Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
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SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni



Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»



Lunedì 1º marzo 2010

Audizioni svolte presso la Prefettura di Torino



Presidenza del presidente TOFANI

INDICE

Audizione di rappresentanti delle istituzioni locali e della magistratura
Audizione del vice questore di Torino e di rappresentanti delle forze dell’ordine e dei VVFF
Audizione di rappresentanti dell’INAIL, dell’INPS, dello SPRESAL e dell’ISPESL
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali


Audizione di rappresentanti delle istituzioni locali e della magistratura



Intervengono il prefetto di Torino, dottor Paolo Padoin, il collaboratore staff vice sindaco, signor Giovanni Rossetti, l’assessore al lavoro, dottor Carlo Chiama, l’assessore alla tutela della salute e sanità, dottoressa Eleonora Artesio, il presidente del tribunale di Torino, dottor Luciano Panzani, il procuratore aggiunto, dottor Raffaele Guariniello e l’avvocato generale della Repubblica, dottor Luigi Riccomagno.

PRESIDENTE
Rivolgo un saluto a tutti i presenti e ringrazio il signor prefetto per la disponibilità, che ci permette stamane di svolgere una serie di incontri con i soggetti istituzionali e con coloro che rappresentano il mondo sociale e organizzativo, al fine di approfondire le tematiche di cui si occupa la nostra Commissione. L’andamento degli infortuni sul lavoro, anche se il trend è in flessione, non ci può soddisfare per una serie di motivi, compreso il fatto che nel 2009 il numero di ore lavorate è stato molto inferiore a quello del 2008.
Un altro importante tema sul quale la Commissione si sta impegnando riguarda le malattie nei luoghi di lavoro, le cosiddette malattie professionali, onde evitare che si parli di talune patologie solo fra vent’anni (com’è accaduto nel caso dell’amianto, ad esempio), anziché cercare di affrontare il problema nei tempi dovuti. Su questo argomento stiamo incontrando delle grandi collaborazioni, ma anche delle grandi difficoltà.
Si tratta infatti di un tema che, per certi aspetti, fa apparire impreparate alcune istituzioni. In modo particolare, abbiamo avuto il piacere di ascoltare la scorsa settimana a Roma il procuratore generale di Firenze, il quale, con una disamina attenta e puntuale, ci ha fornito un quadro molto interessante.
Vorremmo avere una maggiore conoscenza – questa è la collaborazione che vi chiediamo – delle competenze dei soggetti che operano intorno a queste problematiche, a cominciare da chi, in caso di infortunio, effettua i rilievi e dal modo in cui questi vengono fatti. Cito il caso di un’indagine specifica relativa ai portalettere, nel corso della quale abbiamo avuto una serie di interlocuzioni con le varie procure, posto che in tale settore, in un anno, ci sono stati ben dodici morti; questo ci ha allarmato e abbiamo voluto approfondire la questione. Abbiamo rilevato, a detta anche dei soggetti interessati, che spesso l’infortunio che si verifica su mezzi di trasporto durante l’orario di lavoro (non parlo di infortuni in itinere) non viene attenzionato quanto agli aspetti relativi alla sicurezza del soggetto. Si tratta quindi di un argomento che riguarda i primi rilievi che vengono effettuati e sui quali poi il magistrato lavorerà. A tal riguardo sarebbe importante che vi fosse una maggiore specializzazione all’interno degli stessi tribunali, da parte sia di chi indaga, sia di chi è chiamato a giudicare su questa materia, attraverso l’individuazione di persone che seguano specificamente la problematica relativa agli infortuni e alle malattie professionali. Noi stiamo cercando la collaborazione di tutte le istituzioni.
Abbiamo scritto ai procuratori generali delle varie procure d’Italia e ai soggetti di riferimento delle forze dell’ordine e della polizia municipale per cercare di sensibilizzare quanto più possibile coloro che vengono chiamati ad effettuare i rilievi del caso, affinché questi particolari infortuni non vengano considerati solamente in base alle norme del codice stradale, ma si verifichi se sono state adottate tutte le necessarie tutele.
I Comuni non sono interessati direttamente – lo comprendiamo – ma vorremmo che vi fosse comunque un coinvolgimento delle amministrazioni locali. Basti pensare alle concessioni edilizie: disporre di una filiera in cui si attenziona l’intera l’attività di preparazione di un cantiere ai fini della sicurezza è cosa diversa dall’effettuare verifiche attraverso attività ispettive o conoscitive da parte dei soggetti preposti. Sappiamo che in tutte le prefetture si sono creati dei tavoli d’incontro, di organizzazione e di scambio; conosco bene il caso di Torino, dove sono venuto in una circostanza purtroppo molto drammatica, ovvero quando vi fu l’incidente alla ThyssenKrupp. La nuova normativa prevede specifiche competenze in capo alle Regioni. Io credo tuttavia che noi dovremmo attenzionare in misura ancora maggiore gli enti locali, perché questi hanno una visione più diretta e dettagliata del territorio.
Vi ringraziamo fin d’ora per le vostre considerazioni, per i vostri consigli, per le vostre riflessioni e – perché no? – anche per talune critiche che riterrete di dover muovere.

PADOIN
Signor Presidente, credo che Torino, sotto l’aspetto che lei ha illustrato, sia una delle sedi dalle quali potrete avere particolari ed approfondite indicazioni. Proprio qui sono in corso due processi molto importanti, che riguardano entrambi gli aspetti cui lei ha fatto riferimento: gli infortuni e le malattie sul lavoro. Mi riferisco al processo ThyssenKrupp e al processo Eternit; quest’ultimo coinvolge – il presidente del tribunale forse mi correggerà – circa 3.000 parti civili.
Ho cercato di migliorare l’eccellente collaborazione che già esisteva tra prefettura, Regione, Provincia, Comuni e tutte le istituzioni che si occupano di sicurezza. La prefettura, già da tre anni, ha istituito un comitato apposito che si occupa del problema degli infortuni sul lavoro. Tale comitato ha suddiviso la sua attività in otto sottogruppi, basandola soprattutto su tre aspetti fondamentali (prevenzione, informazione e formazione) ed indirizzandola al collegamento e alla collaborazione fra le parti sociali (tra i sindacati, le associazioni degli industriali e le varie associazioni datoriali già esisteva una buona collaborazione). Il comitato ha cercato di operare soprattutto in alcuni settori (mi riferisco all’agricoltura e all’edilzia) nei quali esistevano ed esistono particolari problemi per quanto riguarda l’infortunistica; quelli cui lei ha accennato, signor Presidente, sono i principali.
Per il futuro, abbiamo puntato su un coinvolgimento allargato del mondo della scuola. Abbiamo svolto dei corsi e dei concorsi di idee, con l’eccezionale adesione del mondo scolastico e dei ragazzi. Non più tardi di due mesi fa, abbiamo terminato un concorso di idee per il logo che doveva ispirare tutta l’attività delle istituzioni piemontesi per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro. È stato un risultato eccezionale; abbiamo organizzato una mostra di tutti i lavori presentati e, soprattutto, dalla viva voce degli studenti che avevano partecipato al concorso abbiamo ricevuto un segnale estremamente positivo di come gli insegnanti e gli altri operatori siano riusciti a rendere consapevoli questi ragazzi dell’importanza dell’informazione nell’affrontare tale problema e nel cercare le possibili soluzioni.
In Piemonte si ricordano due eventi particolari per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro. Il primo è l’incidente alla ThyssenKrupp, che purtroppo è stato ed è un simbolo tristemente famoso di determinate situazioni.
Il secondo è passato più sotto silenzio, non ci sono state cooptazioni a livello parlamentare di scampati al disastro e non ci sono stati interventi finanziari o riconoscimenti con assegnazione di medaglie. Mi riferisco all’incidente al Molino Cordero, che comunque ha registrato – è vero – un minor numero di decessi. Ripeto sempre che, pur essendo molto soddisfatti che il numero degli infortuni sul lavoro sia in calo da diversi anni a questa parte, continueremo a lottare e a batterci per la prevenzione, l’informazione e la formazione fin quando ci sarà anche un solo caso di infortunio sul lavoro. Personalmente vengo da due esperienze particolari, che ho considerato come infortuni sul lavoro, dal momento che i nostri ragazzi a scuola lavorano: sono stato a Campobasso subito dopo il terremoto ed il crollo della scuola nel quale sono morti ventisette bambini, a San Giuliano di Puglia; ricorderete poi il crollo del soffitto di un’aula del liceo «Darwin», qui a Rivoli, nel quale ha perso la vita un ragazzo.
Debbo dire che ci sono state una reazione ed un’attenzione particolarmente efficaci da parte di tutte le istituzioni, come sempre.
Come dicevo, abbiamo stipulato dei protocolli d’intesa specifici per l’edilizia e l’agricoltura. C’è poi un protocollo generale, di cui vi parlerà meglio l’assessore Artesio, posto che la Regione si sta occupando del coordinamento e dei controlli. Quest’ultimo aspetto è essenziale, soprattutto per eliminare la piaga del lavoro nero, che molto spesso è alla base degli infortuni. Cercheremo di realizzare una banca dati cui saranno collegate tutte le istituzioni che si occupano di controlli, in modo che vi sia una reciproca informazione sui cantieri che vengono aperti (facendo riferimento anche alle polizie municipali), nonché sulle ispezioni che vengono svolte e sui loro risultati, onde evitare duplicazioni di interventi. Un intervento coordinato di tutte le istituzioni che si occupano dei controlli è certamente molto più efficace e può fornire un indirizzo più preciso per quanto riguarda la regolarizzazione di determinati cantieri.
Voglio nuovamente sottolineare la collaborazione che esiste, anche al di là dei doveri istituzionali, tra tutte le istituzioni piemontesi. Il prefetto cercherà sempre di fare il massimo possibile, come ha già fatto a Padova, sei anni fa, con le stesse istituzioni (essendo Padova un capoluogo di Provincia, la Regione non partecipò ai lavori, ma lo fece in sede regionale). Anche in quel caso, prima ancora della modifica della normativa sulla sicurezza nei cantieri, noi raccogliemmo dal basso, cioè dagli operatori che quotidianamente stanno sui luoghi di lavoro, delle indicazioni utili che ci portarono a sottoscrivere un protocollo sulla sicurezza in agricoltura, nell’industria e nell’edilizia, il quale ha fornito utili indicazioni per quanto riguarda la modifica e il perfezionamento della normativa successiva.
Per quanto mi riguarda concludo qui il mio intervento. Se avete domande da porre sono a vostra disposizione per le risposte. Lascio inoltre alcuni documenti ad integrazione di quanto detto.

