Cassazione Penale, Sez. 4, 07 aprile 2011, n. 13777 - Taglio di alberi e infortunio mortale


 

 

Responsabilità del legale rappresentante di una ditta di legnami per omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno di un lavoratore. 
L'incidente si verificava durante il taglio di alberi: mentre l'imputato stava tagliando un pioppo, alto circa 40 metri, con una macchina simile ad un escavatore dotata di sega e pinza, l'albero, cadendo in una direzione anomala rispetto agli altri (per una improvvisa ventata o perchè i rami si erano impigliati nell'albero vicino, secondo la tesi difensiva), si abbatteva sul lavoratore, che, insieme ad un altro, era intento al taglio dei rami e delle frasche in eccesso, colpendolo di spalle e provocandone la morte.

Condannato, ricorre in Cassazione - Rigetto.

La Suprema Corte, nell'affermare la coerenza della sentenza impugnata, afferma che tale "decisione è in linea, in punto di diritto, con la giurisprudenza costante di questa Corte secondo la quale è principio non controverso quello secondo cui il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell'articolo 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'articolo 40 c.p., comma 2".

"Il pericolo di caduta dell'albero è, infatti, un dato coessenziale alle operazioni di taglio del legname e grava, pertanto, sul datore di lavoro l'obbligo di prevedere prassi adeguate per prevenire danni alla salute delle persone, anche non lavoratori, che operano in quel settore."

La sentenza, continua la Corte, è altresì correttamente motivata nell'individuare un ulteriore profilo di responsabilità dell'imputato, sub specie di colpa generica, quale autore della errata manovra del taglio dell'albero, eseguita senza l'adozione delle particolari cautele imposte dalla particolare altezza e pesantezza degli alberi.


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

1) M. M. N. IL (OMESSO);

avverso la sentenza n. 3784/2007 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 03/05/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/02/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;

udito il P.G. in persona del Dott. MONETTI Vito che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore avv. Cesaretti Gianfelice del Foro di Lucca che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

 

FattoDiritto

 




Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado che aveva ritenuto M. M., legale rappresentante della omonima ditta di legnami, responsabile del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore L. M. (fatto occorso in data (Omissis)).

L'incidente si verificava durante il taglio di alberi: mentre il M. stava tagliando un pioppo, alto circa 40 metri, con una macchina simile ad un escavatore dotata di sega e pinza, l'albero, cadendo in una direzione anomala rispetto agli altri (per una improvvisa ventata o perchè i rami si erano impigliati nell'albero vicino, secondo la tesi difensiva), si abbatteva sul L., che, insieme ad un altro, era intento al taglio dei rami e delle frasche in eccesso, colpendolo di spalle e provocandone la morte.

La sentenza impugnata ha confermato la responsabilità del M. ravvisando a suo carico profili di colpa generica per l'esecuzione del taglio in maniera errata e comunque per l'omessa adozione di particolari cautele imposte dalla pericolosità dell'operazione e profili di colpa specifica per violazione della distanza di sicurezza dal raggio di caduta dell'albero, individuando nel rispetto di tale distanza, e non nelle cautele indicate dal primo giudice, l'unico possibile rimedio ai pericoli insiti nell'attività di taglio di alberi di alto fusto. Sotto tale ultimo profilo ha fatto riferimento alle norme di buona prassi elaborate dalla Regione Piemonte - che impongono secondo la ricostruzione operata in sentenza, ma contestata dal difensore, una distinzione tra la zona di abbattimento (un'area con un angolo di 45 gradi per lato, con raggio doppio rispetto all'albero) e zona di pericolo (tutto il resto della zona circolare rispetto all'albero, sempre di raggio doppio) - precisando che, pur non avendo le stesse alcun valore giuridico nel caso in esame, dimostrano che è possibile dare contenuto concretamente attuabile alla previsione giuridica di cautele idonee ad evitare infortuni nell'ambito dell'attività lavorativa in oggetto. Alla luce di tale rilievo, i giudici di appello escludevano la fondatezza della tesi difensiva dell'improvviso apparire dei due lavoratori, che avrebbero percorso circa trenta metri (pari all'altezza dell'albero) nei due/tre secondi durante i quali gli stessi furono nascosti alla vista del M. dal braccio della macchina.


Avverso la predetta decisione propone ricorso per cassazione M. M., articolando due motivi, strettamente connessi.


