi cui risultano sicuramente esposti gli addetti al settore.

Si ha, in generale, l’impressione che molti agricoltori stentino a riconoscere e ad ipotizzare la genesi professionale di alcune patologie, soprattutto quelle legate alla postura, all’inalazione di polveri, alle vibrazioni, alle attività svolte in condizioni climatiche sfavorevoli o con movimentazione manuale dei carichi, e che, di conseguenza, i dati esposti non consentano di cogliere la vera consistenza del fenomeno.

C’è da dire che l’agricoltura sembra scontare, sotto tale aspetto, una sottovalutazione culturale della natura particolarmente usurante di alcune lavorazioni ed, in particolare di quelle svolte in microstrutture aziendali a carattere prevalentemente familiare.

Resta ancora da esplorare il campo delle patologie connesse al rischio biologico (infezioni, anche gravi come la leptospirosi, il tetano e la rabbia, allergie intossicazioni, shock anafilattico ecc.), le quali, peraltro, secondo la cultura medico-legale dominante, sono da ricondurre nella categoria degli infortuni, in quanto connotate dalla riconducibilità a ‘‘causa violenta’’.

Il ‘‘rischio biologico’’, derivante dal contatto con virus e batteri per interazione con il terreno, animali selvatici e randagi, parassiti, insetti e serpenti, o derivante da fosse biologiche, depositi di liquami e letame, attività di concimazione che prevedono il loro uso, postula un attento monitoraggio dei soggetti più esposti ed un’intensificazione delle attività di prevenzione con la vaccinazione ed il controllo veterinario degli animali da cortile, con la bonifica delle acque e del terreno limitrofi all’abitazione, con le vaccinazioni antitetaniche ed antirabbiche, con l’immediata disinfezione delle ferite.

Altrettanto in fieri resta l’accertamento delle patologie legate al rischio chimico, del quale si parla più specificamente in altro paragrafo.

Qui si ritiene opportuno solo evidenziare:

– che esso si sostanzia nel contatto (attraverso le mani, la bocca, l’apparato respiratorio) con sostanze naturali (solanina), sostanze prodotte per degradazione e fermentazione biologica della materia organica, come l’ammoniaca, l’idrogeno solforato, gli ossidi di azoto, l’ossido di carbonio, i fumi, e sostanze sintetiche, come concimi, fertilizzanti, disinfestanti chimici, antisettici, prodotti fitosanitari;

– che i danni sono correlati alle caratteristiche chimico-fisiche e tossicologiche (corrosività, infiammabilità, esplosività, tossicità acuta e cronica) dei componenti del prodotto e che sono costituiti da esiti cronici anche molto gravi e di tipo permanente (funzionalità ridotta di molti organi, neoplasie ecc.).

Si osserva, infine, che l’impiego crescente di macchine quali trattori e mietitrebbie espone gli agricoltori a vibrazioni e scuotimenti tali da esercitare azione microtraumatica protratta soprattutto a carico del gomito e della colonna, con sensibile aumento delle patologie artrosiche, al cui contenimento può giovare l’azione combinata di ergonomi, medici del lavoro ed aziende produttrici di macchine agricole, affinché la macchina venga adattata all’uomo e non l’uomo alla macchina.

Strettamente connesso alla prevenzione delle tecnopatie è il tema della sorveglianza sanitaria, anch’essa resa particolarmente complicata in agricoltura dalla precarietà dei rapporti e dalla dispersione, anche territoriale, di aziende ed addetti.

Appare necessario, anche sotto tale aspetto, avviare un confronto con i medici del lavoro, e comunque con gli interessati, per l’elaborazione di soluzioni normative - magari rielaborando e rilanciando l’ipotesi del libretto sanitario - che tengano conto della specificità del settore e rendano effettiva la tutela preventiva delle tecnopatie.

 

IL QUADRO LEGISLATIVO ATTUALE DEL LAVORO AGRICOLO

Secondo la definizione generale del codice civile è imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento degli animali ed attività connesse, sia in forma individuale che in forma associata, quali cooperative e consorzi quando, per l’esercizio delle attività proprie dell’imprenditore agricolo, utilizzano il lavoro dei soci, o forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico.