PANZANI
Signor Presidente, la ringrazio per l’invito che ci avete rivolto.
Sarò il portavoce di altri colleghi, come il presidente Casalbore, che presiede il processo Eternit e che volentieri avrebbe partecipato a questo incontro essendo, ovviamente, molto più informato di me. Oggi, però, era occupato con un’udienza. Inoltre, ho predisposto una relazione con alcuni dati statistici che lascerò alla Commissione.
Naturalmente il patrimonio di conoscenze sul fenomeno proviene dalla procura della Repubblica più che dal tribunale poiché la procura indaga e raccoglie notizie, che spesso non si traducono in procedimenti ma si chiudono con l’archiviazione. Talvolta, nei casi più semplici, accade che sia l’imprenditore ad adeguarsi spontaneamente eseguendo le opere di messa in sicurezza che i vari enti interessati richiedono. Da questo punto di vista bisogna segnalare che a Torino esiste una lunga tradizione di attività relative alle indagini sugli infortuni sul lavoro perché il collega Guariniello, che è attualmente procuratore aggiunto, aveva iniziato questo lavoro moltissimi anni fa quando ancora esisteva la pretura e la procura presso la pretura, la cosiddetta procurina. Questo patrimonio di conoscenze è stato trasmesso alla nuova procura al momento dell’unificazione dei due uffici (cioè della procura presso il tribunale e della procura presso la pretura) e ha consentito di creare un gruppo di lavoro veramente affiatato e importante. Mi risulta che la banca dati cui accennava il prefetto in parte sia già stata realizzata presso la procura, dunque esiste una base di partenza piuttosto importante.
In primo luogo, vi parlerò dei procedimenti per infortuni sul lavoro e malattie professionali in generale. In un secondo momento, mi soffermerò più specificamente sui procedimenti relativi all’amianto. Aggiungo che dovrò limitarmi a fornire i dati quantitativi del fenomeno senza entrare nel merito dei singoli processi: si tratterebbe di anticipazioni di giudizio e comunque rischierei di influire sui procedimenti in corso, cosa che il mio ruolo istituzionale non mi consente.
Una limitazione a questa indagine nasce dal sistema informatico del tribunale, il cosiddetto programma Re.ge. Il Piemonte è l’unica Regione in cui è già in funzione il cosiddetto Re.ge. relazionale, cioè una seconda versione del programma, che non contiene una voce specifica relativa agli infortuni sul lavoro. Per questo bisogna cercare i reati per lesioni o per omicidio colposo, cioè le due imputazioni normalmente contestate in questi casi. Dunque rimangono fuori dal dato statistico e dalla possibilità di ricerca proprio i casi più importanti, cioè quelli in cui è stato contestato l’articolo 437 del codice penale, la dolosa omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro (è il caso, per esempio, del processo Eternit).
In pratica, nel caso di contestazioni di questo tipo, il sistema informatico non risponde, quindi bisogna avvalersi di altri strumenti di ricerca e alcuni dati possono sfuggire.
Rimangono fuori dall’indagine statistica anche tutti i processi in cui l’infortunio o la malattia professionale ha una qualificazione giuridica diversa dall’omicidio colposo o dalle lesioni personali colpose, quindi anche le contestazioni di disastro colposo. Per esempio, quando ero presidente del tribunale di Alba, mi occupai di un processo per disastro colposo che si riferiva all’esondazione del Tanaro del 1994 che causò tre morti e diversi feriti. In quella occasione, evidentemente, non si trattò di infortunio sul lavoro perché il disastro colposo è un reato generico che può riferirsi ad un’amplissima serie di fattispecie. Per questo ci sono processi che possono sfuggire all’indagine statistica. Devo dire, però, che nel rispondere ai vostri quesiti siamo stati agevolati dal fatto di aver dovuto compiere un’indagine parzialmente analoga per rispondere ad una richiesta del CSM del dicembre 2009, relativa ai tempi di svolgimento dei processi in relazione al cosiddetto processo breve e quindi ai tempi di definizione dei giudizi.
Come dirò tra un momento, il processo breve inciderà sui processi per infortuni sul lavoro perché i tempi dell’istruttoria dibattimentale, soprattutto per processi di grandi dimensioni come quelli ThyssenKrupp ed Eternit, sono a stento compatibili con i tempi previsti dal citato provvedimento.
Tali processi nascono con un’istruttoria davanti al giudice dell’udienza preliminare che è necessariamente lunga e proseguono con un’istruttoria dibattimentale pesantissima. I tempi del processo ThyssenKrupp, per il quale la corte d’assise non si risparmia, sono indiscutibilmente lunghi.
Per quanto riguarda il processo Eternit, la cui prima udienza ha avuto luogo il 10 dicembre 2009, non è ancora terminata la fase delle questioni preliminari e si prevede una durata di altri due anni. Ora, se a questo lasso di tempo si aggiunge la fase dell’udienza preliminare si arriva ai tre anni previsti dal processo breve. La prima versione del disegno di legge, da questo punto di vista, anche se prevedeva un tempo ancor più breve, paradossalmente era più felice perché non comprendeva una serie di reati tra i quali proprio quelli al nostro esame. La seconda versione, invece, ci solleva il cuore per quel che riguarda le problematiche generali, perché possiamo tranquillamente dire che Torino per la maggior parte dei processi rispetterà i tempi previsti dal provvedimento dato che già li rispetta oggi, ma presenterà dei problemi proprio per quanto concerne situazioni particolarmente delicate.
Circa i dati numerici, i procedimenti per infortuni e malattie pervenuti a dibattimento sono stati 55 nel 2005, 64 nel 2006, 139 nel 2007, 142 nel 2008, 97 nel 2009; il dato di gennaio 2010 parla di 8 procedimenti più altri 42 non ancora registrati presso il tribunale in quanto ancora pendenti presso la procura della Repubblica che ha già fissato la data dell’udienza.
Ciò significa che il pubblico Ministero non ha ancora emesso materialmente il decreto che dispone il giudizio ma ha già richiesto al tribunale la data da inserire sul decreto; quindi sappiamo che a breve arriveranno altri 42 procedimenti.
Ai procedimenti in fase di dibattimento si devono aggiungere quelli pendenti davanti alla sezione GIP e GUP. Questi processi vanno in parte a citazione diretta, quindi arrivano direttamente a dibattimento, in parte passano attraverso l’udienza preliminare. Come risulta dai dati statistici, vi è un numero considerevole di procedimenti che si conclude davanti alla sezione GIP e GUP con provvedimenti di archiviazione (il numero maggiore), o con sentenze di proscioglimento. Il numero di procedimenti con ricorso ai riti alternativi, quindi patteggiamenti o rito abbreviato, è elevato. Prendendo come riferimento il periodo dal 2007 al gennaio 2010, la percentuale – relativa alle sole lesioni colpose – di procedimenti definiti con sentenza di applicazione della pena, cioè di patteggiamento, è stata pari al 38,67 per cento. In questo il dato è assolutamente in linea con il trend abituale del tribunale di Torino. Mediamente, infatti, più del 50 per cento di tutti i processi si definisce con ricorso ai cosiddetti riti abbreviati.
Questa è una caratteristica tipica del tribunale di Torino rispetto ad altre realtà italiane. In sostanza, la procura svolge un buon lavoro e riesce quindi a fornire elementi di prova sufficienti per convincere i difensori a consigliare il patteggiamento o il giudizio abbreviato all’imputato. A questo 38,67 per cento di patteggiamenti si aggiunge un 15 per cento di riti abbreviati e un 51 per cento di procedimenti conclusi con rito ordinario.
Le cifre sono diverse per l’omicidio colposo, un reato più grave. In questo caso il 91 per cento dei giudizi si conclude con rito ordinario e i patteggiamenti scendono al 2,78 per cento.
Per quanto riguarda l’esito del giudizio, i giudizi per lesioni colpose definiti con sentenza di condanna o di patteggiamento – cioè un’altra forma di condanna – sono stati il 64,5 per cento cioè 235 su 364, sempre nel periodo 2007-2010. Le pronunce di assoluzione o di non luogo a procedere sono state il 35,46 per cento. Le percentuali per gli omicidi colposi sono rispettivamente 50 per cento per le condanne e 50 per cento per le assoluzioni, cioè abbiamo 24 procedimenti conclusi con condanne e 24 con assoluzioni. Noterete comunque che i numeri assoluti relativi agli omicidi colposi sono decisamente inferiori a quelli relativi alle lesioni colpose.
Bisogna aggiungere, poi, che il dato relativo alle prescrizioni è assolutamente trascurabile: siamo nell’ordine del 5 per cento.
Per quanto riguarda la durata, la stragrande maggioranza dei processi viene definita con il deposito del provvedimento, e quindi con la motivazione della sentenza, in un tempo non superiore ad un anno dall’iscrizione della richiesta, sia che di tratti di un decreto del PM di citazione al giudizio, sia che si tratti del decreto del GUP di rinvio a giudizio per il dibattimento o della richiesta del PM di rinvio a giudizio per il GUP. L’82,5 per cento dei processi celebrati in dibattimento nella sede centrale del tribunale, il 68 per cento dei procedimenti celebrati in dibattimento nelle sedi distaccate (Torino ne ha quattro) e l’88 per cento dei processi definiti in udienza preliminare si esauriscono nel corso di un anno. Questo dato, come ho già detto prima ma è bene sottolinearlo, riguarda i processi normali, cioè quelli che pur essendo gravi comunque non raggiungono determinate dimensioni. Per i processi di grandi dimensioni, come quelli ThyssenKrupp o Eternit, il discorso è completamente diverso.
Comunque abbiamo dati elevati anche per i processi definiti entro sei mesi dalla richiesta. In tali dati è riportata l’indicazione della sede in cui si svolgono i processi. Alcuni hanno luogo presso le sedi distaccate del tribunale di Torino: Susa, Moncalieri, Ciriè e Chiasso; queste ultime due sono aree ad alta vocazione industriale, con grandi insediamenti industriali; si tratta di zone demograficamente in crescita perché la popolazione tende a lasciare il capoluogo e ad andare a vivere nella cosiddetta cintura. Il risultato è che non solo il numero di infortuni sul lavoro di competenza di queste due sezioni distaccate è elevato ma vi si tengono anche processi particolarmente importanti, come quello Pirelli per l’amianto, di cui parlerò in un secondo momento.
Le sezioni distaccate, in generale, sono più lente della sede centrale per una banale motivazione di organico; servono complessivamente un bacino di 600.000 abitanti, mentre la sede centrale serve un po’ più di 1 milione di abitanti. Sui 162 giudici del tribunale di Torino, 9 si occupano delle sezioni distaccate. Ancorché tutta una serie di competenze siano centralizzate, io sto portando avanti un discorso con i Sindaci per convincerli a lasciarmi trasferire ulteriori competenze al centro (perché siamo più efficienti e veloci), lasciando competenze più specifiche, come le amministrazioni di sostegno, sul territorio, dove serve che ci sia un presidio locale.
Ciò non di meno, il carico di lavoro nel penale per singolo giudice è circa il doppio per la sezione distaccata rispetto alla sede centrale. Il risultato, ovviamente, è rappresentato da tempi più lunghi. A questo si aggiunge la carenza di organico per quanto riguarda il personale amministrativo.
Se c’è un settore dove è particolarmente vero che il giudice da solo non può far nulla e deve invece operare in team con il personale (cancellieri e funzionari), questo è proprio il settore degli infortuni sul lavoro.
Quindi, sebbene gli organici siano tutti sottodimensionati, nel caso delle sezioni distaccate il problema è più acuto ed io non ho poteri per spostare il personale del centro alle sedi distaccate. Qui si dovrebbe aprire un lungo discorso sul conflitto tra le richieste di managerialità da parte dei capi degli uffici e i vincoli che riceviamo sia dal Ministero della giustizia, sia dal Consiglio superiore della magistratura, che qualche volta ci spiegano anche dove mettere la virgola nella frase.
Tornando ai temi in esame, vorrei parlare brevemente del processo ThyssenKrupp, che non riguarda specificamente la questione dell’amianto (di cui parlerò più avanti), ma si riferisce ad un infortunio nel suo senso classico. La vicenda è ben nota: si tratta di un processo nei confronti di sei imputati, che sono chiamati a rispondere di omicidio volontario per la morte di sette operai della linea 5 dello stabilimento torinese della ThyssenKrupp, i quali morirono a seguito dell’incendio del 6 dicembre 2007. Il processo si caratterizza per il fatto che per la prima volta in un caso di infortunio sul lavoro è stato contestato il reato di omicidio volontario, sia pure sotto il profilo del dolo eventuale. Il processo, di conseguenza, è di competenza della seconda corte d’assise del tribunale, presidente la dottoressa Iannibelli e giudice a latere la dottoressa Dezani, dopo il rinvio a giudizio che è stato disposto dal presidente della sezione GIP e GUP, il dottor Gianfrotta. Il procedimento è stato caratterizzato dalla rapidità della conclusione delle indagini, se si pensa che i fatti risalgono al dicembre 2007 e che il dibattimento ha avuto inizio il 15 gennaio 2009. Al 31 dicembre 2009 erano già state svolte 45 udienze; altre 14 udienze sono già state fissate e, in parte, si sono svolte entro il marzo di quest’anno. Vi sono state poi alcune vicende specifiche, delle quali avrete avuto qualche notizia dagli organi di stampa, che hanno complicato l’istruttoria dibattimentale, con l’esigenza di sentire alcuni testi. Probabilmente i tempi del giudizio si allungheranno ancora. Il forte impatto mediatico della vicenda ha posto la necessità di ampliare gli spazi dedicati alla celebrazione del processo. Il tribunale di Torino è nuovo; si tratta di un palazzo che è stato inaugurato non molti anni fa e che quindi dispone delle cosiddette maxiaule, in grado di accogliere grandi processi. In questo caso, è stato necessario utilizzare due maxiaule; la maxiaula 1, in cui siede la corte d’assise, è stata collegata via video e audio con l’attigua maxiaula 2, permettendo di assistere alle udienze, oltre alle parti offese e ai parenti delle vittime, anche ai giornalisti e ai cineoperatori accreditati. Il dottor Guariniello comunque sarà assai più preciso di me sui casi ThyssenKrupp ed Eternit.
Sottolineo che l’enorme quantità degli atti del procedimento ha indotto il tribunale a chiedere alla Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia di poter utilizzare, per la prima volta, il sistema informatico SIDIP (Sistema informativo dibattimento penale), il quale, attraverso un portale dedicato, permette di gestire informaticamente il fascicolo dibattimentale e il verbale di udienza, l’acquisizione e la catalogazione dei documenti cartacei utilizzati nel corso del dibattimento, l’archivio delle registrazioni audio-video-testo delle udienze, l’accesso, anche tramite un motore di ricerca, ai documenti del processo, nonché il rilascio delle copie sia cartacee che in formato digitale.
Sostanzialmente, si arriva all’informatizzazione dell’intero fascicolo del processo. Questo ovviamente è un obiettivo che vorrebbe essere realizzato non soltanto per questi processi (è stato utilizzato anche per il processo Eternit, come dirò tra poco); è comunque già un fatto positivo che si sia riusciti a partire con questa vicenda.
Tratterò ora per sommi capi i processi in materia di amianto. Il taglio del mio intervento, come ho detto, riguarda i numeri e i dati, non il merito dei giudizi. Dico subito che il sistema informatico del tribunale non consente di evidenziare i procedimenti per malattia professionale causata da esposizione del lavoratore ad amianto. Essendo il sistema informatico legato al titolo di reato, non sappiamo cosa vi sia sotto. È stato però possibile, grazie alla collaborazione della procura, individuare i processi attualmente pendenti presso il tribunale, sia in fase di udienza preliminare che di dibattimento. I procedimenti attualmente pendenti sono tre in fase di udienza preliminare e sei in fase di dibattimento di primo grado (fornisco questo dato con qualche cautela, perché potrebbe esserne sfuggito qualcuno).
Tra questi sei, al primo posto in ordine di importanza vi è sicuramente il processo Eternit. Mi soffermo molto brevemente sull’oggetto del processo; essendo questo ben noto, è inutile ripetere dati che sono stati abbondantemente diffusi dalla stampa. Sono imputati due responsabili della multinazionale, accusati delle morti legate alla lavorazione dell’amianto nelle quattro sedi italiane di Eternit; il procedimento, di conseguenza, non riguarda soltanto il territorio che sarebbe di competenza del tribunale di Torino. I capi di imputazione principali sono: disastro ambientale doloso ed inosservanza volontaria delle norme sulla sicurezza. In questo, come in altri procedimenti, la procura di Torino ha contestato la violazione dell’articolo 437 del codice penale, cioè l’omissione dolosa di cautele antinfortunistiche, reato che a tutt’oggi in Italia non è così frequentemente contestato. Tale reato si verifica quando il datore di lavoro ometta di attuare misure di sicurezza e di igiene prescritte dagli organi di vigilanza ovvero indicate in documenti aziendali. Tali documenti possono essere: il documento di valutazione dei rischi, il piano di sicurezza (nei cantieri edili), il piano dei lavori per la rimozione dell’amianto e i documenti elaborati dalle industrie ad alto rischio. Il processo di svolge davanti alla prima sezione del tribunale, presieduta dal dottor Casalbore, mentre nella fase dell’udienza preliminare il GUP è stato la dottoressa Palmesino. Un processo di queste dimensioni crea tutta una serie di contraccolpi sull’organizzazione dell’ufficio. La prima sezione penale ha avuto necessità di sostegni dal punto di vista organizzativo, sia per poter far fronte agli altri processi (si registra, già in questo momento, un significativo allungamento dei tempi di definizione dei procedimenti ordinari), sia dal punto di vista dei supporti materiali. In questo processo si sono costituite 6.392 parti civili, un numero enorme. A quanto ne so, un maggior numero di parti civili costituite c’è stato soltanto a Milano, nel processo per aggiotaggio a carico di Calisto Tanzi ed altri per la vicenda Parmalat, dove mi sembra, secondo notizie di stampa, che le parti civili siano arrivate a 40.000. In quel caso tuttavia il tribunale, sempre secondo notizie di stampa, ha poi ritenuto di non poter pronunciare su queste domande proprio perché le dimensioni lo impedivano. C’è un contrasto di fondo tra la richiesta di risarcimento dei danni – quindi il processo civile che si trasferisce in sede penale – e l’esigenza fondamentale e principale di pronunciare sul reato. Quando il numero dei danneggiati supera determinate dimensioni – tengo a sottolineare questo aspetto – si crea un problema al quale sarà necessario prima o poi dare una soluzione di carattere legislativo. Il processo penale non può sopportare che il numero delle parti superi determinate dimensioni, perché la struttura diventa difficilmente gestibile dal punto di vista materiale. Parlando a titolo personale, credo che in questi casi sarebbe più ragionevole prevedere che l’azione civile si svolga davanti al giudice civile, con formula analoga a quella della class action che è stata attualmente varata. A questo proposito, apro una brevissima parentesi: il 22 aprile si svolgerà a Torino la prima udienza di un giudizio di class action, in una causa contro una banca per questioni che riguardano le clausole del contratto di conto corrente. Vedremo se i tempi di svolgimento e di definizione di questo giudizio rientreranno nella norma. Io credo comunque che il modello per l’azione di danni nel processo penale, quando esso supera determinate dimensioni, debba essere questo: l’azione di danni deve in qualche modo essere messa tra parentesi oppure si devono trovare dei meccanismi per obbligare i danneggiati a nominare una sorta di rappresentante comune, che agisca in modo unitario. Diversamente, si creano dei problemi pressoché insormontabili.
I problemi organizzativi del processo Eternit sono stati affrontati e, fino ad oggi, risolti con successo anche grazie alla collaborazione degli enti locali. Tengo a ringraziare in modo particolare sia il presidente della Provincia Saitta sia il sindaco di Torino Chiamparino, perché entrambe le istituzioni ci hanno dato un grande aiuto. Il numero elevatissimo delle parti ha reso necessario utilizzare, oltre alle due maxiaule (una in cui sedeva il tribunale e l’altra in cui venivano avviate le parti civili), anche l’aula magna del tribunale della corte d’appello, che ha una capienza di 600 posti. La provincia di Torino ha inoltre messo a disposizione il suo auditorium, in un palazzo che si trova a circa 500 metri, dove è stato fatto affluire il pubblico. Tutti questi locali sono stati collegati tra di loro via audio-video; è stato così possibile gestire e dirigere in maniera adeguata il flusso di pubblico, nonché quello di giornalisti, cineoperatori e quant’altri, che venivano anche dall’estero (una parte dei danneggiati, vittime o familiari, risiede infatti in Francia); c’è stato quindi un flusso rilevante di persone. Il Sindaco di Torino ha inoltre messo a nostra disposizione del personale per compiti di carattere esecutivo. Inizialmente, ad esempio, sembrava problematico riuscire a consegnare alla difesa le copie di tutte le costituzioni di parte civile (più di 6.000) in tempi ragionevoli; con l’aiuto del Comune ci si è riusciti. Si è trattato di uno sforzo davvero enorme. È stato necessario, per la prima udienza, l’impiego di più di 60 unità di personale tra cancellieri, operatori ed esperti informatici e l’udienza è stata preceduta da riunioni coordinate dalla procura generale per organizzare tutto l’assetto di ordine pubblico. A questo proposito, vorrei ringraziare il prefetto che è intervenuto personalmente perché la procura generale poteva svolgere questa funzione soltanto all’interno del palazzo di giustizia, ma in realtà è stata coinvolta una parte della città persino deviando il traffico in alcune strade vicine. Naturalmente il processo è appena iniziato ma al momento si può dire che sia andato tutto bene proprio grazie a queste iniziative, compresa quella della Provincia, che però non ho ancora avuto modo di visionare, che ha assicurato la ripresa delle udienze in streaming su Internet per consentire ai familiari e ai congiunti prossimi delle vittime di seguire il processo senza la necessità di recarsi fisicamente in aula.
Tra gli altri processi di rilievo vi è il cosiddetto processo Philips che pende davanti al giudice Pironti. Si tratta di un procedimento monocratico in cui sono imputati i vari direttori succedutisi alla Philips, Philips Spa, Philips lighting e Dottor Fischer Srl, dello stabilimento sito in Alpignano che produceva lampadine e tubi fluorescenti, cui sono stati contestati gli articoli 589 e 590 del codice penale per aver causato lesioni e morti per neoplasie conseguenti all’esposizione ad amianto. Il processo vede costituite 29 parti civili ed è attualmente in corso.
Un altro procedimento che pende sempre in sede monocratica davanti ad un altro giudice della prima sezione penale del tribunale, il dottor Perelli, è a carico del titolare della ditta Devalle di Torino, cui è stato contestato l’articolo 589 per aver cagionato la morte per mesotelioma pleurico di un lavoratore dipendente con mansioni di saldatore. Anche in questo caso il problema era l’esposizione all’amianto e si sono costituite tre parti civili.
Un processo che ha creato grossi problemi organizzativi e di notevole rilevanza sociale, anche se assolutamente non comparabili al processo Eternit, è il giudizio di competenza della sezione distaccata di Chivasso sugli stabilimenti Pirelli. In questo caso è stato necessario, con qualche protesta da parte degli avvocati, disporre, ai sensi dell’articolo 48-quinquies dell’ordinamento giudiziario, il trasferimento del luogo in cui il processo avrebbe dovuto svolgersi. La sede distaccata di Chivasso, infatti, non è assolutamente idonea allo scopo perché ha un’aula per le udienze piuttosto piccola, il cui accesso si trova nel parcheggio del palazzo e forse non è neanche in regola con le norme antinfortunistiche. È stato necessario spostare il processo al palazzo di giustizia, ovviamente davanti allo stesso giudice che l’avrebbe svolto a Chivasso. Le contestazioni sulle imputazioni sono quelle consuete, gli imputati sono 18, i lavoratori deceduti o affetti da patologie sono 39 e le parti civili si sono ridotte perché molte hanno ottenuto di uscire dal processo ricevendo una somma di denaro; quelle rimaste sono 61. Mi è stato riferito che si tratta di un’istruttoria assai complessa perché riguarda quattro diversi ambienti lavorativi, cioè quattro tipi di impianti nei quali si è esposti a quattro diverse sostanze: amianto, amine aromatiche, talco e IPA (idrocarburi policiclici aromatici).
Si sono manifestate cinque differenti patologie: tumore polmonare, mesotelioma pleurico, tumore vescicale, asbestosi e tumore alla laringe. Il periodo di esposizione considerato va dal 1963 al 1996, quindi si tratta di una vicenda complessa.
Il processo si trova nella fase degli atti introduttivi, dunque è appena iniziato, e per la prossima udienza è prevista ancora la proposizione di offerte reali, quindi è ancora possibile che altre parti civili escano dal processo.
Va sottolineato che la transazione non è un fatto negativo, anzi è un fatto da guardare con favore perché consente ad alcuni di chiudere la vicenda ed evitare i tempi del giudizio, la sentenza di primo grado, l’appello e la Cassazione, con tutti i conseguenti rischi di carattere processuale.
Inoltre, se malauguratamente si dovesse arrivare ad una sentenza di prescrizione non è detto che non vi sia poi un seguito in sede civile. Naturalmente è necessario valutare l’entità di questi risarcimenti, ma il fatto che il numero delle parti civili si riduca e che si ritardi di qualche tempo l’inizio effettivo della trattazione del processo è da guardare con favore perché significa che l’esercizio dell’azione penale sta comunque raggiungendo un risultato positivo.
Un ulteriore processo, sempre relativo all’esposizione da amianto, si riferisce ad un periodo lavorativo che va dal 1968 al 1977 e pende davanti alla quinta sezione penale del tribunale nei confronti di tale Biocci Francesco.
Per questo processo è stata già fissata l’udienza di discussione e decisione. Anche in questo caso il decreto che dispone il giudizio è dell’ottobre 2009 e la prima udienza di discussione e decisione è fissata per giugno 2010. Questo dimostra che i tempi sono contenuti.
Resto a disposizione per ulteriori chiarimenti e vi lascio il testo predisposto con i relativi allegati che contengono un certo numero di dati statistici che possono essere di qualche utilità. Ripeto, peraltro, che questa mia relazione è assolutamente ancillare e meno completa rispetto a quella del collega Guariniello, il quale è sicuramente molto più informato di me.