Con il primo lamenta la manifesta illogicità della motivazione sostenendo che il ragionamento della Corte di merito partiva dalla premessa errata che il raggio della zona di pericolo fosse doppio e non pari all'altezza della pianta, così travisando il contenuto delle richiamate norme di buona prassi elaborate dalla Regione Piemonte e dal Trentino ed escludendo l'abnorme comportamento dei lavoratori, che imprevedibilmente avrebbero fatto ingresso nella zona di pericolo.

Con il secondo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione anche con riferimento alla valutazione della inadeguatezza delle disposizioni interne elaborate dalla ditta dell'imputato, essendo evidente l'irrilevanza sul piano eziologico della disposizione inadeguata non rispettata.


I motivi, strettamente connessi, in quanto investono il giudizio di responsabilità, meritano trattazione congiunta.


Il ricorso è infondato.

La sentenza è correttamente motivata nel riferire all'imputato, nella incontestata qualità di legale rappresentante della ditta di legnami, per cui lavorava l'operaio decedutogli obblighi inerenti alla sicurezza dei lavori che si svolgevano nel cantiere da lui diretto e che comportavano l'apprestamento delle necessarie misure di protezione e la vigilanza sulla loro adozione.

Questa conclusione è coerente con il ruolo del datore di lavoro e con le responsabilità che da questo al medesimo derivano.

La decisione è in linea, in punto di diritto, con la giurisprudenza costante di questa Corte secondo la quale è principio non controverso quello secondo cui il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell'articolo 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'articolo 40 c.p., comma 2, (di recente, tra le tante, Sezione 4, 8 luglio 2009, Fontanella, non massimata).

Il pericolo di caduta dell'albero è, infatti, un dato coessenziale alle operazioni di taglio del legname e grava, pertanto, sul datore di lavoro l'obbligo di prevedere prassi adeguate per prevenire danni alla salute delle persone, anche non lavoratori, che operano in quel settore.



In tal senso è da intendere il riferimento operato dalla Corte di merito ai protocolli elaborati dalla Regione Piemonte e dal Trentino, che, pur non direttamente applicabili alla fattispecie in esame, sono state richiamate dall'operatore della ASL in dibattimento, nella qualità di teste, ed utilizzate dal giudice di appello per dimostrare la possibilità di individuare in concreto regole di condotta al fine evitare o, comunque, confinare il rischio consentito, strettamente inerente ad un'attività intrinsecamente pericolosa quale quella del taglio di albero di alto fusto.

La questione riproposta in questa sede dalla difesa, afferente l'asserito travisamento operato dai giudici di appello sulla estensione del raggio della zona di pericolo (pari all'albero, secondo il difensore e non doppio come sostenuto in sentenza) appare priva di rilevo nella fattispecie in cui, come emerge dalla sentenza impugnata ed, in particolare, dalla descrizione dell'infortunio, al momento dell'incidente i lavoratori si trovavano entro il raggio di caduta dell'albero e non in quello di pericolo.

La sentenza è altresì correttamente motivata nell'individuare un ulteriore profilo di responsabilità dell'imputato, sub specie di colpa generica, quale autore della errata manovra del taglio dell'albero, eseguita senza l'adozione delle particolari cautele imposte dalla particolare altezza e pesantezza degli alberi.

Sul punto i giudici di merito hanno correttamente evidenziato che lo stesso imputato aveva ammesso che l'anomala caduta del pioppo era stata determinata probabilmente dal fatto che un ramo si era impigliato in un albero vicino, cagionando una rotazione di 90 gradi ed una caduta della pianta in posizione perpendicolare rispetto a quella prevista e di non essere riuscito ad intervenire.

Del tutto infondata è la censura, volta a prospettare l'interruzione del nesso causale basata sul comportamento imprudente della vittima, che, insieme al compagno di lavoro, avrebbero inopinatamente assunto l'iniziativa di avvicinarsi nella zona di pericolo, contravvenendo a precisi disposizioni.

La doglianza è infondata, non emergendo dalla ricostruzione dei fatti, così come operata dai giudici di merito, alcun elemento rispetto al quale possa porsi un profilo di abnormità della condotta del lavoratore, tale da legittimare la pretesa interruzione del nesso causale.

Sul punto, la sentenza impugnata ha evidenziato che il L. venne colpito dall'albero alla schiena, ciò dimostrando come l'operaio stesse in quel momento segando i rami di una pianta già abbattuta e non certo camminando dalla zona di sicurezza verso quella di pericolo.

Le considerazioni del ricorrente, a ben vedere, si risolvono in una opinabile diversa ricostruzione delle modalità di comportamento del lavoratore che non possono avere ingresso in sede di legittimità.

Il ricorso, pertanto, va rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.