In agricoltura troviamo le stesse differenziazioni tra le categorie di dipendenti previste dall’art. 2095 del codice civile: ‘‘dirigenti’’, ‘‘quadri’’, ‘‘impiegati’’ ed ‘‘operai’’. Per quanto riguarda gli operai, questi si differenziano in ‘‘salariati fissi’’ e ‘‘braccianti avventizi’’, di cui all’art. 1 della Legge n. 533/1949, dove la distinzione non dà importanza alla continuità del rapporto di lavoro, quanto piuttosto all’esistenza di un vincolo contrattuale che dia stabilità al rapporto stesso.

Rilevanza maggiore assume la distinzione tra operai a tempo determinato e indeterminato, soprattutto sotto il profilo previdenziale. A tal fine, l’art. 12 del D.Lgs. n. 375/1993 fa rientrare nella categoria di operaio a tempo indeterminato i lavoratori definiti salariati fissi e categorie simili, e in quella di operaio a tempo determinato tutti gli altri operai.

Il lavoro autonomo in agricoltura viene spesso prestato da soggetti che pur essendo lavoratori autonomi sono talvolta assimilati a quelli subordinati soprattutto ai fini previdenziali e assistenziali. Tale lavoro autonomo si può svolgere sia in forma singola (coltivatore diretto) sia in forma associata tra lavoratori agricoli e proprietari dei fondi o del bestiame(contratto di mezzadria, colonia parziaria, soccida).

Alle aziende agricole, comprese quelle di tipo commerciale ed industriale, si applicano, oltre alle disposizioni previste per la generalità dei datori di lavoro dal decreto legislativo n. 626/1994, misure di igiene specifiche.

Sono escluse dall’applicazione di tali misure specifiche le aziende agrarie gestite direttamente dal proprietario, affittuario o enfiteuta che coltivi direttamente il fondo con l’aiuto dei membri conviventi della famiglia.

Le misure di igiene prevedono:

– il divieto di collocazione delle abitazioni e dei dormitori in grotte o capanne, oppure in locale comunicante con le stalle;

– il divieto di lavori in sotterraneo, con l’eccezione delle operazioni che devono essere compiute nelle cantine (in questo caso, devono essere previste misure per il ricambio dell’aria).

Il regime di sicurezza sociale per i lavoratori dell’agricoltura presenta particolarità soprattutto per quanto riguarda gli operai, mentre per gli impiegati valgono le regole in vigore per la generalità dei dipendenti.

Agli effetti delle norme di previdenza ed assistenza sociale, si considerano lavoratori agricoli dipendenti gli operai assunti, a tempo determinato e indeterminato, da:

– datori di lavoro agricolo;

– amministrazioni pubbliche per lavori di forestazione, nonché imprese singole e associate appaltatrici o concessionarie dei lavori medesimi;

– consorzi di irrigazione e di miglioramento fondiario, nonché consorzi di bonifica, di sistemazione montana e di rimboschimento, per le attività di manutenzione degli impianti irrigui, di scolo e di somministrazione delle acque ad uso irriguo o per lavori di forestazione;

– imprese che, singole o associate, si dedicano alla cura e protezione della fauna selvatica e all’esercizio controllato della caccia;

– imprese non agricole, singole o associate, se addette ad attività di raccolta di prodotti agricoli, nonché attività di cernita, di pulitura e di imballaggio dei prodotti ortofrutticoli, purché connesse a quella di raccolta;

– imprese che effettuano lavori e servizi di sistemazione e di manutenzione agraria e forestale, di imboschimento, di creazione, sistemazione e manutenzione di aree a verde, se addetti a tale attività.