ARTESIO
Signor Presidente, sono l’assessore alla salute e alla sanità della Regione Piemonte e sono qui in rappresentanza della presidente Bresso. Riprenderò alcuni aspetti organizzativi con i quali l’amministrazione regionale ha provveduto a riordinare il proprio stile d’intervento ai sensi della nuova legislazione e in modo particolare del decreto legislativo n. 81 del 2008. Mi riferisco in modo specifico alla costituzione del comitato di coordinamento regionale quale luogo di relazione e di accordo interistituzionale sia rispetto alle attività delle amministrazioni pubbliche che alla funzione di coordinamento per l’attività di ispezione e di controllo di tutti gli enti deputati alla funzione di vigilanza.
Il comitato regionale di coordinamento ha provveduto alla definizione di una prima metodica di rilevazione il più possibile omogenea e condivisa da parte dei soggetti deputati alla vigilanza che consiste nella redazione delle mappe di rischio, in modo da fotografare le condizioni delle attività produttive a seconda della loro tipologia prevalente e relativamente ai tipi di esposizione, al rischio di infortunio e di malattia professionale.
Il comitato regionale di coordinamento si è trovato ad affrontare il raggiungimento dell’obiettivo assegnato dalla legislazione regionale sull’attività di ispezione e di controllo del 5 per cento delle attività produttive presenti sul territorio. Questa responsabilità è stata avvertita prima di tutto dagli uffici e dalle strutture tecniche deputate alle attività di vigilanza nei luoghi di lavoro e nei luoghi di vita. Per questo motivo è in atto un coordinamento interregionale che sta confrontando i dati raccolti dai diversi livelli regionali in ordine all’obiettivo prescritto.
Per inciso, desidero sottolineare una questione di rilevanza tecnica ma che ha notevoli implicazioni anche dal punto di vista della rappresentazione del lavoro effettivamente svolto: le metodiche di sorveglianza e di controllo realizzate all’interno degli ambienti di lavoro sono molto differenti a seconda delle strutture di vigilanza che le attuano e degli indirizzi regionali, altrimenti non si spiegherebbero disparità così significative rispetto all’attività di ispezione dichiarata da Regione a Regione e da ufficio ad ufficio. Soltanto in un caso relativo al comparto edile si è arrivati a definire un protocollo condiviso che permette – parlo degli uffici regionali e dei servizi SPRESAL – di confrontare l’attività di vigilanza su un terreno omogeneo rispetto alla redazione di una scheda comune sulle osservazioni realizzate.
La complessità dei percorsi produttivi con diversi livelli di approfondimento, relativi non solo all’analisi della documentazione ma all’attività del sopralluogo o ripetuto sopralluogo, più che un dato quantitativo è un dato di carattere qualitativo. Diverse ispezioni nello stesso contesto, se riportate in maniera diversa, faranno apparire l’attività di un servizio o di una Regione in maniera difforme da quella di corrispondenti servizi e di altre Regioni. Quindi il primo problema è come raggiungere e come monitorare a livello nazionale, politico e tecnico, l’obiettivo dei livelli essenziali di prevenzione relativi all’attività di ispezione e di controllo.
Analogamente, sempre all’interno del comitato di coordinamento regionale, si è arrivati ad approvare dei livelli di protocollo tra enti differenti; penso in modo particolare a quello attivato insieme all’INAIL sui controlli nei cantieri edili che, come il Presidente della Commissione ricordava, non riguarda soltanto colui che ha in capo la responsabilità dell’effettuazione dei lavori, ma tutta la filiera dei soggetti che ricevono affidamenti in subappalto. Quindi, c’è anche l’attività di iscrizione dei lavoratori e dei lavoratori stagionali, in modo particolare derivanti dai flussi migratori. Il comitato di coordinamento, in questo momento, sta agendo secondo la scadenza definita dalla legge e si connette all’attività che di volta in volta si realizza in prefettura, sia di carattere informativo che di coordinamento.
Rispetto al tema specifico per il quale siamo stati convocati, vale a dire i rischi dell’esposizione ad amianto, ci troviamo in una situazione particolarmente sensibile non solo per lo svolgimento delle attività processuali ma per la significativa presenza sul territorio regionale di attività produttive che all’epoca avevano ampiamente utilizzato materiali di amianto. La Regione aveva quindi provveduto, fin dal 2001, a redigere un piano regionale sull’amianto, i cui obiettivi sostanzialmente erano i seguenti: la realizzazione di un censimento di carattere ambientale per la rilevazione del minerale in natura, la realizzazione di un censimento delle attività produttive e l’organizzazione dei dati relativi al registro degli esposti. Questo dato legislativo regionale è stato recentemente aggiornato con l’adozione della legge regionale n. 30 del 2008, decisione assunta dal consiglio regionale. Tale legge, all’articolo 7, attribuisce alla giunta regionale la responsabilità di redigere un piano regionale di protezione, decontaminazione, smaltimento e bonifica dell’ambiente, ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall’amianto. Lascio agli atti della Commissione una copia del piano regionale adottato. Esso si basa, sostanzialmente, su tre temi prevalenti. Anzitutto l’assessorato all’ambiente è il soggetto referente per l’attività di smaltimento e di bonifica. Un primo dato è relativo all’attività di sorveglianza rispetto all’adesione degli ambiti territoriali delle amministrazioni comunali e degli ambiti produttivi per quanto concerne la rimozione o l’isolamento delle fibre. L’elemento più significativo non riguarda tanto la possibilità di monitorare i luoghi dove c’è una responsabilità definita e una concentrazione rilevata (quindi i luoghi pubblici e i luoghi sede di attività produttive), quanto piuttosto la possibilità di monitorare i comportamenti soggettivi, anche attraverso pratiche di incentivazione alla rimozione. Infatti, in contesti come quello di Casale Monferrato, i materiali sono stati utilizzati nel tempo per situazioni di carattere comune, come lastricare il viale davanti casa o realizzare le coperture degli orti urbani.
L’adesione dei singoli cittadini ad un principio di autotutela e di tutela della comunità è evidentemente un dato più complesso e capillare di quanto non siano le attività di monitoraggio in ordine alle strutture pubbliche o private collettive.
Il secondo tema riguarda le imprese che svolgono attività di trattamento e di bonifica, le quali, a loro volta, non hanno soltanto vincoli in ordine all’individuazione dei luoghi di smaltimento e alle metodiche, ma anche in ordine alla tutela dei lavoratori adibiti, che in questo momento sono probabilmente i soggetti più esposti ai rischi da amianto.
Da ultimo, vi è la gestione dell’attività di monitoraggio e di sorveglianza degli esposti. Nella situazione alessandrina e di Casale Monferrato, in particolare, la questione non è soltanto relativa all’esposizione dei lavoratori, ma anche all’esposizione secondaria dei familiari e all’esposizione della comunità ai rischi ambientali. Oggi i dati contenuti nel registro dei lavoratori esposti all’amianto sono più elevati rispetto al numero di imprese che quando fu emanata la legislazione autosegnalarono di aver trattato materiali contenenti amianto ai fini dei benefici conseguenti sui lavoratori stessi. É noto che c’è una differenza tra l’autosegnalazione delle imprese, che pure beneficiavano di particolari risarcimenti, e quello che poi i lavoratori nel tempo hanno fatto emergere attraverso le cause individuali. Un aspetto concerne pertanto la definizione di un registro che contenga o solo i lavoratori o anche la popolazione esposta; per questo secondo dato, è necessario comprendere che tipo di praticabilità può avere, ai fini del riconoscimento di una condizione di malattia e dei possibili risarcimenti, la tenuta di un registro che non riguardi soltanto i lavoratori diretti, ma la popolazione nel suo complesso. Tale aspetto riguarda l’organizzazione dei dati e l’eventuale messa a disposizione degli stessi per future conseguenze di negoziazione, anche in sede giuridica.
Ciò che a noi preme dal punto di vista della sorveglianza sanitaria è, invece, l’attività di monitoraggio dell’andamento delle condizioni di salute dei lavoratori esposti e, quindi, degli elementi relativi alla possibile insorgenza della condizione di mesotelioma, in tutte le sedi e non soltanto di mesotelioma pleurico, che pure è la patologia di tipo prevalente. Oggi siamo in una situazione in cui la popolazione locale chiede di poter essere sorvegliata nel corso della vita, anche quando la situazione è asintomatica, in una modalità che si reputa essere predittiva. Al riguardo vi è una discussione molto accesa rispetto all’essere sottoposti o meno a screening che abbiano determinate caratteristiche di efficacia (i medici conoscono bene questo dibattito). Allo stato attuale, con l’istituzione della banca biologica del mesotelioma maligno, abbiamo a disposizione uno strumento relativo non solo all’ambito della ricerca, ma anche a quello della conservazione dei dati. Questo è il contenuto del nostro piano regionale. Ovviamente i temi relativi all’attività dei nostri servizi si intrecciano anche con alcuni aspetti della parte processuale, perché la collaborazione dei nostri ispettori corrisponde alle richieste che la procura ci avanza.
Concludo dicendo che, se questa è la responsabilità legislativa per quanto compete alla Regione, nella stessa determinazione del consiglio regionale è stata approvata la costituzione del Centro regionale amianto, che ha sede a Casale Monferrato. Non si tratta più di una funzione di carattere legislativo, ma dello svolgimento di vere e proprie attività di gestione e di intervento diretto, in capo all’azienda sanitaria di Alessandria (che ha competenza anche sull’ambito territoriale di Casale Monferrato). Ne cito alcune. La prima, in supporto all’amministrazione comunale, riguarda le questioni relative alla bonifica dei siti, in particolar modo – come dicevo in apertura – di quelli di natura civile privata. La seconda riguarda l’informazione alla popolazione, per quanto concerne l’adesione a comportamenti volti alla rimozione dell’impiego di amianto. La terza è relativa all’attività di cooperazione con la competenza sanitaria, ai fini di garantire la continuità assistenziale ai malati già affetti da mesotelioma; si tratta di instaurare relazioni tra le strutture oncologiche dell’azienda sanitaria alessandrina e le altre strutture oncologiche della rete, al fine di avere il massimo di opportunità in ordine alla tematica della cura (una questione che forse qui può apparire non rilevante, ma lo è molto nel contesto locale).
Vi sono poi le iniziative di supporto psicologico nei confronti dei familiari e di una comunità che si sente esposta ad un pericolo imminente, e che quindi vive una dimensione comunitaria di particolare tensione. Infine, vi sono le attività relative alla normale e ordinaria funzione dei servizi SPRESAL, per quanto riguarda le attività di bonifica e la sorveglianza sull’attività di bonifica e di smaltimento. Lascio comunque alla Commissione una copia del piano regionale.

CHIAMA
Signor Presidente, mi sia consentito in premessa di esprimere una considerazione positiva, visto che si è parlato diffusamente del processo ThyssenKrupp. Proprio venerdì scorso, grazie al pressing comune di tutte le istituzioni (Governo ed enti locali), si è ottenuta dall’azienda la proroga della cassa integrazione. Pertanto, gli ultimi venticinque lavoratori che non sono stati ricollocati beneficeranno della cassa integrazione in deroga fino alla fine del 2010; nel frattempo, verranno presi in carico dagli uffici della Provincia per un tentativo di ricollocazione e di implementazione delle competenze.
Relativamente alla questione dell’amianto, la Provincia di Torino già dal 1997 aveva avviato, in collaborazione con il Politecnico di Torino, un monitoraggio della presenza di amianto su tutti gli edifici di propria competenza; successivamente sono state avviate una serie di bonifiche. Allo stato attuale (l’ultima relazione è del gennaio 2010), non ci sono pericoli di contaminazione da amianto per il personale che lavora nell’ente o per le persone che affluiscono nei centri di competenza. Su questo aspetto – se può essere utile – posso depositare una relazione.
La Provincia non ha competenze specifiche, come nel caso della Regione, che è stato citato poc’anzi. Vorrei tuttavia svolgere due considerazioni.
In primo luogo, la Provincia è ovviamente a disposizione, a supporto del sistema istituzionale, per fornire tutta l’assistenza necessaria qualora vi siano da gestire eventi particolari, com’è avvenuto nei confronti del tribunale in occasione delle prime udienze del processo Eternit. Più in generale, relativamente al tema della sicurezza e degli infortuni sul lavoro, è fondamentale l’aspetto (presente nella normativa) della comunicazione obbligatoria dell’avviamento dei rapporti di lavoro ai centri per l’impiego e alla banca dati dell’INPS. Ricordiamo tutti, infatti, i casi di infortuni o di decessi sul lavoro di persone che erano state assunte il giorno precedente e che quindi non erano ancora state registrate. Questo è un elemento assolutamente fondamentale. Inoltre, come considerazione generale, ritengo che il fatto che l’avvio dei rapporti di lavoro sia mediato attraverso soggetti pubblici o privati (o comunque attraverso soggetti allo scopo dedicati) rappresenti un elemento importante per garantire una condizione di lavoro migliore, con tutte le conseguenze relative all’aspetto della sicurezza.
Per questo stiamo cercando di sviluppare un rapporto positivo sia con i soggetti privati di intermediazione del lavoro, sia con gli enti bilaterali, al fine di tessere una rete di soggetti che sia complessivamente più efficace.
Altro compito specifico della Provincia è quello relativo alla formazione professionale, sempre in attuazione degli indirizzi regionali; nell’ambito della direttiva sulla formazione continua, in parte finanziamo corsi sulla sicurezza del lavoro e corsi per i responsabili del servizio di prevenzione e protezione, in parte riconosciamo i corsi che vengono svolti autonomamente. Faccio notare che per il momento, nell’ambito della formazione professionale, c’è certezza di risorse fino al 2011, grazie anche ad un atto recentemente approvato dalla Regione, relativo alla reiterazione dei corsi già avviati. Poiché una parte delle risorse del fondo sociale europeo è stata destinata agli ammortizzatori in deroga, dal 2011 al 2013 (cioè nella fase finale della programmazione del fondo sociale europeo) non c’è certezza di risorse sul sistema della formazione professionale, laddove sarebbe importante averla fino alla fine della programmazione.
Ricordo infine che come Provincia di Torino, insieme alla Regione e ai Comuni di Corio e di Lanzo Torinese, siamo soci della RSA di Balangero, la società che gestisce il sito della cava di amianto di Balangero e che ha il compito specifico di procedere alla bonifica. Si tratta di una delle bonifiche più rilevanti del panorama nazionale, in valore assoluto e per dimensione. Attualmente non sono più assessore alle partecipate e quindi non ho più seguito lo stato di avanzamento del progetto; esso comunque prevede di mantenere in sicurezza il sito e di trasformarlo in un luogo dedicato allo sviluppo delle energie rinnovabili.
Infine, visto che è stata ricordata la carenza del personale in organico, vorrei sottolineare che la Regione Piemonte ha stretto un accordo con il tribunale di Torino per la fornitura di personale di supporto, al fine di garantire un migliore funzionamento degli uffici: in particolare, è previsto l’impiego di lavoratori in mobilità, che vengono messi a disposizione del tribunale per il periodo che li separa dalla quiescenza, con un’integrazione al reddito cui provvede direttamente la Regione.

ROSSETTI
Signor Presidente, collaboro con la giunta del Comune di Torino e con il vice sindaco soprattutto per quanto riguarda quei progetti «trasversali», rispetto ai quali si pone l’esigenza di ricondurre ad una sintesi le tante competenze del Comune.
Come già detto dall’assessore Chiama, il Comune di Torino è innanzitutto un datore di lavoro, anzi credo che sia il più grande della Provincia, con un personale di oltre 20.000 unità, tra dipendenti diretti e di aziende controllate. In quanto tale, esso è chiamato a svolgere dei compiti stringenti anche in ambiti per i quali non si immagina neppure possa esistere un collegamento con il problema dell’esposizione all’amianto quali, ad esempio, quello dei trasporti pubblici e, in particolare, delle officine dei trasporti pubblici. A questo proposito vorrei ricordare che quest’anno ci sarà un’emorragia di circa 100 manutentori del Gruppo Torinese Trasporti (GTT), che andranno in pensione anticipata proprio in base alla legge sull’amianto.
Il Comune di Torino ha poi notevoli proprietà immobiliari, che gestisce direttamente o indirettamente: più specificamente, detiene il 5 per cento del patrimonio immobiliare della città e si occupa del monitoraggio costante sulla sicurezza degli edifici, oltre che della messa a norma degli stessi. Si occupa altresì di effettuare un controllo continuo sugli ambienti di lavoro dislocati presso tali immobili.
Per quanto riguarda più in generale il tema della sicurezza, è stata richiamata dal Presidente la necessità di porre gli enti locali al centro di una rete di conoscenze e di controlli, non necessariamente formali, che rivestono un’importanza fondamentale nell’attività di prevenzione e per predisporre poi eventuali ispezioni. A tal proposito, voglio sottolineare che presso le pubbliche amministrazioni si trova comunque un’enorme quantità di informazioni ormai digitalizzate, il che dovrebbe agevolare i compiti ispettivi consentendo, ad esempio, di selezionare le informazioni più importanti ed utili rispetto a quelle che pur essendo altrettanto significative non rendono tuttavia possibile l’individuazione certa di un cantiere, dell’inizio di un’attività e via dicendo. Ricordo che alcuni anni fa, con la collaborazione della direzione generale dell’INPS, abbiamo lavorato proprio per ricercare all’interno del sistema informativo del Comune di Torino informazioni che potessero essere utili agli ispettori per individuare con certezza non tanto i macrocantieri – che, almeno nella Regione Piemonte, sono soggetti ad un controllo notevole – ma, più in generale, tutta quell’attività diffusa che è solitamente la più pericolosa, oltre ad essere molto difficile da rintracciare: si pensi, ad esempio, che le informazioni riguardanti le dichiarazioni di inizio attività non corrispondono spesso alle date in cui effettivamente il lavoro viene svolto. In quell’occasione abbiamo selezionato una serie di informazioni apparentemente prive di significato – come quelle relative all’occupazione di suolo pubblico – che tuttavia, essendo riferite ad operazioni che comportano un certo costo, consentono di individuare con maggiore certezza, ad esempio, l’effettiva attivazione di un cantiere. Si tratta di informazioni che generalmente sono in rete: l’importante è avere la possibilità di accedervi. Alla luce di questa esperienza, sono dunque convinto che un lavoro tecnico di coordinamento e di selezione dei dati di cui tutte le amministrazioni pubbliche dispongono possa aiutare nelle politiche volte a rendere più assidue e meno episodiche le attività di ispezione e di controllo.
Ovviamente c’è da lavorare perché si sviluppi in tutti i Comuni una maggiore consapevolezza dell’importanza della conoscenza del territorio, anche ai fini della diffusione di una normale attività di prevenzione. Pensiamo ai dipendenti del Comune di Torino e, in particolare, alle forze dell’ordine che girano ogni giorno per la città, che magari si trovano a rilevare attività non a norma senza avere però gli strumenti per assicurare un’adeguata informazione al riguardo, trasmettendo, ad esempio, i dati ad un centro che li raccolga e consenta poi di utilizzarli. Nella maggior parte dei casi questo non si verifica e soltanto le violazioni più gravi vengono verbalizzate; al contrario, la registrazione di tutti i casi, anche di quelli considerati meno gravi, potrebbe essere un modo per incrementare il controllo informale del territorio trasformandolo poi in una forma di controllo effettivo.

PADOIN
Signor Presidente, vorrei solo precisare che parlando di integrazione e di collegamento tra le banche dati non intendevo far riferimento in alcun modo alla creazione di un’ulteriore banca dati, perché ce ne sono fin troppe: la mia osservazione era finalizzata soltanto a sollecitare una selezione rispetto a quanto già esiste, in modo da razionalizzarlo in vista dell’acquisizione di informazioni che consentano a tutti di lavorare meglio.

RICCOMAGNO
Signor Presidente, intervengo per delega del procuratore generale di Torino Marcello Maddalena, a nome del quale rivolgo un doveroso saluto a lei, a sua eccellenza il prefetto e a tutti gli onorevoli componenti di questa Commissione parlamentare d’inchiesta.
La procura generale di Torino svolge un’attività di vigilanza e di coordinamento nei confronti di tutte le procure della Repubblica del distretto che, com’è noto, sono ben 17 (17 sono i tribunali e 17 le procure).
Si tratta di un’attività particolarmente intensa, che si realizza attraverso riunioni periodiche e frequenti con i 13 sostituti procuratori generali e, a volte, con tutti i procuratori della Repubblica.
A seguito del vostro invito, come procura generale abbiamo sollecitato tutte le procure della Repubblica a trasmetterci alcuni dati: in particolare, abbiamo chiesto loro di indicare il numero dei procedimenti pendenti e la relativa fase (indagini preliminari, udienza preliminare o dibattimento di primo grado), nonché il numero degli indagati, degli imputati e delle parti offese. Tutte le procure della Repubblica hanno fornito questi dati di cui abbiamo provveduto a redigere una sintesi, che metto a disposizione della Commissione e, naturalmente, del dottor Guariniello.
Vorrei richiamare brevemente qualche dato, che sicuramente potrà essere poi meglio sviluppato dal dottor Guariniello, con particolare riferimento alla procura di Torino. Innanzitutto è risultato che i processi per decessi dovuti a contaminazione da amianto o per lesioni colpose da amianto, non vengono celebrati soltanto a Torino, ma anche presso numerose altre procure. Ricordo, ad esempio, quella di Casale Monferrato, dove si sono già conclusi alcuni importanti processi per amianto; quella di Alessandria, dov’è attualmente in corso un certo numero di processi per fatti verificatisi nell’ambito di aziende come Michelin Spa e Ilva Spa. Non dimentichiamo poi che presso la procura di Novara sono stati aperti ben 14 procedimenti per omicidio colposo da esposizione ad amianto, mentre presso la procura di Verbania sono radicati alcuni processi per fatti verificatisi nell’ambito dell’azienda Montefibre.
Insomma, dai dati pervenuti emerge una situazione a macchia di leopardo, da cui risulta che questi tragici fatti non si sono verificati soltanto nei luoghi in cui avevano sede le aziende produttrici di cemento amianto – per quanto riguarda il Piemonte, in particolare, Casale Monferrato – ma anche presso quei luoghi in cui la materia veniva lavorata per realizzare coibentazioni di carrozze ferroviarie o strutture utili in ambito militare, nonché, addirittura, presso varie sedi sparse qua e là, in cui erano state svolte attività di frantumazione di superfici trattate con amianto, con conseguente inalazione di polveri anche da parte dei manutentori sporadici.
L’attenzione prestata dalle procure della Repubblica del distretto al fenomeno amianto è stata sollecitata dalla procura generale, ma voglio anche segnalare che spontaneamente da parte di alcuni magistrati sono stati costituiti gruppi di lavoro per realizzare anche nelle sedi provinciali, su tutto il nostro vasto territorio, qualcosa di simile a ciò che è stato fatto a Torino. Ho personalmente partecipato ad un gruppo di lavoro per la Provincia di Cuneo, la quale raggruppa quattro tribunali, all’interno del quale è stato possibile ai magistrati delle varie sedi confrontare le prassi operative e le linee guida in materia di infortuni sul lavoro; un’attività analoga è stata condotta anche presso la procura di Alba, dove io stesso all’inizio ho lavorato, con particolare riferimento al tema delle malattie professionali, di cui si era già occupata la procura della Repubblica di Alessandria.
Questi gruppi di lavoro hanno permesso di conseguire anche un altro obiettivo, quello di parlare direttamente – e non in ambito di occasioni ufficiali – con i dirigenti e i rappresentanti degli SPRESAL, che hanno preso parte attiva alla realizzazione di queste linee guida. Così, grazie al diffondersi di tale tipo di sensibilità, è stato possibile addivenire nel settembre 2008 all’emanazione da parte della procura generale di Torino di una circolare dal titolo «Proposte organizzative ed operative in materia di diritto penale del lavoro, in osservanza del decreto legislativo n. 81 del 2008», alla cui stesura ho collaborato personalmente. L’intento è quello di monitorare in modo serio le attività, i procedimenti, i processi, gli esiti e naturalmente la tempistica, attraverso contatti diretti con le procure per uniformare le linee guida, così da realizzare nella sede centrale torinese un archivio tematico informatizzato che, se di certo può essere predisposto per tutte le materie del diritto, è stato promosso in via prioritaria proprio per la materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. In questa direzione si è particolarmente attivato il sostituto procuratore generale presso la corte d’appello di Torino, dottor Fulvio Rossi.
Il sistema dell’archivio tematico informatizzato ha permesso, anche in vista dell’incontro odierno, di acquisire importanti sentenze pronunciate dal tribunale e, soprattutto, dalla corte d’appello di Torino, ove la terza sezione penale, presieduta dal dottore Gustavo Witzel, ha condotto studi estremamente approfonditi proprio sulla tipologia e sulla fenomenologia dei mesoteliomi da amianto, individuando il nesso di causalità e i soggetti responsabili ed addivenendo anche a riforme di sentenze: si pensi, ad esempio, al caso di una sentenza di assoluzione pronunciata dal tribunale di Verbania, che è stata impugnata dalla procura generale in modo da permettere una revisione della stessa in sede di appello.

PRESIDENTE
Dottor Guariniello, la ringrazio ancora una volta, anche a nome della Commissione, per il suo contributo, considerato che ormai sono anni che usufruiamo delle sue ricerche e delle sue conoscenze.

GUARINIELLO
Signor Presidente, gli argomenti da affrontare sono molti. Innanzitutto vorrei segnalare alla Commissione che se si guarda a quello che succede in Piemonte, ma più in generale in tutto il Paese, si evidenzia una grande differenza di trattamento che genera inevitabilmente delle iniquità, perché certi processi si fanno in alcune zone e non in altre.
Questo è già un primo profilo che credo debba essere sottolineato: si tratta di una questione di carattere generale che riguarda, in primo luogo, la sicurezza e gli infortuni sul lavoro, ma anche la tematica delle malattie professionali e, in particolare, quelle derivanti dall’esposizione ad amianto.
Mi sono interrogato sulle ragioni di questa differenza di trattamento e credo che una di esse possa risiedere nel fatto che nella nostra zona, ad esempio, abbiamo creato un Osservatorio sui tumori professionali presso la procura della Repubblica, il che è certamente un fatto singolare, anche se si parla molto di supplenza dell’autorità giudiziaria. La verità è che senza tale strumento non si riusciva a fare i processi sui casi di tumori professionali, poiché tali casi in genere vanno a finire negli archivi degli ospedali e dei Comuni e lì muoiono. In realtà in varie parti del Paese esistono registri dei tumori, che non alimentano tuttavia questo tipo di procedimenti.
Mi sono permesso di portare alcuni dati – che lascerò poi alla Commissione – che forse possono aiutare a capire il lavoro svolto da questo Osservatorio che, a mio avviso, sarebbe auspicabile fosse presente in tutto il Paese, con una gestione non necessariamente affidata all’autorità giudiziaria (in particolare alla procura della Repubblica) ma, ad esempio, anche all’autorità sanitaria. Attraverso tale struttura, che abbiamo creato circa tredici anni fa e che si è poi progressivamente sviluppata, viene presa in esame tutta una serie di patologie che, secondo letteratura, sappiamo essere di possibile eziologia professionale (tipico è il caso del mesotelioma pleurico peritoneale). Alla data del 23 febbraio 2010 risultavano esaminati 23.697 casi, per 14.088 dei quali è stata accertata l’esposizione ad un fattore cancerogeno nel corso dello svolgimento dell’attività lavorativa.
Tutti i casi di mesotelioma, ad esempio, ci vengono segnalati dai medici: l’Osservatorio li esamina, ricostruendo la storia lavorativa e sanitaria del soggetto e cercando di capire se c’è stata l’esposizione ad un fattore cancerogeno.
L’Osservatorio serve quindi, innanzitutto, ad istruire i procedimenti penali: i casi vengono solitamente raccolti per azienda, considerato che un conto è aprire un procedimento per un singolo caso altro è farlo per una pluralità di casi. Tale lavoro produce poi importanti effetti anche sotto il profilo risarcitorio e dell’indennizzo, perché le segnalazioni vengono inviate all’INAIL e, grazie ai procedimenti avviati, le famiglie delle vittime riescono spesso ad ottenere un risarcimento.
L’attività dell’Osservatorio non manca inoltre di avere importantissimi risvolti sul piano della prevenzione, in quanto spesso accade che un caso che mai si direbbe essere di origine professionale, e che magari mai sarebbe stato segnalato, si rivela poi essere tale. I casi di questo genere ormai sono molteplici. Si pensi, ad esempio, al caso dell’impiegato che ha lavorato nel palazzo della RAI di Torino e che pur non utilizzando l’amianto vi è stato però esposto, dal momento che l’edificio è coibentato con l’amianto; si pensi, ancora, ai mesoteliomi tra gli insegnanti, perché purtroppo gli edifici scolastici sono stati a lungo – speriamo non più – coibentati con l’amianto. Un altro caso che ricordo è quello del macellaio colpito da mesotelioma, che aveva lavorato nel palazzo de «La Rinascente». Nel corso del sopralluogo disposto nell’ambito delle indagini – al quale ho partecipato – fu rilevata la presenza di batuffoli bianchi nelle fioriere: alzando lo sguardo, si scoprì che il soffitto era coibentato interamente in amianto allo stato grezzo, praticamente pioveva amianto. Questo fatto certamente non sarebbe venuto fuori se non ci fosse stato quel caso che abbiamo potuto approfondire proprio grazie al lavoro dell’Osservatorio, che consente quindi di scoprire situazioni in cui magari non si sospetta in alcun modo l’esistenza di un’esposizione all’amianto.
L’Osservatorio diventa quindi uno strumento che, ove attivato in tutto il Paese, potrebbe riuscirebbe ad eliminare quella profonda differenza di trattamento alla quale ho fatto riferimento all’inizio del mio intervento: non bisogna certamente mitizzare la procura di Torino, perché abbiamo anche noi dei problemi, ma il fatto di poter disporre di tale strumento agevola profondamente il nostro lavoro e ci consente di definire i procedimenti in modo più rapido. Quest’ultimo aspetto assume un rilievo determinante soprattutto se si considera che un elevato numero di processi in materia di sicurezza sul lavoro e di tumori professionali si conclude con una sentenza di prescrizione del reato. Ci si è lamentati della legge sul processo breve, ma in effetti sarebbe indispensabile prevedere una rapida definizione dei processi: il disegno di legge presentato in materia parla di una durata massima di sei anni e mezzo, ma a mio avviso è già un’enormità; sarebbe importante stabilire tempi molto più brevi. Ho letto di recente una sentenza della Corte di cassazione sul caso di cinque persone morte a causa di un incendio nel napoletano: nel 1995 vennero condannate una serie di persone – addirittura il comandante dei Vigili del fuoco, che evidentemente non aveva fatto quanto doveva – con pene severissime, fino a cinque anni di reclusione; solo nel 2008 è arrivata la sentenza definitiva della Cassazione, che ha dichiarato però prescritto il reato. Questa evidentemente non è giustizia. Credo che vi sia dunque un problema generale che deve essere affrontato proprio in relazione alla lentezza – quando non addirittura all’assenza – dei procedimenti.
Di recente sono stato a Vibo Valentia, per un incontro con gli ispettori della ASL del posto e in quell’occasione il procuratore della Repubblica, introducendo la riunione, ha dichiarato che in dieci anni si erano tenuti presso la sua procura soltanto 21 processi per infortuni sul lavoro. Di fronte a questo dato esiguo, mi sono molto meravigliato; nel momento in cui ho chiesto a che cosa fosse da ricondurre tale situazione mi è stato risposto che spesso i medici in quelle zone hanno paura di fare i referti, figuriamoci quelli per malattia professionale! In verità essendo andato lì a raccontare l’esperienza della nostra procura in materia di tumori professionali, mi sono sentito molto a disagio nel constatare che a Vibo Valentia non venivano refertati neppure gli infortuni mortali. Si pone quindi anche il problema di riuscire a creare un’organizzazione a livello nazionale che non sia troppo condizionata dalle varie realtà locali, che in alcuni casi possono esercitare una grande influenza.
Signor Presidente, vorrei fare una breve considerazione: presso la procura di Torino avevamo avviato un importante processo per i militari della Marina militare, dopo essere riusciti a rintracciare con molta fatica 141 casi di mesotelioma. Oggi però in Senato si sta per concludere l’iter di approvazione del disegno di legge n. 1167-B, che mi pare sia ormai diventato una sorta di provvedimento omnibus: in particolare, all’articolo 20 si dà l’interpretazione autentica di una norma degli anni ’50 (il riferimento è alla legge delega sulla base della quale sono stati emessi i DPR n. 547 e n. 303 del 1956) secondo cui le disposizioni di cui all’articolo 2, lettera b), della legge 12 febbraio 1955, n. 51, non si applicano al naviglio di Stato, perché la previsione normativa parlava originariamente solo di navi mercantili e non di navi militari. Questa interpretazione autentica in pratica blocca il processo, perché si riferisce alla norma in base alla quale contestavamo la violazione. Mi sono permesso di fare tale segnalazione visto che il provvedimento, dopo essere stato approvato dalla Camera, è ora in quarta lettura al Senato.

ROILO (PD)
Sarà all’esame dell’Assemblea del Senato nei prossimi giorni, mentre domani in Commissione si procederà alla votazione degli emendamenti, tra cui vi è anche una proposta di soppressione della norma che lei ha citato, sulla quale c’è però il parere negativo del relatore.

GUARINIELLO
In verità mi ha molto colpito l’interpretazione autentica di una norma di oltre cinquant’anni fa!
Un’altra questione sulla quale vorrei soffermarmi riguarda specificamente il processo Eternit. Questa mattina c’è udienza ed il tribunale pronuncerà la sua ordinanza sulle varie costituzioni di parte civile: com’è stato detto, ce ne sono ben 6.392 e vedremo se saranno tutte ammesse.
Tra queste ce ne sono due importantissime, che spero proprio il tribunale avalli: sto parlando della costituzione di parte civile dell’INAIL e, per la prima volta in assoluto, dell’INPS poiché entrambi gli Istituti hanno avuto un danno enorme da tutta questa vicenda. Non so se l’INPS pretenderà di riavere i miliardi di euro che ha speso per tutte le provvidenze previdenziali ed assicurative a favore delle vittime dell’amianto dell’Eternit, ma in ogni caso non era mai successo prima che l’INPS si costituisse parte civile.
Il giudice per l’udienza preliminare ha ammesso tale costituzione e spero lo faccia anche il tribunale: sarebbe una novità molto importante.
Infatti, mentre era già capitato in passato che l’INAIL si costituisse parte civile (cosa che si verifica adesso in maniera più sistematica in virtù della previsione dell’articolo 61, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008, che ammette esplicitamente tale possibilità), per l’INPS si tratterebbe di una novità importante, soprattutto se si tiene conto che sta pagando somme ingenti. In effetti, al di là dell’accertamento delle responsabilità penali dei singoli, su cui il tribunale dovrà decidere, lo scopo del processo Eternit è proprio quello di assicurare il ristoro di tutta una serie di danni che la nostra collettività ha subìto; danni non solo ai lavoratori, ma anche ai cittadini, perché sono centinaia i morti tra coloro che non lavoravano negli stabilimenti, ma che utilizzavano i materiali regalati alla cittadinanza per fare i cortili, i sottotetti e così via. Peraltro, a fronte dell’impegno speso per bonificare gli edifici, gli stessi enti territoriali non hanno avuto nulla da chi ha determinato tale situazione. Il senso di questo procedimento è dunque anche quello di cercare di far capire che nel momento in cui si crea un disastro ambientale si dovrebbe poi intervenire per rimuoverlo.

PRESIDENTE
Dottor Guariniello, la ringraziamo per il suo contributo e per l’attività da lei svolta, alla quale ha fatto riferimento anche il procuratore generale di Firenze, dottor Deidda, in occasione dell’audizione svoltasi la scorsa settimana presso questa Commissione. In particolare, il dottor Deidda ci ha fornito una serie di elementi di riflessione, anche in ordine alla necessità di assicurare un maggiore raccordo tra tutti i soggetti interessati, riconoscendo ad essi più competenze ampie, a cominciare da coloro che per primi arrivano sul luogo dell’evento, così come ai magistrati delle procure e ai giudici chiamati a decidere in tribunale.
Mi sembra che da questo punto di vista vi sia un’attenzione sempre maggiore. Da parte nostra, come Commissione ci siamo permessi di sollecitare le varie procure generali a far comprendere, nell’ambito dei distretti di rispettiva competenza, che vi sono alcuni infortuni o incidenti stradali a lavoratori per le cui caratteristiche non è possibile richiamarsi esclusivamente al codice della strada; magari colui che rileva l’evento, anche in perfetta buona fede, non pensa che forse quel soggetto doveva essere tutelato, protetto o comunque doveva muoversi in condizioni di sicurezza.
Abbiamo dunque avviato un dialogo con le varie procure che ha portato a favorire da questo punto di vista quella più ampia attenzione di cui lei stesso ha sottolineato la necessità.


Audizione del vice questore di Torino e di rappresentanti delle forze dell’ordine e dei VVFF



Intervengono il vice questore di Torino, dottor Alberto Mellano, il vice comandante dell’Arma dei Carabinieri, colonnello Salvatore Vagnoni, il comandante provinciale della Guardia di finanza, generale di brigata Sebastiano Galdino, il dirigente vicario del comando provinciale dei Vigili del fuoco, ingegner Claudio De Angelis e il perito, signor Angelo Venuti.

PADOIN
Signor Presidente, sono presenti oggi i rappresentanti delle nostre forze dell’ordine e dei Vigili del fuoco, con i quali ci incontriamo molto spesso per trattare di questioni che riguardano la sicurezza in senso lato.
Passerei quindi loro la parola, invitandoli ad essere particolarmente concreti e concisi, considerato che gli interventi precedenti dei rappresentanti delle istituzioni locali, e soprattutto dei magistrati, hanno richiesto più del tempo previsto.

PRESIDENTE
La ringrazio, signor prefetto.
Cedo la parola dunque ai nostri ospiti.

MELLANO
Signor Presidente, in qualità di primo dirigente della polizia di Stato, rappresento in questa sede il questore di Torino.
Per quanto riguarda il tema oggetto dell’odierna audizione, comincerò col dire che nei 19 edifici della Provincia di Torino presso cui sono dislocati i nostri uffici si registra una presenza di amianto nella componente tradizionale, trattandosi comunque di immobili di una certa epoca per i quali, com’è ovvio, sono stati impiegati determinati materiali. Non abbiamo tuttavia mai registrato problematiche significative al riguardo: abbiamo avuto soltanto un problema su un edificio che è stato acquisito per ospitare il nostro commissariato e presso il quale, in fase di ristrutturazione, è stata evidenziata l’esistenza di una copertura in un materiale che conteneva amianto tra le sue componenti (consegnerò poi alla Commissione la documentazione relativa allo smaltimento di tale materiale: stiamo comunque parlando di un edificio nel quale non era però ancora presente il personale di polizia e che è stato utilizzato solo un mese dopo la ristrutturazione).
Per quanto riguarda tutti gli altri edifici, dal momento che non abbiamo proprietà dirette, quando è necessario intervenire si procede in questo modo.
A conferma di tale situazione ci sono i dati forniti dagli uffici sanitari e dalla C.m.o. dai quali risulta che nei venticinque anni passati non c’è mai stata una specifica patologia manifestata dal nostro personale.

GALDINO
Signor Presidente, sono il comandante provinciale della Guardia di finanza di Torino. Per quanto riguarda la mia amministrazione, spesso siamo chiamati a svolgere servizi di istituto nell’ambito dei quali è possibile trovarsi in situazioni in cui si possono presentare problemi di questo tipo. Al momento devo dire che non si registrano situazioni rilevanti al riguardo, né abbiamo una particolare attività in corso. In ogni caso, quando ci troviamo ad operare in condizioni di possibile rischio, sappiamo di poter contare sulla collaborazione delle ASL o di altri organismi.
Per quanto concerne la questione relativa ai beni immobili, non abbiamo una gestione diretta degli stessi in quanto sono di proprietà di privati o del demanio.

VAGNONI
Signor Presidente, sono il vice comandante del comando provinciale dei Carabinieri di Torino.
Circa gli edifici presso i quali sono situati i nostri uffici, nel tempo ci sono stati solo due interventi: uno nel 2006, presso la caserma «Pietro Micca» del comando provinciale dei Carabinieri di Torino, in cui c’era una pensilina in amianto che è stata sostituita; l’altro presso le cosiddette casermette, in cui trovavano rifugio i profughi provenienti dall’Istria e dove attualmente ha sede l’ufficio logistico della Regione (quindi del comando Piemonte-Valle d’Aosta), in cui si è provveduto alla sostituzione dei tetti perché si è scoperto che erano composti da strutture in amianto.
Per quanto riguarda il discorso del personale, i nostri militari – anche quelli del servizio di emergenza «112» – hanno una dotazione individuale costituita da tuta, mascherina e guanti e sono chiamati a seguire dei corsi ed un addestramento per l’eventuale trattamento di questo materiale nel caso in cui, per competenza istituzionale, si trovino in situazioni di possibile esposizione.
Inoltre, dal momento che svolgiamo servizio anche all’estero, i nostri militari, al ritorno dalle missioni, vengono sottoposti annualmente a follow up, posto che tutti conosciamo le problematiche evidenziatesi in questo senso.