Con riferimento alla figura dell’imprenditore agricolo, l’INPS ha precisato i criteri di individuazione ai fini previdenziali delle attività connesse a quella esercitata in via principale. Il rapporto di connessione sussiste quando concorrono precisi requisiti oggettivi e soggettivi:

– titolare delle attività connesse deve essere il medesimo imprenditore agricolo che effettua l’attività principale;

– le attività connesse devono avere ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo, del bosco o dall’allevamento di animali, oppure richiedere, con riferimento alla fornitura di beni e servizi, l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata.

L’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei lavoratori agricoli è amministrata dall’INAIL, con gestione separata e norme particolari.

Gli imprenditori agricoli che eseguono lavori meccanico-agricoli sia per conto proprio che per conto terzi (attività mista) sono da comprendersi nell’assicurazione agricola, mentre quelli che svolgono servizi per conto terzi ricadono sotto l’assicurazione industriale.

Sono esclusi da quest’assicurazione, e rientrano invece in quella prevista per le lavorazioni industriali: i lavoratori addetti a prestare servizi presso macchine mosse da agente inanimato o presso motori di esse; gli addetti al taglio dei boschi e relativo trasporto, quando si svolgono con più di 5 persone, o con qualunque numero di addetti in caso di sfruttamento industriale o commerciale delle piante; gli addetti alle opere di bonifica idraulica e alla sistemazione dei bacini montani.

Lavoratori assicurati sono tutti quei lavoratori fissi o avventizi, dai 12 ai 70 anni, e i sovrastanti al lavoro che non siano dirigenti o impiegati, perché per questi vige la forma particolare di cui si è già detto (ENPAIA).

Sono inoltre assicurati i proprietari, mezzadri, affittuari, enfiteuti, coloni parziari, ecc., nonché i loro coniugi (moglie, o marito se la moglie è proprietaria del fondo) e i figli quando prestano abitualmente opera manuale presso le loro aziende.

 

ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Si è già accennato a come la particolare e variegata composizione della platea delle imprese agricole e degli addetti al settore incida fortemente sui problemi della sicurezza.

Si ha però l’impressione che a tale specificità, ed in particolare alla frammentazione del mondo produttivo agricolo in una miriade di microimprese, contribuisca non poco, in aggiunta alle caratteristiche proprie del settore agricolo, una legislazione confusa e spesso contraddittoria, che favorisce il sorgere di aziende di piccola dimensione e rende sfuggente e poco trasparente una realtà già di per sé molto particolare e non facilmente intelligibile.

Senza contare che la nebulosità legislativa, e le conseguenze che ne derivano, sia nella gestione delle assunzioni sia nell’organizzazione produttiva, favoriscono ed alimentano situazioni di irregolarità e di sfruttamento della manodopera extracomunitaria, anche clandestina.

Appare indispensabile ed urgente una razionalizzazione legislativa del settore, che tenga conto da un lato dell’esistenza di una fascia residuale di agricoltura ancora legata all’archetipo familiare, e dall’altro faccia da chiara cornice normativa ad un’agricoltura tecnologicamente avanzata e sempre più proiettata verso il futuro. Senza mai dimenticare, però, che il lavoro agricolo è ontologicamente, culturalmente e storicamente diverso da quello che si svolge nell’industria e nel terziario, e che di tale diversità va tenuto conto anche nell’elaborazione di una più specifica e meno burocratica normativa sulla sicurezza.

Sotto tale ultimo profilo, si percepisce nel mondo rurale un certo fastidio per alcuni adempimenti della predetta normativa, ritenuti, a volte per distorta percezione degli stessi, di carattere meramente formale e causa ingiustificata di costi aggiuntivi.

Si impone, pertanto, un’adeguata risposta, non solo con iniziative del governo e del Parlamento, ma anche ipotizzando un’intelligente e concorrente attività legislativa delle Regioni, alle pressanti istanze del mondo produttivo agricolo di adattamento alle realtà locali di alcune prescrizioni generali ritenute, soprattutto dalle organizzazioni di categoria decentrate sul territorio, ‘‘oggettivamente impraticabili’’ (sintomatica, sul punto, una recente dichiarazione del Direttore Regionale patronato INAC Emilia- Romagna, a margine della ‘‘Operazione Campi Sicuri’’, promossa dalla CIA nella Regione per l’incentivazione della sicurezza).