PRESIDENTE
E non solo per l’amianto.

VAGNONI
Esatto, non solo per l’amianto. Si tratta di un follow up complessivo, per cui vengono sottoposti a visite periodiche.
Per il resto non ho altro da segnalare.

MASTROPASQUA
Signor Presidente, sono dirigente vicario del comando provinciale dei Vigili del fuoco di Torino.
Per quanto riguarda gli edifici presso cui si trovano i nostri uffici, abbiamo attualmente un problema presso la sede del nucleo elicotteri, dove è presente una copertura in amianto: ma si tratta di un problema in via di soluzione che si dovrebbe risolvere entro quest’anno.
Per quanto riguarda invece il lavoro che svolgiamo quotidianamente, i nostri interventi spesso sono effettuati presso strutture in cui veniamo a contatto con l’amianto (ad esempio capannoni): i nostri uomini sono però protetti, dal momento che utilizzano dispositivi di protezione delle vie respiratorie, per cui da questo punto di vista ogni problema è risolto a monte.

PRESIDENTE
Vi ringrazio per la disponibilità. Se possibile, anche se non avete competenze dirette al riguardo, vorrei invitarvi a denunciare tutte quelle situazioni in cui, nel corso dello svolgimento della vostra attività di servizio riscontriate la presenza di amianto, perché moltissime sono le strutture in cui è ancora presente questo materiale. Quindi, se correttamente gli uomini del comando dei Vigili del fuoco sono protetti quando operano presso queste strutture, sarebbe opportuno comunque che si comunicasse alle autorità competenti l’esistenza delle stesse, altrimenti il discorso rischia di diventare molto riduttivo: ci si preoccupa di tutelare il soggetto nel momento in cui opera – e questo è sicuramente corretto e doveroso – ma continua a permanere una realtà che è invece pericolosa. Ad esempio, magari anche per una serie non volontaria di coincidenze – non voglio dire per incuria – accade che ancora vi siano capannoni nelle cui coperture è presente in maniera significativa l’amianto e che all’interno degli stessi operino dei soggetti che non hanno misure di protezione.
Ritengo quindi, signor prefetto, che la sinergia alla quale lei prima faceva riferimento sia anche questa: chi sa deve in qualche modo collaborare.
Volevo fare solo questa raccomandazione, che è di certo inutile perché già lavorate in questo senso, ma consentitemi un ulteriore appello.
Vi ringrazio ancora per la vostra cortesia.


Audizione di rappresentanti dell’INAIL, dell’INPS, della DPL, dello SPRESAL-ASL 1 e dell’ISPESL



Intervengono per l’INAIL, la dottoressa Virginia Tenore accompagnata dalla dottoressa Maria Cacciabue, per l’INPS, il coordinatore regionale ingegner Domenico Errichiello ed il responsabile per la comunicazione dottor Giovanni Firera, per la Direzione provinciale del lavoro la dottoressa Flaminia Cazzuola, per lo SPRESAL-ASL 1, il direttore, dottoressa Lantermo e per l’ISPESL, il direttore dottor Aldo Camisassi.

PRESIDENTE
Saluto i nostri ospiti con i quali mi scuso per il ritardo, ma purtroppo non è mai facile prevedere con precisione la durata degli interventi.
Conoscete il motivo per il quale la nostra Commissione è qui oggi, per cui vi invito a fornirci tutti gli elementi a vostra disposizione con specifico riferimento alla questione delle malattie professionali.

TENORE
Signor Presidente, lavoro presso l’ufficio attività istituzionali della direzione regionale dell’INAIL e sono accompagnata dalla dottoressa Maria Cacciabue, coordinatore del centro medico legale della sede di Torino.
Per la verità, non avendo ben compreso dalla convocazione quale fosse il tema su cui oggi saremmo stati chiamati ad intervenire, ho provveduto ad estrarre dagli archivi informatici dell’INAIL alcuni dati – che spero possano essere utili – riguardo all’andamento delle malattie professionali nella Regione Piemonte, con particolare riferimento alle malattie da asbesto, su cui abbiamo condotto un’indagine quinquennale dal 2004 al 2008.
Dai dati a nostra disposizione risulta che in tutta la Regione Piemonte nel 2008 sono state denunciate 1.149 malattie professionali, tra le quali occorre distinguere le neoplasie da asbesto dalle asbestosi vere e proprie; la dottoressa Cacciabue potrà aggiungere poi qualche elemento ulteriore di valutazione su questa diversa tipologia di malattie.
Un altro dato che è possibile evidenziare per tutte le Province del Piemonte – sempre con riferimento al quinquennio – riguarda le malattie professionali definite positivamente.

PRESIDENTE
Mi scusi se la interrompo, dottoressa, ma vorrei sapere se i dati riferiti alle malattie professionali evidenziano un andamento crescente o decrescente delle stesse.

TENORE
Risulta un andamento decrescente, se si considera che dalle 1.215 malattie professionali denunciate nel 2004, si è arrivati alle 1.149 del 2008.
Un’altra suddivisione riguarda le neoplasie con agente cancerogeno da asbesto, distinguendo tra asbestosi vere e proprie e neoplasie riconducibili a vari agenti: anche in questo caso si tratta del risultato di un’indagine quinquennale, condotta però con riferimento alla sola Provincia di Torino.
Un altro gruppo di dati concerne invece il confronto tra Italia, Piemonte e Provincia di Torino, per cui si è distinto tra asbestosi vere e proprie, placche pleuriche, ispessimenti pleurici e tumore maligno; in particolare, sempre prendendo come riferimento un periodo di cinque anni, si è calcolata la percentuale delle patologie da asbesto rispetto al totale delle malattie professionali riconducibili ad esposizione all’amianto. Questi dati naturalmente potranno essere oggetto di ulteriore approfondimento, ove la Commissione lo riterrà opportuno, suddividendoli ad esempio a seconda delle aziende.
Quanto al caso Eternit, per cui è in corso il procedimento penale, sui dati relative alle rendite che abbiamo costituito in favore dei lavoratori dell’azienda credo abbiano già riferito i magistrati intervenuti.

CACCIABUE
Signor Presidente, com’è stato anticipato dalla dottoressa Tenore, dalla convocazione non risultava molto chiaro quali fossero gli aspetti sui quali avremmo dovuto riferire alla Commissione. In ogni caso, essendo stato rappresentato un particolare interesse alla questione delle patologie da amianto, mi soffermerò su questo tema.
Da una tesi di specializzazione che abbiamo sviluppato due anni fa, è emerso che le patologie da amianto sono frequenti soprattutto nell’Italia del Nord, in particolare nel Nord-Ovest. Sicuramente la Provincia di Torino registra un’incidenza significativa di patologie da amianto; questo perché – come di certo saprete – su quel territorio insistevano numerose realtà produttive legate all’amianto, sia estrattive (ricordo la miniera di Balangero, la più grande d’Europa), sia di lavorazione di manufatti (industrie tipo la Società Italiana Amianto e la Capamianto). Tali attività non riguardavano soltanto la lavorazione dell’amianto crisotilo estratto dalla cava di Balangero – che sotto il profilo scientifico-epidemiologico è un minerale foriero di un certo tipo di patologia, anche se forse ha un’incidenza più limitata sul manifestarsi di patologie neoplastiche – dal momento che in molte fabbriche (Società Italiana Amianto, Capamianto) veniva utilizzata anche la crocidolite e l’amosite che, come voi sapete, sono dotate di un potere cancerogeno sicuramente più elevato rispetto al crisotilo.
Il diverso minerale utilizzato si è tradotto in effetti in una maggiore o miniore incidenza di patologie neoplastiche rispetto a quelle non neoplastiche (vale a dire le placche pleuriche o l’asbestosi polmonare). In verità, tra i lavoratori di queste ditte di manufatti è stata registrata una casistica molto elevata di patologie neoplastiche, prima fra tutte il mesotelioma, che viene considerato una patologia sentinella dell’esposizione all’amianto.
Nella Provincia di Torino abbiamo dunque una casistica molto elevata di questo tipo di patologia.
A ciò bisogna aggiungere la condizione di vita delle maestranze che hanno lavorato presso queste ditte. Infatti, anche chi non ha ancora manifestato la malattia, essendo ormai informato sul potere cancerogeno del minerale, vive uno stato di fortissima preoccupazione e di coinvolgimento emotivo non trascurabile vedendo morire i propri compagni di lavoro.
Inoltre, con riferimento ad una di queste aziende, la Società Italiana Amianto, con sede a Grugliasco, c’è da rilevare un altro dato interessante rappresentato dal fatto che buona parte delle maestranze era costituita da donne – immigrate inizialmente dal Polesine e successivamente dalla Sicilia o comunque dall’Italia meridionale – per cui presso questa ditta si è registrata un’elevata incidenza di patologie da amianto tra le donne, che magari avevano lavorato lì solo per pochi mesi, all’età di 15 o 16 anni. La massiccia presenza femminile costituisce sicuramente un dato singolare anche sotto il profilo sociologico, oltre che sul piano dell’organizzazione del lavoro.
Per quel che riguarda in termini generali le patologie da amianto, negli anni sono state tabellate varie malattie che prima non erano riconosciute dall’Istituto (almeno fino alla sentenza della Corte costituzionale del 1988) per cui accadeva, ad esempio, che il mesotelioma e la neoplasia polmonare da amianto non trovassero tutela se non associate già ad un’asbestosi polmonare. Da allora queste patologie hanno avuto invece dignità di tutela e, dapprima con il DPR n. 336 del 1994 (con cui sono state tabellate le patologie neoplastiche) e più recentemente con il decreto ministeriale del 9 aprile del 2008 (con cui sono stati introdotti anche gli ispessimenti pleurici e le placche pleuriche), tutte le malattie che in letteratura vengono correlate con l’esposizione ad amianto sono ormai tutelate.
A questo proposito, vorrei ricordare che, a seguito della particolare sensibilità manifestata in Piemonte rispetto alle malattie professionali e soprattutto alle patologie neoplastiche (come la dottoressa Lantermo sa bene, siamo in un territorio particolarmente attento alle patologie professionali), presso il centro polidiagnostico della direzione regionale INAIL del Piemonte dal settembre 2001 è stato creato un gruppo di lavoro interdisciplinare esclusivamente INAIL per la trattazione delle patologie neoplastiche, che prevede la partecipazione di personale amministrativo, ispettivo e di professionisti della nostra CONTARP, l’organismo che si occupa della consulenza tecnica per l’accertamento dei rischi professionali e della consulenza medica. Questo gruppo si riunisce una volta alla settimana e tratta le patologie neoplastiche segnalate all’Istituto nell’ambito della Provincia di Torino.
Questa esperienza ci ha permesso di perfezionare la ricerca delle esposizioni misconosciute con specifico riferimento all’amianto, perché è questo oggi il vero problema. Quando sono entrata all’INAIL, più di vent’anni fa, era possibile riconoscere il caso di una patologia dovuta ad esposizione all’amianto perché il datore di lavoro corrispondeva il cosiddetto sovrappremio asbestosi. Oggi non è più così: si parte dalla malattia che viene segnalata come di sospetta natura professionale e, ove si tratti di una patologia sentinella, si va ad indagare per accertare l’effettiva esposizione al minerale. Il discorso quindi non riguarda più in via esclusiva le ditte in cui si manipolava direttamente l’amianto, ma anche quei casi di esposizioni ambientali in siti industriali che comunemente non dovevano utilizzare amianto: situazioni di questo tipo quindici o vent’anni fa non erano da noi neppure considerate o portavano all’immediata chiusura del caso, mentre sono risultate foriere di rischi. Mi riferisco a tutte quelle strutture industriali dove spesso, per evitare il rischio incendi o per favorire il contenimento della dispersione di calore nonché il funzionamento di alcune macchine o di alcuni forni, veniva comunque utilizzato l’amianto che, come voi sapete, con l’usura si disperde nell’aria, con il conseguente determinarsi di patologie neoplastiche.
Per questo diventa interessante aver creato uno specifico gruppo di lavoro interdisciplinare, perché la soluzione è quella del confronto e della collaborazione al fine di individuare situazioni di rischio che altrimenti sarebbero state assolutamente trascurate.

BUGNANO (IdV)
Dottoressa Cacciabue, potrebbe farci avere la documentazione che è stata richiamata in ordine agli approfondimenti e alle ricerche svolte? Mi riferisco innanzitutto alla vicenda delle maestranze che non hanno manifestato alcuna patologia, ma che hanno avuto problemi psicologici in relazione al patimento subìto per aver visto colleghi, amici o parenti morire in seguito all’esposizione ad amianto.
In secondo luogo, vorrei sapere se dal punto di vista scientifico si può parlare di un’incidenza dell’esposizione all’amianto rispetto a cittadini che abbiano abitato nel raggio di un certo numero di chilometri da aziende che utilizzavano questo materiale.

CACCIABUE
Senatrice Bugnano, in verità posso risponderle solo in via indiretta. Per quanto riguarda innanzitutto il patimento psicologico subìto dalle maestranze, parliamo di persone che comunque presentano una patologia professionale, anche se magari si sono ammalate solo in forma lieve: in ogni caso, si tratta di soggetti che non sono stati colpiti da una patologia da amianto maligna. Il patimento subìto da queste persone a livello psicologico è qualcosa che traspare dalle esternazioni che solitamente fanno nel corso delle visite cui devono sottoporsi per il riconoscimento della malattia professionale tabellata, ma non possiamo certamente fornire dati precisi al riguardo. A tal proposito un dato preciso potrebbe essere ricavato solo attraverso un’intervista ai lavoratori sopravvissuti di quelle ditte presso le quali si è registrata un’elevatissima incidenza di patologie da amianto: è un lavoro al quale forse l’INAIL potrebbe prendere parte, collaborando con i medici del lavoro e con gli enti che si occupano specificamente di questo.
Quanto alla seconda questione, ci sono stati casi che non è stato possibile ricondurre al nostro ambito di competenza perché, essendoci stata segnalata l’esistenza di una patologia professionale, non siamo stati in grado di rilevare un’esposizione professionale, anche ricercandola in modo certosino. È emersa, al contrario, un’esposizione extralavorativa, avvenuta magari nel periodo dell’infanzia, ipoteticamente in ambito scolastico o comunque nella propria abitazione, ad esempio per il fatto che i genitori che lavoravano in fabbriche di manufatti in amianto portavano a casa gli indumenti per lavarli, oppure portavano a casa – e questo è avvenuto in tutte le ditte di produzione di cemento amianto, sia a Torino che fuori – gli sfridi della lavorazione che venivano dati loro dalla ditta e con cui costoro realizzavano il pietrisco del cortile. Ci sono state intere famiglie che si sono ammalate, si sono verificate delle vere e proprie epidemie familiari: abbiamo avuto notizia di casi di questo tipo che ci sono stati segnalati dal momento che a Torino si privilegia comunque la segnalazione all’Istituto quando c’è un tipo di patologia che potrebbe essere correlata all’esposizione all’amianto; in questo modo diventa possibile studiare anche quei casi in cui non c’è un’esposizione lavorativa, ma esclusivamente extralavorativa.
Maggiori informazioni al riguardo potrebbero venire però da chi gestisce il registro mesoteliomi, che filtra queste situazioni: Torino è una delle città in cui tale registro è attivo, anche se i dati non riguardano tutti gli enti ospedalieri, ma esclusivamente gli ospedali di Torino e l’ospedale San Luigi di Orbassano.

LANTERMO
Signor Presidente, sono il direttore dello SPRESALASL 1 di Torino, che ha competenza su tutto il territorio della città e faccio parte, inoltre, del comitato tecnico scientifico del Centro regionale amianto, con sede a Casale Monferrato, che opera da circa un anno e mezzo.
Per quanto riguarda la ASL 1 di Torino, vorrei evidenziare i due filoni lungo i quali ci siamo mossi dall’inizio degli anni ’90. Da una parte, abbiamo operato in stretto raccordo con la magistratura torinese nelle indagini per malattie professionali, al fine di ricostruire l’esposizione lavorativa di soggetti poi ammalatisi ed individuare l’effettiva correlazione tra la patologia e il lavoro, in modo da evidenziare le eventuali responsabilità del datore di lavoro. Abbiamo quindi collaborato con le indagini ai fini dell’instaurazione del procedimento penale e con l’INAIL per il riconoscimento della malattia professionale a fini risarcitori.
Oltre a questo filone molto importante – fornirò poi alcuni dati al riguardo – abbiamo sviluppato una competenza peculiare nella ricostruzione dell’esposizione lavorativa nel caso di aziende chiuse. Le patologie legate all’esposizione ad amianto, infatti, a differenza di altre malattie per le quali si interviene ad azienda ancora esistente, presentano periodi di latenza molto lunghi, per cui nella maggior parte dei casi l’intervento si realizza quando l’azienda è ormai chiusa. In questi casi è quindi necessario fare un’indagine complessa, tenendo conto che l’azienda non esiste più.
Un altro aspetto del quale ci siamo occupati è quello della prevenzione.
Per evitare che altre persone si ammalassero, dall’inizio degli anni ’90 – parallelamente alla promulgazione della legge n. 257 del 1992 e del decreto legislativo n. 277 del 1992, che hanno cambiato il quadro normativo – siamo intervenuti per verificare se nella città di Torino vi fossero ancora situazioni di possibile rischio di esposizione ad amianto, a cominciare da quello in matrice friabile, che è sicuramente il più pericoloso, considerato che l’amianto può rompersi e le fibre possono disperdersi nell’aria.
La nostra indagine ci ha portato a rilevare l’esistenza di diverse situazioni di questo tipo: mi riferisco, ad esempio, ai seminterrati del più grande ospedale del Piemonte «Le Molinette», ai locali del centro commerciale Lagrange di Torino, della Toro Assicurazioni, delle Poste, cioè a tutta una serie di edifici in cui era presente amianto in matrice friabile, soprattutto come coibente per proteggere dal fuoco le strutture metalliche.
Il materiale in questi casi era a diretto contatto con gli ambienti di lavoro, in quanto non era completamente segregato – in genere si trattava di una segregazione parziale – per cui c’era ancora una dispersione di fibre nell’aria.
Abbiamo accertato, inoltre, l’esistenza di situazioni di rischio anche in alcune scuole: ricordo, in particolare, il caso di una scuola elementare nel centro di Torino, nel cui cortile ancora nel 1996 c’era amianto in matrice friabile.
Negli anni ’90, dunque, in stretta collaborazione con la procura di Torino, abbiamo avviato una serie di ispezioni mirate ad individuare la presenza di amianto negli edifici. Abbiamo inoltre avviato un piano specifico per le scuole: in particolare, sulla base della legge n. 257 del 1992, è stato realizzato un censimento a livello regionale sulla presenza di amianto nelle scuole pubbliche e private dal 1997 al 2003. I sopralluoghi che sono stati fatti hanno permesso di adottare (prima in virtù del decreto legislativo n. 277 del 1992, poi della legge n. 626 del 1994, con le relative modifiche e, infine, del decreto legislativo n. 81 del 2008) prescrizioni affinché questa esposizione non ci fosse più. Dunque, parallelamente all’individuazione dei luoghi di lavoro a maggior rischio, ci si è preoccupati di adottare i provvedimenti necessari per eliminare il rischio stesso. È stato un lavoro molto intenso che ha consentito comunque di raggiungere importanti risultati. Per quanto riguarda le scuole di Torino, ad esempio, in accordo con il Comune è stato definito un piano di manutenzione, di controllo e di bonifica dell’amianto. Il Comune, a partire dal 1996, ha avviato un’intensa opera in tal senso ed oggi la situazione è sicuramente molto migliorata. Posso procurarvi i dati relativi alla situazione riscontrata all’inizio del censimento, cioè alla fine degli anni ’90, e a quella attuale.
C’è stato un netto miglioramento: da alcuni anni non ci sono più situazioni di esposizione ad amianto in matrice friabile. Permangono i manufatti meno problematici (le tubazioni interne, qualche fioriera, i pannelli interni e altri manufatti), presenti soprattutto nelle scuole. Comunque si tratta di una situazione sotto controllo perché sono in atto i piani di monitoraggio che prevedono sopralluoghi della ASL. Oggi la situazione delle scuole, per insegnanti, bambini e studenti, non è più a rischio come non lo è quella di altri luoghi della città in cui è stata rilevata la presenza di amianto.
L’amianto è stato in gran parte rimosso mentre in alcuni casi è stato confinato o incapsulato. A questo proposito posso fornirvi i dati relativi alla quantità di amianto che è stata rimossa e a quanto è stato fatto a Torino negli ultimi quindici anni. Sicuramente il giudizio è molto positivo perché il lavoro ha prodotto risultati concreti sia in termini di bonifica di alcune situazioni che di monitoraggio di altre ancora in essere. In Piemonte, il censimento di scuole ed edifici pubblici è stato avviato. Al momento, la parte più impegnativa e più completa del censimento ha riguardato le scuole. Anche in questo caso, però, i dati non sono ancora disponibili. Abbiamo i dati relativi agli edifici della città di Torino ma l’obiettivo, che verrà raggiunto in una decina di anni, è di completare tutto il Piemonte. Il censimento si è concluso nel 2003, dunque sono passati ormai sette anni, e il dato che emerge evidenzia una situazione molto migliorata grazie all’attività di prevenzione.
Un altro aspetto importante per evitare che si creassero altre situazioni di esposizione a rischio per i lavoratori e per gli abitanti della città è stato il controllo esercitato sui piani di lavoro. In pratica, a partire dal 1992, le ditte che rimuovono amianto devono presentare un piano di lavoro alla ASL che ha il compito di valutarlo e svolgere i controlli durante gli interventi di rimozione. Questo avviene non solo a Torino ma in tutto il Piemonte. L’opera di verifica sui piani di lavoro per la rimozione dell’amianto, che a Torino sono circa 200 all’anno, è stata molto attenta. Si tratta soprattutto di amianto in matrice compatta, come le coperture, ma all’inizio c’era anche amianto in matrice friabile che oggi è stato in gran parte rimosso. La valutazione dei piani di lavoro e il controllo sull’esecuzione dei lavori vengono svolti da un gruppo specializzato che fa parte del settore che dirigo. Tale gruppo si occupa da anni di questo lavoro con un livello di attenzione molto elevata. Parallelamente al controllo e alla vigilanza, abbiamo sviluppato una serie di attività di informazione, formazione e assistenza delle ditte per spiegare loro come devono lavorare e fare in modo che il datore di lavoro, se decide di operare secondo le regole, lo possa fare con il nostro supporto. Ovviamente noi forniamo informazioni generali non riferibili ad una singola situazione. In generale, credo di poter dire che l’impegno profuso su questa materia è stato veramente molto grande.
Dunque, le ASL e lo SPRESAL hanno portato avanti i piani di lavoro con le suddette modalità, mentre il Centro regionale amianto ha finalità diverse. Una di queste, che potrebbe essere inerente all’argomento trattato oggi, è la ricostruzione delle liste degli ex esposti. Un gruppo di lavoro specifico si sta occupando di rintracciare i lavoratori che sono stati esposti ad amianto, a partire dalle situazioni più ad alto rischio, attraverso l’utilizzo delle fonti attualmente disponibili che sono il Registro piemontese dei mesoteliomi, gli archivi delle ASL (i piani di lavoro delle ASL contengono informazioni sui siti dove era presente l’amianto e dunque rappresentano una fonte molto importante), i censimenti e altre fonti dell’INAIL.
L’obiettivo è quello di stilare una lista di ex esposti perché venga riconosciuta, a fini penali e risarcitori, l’avvenuta esposizione. In questo campo esiste anche un collegamento a livello nazionale.
Rispetto alle indagini per malattia professionale – l’altro filone su cui si è lavorato – si sta cercando di ricostruire i dati sull’esposizione anche per capire se la patologia è correlata al lavoro e individuare le eventuali responsabilità del datore di lavoro. Si potrebbe rilevare, infatti, una patologia correlata al lavoro della quale però il datore di lavoro non è responsabile.
Ovviamente si parla spesso di aziende che non sono più in funzione.
In alcuni casi addirittura non esistono più gli stabilimenti, quindi la ricostruzione deve basarsi sulle fonti disponibili. Una fonte molto importante è rappresentata dalle fabbriche che producevano manufatti in amianto come bandelle, cartoni, polvere e quant’altro. A Torino e in provincia avevamo diverse aziende di questo tipo e quindi è stato possibile, attraverso l’archivio della ditta SIA di Grugliasco, della quale si è parlato molto, e attraverso l’intervento pubblico, mettere insieme un archivio importantissimo delle aziende clienti di questa fabbrica. Ad esempio, per le fonderie in ghisa dello stabilimento Mirafiori, negli anni 1965-1977 sono state acquistate da questa azienda 55 tonnellate di materiale in giunti, giunture, calze e cordoni, 4 milioni di pezzi di guarnizioni e dischi di amianto, 149.000 metri di trecce di tele e 104 metri quadri di cartone amianto di diverso spessore. Questo per dare un’idea dei quantitativi di amianto che la SIA vendeva. Anche alle vecchie Ferriere di Torino ci sono stati diversi casi perché veniva utilizzata una quantità molto elevata di amianto. Attraverso l’archivio della SIA, quindi, è stato possibile rintracciare con prove molto concrete le ditte che acquistavano tale materiale.
Per questo gli archivi delle aziende produttrici sono così importanti. Per ora non è stato possibile censire tutte le aziende ma è veramente importante farlo perché si tratta di una prova molto concreta. Un’altra fonte utile è rappresentata dalle persone che hanno lavorato in queste ditte.
Per tale motivo si procede assumendo informazioni dalle persone che lavoravano insieme a coloro che sono deceduti, in gran parte per mesoteliomi pleurici. La ricostruzione delle modalità di lavoro e dell’esposizione avviene altresì attraverso l’acquisizione di sommarie informazioni che vengono fornite dalle aziende che esistono ancora, anche se magari è cambiata la proprietà. Le vecchie Ferriere di Torino, ad esempio, hanno subìto diversi passaggi proprietari che sono stati ricostruiti per verificare se fosse possibile acquisirne gli archivi ed individuare i dirigenti aziendali succedutisi negli anni in modo da fare una ricostruzione storica che, proprio per questi motivi tecnici, diventa delicata e abbastanza onerosa. Un’altra fonte può essere rappresentata dai materiali reperibili in aziende simili; si cerca di individuare tutte le fonti possibili anche se, nel caso in cui vi siano prove certe come l’archivio della SIA, c’è ovviamente maggiore sicurezza. Negli ultimi anni abbiamo svolto oltre 130 indagini su lavoratori di aziende come quelle di cui parlavo. Alle fucine di Mirafiori, per esempio, si sono avuti 35 casi di mesotelioma pleurico e nelle Ferriere una trentina. Poi ci sono aziende per le quali i casi, al momento, non sono numerosi tuttavia continuiamo a scoprirne di nuovi, come è accaduto, per esempio, alle Ferriere dove l’indagine è stata avviata tre anni fa ma ancora oggi emerge ogni tanto un caso nuovo. Il numero, dunque, non è assolutamente definitivo. Fino ad oggi si sono verificati 30 casi di mesotelioma più una decina di silicoasbestosi anche se, ripeto, il numero, specie nelle aziende dove l’esposizione era rilevante, è in continuo aumento.
L’Osservatorio delle malattie e dei tumori professionali della procura è sicuramente più aggiornato sulla situazione corrente. Noi siamo coinvolti nelle indagini.
L’industria manifatturiera è il settore maggiormente interessato da questo fenomeno ma si sono verificati anche dei casi nel pubblico impiego, dove si sono ammalati alcuni insegnanti. Al momento le indagini si concentrano su due casi per i quali dobbiamo ricostruire in che modo è avvenuta l’esposizione, il che, ovviamente, è più semplice per un’azienda manifatturiera dove si produceva e si manipolava amianto perché si tratta di esposizione diretta. Per quanto riguarda gli insegnanti dobbiamo ricostruire dove hanno lavorato e in che modo erano esposti all’amianto. Teniamo conto, inoltre, che in questo caso si tratterebbe di esposizione indiretta.
Oltre ai primi casi di insegnanti, stanno emergendo casi di lavoratori di altri settori privati o semipubblici, come la RAI, la cui sede di via Cernia a Torino si trova in un palazzo completamente coibentato nel quale io stessa ho effettuato numerosi sopralluoghi. Si sono verificati due casi di lavoratori che svolgevano la propria attività in quel palazzo. Oggi, comunque, la situazione è monitorata.

CAMISASSI
Sono il direttore del dipartimento ISPESL di Torino. Il nostro contatto con questa patologia è dovuto al passaggio delle cartelle sanitarie che a volte il medico competente invia a noi anziché direttamente alla direzione, a Monteporzio Catone, dove c’è il centro raccolta dei dati e il registro degli esposti. Noi non abbiamo altri dati utili e credo che quelli del centro di raccolta potrebbero essere forniti direttamente dal Dipartimento di medicina e igiene del lavoro, dove vengono fisicamente raccolti.

ERRICHIELLO
Forse potrei essere utile più come ingegnere che come rappresentante dell’INPS. Il Piemonte cavava il 98 per cento dell’amianto impiegato in Italia e ne lavorava circa il 50 per cento nelle proprie industrie. Per questo si tratta di una Regione di riferimento in questo senso. Come hanno detto i colleghi, si sta passando dai casi di poche persone che erano esposte ad alti livelli di contaminazione...

PRESIDENTE
Le chiedo scusa, ingegner Errichiello. Dalle audizioni di questa mattina abbiamo già ricevuto un quadro abbastanza ampio e chiaro, soprattutto da parte dei soggetti inquirenti. Vorremmo sapere se ci sono elementi nuovi, specifici e particolari, che lei ci possa fornire; le dico questo per un motivo di economia di tempi. Vorremmo inoltre sapere qualcosa per quanto riguarda la sua attività come INPS.

ERRICHIELLO
L’INPS è l’ente che corrisponde le pensioni in base alla legge n. 257 del 1992. I picchi si sono registrati immediatamente dopo l’approvazione della normativa, non solo a Torino, ma anche in altre località, dove sono presenti insediamenti industriali; ad esempio a Santhià, dove ci sono gli stabilimenti in cui si demolivano le carrozze ferroviarie, o ai confini con la Valle d’Aosta, per via dell’industria metallurgica locale.
Va inoltre considerata la presenza di amianto negli stabilimenti e nei capannoni, che ha prodotto conseguenze in modo indiretto sui manutentori. I numeri stanno diminuendo, ma ancora ci sono dei casi.

PRESIDENTE
Su questa storia dei numeri bisognerà fare una riflessione.
Sembrerebbe esserci una contraddizione; poi analizzeremo i dati che ci avete fornito e comprenderemo meglio. Quei dati, infatti, contraddicono talune riflessioni che sono state fatte.

CAZZUOLA
Signor Presidente, posso solo dire che la Direzione provinciale del lavoro non ha molto a che fare con le malattie professionali e, quindi, con le malattie dovute ad esposizione all’amianto, in quanto non ha più competenze in materia di igiene del lavoro. Come diceva la dottoressa Lantermo, è lo SPRESAL che si occupa attualmente di questi aspetti. Qualche volta i lavoratori vengono a chiederci il curriculum lavorativo, per poter avere dei benefici pensionistici; si tratta di lavoratori che non sono ammalati ma che, durante la loro vita lavorativa (negli anni Settanta o anche prima), hanno avuto una possibile esposizione all’amianto, che veniva in qualche modo utilizzato nell’azienda in cui lavoravano.
Queste persone stanno cercando di ricostruire, tramite nostro, la loro storia lavorativa, in quanto le aziende spesso non ci sono più, perché sono cessate o fallite, o non sono reperibili. In tale attività si incontrano grandi difficoltà e non sempre si ottengono dei risultati; a volte i lavoratori non ricordano alcun nome e non c’è nessun appiglio. Ribadisco tuttavia che si tratta di lavoratori che non sono ammalati.
Peraltro la Direzione provinciale, avendo competenza nell’edilizia, può talvolta imbattersi in qualche cantiere dove, in maniera illegale, non è stato seguito l’iter per lo smaltimento; ci è capitato di effettuare la comunicazione di reato e la prescrizione e di sospendere subito le lavorazioni.

CACCIABUE
Lei diceva di aver rilevato un’incoerenza a proposito dei numeri, signor Presidente. Io vorrei invitare alla cautela nella valutazione dei dati dell’INAIL degli ultimi due anni (2008-2009). La raccolta di questi dati è stata piuttosto rapida; in ogni caso, il numero può essere in difetto. Sicuramente lo è per il 2009, perché le malattie professionali segnalate nel 2009 si trascinano anche nel 2010, soprattutto le patologie neoplastiche, che hanno una gestione un po’ più laboriosa. Un altro elemento può essere costituito dall’inserimento di una chiave di richiamo dati legata alla nosologia della tabella contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 336 del 1994, cioè la vecchia tabella. La nuova tabella, di cui al decreto ministeriale del 9 aprile 2008, ha cambiato il codice A di nosologia di queste patologie. Quindi i dati estratti devono essere riletti, o per lo meno riverificati, alla luce di questo cambiamento, che richiede una query specifica ulteriore. In ogni caso, già dalla visione di questi dati emerge che, nell’ambito di un panorama generale di riduzione del numero delle malattie professionali, il numero delle patologie da amianto rimane elevato, sia a livello della pleura che per quelle neoplastiche.
Esaminando le percentuali, si noterà che esse sono sostanzialmente stabili, se non in aumento, rispetto al numero totale di malattie professionali definite.


Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali



Intervengono, per la CISL, il signor Giorgio Bizzarri, per la UIL, il segretario regionale, signor Flavio Lunghezzani e l’amministratore delegato dell’ente formazione Piemonte, professor Ezio Benetello.

PRESIDENTE
Buongiorno e benvenuti. Conoscete già i motivi di questo incontro: gradiremmo acquisire le vostre riflessioni e le vostre conoscenze su questo tema così importante, legato in modo particolare alle malattie professionali. L’amianto è l’aspetto centrale, ma non è l’unico. Il nostro impegno è volto non solo ad analizzare quanto già si conosce e si sta contrastando (in modo particolare nel territorio di Torino, per ovvi motivi di presenza e di lavorazione del minerale), ma anche a dare attenzione a quelle malattie professionali che in gergo si definiscono non tabellate.
Vorremmo comprendere il grado di tutela della salute nei luoghi di lavoro, al di là della prevenzione degli infortuni (che è l’aspetto più eclatante e diretto) e vorremmo valutare il rischio di malattie non tabellate. Come forze sociali, e in relazione ai patronati di riferimento, sapete benissimo quante azioni vengono svolte in sede di rivalsa per dette malattie. Si tratta di un tema che noi vorremmo iniziare ad approfondire. Quando un lavoratore intenta una procedura deve poter documentare e dimostrare che esiste un legame di causa o di concausa tra la malattia e la propria attività professionale. In tal senso vi sono delle sperequazioni tra questa ed altre Regioni, dove il problema è presente (anche se di minore portata), ma non ci sono lo stesso approccio e la stessa determinazione.
Come Commissione siamo interessati al tema delle malattie professionali; non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che i nostri figli, magari tra vent’anni, potrebbero doversi occupare di un altro elemento che produce gli stessi fenomeni devastanti che ha prodotto l’amianto nelle varie tipologie di lavorazione. Saremmo pertanto grati di acquisire le vostre conoscenze e le vostre riflessioni su questo tema.