Detta risposta, che esige il pronto recupero del progetto di Testo Unico sulla sicurezza, deve essere rivolta a finalità:

a) di semplificazione, con l’eliminazione di disposizioni ripetitive e talvolta contraddittorie, sovente immaginate non per l’agricoltura, ma con riferimento a realtà produttive completamente diverse. E ciò anche perché la normativa di origine comunitaria non ha sostituito l’alluvionale legislazione vigente, ma ad essa si è sovrapposta sommando talvolta nuove problematiche a quelle già esistenti;

b) di coordinamento, anche con riferimento alla sicurezza ed alla salute dei lavoratori, delle normative che presiedono alla fabbricazione ed alla commercializzazione delle macchine e degli utensili;

c) di aggiornamento delle normative sulla sicurezza dei prodotti fitosanitari.

Si impone, peraltro, sempre sotto il profilo legislativo, una riforma complessiva ed organica del mercato del lavoro, rivolta a razionalizzare un sistema che mostra evidenti limiti di chiarezza e di trasparenza. In tal senso, appare di buon auspicio, soprattutto con riferimento alla stabilizzazione dell’occupazione, le linee d’intervento già concordate tra associazioni sindacali ed associazioni imprenditoriali nell’Avviso Comune sul Sommerso, sottoscritto presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali alla presenza di un rappresentante del Governo il 4 maggio 2004.

Sulle macchine ed alle strumentazioni complesse, che l’uso necessitato in ambienti e condizioni difficili, rende sempre ulteriormente rischiose, appare indispensabile sostenere da un lato l’innovazione tecnologica delle imprese produttrici e dall’altra sollecitare gli utenti ad una gestione dinamica delle condizioni di sicurezza nel lavoro, incentivando il costante e periodico rinnovo delle attrezzature con prodotti che rispondano il più possibile al criterio della ‘‘massima sicurezza tecnologicamente possibile’’ – criterio divenuto assolutamente dominante nel nostro ordinamento –.

In questo senso forse si potrebbe immaginare di rendere obbligatorio per le nuove macchine agricole quel marchio di ‘‘conformità’’ alle normative di sicurezza, che attualmente è affidato a lodevoli iniziative di alcune associazioni di costruttori.

E se la sicurezza costituisce un sistema sinergico che unisce tecnologia, organizzazione e formazione umana, è evidente che in agricoltura, più che in altri settori produttivi, dove prevalgono l’aspetto organizzativo e la tutela che normalmente l’organizzazione assicura al singolo, diventano essenziali all’equilibrio complessivo iniezioni sempre più consistenti di tecnica e di formazione umana.

Della necessità dell’utilizzo virtuoso della tecnica, soprattutto nell’ambito delle macchine, si è già detto. Della necessità di adeguata e specifica formazione umana si è ampiamente trattato in un paragrafo specifico. Qui occorrerà ricordare solo, a margine delle precedenti riflessioni ed a conferma della richiesta di decisivi e mirati interventi sulle attività di formazione, di informazione e di assistenza che, dall’attenta analisi della casistica infortunistica in agricoltura degli ultimi tre anni, con conseguenze gravi o mortali, si evidenzia quasi sempre nella dinamica dell’evento una rilevante concorrente incidenza di procedure verosimilmente incongrue, nonché di comportamenti imprudenti o inesperti da parte dei lavoratori.

Manca, in gran parte degli addetti agricoli, e va pertanto fatto ogni sforzo possibile per irrobustirla, anche con qualificate attività di assistenza tecnica e professionale, quella coscienza del rischio che costituisce sovente la più efficace delle misure di sicurezza.

A tal fine occorrerà programmare e predisporre, come si è detto, interventi specifici e mirati di formazione di informazione e di assistenza, ma bisognerà sfruttare anche occasioni meno formali, come manifestazioni, mostre e fiere, per incontrare gli agricoltori e diffondere tra gli stessi un coerente e convinto messaggio di sensibilità ai rischi ed ai pericoli del lavoro nei campi.