BIZZARRI
Signor Presidente, l’argomento ha avuto ampia discussione ed approfondimento all’interno del sindacato torinese. Avendo una certa età, ricordo che fin dagli anni Settanta abbiamo provato ad individuare quali fossero i rischi professionali di malattia e di infortunio nelle aziende. Ci tengo a fare questa breve precisazione, in quanto alcuni elementi del decreto legislativo n. 81 del 2008 e delle varie norme che si sono susseguite in materia di prevenzione del rischio amianto hanno avuto origine non dico in Piemonte o a Torino, ma sicuramente da questo lavoro di approfondimento che è stato svolto tentando di coinvolgere non soltanto i delegati sindacali, ma anche direttamente i lavoratori. Cosa possiamo dire di aver ottenuto? Innanzitutto l’attenzione non soltanto del mondo del lavoro, ma anche di quello politico e previdenziale, su tutti gli argomenti che riguardano gli infortuni e le malattie professionali. Questo è un aspetto di non poco conto. La tutela previdenziale dei lavoratori sicuramente è molto importante e, soprattutto, lo è il fatto di evitare il rischio.
Per fare ciò, a nostro avviso, bisognerebbe passare – secondo uno slogan che abbiamo coniato con l’INAIL alla presentazione dei dati dello scorso anno – dalla valutazione del danno (che ha luogo dopo che questo è avvenuto) alla valutazione del rischio. Il decreto legislativo n. 81 impone di valutare preventivamente, in ogni luogo di lavoro, la possibilità che si verifichino infortuni o malattie professionali, al fine di evitarli nel modo più assoluto. Particolare difficoltà è stata incontrata nell’individuare esattamente quale fosse il rischio amianto. Io ho studiato chimica, così come qualcun altro dei miei colleghi. In laboratorio, ai miei tempi, si usava l’amianto per proteggersi da qualsiasi fonte di calore; gli stessi Vigili del fuoco lo usavano. Eppure sin dall’inizio del secolo scorso era conosciuto il rischio legato all’amianto; non era così ben catalogato, ma si sapeva che le sue fibre possono essere nocive.
Vorrei fornire uno spunto alla Commissione. In Piemonte abbiamo registrato circa 2.000 morti per gli effetti dell’amianto e nei prossimi anni – preferiremmo non dover dire questo – potremmo avere molti altri casi di morte o di malattie professionali avendo queste ultime una maturazione di diversi decenni. Il fatto che vi sia coscienza del problema e che vi sia un modo per intervenire sulla materia diventa un aspetto decisivo ed importante. Nel 1992 è stata approvata la legge che ha vietato l’utilizzo dell’amianto nelle lavorazioni. Nonostante ciò il processo di bonifica, ormai iniziato in diverse aziende, non è stato immediato. Ancora oggi in provincia di Torino e nel resto della Regione molti luoghi devono essere bonificati. Per affrontare concretamente la situazione abbiamo sollecitato la Regione e gli organismi preposti affinché emanassero una normativa che consentisse di avere la certezza che tale materiale non fosse più utilizzato in alcuna lavorazione. La legge regionale n. 30 del 2008 ha recepito una serie di nostre richieste, tra le quali il piano regionale con un coordinamento che consenta un controllo scientifico della situazione, necessario per proibire quelle lavorazioni che necessitano dell’utilizzo di determinate sostanze, nonché la costruzione di un centro di ricerca nella zona di Casale Monferrato, dove il dramma si è maggiormente consumato, e infine la registrazione dei lavoratori esposti all’amianto. Tale normativa ha consentito ai lavoratori di usufruire di un beneficio previdenziale ricostruendo abbastanza attentamente l’elenco delle aziende a rischio (i dati vi sono stati forniti precedentemente). Ricordo che nelle riunioni di consultazione avute con l’INAIL si parlava di circa 50.000 domande, che andavano ovviamente aggiunte a quelle già presentate nel 2003 secondo la normativa precedente e in parte già evase. Si tratta di un elenco di lavoratori che sono stati esposti all’amianto per almeno dieci anni e che sono in possesso di certificazione rilasciata dall’azienda tramite curriculum. Tengo a precisare questo aspetto perché vi sono altri lavoratori di aziende ormai scomparse, magari fallite, che non hanno potuto avere la stessa possibilità.
Se l’elenco dei lavoratori esposti all’amianto fosse completo, il numero sarebbe ben più alto. Tale elenco è necessario per coloro che hanno presentato l’apposita domanda per ottenere un anticipo sulla pensione ma soprattutto per effettuare un controllo sanitario preventivo su tutti i lavoratori che sono stati esposti all’amianto, indipendentemente dal fatto che abbiano diritto o meno ai privilegi previdenziali. Tutti sappiamo che alcune malattie, come il mesotelioma, non sono preventivabili né curabili, e quindi l’elenco è certo utile ma non risolutivo, laddove per altre patologie si può intervenire. Dunque sarebbe utile mettere in contatto, tramite il medico di base, il Servizio sanitario con il lavoratore che è stato esposto all’amianto per sottoporlo periodicamente ad un controllo preventivo gratuito.
I controlli preventivi, infatti, non devono pesare sul lavoratore o sul pensionato ma dovrebbero essere riconosciuti formalmente dalla Regione che in tal modo potrebbe tenere sotto controllo il decorso delle malattie.
Infine faccio notare che, com’è noto, questi materiali non venivano usati solo nei luoghi di lavoro ma sono presenti anche nelle rocce, nella terra e nel suolo. Per questo la legge ha istituito un’attività di controllo specifica sugli abitanti di zone dove detto elemento è presente in quantità rilevanti.
Questo è il punto della situazione e il riepilogo delle attività intraprese dagli anni Settanta fino ad oggi. Siamo soddisfatti che la Regione Piemonte abbia recepito le nostre richieste tramite una vera e propria legge e sarebbe bene che una legge analoga venisse approvata dal Parlamento nazionale. Tutto questo, ovviamente, non è sufficiente per farci dire che il problema amianto è superato. Per esempio, in numerosi edifici ci sono ancora tetti di eternit e anche la copertura delle tubazioni è spesso in amianto. Recentemente, all’ospedale «Le Molinette» di Torino, è emerso che sono stati usati per anni materiali in amianto per coibentare le tubazioni, ciò in una struttura enorme, di chilometri quadrati. Pensiamo anche ad altri immobili diffusi in provincia, che non voglio citare per delicatezza, come scuole e ospedali, verso i quali è necessaria una cura particolare visto che si tratta di edifici molto frequentati. Sarebbe necessario reperire i fondi necessari per interventi di questo tipo, per poter eliminare il materiale pericoloso dove ancora esiste e può provocare danni.

LUNGHEZZANI
Signor Presidente, sono accompagnato da uno dei nostri tecnici che si occupano di ambiente e che potrà illustrarvi le questioni che stiamo affrontando sia con la Regione Piemonte che con le controparti.
Le mie considerazioni saranno molto brevi. Noi chiediamo che il decreto legislativo n. 81 del 2008 venga applicato seriamente e che quindi venga rispettata la bilateralità tra le parti sociali. Riteniamo infatti che la legge preveda un punto d’incontro importante, sulla base del quale sarebbe possibile instaurare un buon dialogo.
Grazie ai fondi interprofessionali, finanziati dalle controparti, in Piemonte siamo riusciti a dare inizio ad un progetto di formazione alla cultura della sicurezza all’interno le aziende. Si tratta di un’iniziativa importantissima perché avere questa cultura significa anticipare i problemi e non affrontarli solo quando si presentano. Per prima cosa vogliamo avviare una politica di prevenzione nelle aziende. Quando è avvenuto l’incidente alla ThyssenKrupp siamo intervenuti insieme alla Regione, forse in ritardo, abbiamo scoperto la causa del problema e abbiamo avanzato alcune proposte, tra le quali quella di assumere circa 200 ispettori per svolgere i controlli all’interno delle aziende. Purtroppo, fino ad oggi, nonostante la proposta risalga a circa tre anni or sono, sono state assunte pochissime unità. Quindi, nonostante l’accordo stipulato a livello regionale, mancano 200 ispettori. Sono state addirittura stanziate le risorse necessarie, dopo di che non se ne è saputo più nulla. Pensate che attualmente per ispezionare tutte le aziende piemontesi sarebbero necessari circa dieci anni, dunque il danno è forte. Evidentemente è necessario lavorare ancora molto per questo settore. Abbiamo stipulato alcuni accordi con l’INAIL regionale e siamo stati credo i primi in Italia ad aver messo in piedi un comitato misto che ha previsto una serie di progetti comuni sulle nuove malattie, come quelle muscolo-scheletriche. Abbiamo attivato alcuni collegamenti internazionali e lavoriamo per fare in modo di non arrivare impreparati ai prossimi vent’anni. Sicuramente la prevenzione ha un costo, che tuttavia è sicuramente inferiore a quello che si sostiene quando avvengono gli incidenti.
La UIL Piemonte ha prodotto altresì numerose collane informatiche e cartacee per i lavoratori al fine di diffondere le conoscenze. Abbiamo un’esperienza sorprendente nel settore dell’artigianato, grazie ai delegati alla sicurezza territoriale che effettuano le ispezioni nelle aziende verificandone i progetti. Abbiamo fatto partire diverse iniziative e sono anni che lavoriamo su questo settore, ma purtroppo siamo ancora agli inizi.

BENETELLO
È stato giustamente fatto notare che il problema delle malattie professionali in Italia è ancora sottostimato, come ci mostrano le statistiche. Sarebbe quindi necessario andare oltre la questione amianto, circa la quale è inutile che vi ripeta i progetti che sono stati messi in cantiere nell’ambito del Comitato regionale amianto, dato che ve ne avrà già parlato la collega Lantermo. Si tratta di un gruppo di lavoro misto, bilaterale, al quale collaborano alcuni esperti tra i quali tecnici di alto valore come il professor Terracini, epidemiologo di chiara fama. Per questo ritengo che le attività messe in campo siano assolutamente adeguate; in ogni caso sono quanto di meglio si potesse fare con le risorse disponibili.
É poi evidente che bisogna tenere presente la varietà della composizione del lavoro in Italia, anche dal punto di vista delle dimensioni aziendali.
Come ben sapete, più del 90 per cento delle nostre aziende ha un numero di dipendenti molto basso. Se pensiamo che il Nord Ovest è considerato il territorio dove sono concentrate le grandi imprese, il dato sulla media dei lavoratori per azienda in Piemonte, che è pari al 3,9 per cento, può risultare stupefacente, anche perché tra queste aziende c’è anche la FIAT. Quindi è evidente che il problema è rappresentato dalla piccola dimensione aziendale e dal fatto che i lavoratori sono difficilmente raggiungibili; è difficile agire su un numero così rilevante di imprese. L’azione della bilateralità può aiutare molto, perché consente una capillare presenza di rappresentanze, sia di quelle datoriali (cioè i responsabili aziendali della sicurezza) sia di quelle dei lavoratori, con un’azione sul posto di lavoro.
Un altro problema è costituito dal fatto che i lavoratori cambiano attività con maggiore frequenza rispetto al passato; manca pertanto la possibilità di disporre di una tracciabilità dei contatti con sostanze di varia natura che i lavoratori hanno avuto, che possono rivelarsi estremamente pericolose a distanza di anni. Bisognerebbe poter disporre di una sorta di libretto del lavoratore, che consentisse tra l’altro di tracciare il contatto con eventuali sostanze pericolose, almeno con quelle previste dagli allegati al decreto legislativo n. 81 del 2008. Il richiamo del Testo unico alle norme tecniche è di grande aiuto, in quanto ci consente di avere delle applicazioni molto aggiornate e tempestive sullo sviluppo delle sostanze, in particolare chimiche, che è assai più veloce rispetto al passato (sono oltre un milione all’anno i nuovi prodotti con cui si viene a contatto).
L’Unione europea ha sicuramente fatto qualcosa. Il REACH, regolamento (CE) n. 1907/2006, di cui avrete sicuramente sentito parlare, è un modo di catalogare le sostanze prima che queste entrino in produzione.
Esiste quindi una serie di possibilità per operare meglio sul fronte delle malattie professionali. Un altro aspetto che secondo me dovrebbe essere incentivato riguarda l’organizzazione della sicurezza all’interno delle imprese, cioè i cosiddetti sistemi di gestione. Questi ultimi sono previsti dalla normativa europea e stiamo facendo uno sforzo per introdurli; essi tuttavia sono stati pensati per aziende strutturate, laddove la realtà italiana è composta in maggioranza da aziende non strutturate. Pertanto il lavoro da fare è quello di organizzare delle sperimentazioni (nel nostro piccolo cerchiamo di farlo, in collaborazione con l’INAIL) per individuare dei sistemi di gestione «ridotti» (forse sarebbe più giusto dire «semplificati»), che consentano di affrontare questi temi e di poter intervenire tempestivamente sulla gestione e sul contatto con queste sostanze. Si tratterà poi di collegare, utilizzando degli indicatori che si sta cercando di individuare, questo aspetto con l’aspetto ergonomico dell’azienda. Un tempo l’ergonomia era basata essenzialmente su problemi di tipo muscolo-scheletrico; oggi si va verso un problema di ergonomia cognitiva. Lo stress è la nuova malattia professionale, di cui tutti siamo più o meno vittime (dicono che in parte faccia addirittura bene; si tratta, come sempre, di trovare un equilibrio tra i due estremi). Anche in questo caso, evidentemente, abbiamo bisogno di avere degli indicatori. I dibattiti sul lavoro stabile sono arrivati ad una conclusione, che mi sento di poter definire bipartisan: si è convenuto che il lavoro stabile è un valore. Siamo in un momento di crisi; soltanto nel bacino dove sto lavorando di più, quello di Rivoli, che rappresenta una piccola porzione del territorio piemontese, vi sono più di 70 persone in cassa integrazione, che devono essere esaminate, con un’analisi dei problemi psicologici e attitudinali, al fine di prevenire rischi di tipo depressivo.

PRESIDENTE
Anche gravi.

BENETELLO
Certo, perché purtroppo questo è un problema assai serio. Il Governo ha fatto molto, non si può dire che sia rimasto inattivo.
Però è difficile organizzare una catena che porti a dei risultati concreti in tempi brevi; avremmo bisogno, in una situazione eccezionale, di avere delle norme un po’ più elastiche. L’esempio della Protezione civile, in questo momento, non mi sembra il più appropriato; ma certamente è necessario un meccanismo che consenta di superare norme che sono state elaborate e costruite per un’altra situazione, precedente a questo evento di crisi. È chiaro che servono strumenti nuovi.

PRESIDENTE
Sarebbe opportuno – e se lei ci desse delle indicazioni in tal senso gliene saremmo grati – cercare di capire quali sono questi elementi di rallentamento. Come Commissione potremmo intervenire, qualora vi fossero elementi che vengono considerati di inutile burocrazia o comunque ostativi. Noi diciamo sempre che gli incontri che svolgiamo sul territorio non si esauriscono con l’incontro stesso; si instaura un rapporto che prosegue nel tempo e quindi saremo ben felici di ricevere da voi ulteriori riflessioni e suggerimenti.

BENETELLO
Come lei sa, signor Presidente, nel decreto legislativo n. 81 ci sono alcuni aspetti che devono trovare completamento. In primo luogo, bisognerebbe sperimentare quanto è scritto per capire quello che c’è da cambiare, diversamente è difficile intervenire. Spesso succede che le riforme vengano riformate prima ancora di essere state applicate almeno una volta. Dal punto di vista di uno scienziato, tutto questo è assai poco scientifico.

LUNGHEZZANI
Signor Presidente, circa gli impedimenti di carattere burocratico porto un esempio che non riguarda il discorso sulla sicurezza ma che è comunque legato a quanto stiamo dicendo. Si prenda il caso del DURC. In Piemonte abbiamo 30.000 aziende artigiane, le quali per poter lavorare con la pubblica amministrazione devono produrre questo famoso documento, che viene rilasciato dall’INPS. Tra la presentazione della richiesta e il rilascio del documento da parte dell’INPS trascorre di solito un certo periodo di tempo; a volte un’azienda che deve partecipare ad una gara o che deve lavorare in subappalto non fa in tempo a presentarlo all’amministrazione che lo ha richiesto e quindi rischia addirittura di essere penalizzata. Questo può accadere anche con i piani della sicurezza.
Pensiamo a quello che avviene in altri Paesi europei. Perché noi puntiamo sulla bilateralità e su questo tipo di attività con le imprese? Il delegato alla sicurezza territoriale – che va nelle aziende, contatta i lavoratori, vede l’impresa e controlla la documentazione – forse potrebbe rappresentare un costo inferiore ed effettuare un controllo migliore ai fini della prevenzione.
Tuttavia non si possono avere solo venti delegati alla sicurezza per controllare 40.000 aziende in Piemonte; questo è il vero problema. In Svezia ci sono 3.000 delegati alla sicurezza.
Un ultimo esempio: durante la preparazione delle Olimpiadi invernali di Torino, abbiamo messo in piedi un gruppo di lavoro che faceva prevenzione sui grandi cantieri. Ebbene, non abbiamo avuto nessun incidente perché è stata fatta prevenzione nelle piccole aziende appaltatrici, andando a verificare i piani. Forse abbiamo avuto fortuna; sta di fatto che quell’esperienza ha funzionato, con quattro soldi.


Audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali e artigiane



Intervengono per l’Unione industriale, il vice direttore, dottor Rosi, accompagnato dal responsabile formazione INAIL, dottor Roberto Rinaldi e dal responsabile sicurezza AMMA Meccanici, dottor Giovanni Monti, per l’API, il responsabile del servizio tecnico, signor Muzio, per la CNA, il signor Gianclaudio Pili, per LEGACOOP, il dottor Renzo Brussolo, per CONFCOOPERATIVE, il signor Giancarlo Bertalero, per CONFARTIGIANATO, il signor Fontana.

PRESIDENTE
Il tema in discussione concerne le malattie professionali, con particolare riguardo ai problemi che l’amianto produce, ha prodotto e verosimilmente produrrà ancora. Vorremmo conoscere le vostre riflessioni come rappresentanti delle organizzazioni dei datori di lavoro oltre che sull’aspetto specifico dell’amianto, anche in riferimento alle malattie professionali. Vorremmo conoscere l’approccio e le modalità con cui portate avanti l’attività di prevenzione, soprattutto laddove già si configurano dei processi che verosimilmente determineranno delle malattie professionali, anche se queste non sono ancora definitivamente ufficializzate e tabellate e magari vengono individuate come tali solo attraverso un’azione giudiziaria favorevole al ricorrente. Dobbiamo giocare d’anticipo, per evitare un domani di dover pensare che se avessimo fatto qualcosa di diverso avremmo potuto evitare gravi conseguenze.
Le audizioni finora svolte ci hanno già rappresentato il quadro delle strutture, delle attività e dei soggetti. L’assessore regionale alla tutela della salute e sanità, dottoressa Artesio, ci ha fornito un quadro di riferimento molto chiaro su questi temi; lo stesso hanno fatto altri soggetti che operano nei singoli settori, dalla ASL all’INAIL. Sappiamo che voi, come forze sociali, vi state impegnando su questo fronte. Vorremmo sapere cosa ritenete sarebbe opportuno fare, al di là di quello che già si sta facendo, in materia di salute nei luoghi di lavoro.

ROSI
Sono vice direttore dell’Unione industriale di Torino. Ringrazio la Commissione per l’opportunità che ci ha offerto con questo incontro.
Mi accompagnano due colleghi specializzati nel campo della prevenzione tecnica, il dottor Gianni Monti, e dei rapporti assicurativi con l’INAIL, il dottor Roberto Rinaldi.
La nostra associazione, sia storicamente che negli ultimi tempi, ha sempre dato una grandissima e concreta attenzione al tema della prevenzione.
Infatti, nel momento in cui fu confermata, in maniera né facile, né veloce, la assoluta pericolosità dell’amianto affrontammo il problema.
Tale elemento oggi non viene più utilizzato in alcuna lavorazione e soltanto raramente nelle operazioni di demolizione o di sostituzione. Con molta concretezza, auspichiamo che anche queste ultime operazioni vengano fatte soltanto quando sono strettamente necessarie e non in maniera indiscriminata, cosa che comporterebbe disagi tecnici ed economici non solo negli ambienti di lavoro ma anche negli ambienti dove si svolge la vita pubblica come gli edifici scolastici e quant’altro.
Da questo punto di vista noi poniamo un’attenzione particolare non solo sugli aspetti tecnici, dei quali parleranno sinteticamente i miei colleghi, ma anche sul versante delle responsabilità. Siamo consapevoli della responsabilità del sistema datoriale, tuttavia siamo convinti che tale responsabilità debba essere legata ad effettive colpe e solo eccezionalmente a dolo. Quando si parla di malattie professionali, però, ed in particolare di amianto, dato che ci si riferisce a situazioni pregresse, magari molto lontane nel tempo, si rischia di creare un ulteriore aggravio non giustificato rispetto a quello tipico della responsabilità penale, che concerne l’atteggiamento psicologico dell’imputato o del presunto reo. Nel caso dell’amianto, infatti, non si può dire che sussistesse la volontà di utilizzare elementi pericolosi.
Nel campo più ampio delle malattie professionali e delle sostanze pericolose si cerca di individuare i rischi reali per limitare o evitare l’inserimento di tali sostanze nel ciclo produttivo. Oltre a questo costante atteggiamento di attenzione bisogna tenere conto del fatto che oggi, come spesso accade nei procedimenti che trattano i problemi derivati dall’utilizzo dell’amianto, si vivono le conseguenze di un’esposizione avvenuta in decenni precedenti laddove la fama negativa dell’amianto è molto più recente.
A questo punto lascerei la parola ai miei colleghi che seguono attentamente le iniziative positive di prevenzione che sono state concordate.