Un ruolo importante, nella crescita complessiva della cultura della sicurezza va ovviamente al sistema degli incentivi, tra i quali va ricompreso, mutuando esperienze già avviate per l’industria, la rimodulazione dello stesso sistema assicurativo, con appositi e sensibili sconti di premio alle aziende ‘‘virtuose’’, che investono nella sicurezza anche con l’attuazione di interventi di miglioramento rispetto alle condizioni minime.

Sempre con riferimento al sistema assicurativo si ritiene opportuno osservare che in agricoltura, per la grande preponderanza di lavoratori autonomi, risulta molto sfumata ai fini del rispetto delle misure di prevenzione la funzione di stimolo esercitata sui datori di lavoro dall’azione di regresso, che l’INAIL può esercitare nei confronti degli stessi per il recupero del costo delle prestazioni erogate ai lavori dipendenti a seguito di infortuni, con esiti di una certa gravità, causati da violazioni o inadempienze alla normativa sulla sicurezza.

Particolare attenzione deve essere, inoltre, dedicata a quel particolarissimo fattore di rischio derivante dall’alto tasso di ‘‘irregolarità’’, ed in particolare di ‘‘sommerso’’, presente nel mondo agricolo, che si traduce per quanto si è detto, oltre che in condizioni di lavoro di assoluta insicurezza, anche nell’utilizzo improprio di manodopera già pensionata, e nello sfruttamento di manodopera extracomunitaria e minorile.

Una più decisa azione di contrasto del fenomeno, con potenziamento delle strutture repressive, attualmente insufficienti soprattutto nelle aree più a rischio, e delle normative sanzionatorie, ma anche con modifiche normative che incentivino l’emersione del ‘‘sommerso’’, è destinata sicuramente a ridurre notevolmente il numero degli infortuni, quasi sempre non denunciati e non tutelati, tranne che per i casi più gravi, per i quali diventa estremamente difficoltoso occultare l’evento.

Diventa scontato, a questo punto, ribadire anche per l’agricoltura, ma più in generale per l’intero mondo del lavoro, la centralità di un’efficace opera di prevenzione, che postula ovviamente la crescita progressiva di una cultura condivisa dalle istituzioni e dal mondo produttivo, ma esige ovviamente anche regole, strutture e organizzazione adeguata.

Da questo punto di vista, appare evidente anche all’osservatore più distaccato sia che è necessaria un’organica revisione normativa, anche per rendere effettiva ed adeguata al settore la sorveglianza sanitaria, sia che la dispersione delle attività tra enti ed istituzioni diverse non giova né all’esaustiva e completa conoscenza del fenomeno infortunistico, né all’efficacia ed alla funzionalità delle attività poste in essere per prevenirlo e contenerlo.

Organi dello Stato, Enti Locali, Servizio Sanitario Nazionale, Università, Inail, Ispesl, Enpaia, Forze di Polizia, Vigili del Fuoco, Enti Locali, associazioni dei lavoratori ed associazioni datoriali, Consorzio Nazionale Meccanizzazione Agricola, Isma, Unacoma, Enama, Ipsema, CNR, Imamoter, Associazioni e Fondazioni di vario genere (ma il panorama è talmente vario e complesso che non v’è certezza nemmeno su quali e quanti siano i soggetti, istituzionali e non, chiamati a svolgere funzioni pubbliche o parapubbliche nel settore) assolvono lodevolmente secondo possibilità, e spesso anche con fantasia ed apprezzabili tentativi di sinergia, i compiti assegnati o ricavati da una legislazione confusa e contraddittoria.

A testimonianza del disagio che probabilmente avvertono gli stessi protagonisti di tale inesplorato groviglio normativo ed istituzionale, si sprecano i protocolli d’intesa, le profferte di collaborazione, le analisi, gli studi, gli appelli, le iniziative nel tentativo di rivendicare il diritto e la necessità della propria presenza in un settore dominato dall’affollamento e dalla concorrenza.

Appare evidente però la necessità di immaginare, al fine di evitare sprechi di risorse umane e finanziarie, con l’aggravante di fastidiose e deleterie sovrapposizioni e duplicazioni di attività, un nuovo assetto istituzionale ed organizzativo del sistema di informazione e di prevenzione, costruito sulla professionalità e sulla specializzazione degli addetti, nel quale può esservi anche posto anche per una pluralità di soggetti, ma a condizione che quest’ultima venga contenuta in limiti accettabili e che compiti e funzioni siano chiaramente indicati, delimitati e coordinati.

E se alle esigenze di standardizzazione e di innovazione nella raccolta delle informazioni è possibile dare risposta con una rete di rilevazione più articolata e complessa, partendo dalle Banche Dati dell’INAIL e dall’Intesa sui flussi informativi siglata nel 2002 fra l’INAIL, l’ISPESL e le regioni, di più difficile soluzione si presenta all’ampio e necessario, ma ineludibile, confronto sociale, politico ed istituzionale, la razionalizzazione del sistema complessivo della prevenzione e della sicurezza del lavoro, con un coordinamento che assicuri da parte dei soggetti preposti alla sicurezza del lavoro quel minimo di uniformità nelle prescrizioni, richiesto con forza dalle aziende che operano in aree diverse del Paese.

Resta il dato, imprescindibile per chiunque voglia cimentarsi con concretezza in un’ipotesi di riforma del predetto sistema, che la materia rientra nel più ampio concetto di tutela della salute dei lavoratori e che quest’ultima, al pari di quella di tutti i cittadini, è per la normativa vigente, in virtù dei principi e degli obiettivi chiaramente espressi dalla legge n. 833/1978, compito fondamentale del Servizio Sanitario Nazionale, da assolvere non solo nei momenti della cura e della riabilitazione, ma anche e soprattutto (art. 2) mediante "la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro".

Ciò vale ancora di più per l’agricoltura, settore produttivo nel quale, sotto il profilo dei rischi, l’osmosi tra lavoro ed habitat è particolarmente evidente e dove tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori significa veramente tutelare, con la salvaguardia dell’ambiente e la vigilanza sulle origini della filiera alimentare, la salute di tutti i cittadini.

 

APPENDICE

 

– Tavole Statistiche

– Esemplificazione – a cura del gruppo di lavoro – di progetto formativo per imprese agricole con basso numero di addetti

– Alcuni dei documenti richiamati nel testo

In appendice alla relazione, in uno alle tabelle di dati alle quali si è fatto riferimento, vengono riportate una serie di tavole ritenute utili alla migliore comprensione del testo, che si è avvalso innanzi tutto di quanto emerge dalla documentazione agli atti della Commissione.

I dati esposti sono per la massima parte di fonte ISTAT e di fonte INAIL, quali si rilevano dalla sezione ‘‘Statistiche’’ del Rapporto Annuale INAIL 2004’’.

Vengono altresì allegati un progetto formativo specifico per l’agricoltura ed alcuni specifici documenti espressamente richiamati dalla relazione.

 

TAVOLE STATISTICHE

1. Dati ISTAT su popolazione ed occupazione ITALIA anno 2004;

2. Dati ISTAT su popolazione ed occupazione NORD-OVEST anno 2004;

3. Dati ISTAT su popolazione ed occupazione NORD-EST anno 2004;

4. Dati ISTAT su popolazione ed occupazione CENTRO anno 2004;

5. Dati ISTAT su popolazione ed occupazione SUD anno 2004;

6. Dati ISTAT su popolazione ed occupazione ISOLE anno 2004;

7. Infortuni sul lavoro avvenuti nel periodo 2002 – 2004 e denunciati all’INAIL distinti per anno, gestione e sesso;

8. Infortuni sul lavoro avvenuti nel periodo 2002 – 2004 e denunciati all’INAIL distinti per classe di età, gestione, anno e sesso;

9. Infortuni sul lavoro avvenuti nel periodo 2002–2004 e denunciati all’INAIL, distinti per provincia, regione, gestione ed anno;