RINALDI
Al di là dell’attività di servizio alle imprese, che fa capo al collega Gianni Monti, nel 2008 abbiamo attivato una collaborazione con il sindacato e con l’INAIL regionale che ha portato alla costituzione di un osservatorio che ha cominciato a funzionare producendo alcune interessanti attività e spaziando dai soliti ambiti dell’informazione e della formazione fino all’innovazione tecnologica.
In quest’ultimo settore, in particolare, una nostra azienda associata sta conducendo una sperimentazione che penso vedrà i propri esiti nel corso dei prossimi due mesi. Tale sperimentazione riguarda due applicazioni tecnologiche, la prima delle quali finalizzata a migliorare l’aspetto sanitario della tutela del lavoratore. I lavoratori dell’azienda sono dotati di una piastrina contenente un microchip nel quale sono inseriti tutti i dati sanitari, non solo quelli inseriti nella scheda sanitaria di rischio prevista dal Testo unico sulla sicurezza ma anche ulteriori dati personali. Nel contempo, le ambulanze del 118 di quella zona, il pinerolese, sono state fornite di un palmare. Il meccanismo è molto semplice: nel caso di un infortunio sul lavoro, ma anche di una qualsiasi altro incidente, l’operatore del 118 che viene in azienda è dotato di un palmare che, accostato alla tessera personale del lavoratore, gli permette di leggere immediatamente la sua storia sanitaria e quindi di capire se ci sono delle controindicazioni agli interventi che si vogliono effettuare (allergie e quant’altro). Inoltre, tutte le informazioni utili vengono inviate in tempo reale al pronto soccorso cui verrà avviato il lavoratore. Ovviamente questa procedura è stata concertata con il sindacato e quindi, in tutte le sue fasi, viene assolutamente assicurato il rispetto della privacy.
Infine, sempre in sede di osservatorio, si stanno gettando le basi per implementare l’attività di questo organismo che non è strutturato e non ha una sede o delle cariche però è rappresentativo della nostra associazione, del sindacato e dell’INAIL regionale. L’osservatorio probabilmente dovrà occuparsi anche di indagini statistiche finalizzate non solo a monitorare l’aumento o la diminuzione delle malattie professionali ma soprattutto a svolgere un’analisi qualitativa approfondita dei dati relativi al territorio (che potranno essere forniti dall’INAIL), delle cause dei fenomeni e delle tendenze, in modo tale da tarare al meglio gli interventi preventivi. Questo progetto è stato già avviato e spero si concluda entro qualche mese.
Ripeto che l’osservatorio è espressione di cinque organismi (CGIL, CISL e UIL, la nostra associazione e l’INAIL regionale), quindi è rappresentativo dei datori di lavoro, del sindacato e delle istituzioni competenti.
Sicuramente non è un’iniziativa di facciata, utile solo a mostrare che ogni tanto facciamo qualcosa insieme, perché tutti i soggetti, e noi per primi, hanno intenzione di farne uno strumento utile di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali.

MUZIO
Sono responsabile del servizio tecnico di API Torino, l’Associazione piccole e medie imprese. Ringraziamo anche noi la Commissione per l’invito a partecipare a questa audizione. Mi auguro che vi sia già stata presentata l’attività, sia tecnica che sindacale e previdenziale, che la nostra Associazione porta avanti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. Anche noi abbiamo uno stretto rapporto con l’ente INAIL per assistere le nostre aziende associate sia dal punto di vista tecnico sia per tutto ciò che riguarda gli aspetti assicurativi e di gestione.
Circa le malattie professionali, le aziende che noi rappresentiamo non svolgevano attività di fabbricazione ed emissione in commercio di manufatti in amianto ma, indirettamente, potrebbero essere coinvolte perché magari insediate in stabilimenti di una certa età dove sono presenti manufatti in amianto, oppure perché si tratta di soggetti che, a vario titolo, possono trovarsi a lavorare nella filiera della gestione di tale materiale. In pratica, per quanto riguarda le attività di manutenzione e demolizione, noi rappresentiamo una serie di soggetti che lavorano nel comparto dell’edilizia, magari associati ad altre aziende, nelle attività di bonifica, contenimento e rimozione. Molte sono anche le aziende che svolgono attività di gestione del rifiuto, che vengono chiamate nel rispetto della normativa nazionale e di alcune delibere regionali che cercano di normare al meglio l’aspetto burocratico e sostanziale della rimozione ed eliminazione dei manufatti in amianto.
Abbiamo anche collaborato positivamente con gli enti istituzionali, quali gli SPRESAL; ad esempio la ASL 1 di Torino ha sviluppato, in collaborazione con le associazioni di categoria, una serie di linee guida per agevolare la predisposizione di piani sicurezza in modo da venire incontro alle esigenze delle aziende che si rivolgono a soggetti terzi qualificati per la rimozione dell’amianto.
Oltre alle malattie professionali più note, ve ne sono alcune, maggiormente indagate nell’ultimo periodo, per le quali ci confrontiamo quotidianamente con l’INAIL. L’attività di prevenzione, di studio e di ricerca ci sta portando ad approfondire determinati concetti. Ad esempio, stiamo portando avanti uno specifico lavoro sulle sindromi del tunnel carpale o comunque legate alla movimentazione manuale dei carichi e a sforzi ripetuti che, come talvolta avviene con malattie professionali di questo tipo, necessitano di un approfondimento che può sfociare nell’innovazione e nella ricerca di dettaglio per avere degli strumenti condivisi e consolidati di valutazione della sussistenza reale di tale rischio. Si deve cercare di evitare che l’azienda, di fronte alla complessità della valutazione del rischio di un’eventuale malattia professionale, si affidi a consulenze private esterne, investendo risorse economiche senza avere la certezza della sussistenza di un rischio reale, maturando, di conseguenza, una responsabilità diretta sulla malattia professionale.
Dato che avete incontrato i rappresentanti dell’INAIL saprete che anche noi, negli ultimi tre o quattro anni, abbiamo sviluppato una serie di progetti di ricerca sulle aziende che rappresentiamo, una collaborazione portata avanti da circa due anni che vede le associazioni artigiane a fianco delle rappresentanze sindacali, sul modello dei comitati misti. Le piccole e medie imprese e le imprese artigiane si sono impegnate in una serie di attività concrete sul territorio, con diversi progetti che ci hanno visti protagonisti tra il 2007 e il 2010. Questo tentativo è stato portato avanti con la collaborazione dell’assessorato alla sanità, delle singole ASL e dei singoli SPRESAL, per cercare di impostare un approccio nei confronti dell’azienda meno limitato alla vigilanza e alla prescrizione e più orientato ad un progetto conoscitivo preliminare, quasi una richiesta di supporto tecnico e condivisione comune. In alcuni casi siamo anche riusciti ad entrare in azienda insieme, cercando, nella fase preliminare, di fornire una consulenza condivisa non solo da parte datoriale ma anche da chi, in fase ispettiva, con la qualifica ufficiale di polizia giudiziaria, si ritrova poi a dover obbligatoriamente ispezionare l’azienda. Partecipiamo a tutti i tavoli di rappresentanza previsti dalla normativa vigente.
Un altro filone fondamentale, parlando di sicurezza (anche se forse meno direttamente legato alle malattie professionali), è quello della formazione. Immagino che tutti voi sappiate che le associazioni di categoria (direttamente o tramite i propri centri di formazione) hanno erogato negli anni e stanno tuttora erogando moltissima formazione nei confronti delle figure chiave, non solo quindi direttamente ai datori di lavoro, ma anche a tutti i lavoratori. Nel tentativo di portare avanti un discorso condiviso con le parti sindacali, si pone particolare attenzione alla formazione della figura del RLS, per spiegare, ad esempio, la differenza tra un infortunio e una malattia professionale, con tutti i meccanismi che la normativa prevede, in modo da non risalire direttamente alle responsabilità laddove non ve ne siano, ma in maniera tale da non sottovalutare l’eventuale rischio presente in azienda.

PILI
Signor Presidente, vorrei anzitutto ringraziare la Commissione per aver deciso di svolgere l’audizione odierna presso la prefettura di Torino.
Non ripeterò tutto quello che è stato detto, anche perché noi, come gruppo di rappresentanti degli imprenditori, lavoriamo su tutti tavoli.
Qualche giorno fa in questa sede abbiamo finalizzato un lavoro di oltre un anno, stipulando un protocollo che riguarda proprio l’edilizia. Trovo molto interessante ciò che ha appena detto il dottor Rinaldi, riferendosi ad una forma di verifica che dovrebbe essere assunta a livello nazionale, al fine di completare finalmente questa strana cosa che si chiama cartella sanitaria e che dovremmo avere tutti. Ritengo che rappresenterebbe un input positivo il fatto di poter disporre di tutti i dati sul famoso tesserino azzurro, che dovrebbe servire proprio a questo, ma che ancora non abbiamo; così potremo finalmente dare le gambe a quella che è l’informatizzazione delle cartelle sanitarie.
Per quanto riguarda la questione dell’amianto, devo osservare che molte delle nostre imprese operano nella parte finale, quindi non nella produzione dei manufatti ma semplicemente nella gestione, nell’abbattimento e nella movimentazione (il collega dell’API è stato abbastanza preciso).
In questi anni vi sono state pochissime malattie professionali legate all’amianto tra i piccoli imprenditori dell’artigianato. Vi sono invece le nuove malattie; sarebbe opportuno in proposito che questa benedetta tabella, così restrittiva, venisse allargata alle ultime malattie professionali.
Per quanto riguarda la formazione, vi è stato il coinvolgimento di moltissimi operatori del settore, effettuando una formazione mediamente di 3.000-4.000 imprenditori all’anno. Ciò significa che siamo ancora lontani da una cultura generale della sicurezza. C’è un grande sforzo da parte delle associazioni di categoria (lo ha appena ribadito il collega dell’API); siamo strutturati in modo tale da poter fornire immediatamente assistenza, dall’avvio dell’impresa fino alla denuncia di malattia professionale, attraverso le varie strutture collegate all’associazione: l’EPASA nazionale ed un network nazionale che raggruppa 27 società che si occupano di sicurezza, da Udine a Siracusa (e di cui sono immeritatamente presidente).
Ci occupiamo pertanto di formazione e di consulenza, per arrivare ad un obiettivo unico: ridurre al minimo l’impatto degli infortuni.

BRUSSOLO
Signor Presidente, ringrazio anzitutto lei e i membri della Commissione per la convocazione odierna. Approfitto del fatto che sono già state svolte una serie di comunicazioni sull’attività delle singole associazioni di categoria su questo tema per focalizzarmi brevemente su alcune questioni. La prima riguarda la necessità di un’azione positiva diffusa a livello di tutte le imprese. Il tema della riduzione o dell’azzeramento dei rischi per la salute sui luoghi di lavoro è affrontato in maniera difforme dalle imprese. Esso comporta infatti dei costi, che alcune aziende affrontano subito, mentre altre, non affrontandoli, li lasciano gravare sulla collettività. Su questi temi o c’è una competizione leale tra le imprese ed un concreto invito ad un’applicazione diffusa, oppure avremo un gruppo di imprese più controllate, che fanno la loro parte, e molte altre, presenti sul mercato, che invece non fanno nulla. Questo è uno dei temi importanti che rientrano all’interno del concetto di concorrenza leale tra le imprese.
Per quanto riguarda il tema specifico dell’amianto, oggi si parla principalmente delle conseguenze o dell’attività di smaltimento del medesimo. Noi riteniamo che il problema sia stato per troppo tempo sottovalutato, con le conseguenze che dicevo: meno oneri sulle imprese e più oneri sulla collettività.  Prima di concludere, approfitto di questa occasione anche per richiamare la questione della formazione, già citata dai miei colleghi. Mi segnalano che, a livello nazionale, il tavolo Stato-Regioni non è riuscito ancora ad individuare un accordo in materia. Mi sento pertanto di rivolgere un appello ai presenti, al di là delle competenze specifiche di ciascuno. Un ultimo argomento riguarda la cooperazione sociale. I temi che abbiamo sul tavolo sono sostanzialmente simili a quelli delle altre associazioni datoriali, per tutta una serie di ambiti, anche se abbiamo una particolare rappresentatività della cooperazione sociale. Su questo punto c’è stato un correttivo, costituito dal decreto legislativo n. 106 del 2009, che invitava ad emanare normative ad hoc sulla cooperazione sociale entro il giugno di quest’anno. Rinnovo pertanto un appello ai presenti, al di là delle competenze specifiche: il giugno 2010 è alle porte e queste normative non sono ancora state emanate. Pensiamo sia doveroso che si legiferi differenziando tra i luoghi di lavoro per attività manifatturiera e i luoghi di assistenza per le persone.

BERTALERO
Signor Presidente, ringrazio anch’io la Commissione per l’invito, a nome di Confcooperative Torino. Mi allineo al collega di LegaCoop per quanto riguarda la richiesta relativa alle cooperative sociali.
Con il nostro operato abbiamo voluto in qualche modo ricominciare a parlare di sicurezza circa quattro anni fa. Insieme a circa 450 cooperative aderenti, abbiamo voluto compiere un’opera metodica, cercando di capire qual era il punto della situazione sia a livello di organizzazione della sicurezza (partendo dalle figure essenziali), sia a livello di valutazione del rischio. Abbiamo accompagnato ed affiancato tutte le cooperative associate in un percorso di consapevolezza, di formazione ed informazione e di valutazione dei rischi. Questo ha portato ad una grande vicinanza con le nostre associate; abbiamo anche installato un ufficio ad hoc presso le nostre sedi. L’operazione che ci ha dato più soddisfazione è stata quella di accompagnamento alla valutazione dei differenti rischi, cui dedicavamo di volta in volta da uno a tre mesi.
Per quanto riguarda l’amianto, stiamo collaborando con la commissione di sicurezza dell’ordine degli ingegneri, di cui anch’io faccio parte. Tali organismi svolgono la funzione di centri di know-how, con il fine ultimo di diffondere la cultura della sicurezza. Ci appoggiamo a loro nel momento in cui una cooperativa manifesta l’intenzione di andare ad analizzare i propri luoghi di lavoro dal punto di vista della presenza di amianto (come si sa, l’amianto può essere presente perfino nelle tappezzerie).
Partiamo pertanto dalla formazione dei datori di lavoro, rendendoli consapevoli di quali possono essere le fonti di questo tipo di rischio, ed offriamo poi loro un appoggio attraverso convenzioni con specialisti del campo e specialisti di medicina del lavoro. La maggiore soddisfazione è quella di vedere che l’opera di accompagnamento è molto proficua. Capisco che i nostri numeri siano più facili, più piccoli rispetto a quelli dell’Unione industriale, tuttavia un’opera metodica può portare a dei risultati rispetto all’ipotesi di lasciare l’iniziativa al datore di lavoro, magari su aspetti di cui, per motivi vari, non è consapevole.

FONTANA
Signor Presidente, parlo in rappresentanza di Confartigianato Torino, cioè della parte provinciale di Confartigianato che è presente in tutta Italia e che rappresenta le piccole e piccolissime imprese e gli artigiani.
Parliamo di una media di 2,7 dipendenti per impresa, quindi una grande polverizzazione. Di qui l’importanza che da sempre abbiamo dedicato all’argomento, come associazione degli artigiani (unitamente a CNA e a Casartigiani, che sono oggi presenti a questo tavolo). Negli anni Cinquanta abbiamo iniziato a balbettare qualcosa; poi, dal decreto legislativo n. 626 del 1994 in avanti, abbiamo preso di petto questo argomento: affrontarlo per i dipendenti equivale ad affrontarlo anche per i titolari, dal momento che nelle piccolissime imprese il pericolo è condiviso tra dipendenti e titolari.
Non ripeterò le iniziative messe in atto nella Provincia di Torino, unitamente alle altre associazioni, di cui già si è parlato. Vorrei solo soffermarmi sull’EBAP, l’ente bilaterale di cui facciamo parte insieme alle altre associazioni artigiane e di cui fanno parte anche i sindacati. Questi ultimi hanno capito che non si può affrontare il tema della sicurezza nello stesso modo in cui lo si affronta nella grande impresa, dove bisogna prevedere modifiche nella lavorazione o nell’uso dei macchinari. Hanno capito che la creazione di quella che da sempre chiamiamo la «cultura della sicurezza» (l’espressione è molto bella, ma è molto difficile da perseguire) rappresenta un obiettivo che dobbiamo porci. Come EBAP, e come comitato tecnico dell’EBAP, di cui i tecnici dell’associazione fanno parte, abbiamo pubblicato dei libri che devono servire come primissima formazione ed informazione dei dipendenti. Inoltre, con la scusa che il titolare deve saper spiegare questi testi ai dipendenti, cerchiamo di fare cultura della sicurezza anche nei confronti dei datori di lavoro. Sono dieci anni che facciamo pubblicazioni sulla sicurezza; ne abbiamo fatte diciassette, divise per attività, dalla falegnameria alla meccanica auto, alla metalmeccanica e così via, e devo dire che hanno ottenuto un certo successo.
Un altro aspetto della sicurezza che abbiamo cercato di approfondire è quello relativo alla rappresentanza territoriale. Nella piccola impresa può esserci il rappresentante dei lavoratori aziendale oppure la facoltà di rappresentanza può essere demandata ad un rappresentante esterno. Chiaramente, quando si tratta di due dipendenti, è preferibile il rappresentante esterno (questa è la nostra convinzione) perché può essere formato in maniera migliore. In questi anni è stato nostro compito tenere aggiornate queste figure in modo tale che diventassero qualcosa di più di un soggetto oppositore dell’imprenditore. Costoro, affiancati dalle associazioni datoriali, al momento dei sopralluoghi svolgono un’opera di prevenzione che crediamo possa servire anche a non avere timore di parlare di questi argomenti con soggetti che non possono essere sanzionatori, il che speriamo contribuisca a dare un seguito importante alla cultura della sicurezza.
Vi ringrazio nuovamente del vostro invito perché ci ha permesso di esporre il nostro punto di vista.

ROSI
Signor Presidente, vorrei aggiungere che l’intero gruppo ha collaborato ad un’iniziativa importante sul tema delle malattie professionali, soprattutto quelle di nuovo tipo. Abbiamo lavorato per circa un anno ad un centro di eccellenza sull’ergonomia ed una prima sintesi dei lavori è stata raggiunta esattamente una settimana fa. Lunedì scorso abbiamo chiuso il primo anno di attività, testimoniando ancora una volta come le forze datoriali insieme alle componenti sindacali ed alle università competenti, non solo italiane, si adoperino per cercare nuove risposte alle nuove malattie. Ciò è la conferma di un sentimento comune e della comune intenzione delle parti.
Per quanto riguarda le nuove malattie, per completare la nostra risposta, vorrei sottolineare la grande attenzione che noi poniamo al tema della multifattorialità. Molte malattie vengono considerate conseguenza del lavoro quando, in realtà, sono malattie di grande diffusione sociale e difficilmente se ne può capire la genesi.

ROILO (PD)
Nel caso dell’amianto è improbabile che si possa parlare di multifattorialità.

ROSI
Io parlavo delle nuove malattie; ho voluto fare questa sottolineatura perché gli strumenti e le tipologie di intervento che sono magari doverosi per determinate malattie per altre sono ancora da valutare, non possono essere utilizzati indiscriminatamente. Così come anche i riconoscimenti sono una mina vagante, non tanto dal punto di vista di chi subisce la malattia quanto dell’eziologia professionale della stessa; a questo proposito, anche per il famoso amianto non sempre ci sono delle certezze.
Comunque questa vuole essere solo una richiesta di attenzione. Siamo impegnati nello studio, però siamo preoccupati perché non di tutto ciò che accade si può risalire con certezza alla genesi.

PRESIDENTE
Se aveste a disposizione gli atti di questo studio sarebbe importante che li facciate pervenire alla Commissione.

FONTANA
Senz’altro. Tra l’altro si tratta di uno studio coordinato dalla Regione attraverso il COREP, consorzio di cui sono indegnamente vice Presidente. Faremo senz’altro pervenire gli atti alla Commissione.

PRESIDENTE
Ringrazio i nostri ospiti per la loro collaborazione, ribadendo che la Commissione è sempre disponibile per qualsiasi ulteriore interlocuzione.
Dichiaro concluse le audizioni odierne.
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Fonte: Senato della Repubblica