10. Infortuni agricoltura anno 2004 distinti per regione e posizione professionale;

11. Infortuni agricoltura 2000 - 2004 distinti per anno e posizione nella professione;

12. Infortuni agricoltura anno 2004 indennizzati al 31.10.2005 distinti per regione e posizione professionale;

13. Infortuni agricoltura anno 2004 indennizzati al 31.10.2005 distinti per provincia e tipo di conseguenza;

14. Infortuni agricoltura anno 2004 indennizzati al 31.10.2005 distinti per forma di avvenimento e tipo di conseguenza;

15. Infortuni agricoltura anno 2004 indennizzati al 31.10.2005 distinti per gruppo di agente materiale e tipo di conseguenza;

16. Infortuni agricoltura anno 2004 indennizzati al 31.10.2005 distinti per natura della lesione e tipo di conseguenza;

17. Infortuni agricoltura anno 2004 indennizzati al 31.10.2005 distinti per sede della lesione e tipo di conseguenza;

18. Infortuni agricoltura anno 2004 indennizzati al 31.10.2005 distinti per classi di età e tipo di conseguenza;

19. Infortuni agricoltura anno 2004 indennizzati al 31.10.2005 distinti per lavorazione e tipo di conseguenza;

20. Infortuni mortali sul lavoro denunciati nel periodo 2000 - 2004 distinti per gestione, provincia, regione ed anno;

21. Infortuni in itinere avvenuti in agricoltura nel periodo 2002 – 2004 e denunciati all’INAIL per provincia, regione, gestione ed anno;

22. Infortuni sul lavoro ad extracomunitari avvenuti in agricoltura nel periodo 2002 – 2004 e denunciati all’INAIL per provincia, regione, gestione ed anno;

23. Malattie Professionali manifestatesi nel periodo 2002-2004 e denunciate all’INAIL in agricoltura distinte per tipo di malattia ed anno;

24. Malattie Professionali manifestatesi nel periodo 2002-2004 e denunciate all’INAIL in agricoltura distinte per provincia, regione ed anno;

25. Infortuni sul lavoro in agricoltura verificatisi nell’anno 2003 ed indennizzati a tutto il 30.4.2005, distinti per provincia, regione e tipo di conseguenza;

26. Infortuni in itinere verificatisi in agricoltura nell’anno 2003 ed indennizzati al 30.4.2005, distinti per provincia, regione e tipo di conseguenza;

27. Infortuni ad extracomunitari verificatisi in agricoltura nell’anno 2003 ed indennizzati al 30.4.2005, distinti per provincia, regione e tipo di conseguenza;

28. Infortuni verificatisi in agricoltura nell’anno 2003 ed indennizzati al 30.4.2005, distinti per tipo di luogo e tipo di conseguenza;

29. Idem per infortuni verificatisi nell’industria e nei servizi;

30. Infortuni verificatisi in agricoltura nell’anno 2003 ed indennizzati al 30.4.2005, distinti per tipo di lavoro e tipo di conseguenza;

31. Infortuni verificatisi in agricoltura nell’anno 2003 ed indennizzati al 30.4.2005, distinti per attività fisica specifica/agente materiale;

32. Infortuni verificatisi in agricoltura nell’anno 2003 ed indennizzati al 30.4.2005, distinti per deviazione/agente materiale;

33. Infortuni verificatisi in agricoltura nell’anno 2003 ed indennizzati al 30.4.2005, distinti per contatto /agente materiale;

34. Malattie Professionali manifestatesi nel periodo 2000-2004 ed indennizzate al 30.4.2005 dall’INAIL in agricoltura, distinte per tipo di malattia ed anno;

35. Malattie Professionali manifestatesi nel periodo 2000-2004 ed indennizzate dall’INAIL in agricoltura a tutto il 30.4.2005 distinte per Provincia, Regione ed anno;

36. Infortuni sul lavoro in agricoltura avvenuti nel periodo 2002–2004 ed indennizzati a tutto il 30.4.2005 distinti per anno, gestione e tipo di conseguenza;

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Fonte: Senato della Repubblica